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Bambole
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E-book248 pagine3 ore

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Info su questo ebook

Il commissario Valerio Giovetti, Val per gli amici, indaga su una serie di rapimenti e omicidi, avvenuti a Firenze, ai danni di giovani adolescenti, poco più che bambine. Il suo braccio destro, il collega Ghigo, lo accompagna nell’indagine e insieme seguono ogni pista plausibile. Dall’altra parte dell’oceano, John Gambetti, serial killer assoldato dalla mafia italo-americana, ossessionato dal gentil sesso, è l’esecutore materiale di omicidi efferati in giro per il mondo. I due, così diversi, sono in realtà legati da un passato comune che li porterà alla fine a incontrarsi.
I personaggi di Masini fanno parte della schiera degli oppressi, dei vincenti, degli assettati di vendetta o al contrario di giustizia. Mai scontati, sono figure a tutto tondo che escono fuori dalla penna dell’autore in maniera istintiva. Le vicende raccontate si incrociano perfettamente in una geografia universale, che va da Firenze, a New York, dal Texas al Sud Africa.
L’autore ci porta ancora una volta nel suo mondo noir, fatto di scie di sangue, sesso e sete di giustizia. Con disinvolta abilità narrativa ci racconta di vittime e carnefici, deplorando le disumane perversioni e il male che domina la società odierna.
Un thriller psicologico a tinte forti, adatto a un pubblico che cerca letture coinvolgenti.

________________

David Masini, classe 1963, è nato e vive a Greve in Chianti, nella campagna alle porte di Firenze, con la moglie Susanna e i figli Neri e Ginevra. È imprenditore nel settore tessile da oltre venticinque anni. Sportivo, appassionato di moto, di viaggi e di arte del ‘900, ha cominciato a scrivere per sfida per dimostrare a se stesso di non riuscire a farlo.
Bambole è la sua seconda prova narrativa.
LinguaItaliano
Data di uscita1 ott 2019
ISBN9788867934294
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    Anteprima del libro

    Bambole - David Masini

    @micheleponte

    David Masini

    BAMBOLE

    A Neri e Ginevra,

    i fari che illuminano le mie notti buie.

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono fittizi o usati in modo fittizio. Tutti gli episodi, le vicende, i dialoghi di questo libro, sono partoriti dall’immaginazione dell’autore e non vanno riferiti a situazioni reali se non per pura coincidenza.

    1

    Sono le dieci di una domenica mattina come tante. Lo sfrigolio delle auto che transitano sulla strada bagnata dalla pioggia insistente lo tiene sveglio da più di tre ore. Accanto a lui Camilla dorme beata. Sono rientrati tardi ieri notte.

    Da settimane piove senza interruzione. Sembra ormai passato un secolo da quella domenica di fine estate in cui Val ha fatto ritorno dai Caraibi. La convalescenza, dopo gli eventi di New York, ha sanato le ferite fisiche, ma niente ha potuto contro i segni lasciati nel profondo. Neanche la storia ritrovata con Camilla è riuscita allo scopo. Non che vada male, anzi. Il solo pensiero di separarsi da lei gli provoca un profondo senso di smarrimento. Ma aver sperato che quella vicinanza potesse lenire le angosce che lo attanagliano era chiedere troppo.

