Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Brianna di Wias
Brianna di Wias
Brianna di Wias
E-book500 pagine6 ore

Brianna di Wias

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

La vita non è stata generosa con Brianna di Wias. Rimasta orfana di madre alla nascita, non è che una ragazzina quando è costretta a dire addio anche al padre. Da quel giorno, l’unico obiettivo di Brianna diventa quello di salvare la sua gente perché nessun bambino sia più costretto a patire ciò che ha sofferto lei. In una terra devastata da guerre e miseria, la sua unica fonte di gioia è rappresentata dall'amore che vede sbocciare e crescere tra la cugina Tallia e Rori, suo amico d'infanzia. Confortata da quell’affetto, ella vive una doppia esistenza: di giorno aiuta alla fattoria degli zii, ma di notte cerca in tutti i modi di sabotare i piani del terribile re Oghren. Il destino, però, ha in serbo un'amara sorpresa: ben presto, il suo cammino si scontra con quello di Sir Gareth di Leithian, temuto guerriero al soldo della corona. L'odio che prova per quest'uomo, a cui imputa le misere condizioni in cui versa la sua gente, finisce per consumarla. Ma non sarà solo contro di lui che si troverà a combattere: un sentimento mai provato prima, nascerà dentro di lei. Riuscirà l’amore a prevalere sull’odio? Mentre l'eco di un'antica profezia risuona tra la foresta e le fredde pietre del castello di Black Storm, Brianna si troverà a dover scegliere tra la propria felicità e il destino della sua gente.
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita15 nov 2018
ISBN9788833661698
Brianna di Wias

Leggi altro di Daniela Jannuzzi

Autori correlati

Correlato a Brianna di Wias

Ebook correlati

Narrativa romantica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Brianna di Wias

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Brianna di Wias - Daniela Jannuzzi

    Tavola dei Contenuti (TOC)

    Uno

    Due

    Tre

    Quattro

    Cinque

    Sei

    Sette

    Otto

    Nove

    Dieci

    Undici

    Dodici

    Tredici

    Quattordici

    Quindici

    Sedici

    Diciassette

    Diciotto

    Diciannove

    Venti

    Ventuno

    Ventidue

    Ventitré

    Ventiquattro

    Venticinque

    Ventisei

    Ventisette

    Ventotto

    Ventinove

    Trenta

    Trentuno

    Trentadue

    Trentatré

    Trentaquattro

    Trentacinque

    Trentasei

    Trentasette

    Trentotto

    Trentanove

    Quaranta

    Quarantuno

    Quarantadue

    Quarantatré

    Quarantaquattro

    Quarantacinque

    Quarantasei

    Quarantasette

    Quarantotto

    Quarantanove

    Cinquanta

    Cinquantuno

    Cinquantadue

    Cinquantatré

    Cinquantaquattro

    Cinquantacinque

    Cinquantasei

    Cinquantasette

    Cinquantotto

    Cinquantanove

    Sessanta

    Sessantuno

    Sessantadue

    Sessantatré

    Sessantaquattro

    Sessantacinque

    Sessantasei

    Sessantasette

    Sessantotto

    Sessantanove

    Settanta

    Settantuno

    Settantadue

    Settantatré

    Settantaquattro

    Settantacinque

    Settantasei

    Settantasette

    Settantotto

    Settantanove

    Ottanta

    Ottantuno

    Ottantadue

    Ottantatré

    Ottantaquattro

    Ottantacinque

    Ottantasei

    Ottantasette

    Ottantotto

    Ottantanove

    Epilogo

    Ringraziamenti

    L’autrice

    Literary Romance

    9

    Crediti:

    Genere contemporaneo ©2018 PubGold

    Collana ©Literary Romance – www.literaryromance.it

    Prima edizione novembre 2018 – Tutti i diritti riservati

    Progetto grafico di copertina ©2018 Cora Graphics

    © Shutterstock.com

    Questo romanzo è un’opera di fantasia: riferimenti a fatti e persone reali sono da considerare puramente casuali. I personaggi citati sono utilizzati in modo fittizio.

    Daniela Jannuzzi

    Brianna Di Wias

    Romanzo

    A Diletta, mia compagna in questo viaggio nel tempo

    Uno

    I lunghi capelli ondeggiavano sulle spalle, appesantiti dall'impetuoso acquazzone che l'aveva inzuppata quasi fino alle ossa. Faceva freddo quella notte, ma non era a quello che doveva pensare. I sensi erano all’erta, pronti a captare il minimo rumore. Si stava avvicinando al castello e, anche con tutta quell’oscurità, poteva scorgere il massiccio ponte levatoio, la luce fioca delle torce all’ingresso.

