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Oltre i confini
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E-book200 pagine2 ore

Oltre i confini

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Info su questo ebook

Matteo è un giovane italiano, un brillante laureato trasferitosi in California per lavoro. Vive a San Francisco, dove si è saputo costruire una vita intensa, piena di soddisfazioni, amici, ragazze e divertimento.
Nessuno sa che dietro questa apparente felicità si cela un passato difficile, di cui neppure lui va fiero.
Un passato che senza preavviso tornerà a cercarlo.
Sarà l’occasione per un cambio radicale nella vita sua e in quella di molti altri. Un tunnel che lo porterà lungo una cammino fatto anche di dolore e sofferenza, dal quale uscirà cambiato.
Un romanzo d’amore dei nostri giorni, ambientato tra San Francisco, Roma e Los Angeles. Una storia dai ritmi spesso serrati e drammatici, in cui i protagonisti si ritroveranno a fare i conti con le loro passioni e i propri limiti.
LinguaItaliano
Data di uscita29 nov 2016
ISBN9788822872005
Oltre i confini

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    Anteprima del libro

    Oltre i confini - Francesco Faustini

    narrazione.

    Premessa

    Le descrizioni e informazioni relative alla leucemia contenute nell’opera non hanno in alcun modo la pretesa di avere valore scientifico, né divulgativo.

    L’intento è quello di sensibilizzare i lettori nei confronti della lotta contro le leucemie.

    La maggior parte delle notizie proviene da siti internet dedicati a questo tipo di patologie, tra cui quello della AIL – Associazione Italiana contro le leucemie, linfomi e mieloma Onlus.

    Per maggiori informazioni si consiglia di visitare il sito dell’associazione www.ail.it

    Per ogni copia venduta, 50 centesimi di euro saranno devoluti all’AIL-Associazione Italiana contro le leucemie linfomi e mieloma Onlus.

    Ai miei figli

    che non ho mai smesso di amare

    Prologo

    I medici erano stati chiari sin dall’inizio con lui. Elisabetta probabilmente non ce l’avrebbe fatta.

    Matteo aveva questo ricordo ben chiaro e nitido in mente. Per loro si trattava di un tentativo, la prosecuzione della sperimentazione di una nuova terapia che un giorno avrebbe salvato molte vite umane. Promettere di più sarebbe stato troppo, un inganno oltre la speranza.

    Ricordava lo sguardo di smarrimento negli occhi della donna che amava.

    Nelle prime visite i medici avevano illustrato i protocolli sanitari che sarebbero stati seguiti, e lui aveva avuto modo di prendere coscienza del cammino nel quale Elisabetta stava entrando.

    Ciò nonostante Matteo non aveva mai smesso di credere contro ogni logica, di aggrapparsi a quel filo di speranza che lo aveva sostenuto sino a quel momento. Chi lo conosceva poco, avrebbe pensato a un gesto di fede religiosa. Niente di più lontano dalla realtà.

    Il suo vero carburante era il senso di colpa.

    Aveva cercato di motivare la sua compagna sino alla fine, di farle intravedere un domani, fatto da un figlio da tirare su, una casa da arredare con colori vivaci, e vacanze in luoghi meravigliosi.

    Ora, seduto sulla poltroncina della saletta d’aspetto del reparto di rianimazione del "City of Hope" di Duarte, uno dei più importanti Centri di Ricerca Clinici privati della California, una ventina di miglia da Los Angeles, non poteva credere che fosse veramente finita.

    Alzò la testa, riaprì gli occhi e guardando attraverso la grande vetrata di fronte a lui si accorse che oramai s’era fatto notte. Le luci colorate dei camion in transito sull’Interstatale 210 si stagliavano sulle luci ben ordinate di Duarte, sullo sfondo l’ombra silenziosa di Pine Mountain.

    Oltre il perimetro dell’ospedale la vita continuava, ignara della tragedia che ogni giorno si consumava all’interno della Città della Speranza, ove ammalati e famiglie combattevano per la vita.

    Il venerdì sera era iniziato, con le consuete folle di giovani che si sarebbero riversate lungo il Sunset Boulevard di Hollywood per celebrare il loro rituale weekend di musica e trasgressione. Tra di loro si sarebbero mescolati i turisti provenienti un po’ da tutto il mondo, a caccia di celebrità.