    Una serata passata in compagnia di una coppia di vecchi amici. Un ristorantino appartato in Trastevere. Una bella catalana di pesce fresco e un paio di bottiglie di vino bianco dei Castelli hanno fiaccato le gambe, soprattutto quelle belle e affusolate delle due donne. Appena rientrati a casa hanno fatto l’amore. Lì, nell’ingresso. In piedi, appoggiati a un piccolo mobile nero lucido. L’eccitazione del momento e l’allegria prorompente dei fumi dell’alcool, senza dubbio. Sono scivolati l’uno nelle braccia dell’altra, con fervore, con frenesia, al limite della violenza. Come due giovani amanti alle prime armi. Subito dopo lei è crollata, sopraffatta dalla stanchezza. Ha dovuto portarla a letto di peso prendendola in braccio come si fa con i bambini piccoli. Tutt’ora è lì, immobile. E lui non ha trovato ancora il coraggio di svegliarla. La osserva imbambolato dalla sua bellezza, come fosse la prima volta che la vede. Il corpo sinuoso si accartoccia sotto il piumino alla ricerca di un calore atavico. La pelle, bianca come il latte, è ben levigata. Una scultura marmorea del tutto riuscita. Opera inequivocabile del più abile dei maestri rinascimentali. Le sue labbra morbide, naturalmente pronunciate, richiamano alla mente istinti animali ormai assopiti. Il piede destro, finemente cesellato, si sposta errante nello spazio infinito del grande letto matrimoniale, alla ricerca di un contatto. È freddo. Quasi gelido. Si insinua fra le gambe di Val inseguendo quel po’ di tepore che esala dal suo corpo. Il caldo rifugio appena riscoperto fa sì che anche il piede sinistro segua incondizionatamente la stessa strada. Adesso tutto il corpo pian piano si stringe a lui. Un lungo sospiro esala dalle narici della donna. Il corpo, prima contratto, rilascia ora tutta la sua tensione. Le piccole rughe formatesi intorno agli occhi lentamente si dissolvono. Tutto il volto assume un’espressione rilassata e compiaciuta. Il dolce dormiveglia che caratterizza il sonno mattutino continua indisturbato. I pensieri si avvicendano senza un filo logico nelle sconfinate praterie della mente. Val ripercorre gli ultimi mesi della propria esistenza. Ma non vi trova niente che sia degno di nota. Roma sembra diventata improvvisamente una città morta. Per fortuna per i suoi abitanti non è accaduto di recente niente di drammatico. Oddio, non che i criminali siano emigrati in altre città, tutt’altro. Ma la delinquenza si riduce a piccoli episodi di cronaca, movimenti non significativi, da malviventi di basso rango. Una specie di criminalità di seconda serie, niente di più.

    Il suo umore sta di nuovo peggiorando. L’insonnia ha bussato ancora una volta alla porta. Quel male oscuro, portato in grembo dalla malinconia, lo perseguita. Deve a ogni costo trovare una soluzione. Ha un bisogno estremo di nuovi stimoli, di provare ancora quella scarica di adrenalina che lo trasportava a un livello superiore, come nel periodo americano. E deve farlo alla svelta. Prima ancora che i suoi fantasmi logorino il loro amore una seconda volta.

    Nello stesso momento, in centrale, il fido Marchetti è intento nello stilare i noiosi rapporti settimanali da consegnare al commissario. La coppia di poliziotti più atipica di tutta Roma si è prontamente riformata appena Val è stato dichiarato di nuovo abile.

    In realtà, se vogliamo dire le cose come stanno, non c’è mai stato un altro disposto a prendere il suo posto. Marchetti si è sempre opposto con tutte le forze, anche solo all’idea. Ha aspettato il rientro di Val lottando contro tutto e tutti. Ha creduto nel pieno recupero del suo compagno, da sempre.

    Stamani l’ufficio è deserto. Le giornate festive sono il momento migliore per sbrigare le scartoffie. Un telefono in lontananza squilla ormai ininterrotto da due ore. È quello sulla scrivania del capo. Ma non c’è anima viva che possa rispondere. Marchetti è concentrato nell’analisi di alcune foto riguardanti una rapina avvenuta il venerdì precedente. Niente di particolarmente cruento, solo due ladruncoli che si sono fatti consegnare l’incasso da una ricevitoria del lotto.

    «Duecento euro! Due ebeti senza materia cerebrale che rischiano la galera per duecento miseri euro!» Le parole danno forma ai pensieri, senza che la mente se ne accorga davvero.

    «Come si fa a rapinare una ricevitoria del lotto il venerdì mattina, quando l’estrazione è avvenuta la sera prima? Che cosa credevano di trovare l’intero montepremi?»

    Un sorriso amaro affiora sulle sue labbra mentre il cellulare inizia a vibrare. Lo schermo si illumina. Sullo sfondo anonimo appare il nome del suo compare: Val.

    «Ehilà, ben alzato! Pensavo che le dormite caraibiche ti avessero riportato la melanina a livelli ottimali. Ma vista l’ora, devo avere sbagliato i miei calcoli!»

    «Che diavolo te ne frega della mia melanina? Non è roba di tua competenza. Hai beccato la mattinata sbagliata per fare dello spirito, per di più gratuito. E se proprio lo vuoi sapere, sono sveglio dalle cinque!»

    «Beh! Allora potevi muovere il culo e venire qui a darmi una mano. Come al solito sono sempre e soltanto io quello che si spacca i maroni nei giorni di festa!»