    Doveva stare attenta, adesso sarebbe giunta la parte più complicata. Non era il castello la sua meta, bensì i granai ubicati poco distanti dall’entrata principale. Un’improvvisa folata di vento la portò a sfregarsi energicamente le braccia con le mani. Per un attimo, Brianna fu tentata di desistere e tornare indietro; era stata impulsiva nonché sciocca a imbarcarsi in quell’avventura da sola. Se i soldati di guardia l’avessero scoperta, per lei sarebbe stata la fine. Poi pensò a Rudolf, il fabbro del villaggio, con i suoi cinque figli da sfamare. Scosse la testa, avrebbe fatto questo e altro per quei poveri bambini. Si abbassò e cominciò ad avvicinarsi all’obiettivo.

    «Ehi… Pavel, stasera si gela. Beato Sir Gareth, lui sì che è fortunato con un bel fuoco per scaldare la casa e una donna nel letto» palesò uno dei soldati di guardia, generando risate e gesti osceni dal suo compagno di turno.

    Brianna raggiunse l’argine del torrente che marcava il confine tra il suo villaggio e il castello di Black Storm.

    Un nome più che meritato!, pensò, intanto che alzava gli occhi verso l’enorme maniero avvolto dalle tenebre.

    Adesso avrebbe dovuto calcolare bene i tempi, doveva aspettare che i soldati le voltassero le spalle per guadare il torrente e, senza far rumore, correre fino a uno dei granai. Sarebbe stata totalmente in vista — in quel momento preciso — e doveva essere certa che nessuno si girasse dalla sua parte.

    Un paio di giorni prima aveva fatto un sopralluogo con Rori, l'amico più fidato: avevano calcolato che dieci canti di gufo sarebbero bastati perché le guardie completassero il giro e tornassero nella posizione iniziale. Si doveva, quindi, raggiungere l’obiettivo entro i sette canti al massimo, o sarebbe stata avvistata. Per questo, Rori aveva cercato di dissuaderla da quella che lui considerava una missione da pazzi. Brianna, al contrario, non aveva voluto sentire ragioni: era decisa a portare a termine il piano, anche senza il suo aiuto.

    Il fato però, quella sera, sembrò sfavorirla. Infatti, contrariamente alle previsioni, le due guardie non si mossero dal loro posto e, come se non bastasse, non sentì alcun gufo bubolare. Il tempo stava trascorrendo e lei temeva che, se avessero tardato ancora, avrebbe dovuto rimandare tutto.

    Dopo un periodo che le parve interminabile, finalmente i due uomini — evidentemente infreddoliti dal lungo star fermi — le voltarono le spalle cominciando il giro di ronda. Tese l’orecchio e, non appena udì il rapace, iniziò a contare. Giunta a sei non attese oltre e, ben attenta a non far rumore, corse a perdifiato fino all’argine del torrente. Con cautela, immerse i piedi nell’acqua e trasalì: per un momento ebbe l’impressione che tanti spilli le si conficcassero nella carne. Aveva le lacrime agli occhi, l’acqua gelida le mozzava il respiro e i denti battevano senza controllo. Strinse i pugni fin quasi a conficcarsi le unghie nei palmi e cominciò a guadare il torrente. Arrivata sull’altra sponda, emise un sospiro di sollievo. La gioia per il momentaneo successo però, fu di breve durata. I soldati stavano già tornando, riusciva a sentire chiaramente le loro voci farsi sempre più vicine. Con un ultimo sforzo, corse fino alla porta del granaio meno distante, pregando di non trovarla chiusa. Fu fortunata perché, appena la spinse, essa si aprì con un lieve cigolio.

    «Ehi! Hai sentito anche tu?» udì domandare una delle guardie, ora agghiacciata.

    «Sì… mi è sembrato provenisse da laggiù» aggiunse l'altra con un cenno del braccio.

    Ora i soldati si stavano dirigendo dritti verso di lei e tra non molto avrebbero girato l’angolo e le sarebbero apparsi davanti.

    Maledetta porta!, imprecò Brianna mentalmente.

    Con uno scatto, scomparve dentro il granaio e il battente si chiuse alle spalle appena in tempo. Avvertì i passi delle guardie farsi sempre più vicini finché capì che si trovavano proprio davanti all’ingresso del deposito. Il cuore prese a martellarle all’impazzata nel petto e le mani a sudare, nonostante il freddo.

    «Sono sicuro che il rumore proveniva da qui.»

    «Mm… io non vedo nulla di sospetto, probabilmente sarà stato uno di quei maledetti ratti» rispose l'altro.

    «Già, deve essere stato proprio un topo, dannate bestiacce» incalzò, sputando poi rumorosamente per terra.

    Preparata al peggio, Brianna quasi si accasciò per il sollievo, non appena si rese conto che i due erano passati oltre. Quando il silenzio tornò a circondarla, si voltò, dando tempo agli occhi di abituarsi al buio del luogo in cui si trovava. Pian piano, iniziò a scorgere le sagome di quelle che dovevano essere pile e pile di sacchi sistemati uno sull’altro, quasi a formare piccole montagne. Aveva davanti agli occhi il risultato della fatica nonché della miseria in cui versava il suo villaggio.

    «Quel bastardo di Sir Gareth di Leithian! Con tutto il grano che c’è qui, si potrebbero sfamare decine di villaggi come Rhatos» sussurrò furibonda.