    La primavera inoltrata spingeva anche i meno giovani a uscire la sera per godere del clima mite, magari solo per una birra in compagnia di amici.

    Toccandosi il collo sentì la barba ispida del giorno precedente. Si accorse di avere fame, sete e di essere spossato dalla giornata appena trascorsa.

    In quel momento, dopo mesi difficili, si sovvenne di quando anche la sua vita era ben diversa.

    Fu allora che sentì lacrime calde sgorgare dai suoi occhi.

    San Francisco - Nove mesi prima

    1.

    Quando finalmente Matteo si svegliò, la prima cosa che percepì nettamente fu un gran mal di testa.

    La stanza era oramai illuminata dalla luce del giorno che filtrava dalla tenda.

    Il dolore martellante era accompagnato da una bella sensazione fisica.

    Era nudo, disteso nel letto del suo appartamento di San Francisco, a Russian Hill, dove viveva già da due anni. Faceva fatica persino a ricordare come fosse tornato a casa. I cuscini però emanavano ancora un piacevole profumo, una fragranza sconosciuta, mista a odore di sigaretta, che poco a poco richiamava alla memoria la notte trascorsa.

    Ogni volta giurava che avrebbe bevuto meno, ma la tentazione e il piacere di condividere vizi e abitudini dei suoi amici americani era più forte. In fondo era anche grazie a questo che aveva potuto integrarsi tanto facilmente.

    Alzandosi notò un piccolissimo perizoma bianco dimenticato ai piedi del letto, vicino alle lenzuola.

    Era di Terry, la brunetta californiana sui 25 anni conosciuta al Ruby Skye, la sua discoteca preferita a San Francisco. Fisicamente minuta, esuberante, sguardo intrigante, non era la prima volta che la notava nel locale. I suoi seni piccoli e sodi, poco nascosti da una canottierina brillante, quella sera l’avevano catturato.

    Lei e le sue amiche lo avevano accerchiato al bancone del bar, e lo provocavano con battute. Non la smettevano di parlare e soprattutto di bere, mentre lui era lì per scaricarsi, ballare, salutare i soliti amici, e trovare il modo di passare in compagnia la notte di venerdì.

    Poco a poco cominciarono a tornare alla memoria le immagini di loro due scatenati sul divano, in cucina e sul pavimento. I morsi, le grida soffocate, i gemiti che avevano scandito la notte.

    La passione era esplosa già nel taxi, lungo il tragitto di ritorno che avevano fatto da Oakland a San Francisco. Terry infatti l’aveva invitato a casa sua, ma solo al loro arrivo avevano scoperto che sua sorella aveva improvvisato un party e la casa era affollata da ventenni più o meno ubriachi. A quel punto avevano deciso di tornare in città per stare da lui.

    Mentre stavano attraversando il Bay Bridge e lui guardava dal finestrino la City illuminata, affascinato come sempre, lei si era avventurata ovunque, con la sua lingua e le sue mani spudorate, nonostante il taxista lì davanti, che sembrava noncurante o forse abituato a certi eccessi.

    Quella vista attraverso il ponte illuminato lo faceva sentire onnipotente, gli mostrava che era sulla strada giusta per andare dove aveva deciso, verso il successo. E quella ragazza gliene stava dando un anticipo.

    Matteo, alto, moro, capelli corti ben curati, occhi scuri coronati da lunghe ciglia, aveva lineamenti e modi di fare tipicamente italiani. Fisicamente prestante, grazie alle ore dedicate all’allenamento e alla cura del corpo, in palestra e nelle lunghe corse all’aperto, sapeva di piacere alle ragazze.

    Nel weekend, l’abbigliamento era informale e alla moda, con magliette e pantaloni corti o con camicie e pantaloni sportivi, come uno dei qualsiasi trentaduenni americani con cui amava confondersi.

    Durante la settimana invece i suoi muscoli finivano coperti dall’uniforme del giovane manager in carriera, il completo con camicia chiara e cravatta.

    Prese un analgesico dal ripiano vicino al letto, aprì la cabina armadio e ne estrasse un paio di boxer aderenti che indossò. Si diresse poi alla tenda, e la tirò con forza. Un fascio di luce solare investì la camera da letto attraverso la grande finestra vetrata.