    Il regno di Vallgander era suddiviso in decine di contee, formate a loro volta da villaggi tutti più o meno come quello in cui era nata e cresciuta Brianna.

    Re Darda, purtroppo, non aveva avuto figli e alla sua morte al trono era succeduto Oghren, l’unico figlio della defunta sorella. Violento e despota fin da ragazzo, crescendo era diventato un uomo avido e senza scrupoli. Trattandosi di un territorio molto vasto, il sovrano si era visto costretto ad affidare ogni contea a un fedele sottoposto. Questa mossa astuta gli aveva permesso di tenere sotto controllo tutto l’impero con il minimo dispendio di uomini e mezzi. Il suo era un regno governato col terrore; non erano insolite reclusioni e torture nei confronti di chi si rifiutava di aderire agli arruolamenti forzati. I traditori venivano giustiziati, impiccati nelle pubbliche piazze e lasciati a penzolare come monito verso coloro che avrebbero potuto ribellarsi. I fedeli collaboratori del re non erano solo nobili che miravano ad accrescere le loro ricchezze, ma anche guerrieri che si erano distinti sui campi di battaglia per ferocia e crudeltà durante le guerre contro i regni nemici.

    A quest’ultima categoria apparteneva anche Sir Gareth di Leithian, che controllava e dirigeva per conto del re, il villaggio di Brianna.

    La ragazza aveva avuto il privilegio di vederlo in azione più di una volta. A detta di tutti, era un demonio. Spietato con i nemici e i ribelli, non amava, però, prendersela con chi non potesse tenergli testa, ma i traditori che erano stati legati e trascinati nel suo castello non avevano fatto più ritorno, neanche da morti. C’era chi sosteneva che si cibasse addirittura di carne umana.

    Brianna non credeva a queste storie, tuttavia solo una volta le era capitato d’incrociare il suo sguardo attraverso l’elmo dell’armatura. Ricordava bene la sensazione di terrore che l’aveva spinta, irrazionalmente, a rifugiarsi dietro Rori. Ma a turbarla era stato soprattutto il sorriso luciferino che le aveva rivolto, prima di spronare il suo stallone al galoppo, puntando dritto verso di lei e rischiando di travolgerla.

    La giovane si riscosse da quel sogno a occhi aperti e realizzò con sgomento che si trovava ancora all’interno del granaio.

    Accidenti! Ho perso la cognizione del tempo fantasticando come una stupida, pensò mentre estraeva dallo stivale il coltello che era solita portarsi appresso.

    Si accovacciò di fianco a un sacco e vi praticò un’incisione. La tela si lacerò all’istante e cominciò a riversare a terra il suo contenuto. Brianna si sfilò dalla spalla la sacca e iniziò a riempirla con il grano. Aveva dovuto ripiegare su questa soluzione perché, da sola, non sarebbe mai riuscita a trascinare un intero sacco fuori da lì, soprattutto fino al villaggio. Terminata l’operazione, sistemò nuovamente la borsa sulla spalla e si alzò, intenzionata più che mai ad andarsene il più velocemente possibile. In prossimità della porta, allungò un braccio per aprirla, ma un urlo agghiacciante le fermò la mano a mezz’aria. Tremando, si sfilò nuovamente la bisaccia dalla spalla e, accovacciandosi, si accostò al battente aprendone uno spiraglio per cercare di capire cosa stesse accadendo.

    Le grida provenivano da poco lontano e andavano facendosi progressivamente più vicine.

    Due

    Brianna sobbalzò, rischiando di rovesciare tutto il contenuto della borsa non appena un corpo fu scagliato a pochi passi dal suo nascondiglio. Un uomo, ferito e lacero, giaceva riverso a pancia in giù e non smetteva di lamentarsi. Brianna non sapeva cosa fare, soprattutto con il fatto che adesso era intrappolata là dentro. Un rumore di passi e risate sguaiate la fecero voltare, ma l’angolo della visuale era troppo piccolo per poter vedere chi si stesse avvicinando.

    «Ora vedrai cosa succede ai traditori e ai ladri, lurido bastardo. Il padrone ti farà pentire di essere nato» esclamò una delle guardie, prima di sferrare un violento calcio allo stomaco del prigioniero.

    Egli iniziò a tossire convulsamente e sputare sangue, intanto che si torceva cercando di proteggersi il punto percosso.

    La visione di tutta quella violenza le diede il voltastomaco.

    Quando finiranno tutti questi soprusi e sofferenze?, si chiese, chiudendo gli occhi, ma solo per un attimo perché un nuovo rumore la costrinse a riportare l'attenzione all’esterno: un tonfo sordo e pesante, unito a uno strano sferragliare.

    Brianna vide il soldato — che fino ad allora era rimasto accosciato a insultare l’uomo a terra — alzarsi prontamente, mettendosi sull’attenti. Lo stomaco le si torse quando capì che il fracasso sentito era il risultato dell’avvicinarsi di un uomo in armatura: era Sir Gareth di Leithian.

    La prima cosa che intravide furono gli stivali di pelle nera che gli fasciavano il polpaccio fin quasi al ginocchio. Il rumore di ferraglia era provocato dalle catene che li ornavano. Le lunghe gambe erano avvolte da aderenti pantaloni di pelle che evidenziavano cosce muscolose, anch'essi neri come la notte. Poté udire distintamente lo scricchiolio del tessuto nel momento in cui egli si abbassò sul prigioniero, poggiando un ginocchio a terra. Il viso era rimasto in ombra, nascosto parzialmente dai capelli che gli sfioravano le spalle in ciocche sfrangiate.

    Sir Gareth allungò una mano inguantata e, afferrato il poveretto per i capelli, lo strattonò violentemente provocandogli un nuovo urlo di dolore. Avvicinò il suo viso quasi a sfiorargli l’orecchio e parlò.

    «Credevi davvero che ti avrei lasciato vivere, dopo avermi tradito?»

    La sua voce era pressoché un sussurro e Brianna fu percorsa da un brivido: era bassa e profonda, quella era la prima volta che lo sentiva parlare. Lasciò la presa di colpo e il malcapitato ricadde a faccia in giù nel fango.

    Sir Gareth si alzò, poi con la punta dello stivale lo voltò sulla schiena. Brianna vide poggiargli la suola sullo sterno.

    «Questa è la fine che fanno i traditori e i ladri» sentenziò, prima di prorompere in una risata che la terrorizzò, seguito a ruota dai soldati.

    Era inorridita, avrebbe voluto distogliere lo sguardo, ma non ci riusciva. Sembra un cacciatore che gioca con la sua preda prima di finirla, pensò.

    Il buon vecchio re Darda non avrebbe mai permesso a simili carogne di gestire i propri possedimenti, ma suo nipote era di ben altro avviso e da quando — un paio di anni prima — era giunto Sir Gareth, i soprusi e le violenze non avevano fatto altro che aumentare.

    Un brusco movimento la distolse ancora una volta dai pensieri.

    Il cavaliere, con una mossa rapida e rapace, afferrò nuovamente per i capelli il poveretto, costringendolo a mettersi in ginocchio e, senza lasciare la presa, si posizionò alle sue spalle.

    Cosa vuol fare?, si domandò lei a quel punto, anche se temeva di conoscere già la risposta.

    Sir Gareth sfoderò un grosso coltello dal fodero di pelle assicurato al fianco. L’arma recava il blasone dei Leithian: un leone ruggente che sbranava un serpente. Il prigioniero, accecato dal terrore, prese a divincolarsi riuscendo, dopo essersi strappato alcune ciocche di capelli, a sottrarsi da quella stretta mortale. Così facendo però, si ritrovò a fissare gli occhi sgranati di Brianna.

    Mi ha vista… era certa di essere sbiancata in volto. Mille pensieri le affollarono la mente. Se quell’uomo, per salvarsi la vita, avesse rivelato la sua presenza, non avrebbe avuto più scampo. Cercò di strisciare all’indietro, ma tutto il corpo era paralizzato dalla paura. Con uno sforzo enorme riuscì a portarsi un dito alle labbra, pregando con gli occhi affinché egli facesse silenzio.

    Sir Gareth, spazientito, si gettò sul malcapitato riacciuffandolo per il colletto della tunica e in quel momento voltò parte del viso verso Brianna. A quel punto, ebbe la certezza che sarebbe morta.

    Smise di pensare e respirare, mentre le membra cominciarono a tremare senza controllo. Aveva la gola secca, deglutì nervosamente e strinse il manico del coltello, preparandosi ad affrontare l’inevitabile che però… non arrivò.

    Ma com’è possibile? Sta guardando esattamente verso di me.

    Ciononostante, quello seguitava a strattonare e sbeffeggiare l’uomo, ignorandola completamente.

    Brianna notò qualcosa di strano sul suo viso e, nel momento in cui una ciocca di capelli si spostò, capì: l’occhio destro era coperto da una benda nera.

    È cieco da un occhio, non ci vede, non può vedermi! Per poco non si fece scoprire, tanto incontenibile fu l’entusiasmo per il colpo di fortuna, ma la gioia fu di breve durata. Sir Gareth — con un solo movimento del polso — tagliò la gola al prigioniero.

    Brianna si tappò la bocca con entrambe le mani per non urlare, pur non riuscendo a staccare gli occhi dal copioso fiotto di sangue che fuoriusciva dalla gola del malcapitato, schizzando dappertutto. Osservò, attonita, il corpo del poveretto scuotersi violentemente mentre la vita l’abbandonava, poi piombare a terra come un sacco vuoto.

    I soldati esultarono e si batterono vicendevolmente le spalle, complimentandosi poi con il loro padrone per l’ottimo lavoro svolto, ma l’uomo parve non ascoltarli, ripulì la lama del coltello con la tunica del morto e lo rinfoderò.