    L’ambiente, in stile moderno e funzionale, aveva un design curato in ogni particolare che lo rendeva accogliente. Un raffinato parquet copriva completamente la superficie dell’appartamento, per l’arredamento del quale la sua impresa aveva interessato un architetto-arredatore italiano, un espatriato come lui, trasferitosi anni addietro in California per conferire quel tocco di italian style agli appartamenti come il suo, o ai villini in stile vittoriano di cui la città era ancora disseminata.

    Sull’appartamento, l’impresa per cui lavorava e per la quale si era trasferito negli USA era stata generosa. D’altronde certi benefit servivano esattamente a questo: assicurarsi che l’espatriato accettasse il trasferimento definitivo senza ripensamenti, neutralizzando allo stesso tempo le tentazioni della concorrenza abbastanza a lungo da ripagare l’investimento umano e professionale.

    Il 1000 di Chestnut Street, all’angolo con Hide Street, era quanto di meglio avrebbe potuto chiedere. Una delle poche torri costruite a Russian Hill, quartiere fatto prevalentemente dai tipici villini bassi che caratterizzano San Francisco. Una struttura nuova, elegante e non lontana dai suoi uffici al Distretto Finanziario.

    Oltre la finestra del 13° piano, la baia risplendeva in tutta la sua bellezza. Il sole brillava già alto e illuminava il Golden Gate Bridge, rendendo il suo colore arancione ancora più vivido. Quel ponte, amato dai turisti di tutto il mondo, e che Matteo si era battuto per avere nella vista di casa, ora si stagliava possente sul mare, a ricordagli ancora una volta che l’impossibile non esiste.

    Non c’era più un filo di nebbia ad avvolgerlo, era proprio tardi.

    Una vibrazione proveniente dall’iphone 6 plus, colore argento, appoggiato sul tavolo vicino alla finestra, attirò la sua attenzione. Il display indicava le 11.10 a.m. di sabato mattina.

    L’icona degli SMS e quella di Whatsapp segnavano numerosi messaggi da leggere, e quella delle chiamate era ancora più spietata: 8 chiamate perse.

    Steve, Unknown, San Bruno, Boss, Terry, Benedetto.

    Benedetto, cazzo. Sarà la terza volta che gli do buca. Così, d’istinto, fu quello che decise di richiamare per primo.

    "Pronto Bene, sono io, scusa".

    Matteo, sei il solito… Non la voglio neppure sentire la scusa che hai questa volta. Scommetto che ti sei appena svegliato. Io invece sono già di ritorno da Sausalto, come da programma. Sbuffava come un treno.

    Ho avuto ospiti stanotte, e ieri devo aver bevuto troppo. Ti giuro la prossima ci sarò.

    Questa l’ho già sentita. Ancora non capisco perché prendi impegni se sai di non poterli mantenere. Se tratti così il tuo migliore amico…preferisco non sapere cosa fai al peggiore.

    Sembrava sghignazzare, nonostante il fiatone. "Comunque ti faccio sdebitare subito. Ti aspetto da me all’una spaccata, andiamo al Ferry Building Marketplace per pranzo. Oggi offri…delikatessen".

    Eh certo, pedalare mette fame. Okay. Ci vediamo sotto casa tua.

    Dopo essersi preparato, mentre gustava il suo caffé all’italiana, uno dei pochi vezzi che aveva deciso di continuare a concedersi, si ricordò degli altri messaggi e delle chiamate di lavoro perse.

    Era indeciso se rispondere al messaggio di Terry o fare il prezioso. Pensò che era stata una delle migliori ultimamente, quindi optò per una risposta carina.

    Baby sei una bomba. Non vedo l’ora di vederti di nuovo. Inviò distrattamente.

    Poi passò alle chiamate di lavoro. La prima proveniva dalla Segreteria dei Laboratori di San Bruno. La seconda dal suo Direttore.

    Ma che vogliono, pure di sabato mattina, borbottò, appoggiando il pollice al display, per richiamare il suo Capo.

    Pronto Leonardo, come va? Vedo che mi hai cercato, spero nulla di grave. Disse in tono cordiale.