    «Appendetelo all’entrata del paese. Che tutti vedano cosa li aspetta se saranno così sciocchi da tradire me o il re» ordinò loro prima di voltare le spalle e andarsene così com’era venuto.

    I soldati, ubbidendo immediatamente, sollevarono di peso il cadavere e lo trascinarono via, lasciando una lunga scia di sangue sul terreno.

    Quell’uomo è una belva, ha ucciso quel poveretto disarmato senza battere ciglio, pensò Brianna, sgomenta. Cercò a tentoni la borsa: con le mani ancora tremanti se la mise in spalla e provò ad alzarsi. Sentiva le gambe molli e aveva la nausea. Non aveva mai visto morire nessuno prima di quella sera, almeno non in quel modo barbaro. Facendosi coraggio, aprì un po’ di più la porta e sgattaiolò fuori, nella notte gelida. Aveva smesso di piovere, faceva molto freddo, eppure lei non sentiva nulla. Con attenzione, scavalcò la pozza di sangue che inzuppava il terreno e, dando un’ultima occhiata per assicurarsi che non ci fossero altri soldati nei paraggi, cominciò a correre più velocemente possibile, impaziente di lasciarsi alle spalle quel luogo di morte.

    Tre

    «Sveglia, dormigliona! Per quanto ancora pensi di poltrire? Il sole si è alzato da un bel po’ed è ora che tu mi dia una mano con le mucche» urlò Tallia, battendo un pugno contro la porta.

    Brianna emerse a fatica dalla nebbia del sonno e fece appena in tempo a nascondere la borsa sotto il letto che la porta della sua capanna si spalancò.

    Tallia — cugina da parte di padre — entrò nella stanza come una furia e le si parò dinnanzi, le mani sui fianchi.

    «Posso sapere cosa ti porta a casa mia gridando in questo modo?» le domandò, la voce assonnata, sbadigliando rumorosamente.

    «È tardissimo. Non ricordi? Avevi promesso di aiutarmi a mungere le mucche. Ti aspettavo all’alba, invece, è quasi mezzodì e tu non ti sei fatta vedere» la incalzò.

    Brianna decise di ignorare la cugina e si girò dall’altra parte con tutta l'intenzione di riaddormentarsi, almeno, queste sarebbero state le intenzioni se l'altra non si fosse lanciata sul letto come una pazza e non avesse trovato un piede, cominciando a farle il solletico.

    Completamente sveglia, balzò su a sedere e, acciuffata Tallia per la vita, le restituì il solletico. Le due giovani lottarono per un po’ finché non finirono entrambe per terra fra le risate e un groviglio di lenzuola.

    «E va bene, hai vinto, mi alzo» si rassegnò, sollevando entrambe le mani in segno di resa.

    «Santo Cielo, che ti sei fatta?» esclamò Tallia, indicando le innumerevoli abrasioni che le ricoprivano le braccia.

    Lei tentennò un momento prima di risponderle.

    «Oh, non è nulla, ho lottato un po’ con Rori ieri, devo essermi graffiata cadendo.»

    A sentir nominare Rori, Tallia arrossì fino alle orecchie. A Brianna dispiaceva immensamente doverle mentire, ma non poteva certo rivelarle che si era ferita durante una sortita al castello di Black Storm, e da sola per giunta: le sarebbe preso un colpo.

    «Sei sempre il solito maschiaccio. Fin da quando eravamo bambine, preferivi sempre correre come una matta e fare giochi pericolosi» la rimproverò bonariamente la cugina.

    «È sempre stato così e sempre lo sarà. Io, il guerriero senza paura e tu la principessa da salvare» scherzò lei, alzandosi e improvvisando un inchino.

    «Sei una buffona, avresti successo come giullare di corte se alle donne fosse permesso farlo. Su, adesso sbrigati a cambiarti, ti aspetterò fuori» le disse, spazzolandosi il vestito con decisi colpi delle mani sulla stoffa logora e aggiustandosi i capelli alla bene e meglio, prima di uscire dalla casupola.

    Con la coda dell’occhio, Brianna guardò la borsa che sporgeva di poco sotto il letto e, con la punta del piede, la spinse più in profondità. Tirò un sospiro di sollievo e si svestì. Si lavò velocemente con l’acqua fredda a disposizione in una ciotola e, ancora gocciolante, s’infilò un paio di pantaloni di cotone e una casacca di tela. Si strinse una cinta in vita e infilò il coltello nello stivale. Poi, afferrato un modesto specchio si guardò: ciò che vide riflesso fu una ragazza pallida dai profondi occhi verdi. Spazzolò energicamente i lunghi capelli neri e provò ad acconciarli come faceva Tallia.

    «Che differenza…» sospirò, guardando la sua precaria acconciatura pendere da tutte le parti. Decisamente non fa per me, pensò, sconsolata. Li sciolse nuovamente e li legò in una robusta treccia, fissando l’estremità con un laccio di pelle.

    «Così va meglio!» esclamò, soddisfatta.

    Recuperò una nuova sacca sul fondo della cassapanca, ripromettendosi di andare dal fabbro non appena libera, e la riempì con alcune mele. Si fermò un attimo a controllare che tutto fosse al suo posto. Aveva sempre vissuto lì, la sua capanna e quella della famiglia di Tallia si trovavano ai margini del bosco, nella grande vallata poco fuori il villaggio. Era piccola e raccolta, composta da due stanze e un minuscolo lavatoio. C’era un grosso forno a legna che lei utilizzava di rado, un tavolo ricavato da vecchie assi e fornelli di pietra lavica. La camera da letto era composta da un letto con materasso di paglia e una cassapanca, regalo del padre il giorno delle nozze con la madre. Si poteva ancora leggere la dedica sbiadita dal tempo all’interno del coperchio. A Viridia, il sole della mia esistenza. Nelle fiancate vi erano intagliati dei fiori, si vedeva che tutto era stato creato con grande amore. Era lì, che Brianna teneva i suoi pochi abiti e le cose più care. In un angolo, infine — nascosto alla vista da una pesante tenda — vi erano una tinozza di legno e un piccolo catino per lavarsi. La latrina era situata in uno stretto capanno all’esterno. Non c'era acqua corrente, così era costretta a recarsi giornalmente al pozzo per attingerla.

    Fece il giro della casa per assicurarsi che tutte le finestre fossero chiuse — non che ci fosse nulla da rubare — ma era sempre meglio controllare per evitare di tornare e trovare qualche intruso in cerca di cibo o riparo. Soddisfatta, chiuse la porta alle spalle e mise la chiave al collo, nascondendola sotto la casacca. Chiuse gli occhi e respirò l'aria fresca di campagna. L’inverno era ormai alle porte, presto il suolo si sarebbe ghiacciato rendendo difficoltoso portare il bestiame al pascolo. Per non parlare dei branchi di lupi, che uscivano dalle tane in inverno aggredendo e sbranando qualsiasi bestia lasciata incustodita. Solo il fuoco riusciva a tenerli a debita distanza ed era necessario spostare il bestiame all’interno delle stalle al più presto.

    «Brianna di Wias, hai finito di sognare a occhi aperti?» le chiese Tallia, spazientita.

    «Arrivo, arrivo. Se continui così, finirai col diventare una vecchia zitella bisbetica» scherzò, sorridendole.

    Tallia era piuttosto permalosa quando si parlava di queste cose; era convinta che una donna, in quanto tale, non si sarebbe mai realizzata pienamente se non si fosse sposata e non avesse messo al mondo almeno due o tre pargoli. Ignorandola, anche se col sorriso, le passò davanti cominciando ad avviarsi lungo la strada.

    Le ragazze s’incamminarono a passo svelto, inerpicandosi per la vallata.

    Brianna si accorse che la cugina le stava dietro a fatica, appesantita com’era dalla gonna e dalla sottoveste dell’abito.

    «Quando imparerai a vestirti in modo più pratico e comodo?» le chiese, ferma sulla sommità di una salita, le braccia conserte.

    «Solo perché sono figlia di contadini non significa che debba rinunciare alla mia femminilità. Non riuscirai a convincermi a vestirmi come un uomo» le rispose ansimante, mentre la raggiungeva. «Secondo te è vero quello che si dice?» continuò, guardando verso le montagne che segnavano i confini del regno di Vallgander.

    «Che cosa?» domandò Brianna.

    «Mi chiedevo se le voci sul regno di Minartias fossero fondate» disse, piegata e con le mani sulle ginocchia, intenta a riprendere fiato.

    «Ti riferisci al regno degli elfi? Mm… non saprei. Certo che, se esistessero, sarebbe bello poterli vedere» esclamò ironica.

    «Ma no, non parlavo degli elfi. Il mio discorso era riguardo…»

    «I draghi? Ma certo! Quelli dovrebbero esserci, lo sai anche tu. Ricordi tutte le volte che tuo padre ci ha raccomandato di non avvicinarci al confine? Che tempi erano quelli, spensierati e privi di preoccupazioni» sospirò, «noi siamo fortunati a non dovercene preoccupare. Bastano i lupi a creare problemi, non oso pensare cosa succederebbe se dovessimo vedercela anche con i draghi» terminò, ridacchiando.

    «Uffa! Vuoi smetterla di prendermi in giro?» esplose Tallia.

    Brianna si fermò e, voltatasi, la guardò scuotendo il capo.

    «Quando crescerai, Tallia? Ormai dovresti avere abbandonato le fantasie di bambina da un pezzo. Sei una donna, dovresti occuparti di cose più concrete e lasciare il piccolo popolo e gli esseri fatati nei racconti degli anziani.»

    «Brianna di Wias, non osare prendere in giro gli elfi. Sono sicura della loro esistenza, anche se non ne ho mai visto uno. Comunque non era di questo che volevo parlare. Mi chiedevo solo se fosse vero che nel regno di Minartias regnassero pace e serenità. O forse… sono solo voci.» Tallia sussurrò le ultime parole mentre raggiungeva la cugina, tenendo le gonne sollevate per non inciampare nei sassi disseminati sul terreno.