    "Pronto Matteo, buongiorno. La risposta è , e ho risolto anche senza di te. Però ti ricordo che essere Technical Marketing Manager significa avere delle responsabilità appunto, tra cui quella di essere reperibile. Ti ho anche inviato una email, ma scommetto che non l’hai ancora aperta".

    Veramente….

    Lasciami finire. Lo so che quando serve ci sei, però se continui a comportarti come fossi al di sopra delle regole, prima o poi lo paghi, perché non è il tuo primo giorno negli Stati Uniti.

    Okay, hai ragione, non succederà più. Scusami ma in questo periodo ho bisogno di svagarmi, di decomprimere.

    Matteo, tu è da quando ti ho conosciuto in Italia che hai questa necessità. Comunque lo sai, per l’impresa è essenziale solo che tu faccia piani grandiosi per il secondo semestre e che alla fine dell’anno raggiunga gli obiettivi.

    Okay, grazie Leonardo.

    La presentazione dei risultati del primo semestre la farai lunedì alle 9.00 prima della riunione settimanale, ma a San Bruno, ai Laboratori, perché viene uno dei nostri principali fornitori dalla Cina. Con l’occasione parleremo anche dei nuovi scenari aziendali che ti coinvolgeranno. Ciao.

    A lunedì. Ciao chiuse Matteo, un po’ interdetto per la conclusione ma poco o nulla preoccupato.

    Sciacquando la moka e la tazzina da caffè, Matteo rifletté sul fatto che in meno di un’ora si era già dovuto scusare due volte.

    Leonardo per lui era molto più di un capo. Ingegnere fiorentino, uomo dalla battuta sempre pronta, quasi sessantenne, eppure incredibilmente giovanile. Robusto ma sportivo, dinamico, dietro quella barba corta sale e pepe aveva la capacità di sorridere anche nei momenti critici. Era il padre che avrebbe voluto, era il suo mentore, il suo pungolo a migliorare.

    Quando era entrato in SysHub Italia, a Milano, quattro anni prima, Matteo era solo un promettente ingegnere romano con un International MBA preso al Politecnico di Milano, poca esperienza e tanta voglia di fare. Ricordava ancora la pazienza con la quale Leonardo, suo Direttore, lo aveva formato, indirizzato, corretto. Aveva convogliato il suo entusiasmo e lo aveva messo in condizioni di dare il meglio di sé, applicando alla lettera i consigli del celebre libro The One Minute Manager.

    Quando, due anni dopo, Leonardo era stato promosso e chiamato alla Direzione Generale della casa madre di San Francisco, gli aveva dato fiducia e lo aveva proposto per il trasferimento negli States. Essere bilingue, inglese e italiano, lo aveva certamente favorito agli occhi della Direzione ma senza l’input di Leonardo, lui sarebbe probabilmente finito a mangiare riso in chissà quale filiale asiatica.

    Prima di uscire Matteo regolò il termostato della climatizzazione. Si rese conto che quell’ossessione dei Californiani per il risparmio energetico, l’attenzione all’ambiente e alla salute, lo avevano contagiato. D’altronde chi si sarebbe tirato indietro di fronte a un tale sforzo collettivo per far sparire la plastica, a cominciare dalle odiose bottigliette, per tornare all’organico, e in generale a tutto ciò che è biologico?

    Si specchiò per un istante, cercando le rughette sotto le palpebre e controllando l’attaccatura dei capelli sulle tempie. Per ora nessun pericolo. Ma era deciso a spendere qualsiasi cifra pur di non perdere la sua folta capigliatura.

    Ricordava ancora la storia di Sansone e i Filistei, che la nonna gli leggeva dalla Bibbia quando era ragazzino. Il fatto che l’invincibile forza di Sansone fosse stata annientata dal taglio di capelli, lo aveva spaventato a tal punto che per mesi si era rifiutato di farsi portare dal barbiere a tagliare i capelli.

    Sorrise di sé, prese le chiavi di casa, quelle dell’auto, si girò e usci.

    2.

    "Questa porchetta, accompagnata dal pane sourdough, era favolosa, non trovi?" Disse Benedetto con l’aria satolla e appagata.

    Seduti ai tavolini del Ferry

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