    «Oh, non so se sia verità o favola, ma una cosa è certa, non può essere peggio di questo» indicò la strada che conduceva al villaggio: persino da lassù si potevano scorgere le decine di ceppi e funi a cui erano legati i poveri resti delle vittime di Sir Gareth. Osservò la cugina voltare il viso dall’altra parte: sapeva che non riusciva ancora ad abituarsi a tutta quella crudeltà. Le mise un braccio sulle spalle e l’attirò a sé.

    «Si dice che re Rothgar sia un sovrano buono e giusto, che abbia a cuore le sorti del popolo. Sono sicura che, prima o poi, si deciderà a muovere guerra contro re Oghren. Se solo si potesse scappare da qui, portare in salvo gli abitanti del villaggio, raggiungere le montagne e varcare il confine…» Brianna sembrava quasi parlare da sola, lo sguardo perso oltre la vallata.

    «Ecco! Ci risiamo! Quando comincerai a ragionare come una fanciulla in età da marito e non come un soldato? Ormai sei troppo grande per queste fantasticherie, le donne non combattono né lo faranno mai. Non possiamo fare nulla per cambiare le sorti del nostro villaggio, siamo solo due povere ragazze. Le guerre e le ribellioni sono cose da uomini, anche se ormai con tutti gli arruolamenti forzati, di giovani, al villaggio ne sono rimasti ben pochi. Possiamo solo sperare che re Oghren si ravveda, anche se le cose sembrano andare sempre peggio» mormorò infine la cugina, lo sguardo preoccupato.

    «Ma non capisci? È proprio per ragionamenti come questo che qui non cambierà mai nulla. Dobbiamo essere noi a fare il primo passo, a prenderli alla sprovvista. Non voglio restare a guardare mentre il re ci porta alla fame e i suoi sgherri massacrano gente innocente.»

    «Rori ti riempie la testa di stupidaggini, dovrò fare due chiacchiere anche con lui. Non voglio vedere il tuo corpo appeso a ciondolare da un albero all’ingresso del villaggio, non lo sopporterei, e lo sai. Ma è lì che finirai, se non la smetti. Vedrai, forse Sir Gareth verrà rimpiazzato e il suo sostituto sarà un uomo saggio e gentile.»

    Tallia le andava dietro come un cagnolino, mentre attraversavano l’ultima collina prima di arrivare alla stalla delle mucche.

    «E se, invece, fosse peggiore? A questo non hai pensato. Io…» Ma non poté terminare la frase perché vide Amina, la madre di Tallia, andar loro incontro.

    «Ragazze, finalmente! Temevo vi fosse successo qualcosa. È tardissimo. Forza, aiutatemi a far uscire le mucche, altrimenti non finiremo mai di mungerle tutte.» La donna le precedette all’interno della stalla.

    «Riprenderemo il discorso più tardi, se vuoi» propose Tallia.

    «No! Per quanto mi riguarda non ho più nulla da dire» rispose Brianna in tono brusco.

    Nella stalla regnava il caos, le mucche smaniose di farsi mungere si agitavano dentro i recinti, scalciando e soffiando impazienti. Brianna arrotolò le maniche della casacca e iniziò ad armeggiare con i chiavistelli per permettere alle bestie di uscire all’aria aperta. Più in fretta avesse finito, prima si sarebbe potuta incontrare in gran segreto con Rori per il suo allenamento giornaliero. Già le prudevano le mani dall’impazienza.

    Guardò per un attimo la cugina, che cercava di accomodarsi sullo sgabello da mungitura evitando di sporcarsi l’orlo del vestito con il letame.

    Accidenti! È dannatamente carina anche sporca di escrementi di mucca. Rori è proprio fortunato, non poteva trovare di meglio, disse tra sé e sé.

    Scuotendo il capo, tornò a dedicare l'attenzione alle serrature. La certezza di sapere sua cugina e il suo migliore amico uniti in un legame indissolubile, la metteva sempre di buon umore. Rori l’amava e l’avrebbe protetta anche a costo della vita. Non doversi preoccupare di Tallia, le permetteva di concentrarsi sulla missione. Lei era sola, nessuno avrebbe pianto la sua morte eccetto i suoi amici. C’era stato un tempo in cui anche lei aveva fantasticato di incontrare un bravo giovane che l’avrebbe chiesta in sposa, ma la miseria e le crudeltà che aveva visto, l’avevano convinta che i sogni rimanevano solo sogni. Avrebbe lasciato le gioie della famiglia a Tallia: lei doveva occuparsi degli abitanti del villaggio.

    Terminata la sua parte di lavoro, salutò velocemente la cugina e corse verso casa. Doveva recuperare la sacca di grano e passare dal fabbro. Questo significava tardare agli allenamenti e lei sapeva quanto Rori tenesse alla puntualità, ma era certa che non appena gli avesse spiegato il motivo del suo ritardo, l’avrebbe perdonata subito. Aprì la porta di casa e si diresse in camera da letto, si sdraiò pancia a terra e recuperò la refurtiva dal nascondiglio. Sistemata la sacca sulla spalla, uscì e corse verso il villaggio come se avesse il diavolo alle calcagna.

    Quattro

    «Sei in ritardo» commentò una voce alle sue spalle.

    Brianna si guardò attorno senza riuscire a identificare di chi fosse o da dove provenisse.

    «Mi deludi, l’ultima nostra lezione non riguardava forse l’ispezione meticolosa del perimetro di tutta l’area che ti circonda?»

    «Rori?»

    «Se fossi stato un nemico a quest’ora ti avrei già uccisa» le disse, saltando giù da un albero e atterrandole di fronte.

    «Sì, hai ragione. Scusa per il ritardo, ma avevo una cosa urgente da sistemare.»

    «Non me la racconti giusta.» Rori la squadrò, sospettoso e di colpo l’espressione del suo viso cambiò. «Non dirmi che… ma certo! Ora ho capito!» esclamò schioccando le dita, per poi ritornare subito serio. La fissò con sguardo severo prima di rimproverarla. «Non dovevi andare lì tutta sola. Ti avevo detto di aspettare, l’avremmo fatto insieme. E se ti avessero scoperto? Sei davvero così impaziente di visitare le loro prigioni?»

    «Non è accaduto, come vedi e poi, avresti dovuto vedere lo sguardo del fabbro quando gli ho consegnato la sacca con il grano» continuò lei, gli occhi rischiarati da una luce particolare.

    «Allora è per questo che sei arrivata tardi all’allenamento» le disse Rori, ora sorridendole.

    Lei fece un timido cenno d’assenso.

    «Raccontami com’è andata.»

    «È stato molto rischioso, lo ammetto, e a un certo punto non credevo nemmeno di farcela, ma è filato più o meno tutto liscio, almeno finché non è apparso Sir Gareth…» gli spiegò.

    «Cosa? Sir Gareth era lì?» Rori quasi urlò alla notizia.

    «Sì, ero nascosta in uno dei granai e stavo per uscire, quando sono sopraggiunte due guardie e si sono fermate proprio di fronte alla porta.»

    «E tu, che hai fatto?» domandò il ragazzo, sempre più agitato.

    «Ho dovuto aspettare. Scortavano un prigioniero, non doveva essere di queste parti, non l’avevo mai visto. Dopo pochi minuti, è arrivato Sir Gareth. Si è avvicinato e l’ha malmenato, poi… poi… l’ha ucciso, senza battere ciglio» esclamò tutto d’un fiato.

    «Bastardo assassino!» ringhiò Rori, colpendo con un pugno il tronco di un albero. «Prima o poi il popolo si prenderà la sua rivincita. A proposito, sono riuscito a convincere Brax e Delbin a unirsi a noi. Le nostre fila si stanno ingrossando.» Le cinse le spalle con le mani, scuotendola leggermente.

    «Questa sì, che è una notizia!» gli rispose, «bene, più siamo meglio sarà quando decideremo d’insorgere.»

    Brianna era al settimo cielo, se avessero avuto ancora un po’ di pazienza, probabilmente avrebbero potuto formare un piccolo esercito. Si sarebbero potuti spingere oltre i furtarelli o sabotaggi di poco conto e avrebbero fatto la differenza.

    «Ora basta parlare, in guardia!» esclamò Rori, lanciandole la spada d’allenamento e sfoderando la sua arma, mettendosi in posizione d’attacco.

    Lei faticava ancora a brandire l’arma ma, man mano che si allenava, andava abituandosi al peso. Bilanciandosi sulle gambe, riuscì a parare il primo affondo dell’avversario. Le vibrazioni del colpo inferto, si ripercossero lungo le braccia provocandole un leggero senso d’intorpidimento. Poi, giunse il suo turno: individuò una breccia nella difesa dell’amico e si lanciò sollevando la spada sopra la testa, pronta a colpire. Purtroppo, Rori fu più veloce e, scartando di lato, le assestò un colpo con il forte della lama sulla schiena. Colta alla sprovvista, inciampò e finì lunga distesa per terra.

    «Ahia… non capisco perché non posso esercitarmi con l’arco o con il pugnale. Insomma, qualcosa di più leggero e maneggevole» si lamentò, massaggiandosi la parte offesa.

    «Non dire sciocchezze! Devi essere in grado di maneggiare la spada come si deve. In un attacco diretto, con il tuo pugnale non riusciresti neanche ad arrivare vicino a Sir Gareth o chiunque altro fossi costretta ad affrontare. È necessario avere pazienza, vedrai che con un allenamento costante farò di te un’ottima guerriera. O forse preferisci lasciar perdere tutto?» le disse guardandola dall’alto.

    «No! Non ci penso proprio» esclamò, orgogliosa.

    «Bene, era proprio quello che volevo sentire. Adesso alzati,

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1