    «Non rompere. Tanto non hai di meglio da fare. E poi, fra di noi, io sono il cervello e tu il braccio operativo. Vedi di operare in fretta che lunedì il capo vuole tutte le scartoffie compilate sulla sua scrivania.»

    «Okay, va bene. Se hai chiamato solo per insultarmi potevi anche farne a meno. Che diavolo vuoi?»

    «Io? Già, ho chiamato io…»

    Gli occhi di Marchetti si alzano al cielo in segno di sconforto. I rapporti con Val sono sempre stati burrascosi ma la sua capacità di stemperare le situazioni bollenti ha contribuito alla longevità della loro amicizia. Negli ultimi tempi, però, anche lui ha i nervi un po’ tesi, e questo alimenta nuove forme di attrito.

    «Marchetti, è un casino, un vero casino. Non so più dove sbattere la testa. Devi trovare qualcosa che ci possa impegnare seriamente per un po’. Ho bisogno di sentirmi utile, di nuovo vivo! Questa calma mi uccide.»

    «Però! Siamo messi maluccio da quelle parti eh?»

    «Non è uno scherzo, sono veramente alla frutta.»

    Marchetti fissa distrattamente le foto che ha in mano. Poi improvvisa.

    «In effetti stavo per chiamarti. Senti qua: ho qui davanti le foto di quei due deficienti che abbiamo ingabbiato venerdì. Ho riletto il rapporto dell’arresto: c’è qualcosa che non mi quadra.»

    Fa una pausa a effetto per vedere se dall’altro capo del filo qualcosa si smuove, ma niente. Poi continua.

    «È vero che i due in questione non sono in lista per un posto alla Luiss, ma tutta l’operazione mi sembra una farsa.»

    Val si muove impaziente all’interno della cucina. Apre la porta del frigo. Afferra il cartone del latte e ne scola il contenuto in un baleno.

    «Beh! Che c’è di tanto strano in quei due mentecatti?»

    Continua a frugare nella dispensa. Trova un pacchetto di gallette di riso, la colazione preferita di Camilla, e ne sbriciola un paio all’interno della bocca.

    «Non lo so, non lo so con esattezza. Dovremmo indagare più a fondo. È stato troppo facile beccarli. Sembrerebbe quasi che qualcun altro gli abbia teso una trappola. Ce li hanno serviti su un piatto d’argento, insomma. Pensavo, chi è così stupido da rapinare una ricevitoria del lotto il giorno dopo l’estrazione? A chi viene in mente?»

    «Va bene! Lunedì riprenderemo in mano il caso e faremo in modo di interrogarli ancora una volta. Chissà, forse salterà fuori qualcosa di interessante.»

    «Potrebbe essere un depistaggio.»

    Val ha già riagganciato senza aspettare la risposta del suo collega. Rientra in camera da letto. Apre l’armadio cercando di fare meno rumore possibile. Si infila la tuta di felpa grigia, una giacca a vento leggera ed esce per un po’ di jogging. La pioggia sta diminuendo. Una sottile nebbiolina sale alacremente avvolgendo tutta la città. Esce di casa socchiudendo con delicatezza la porta. Stringe bene i lacci delle scarpe bianche, tira su il colletto e si infila un paio di guanti da motociclista per ripararsi le mani dal freddo. È pronto. Inizia a camminare verso sud scaldando i muscoli delle spalle. Tutto intorno il paesaggio sembra trasformarsi in un qualcosa di surreale. Le auto che incrocia sembrano sbucare da un’altra dimensione. Il rombo dei motori, attutito dalla forte umidità, anticipa di poco il bagliore dei fari che come lame affilate tagliano a fette il muro di nebbia. I pochi pedoni presenti sulle strade si rinchiudono all’interno dei propri impermeabili, intenti a guadare i fiumi d’acqua che impetuosi scorrono verso valle. E soprattutto per evitare i fragorosi schizzi d’acqua provocati dal transito delle auto che aprono in due le pozzanghere ricolme di fango.

    Val alza il volume della musica in cuffia e spinge le gambe al massimo. Ha un forte bisogno di recuperare il tono fisico e, soprattutto, mentale. Deve assolutamente ritornare alla splendida forma di New York. Le endorfine che produce sotto sforzo generano nella sua mente una sensazione inebriante. I leggeri dolori delle articolazioni lo fanno sentire ancora vivo. Il fiato è subito corto, ma la sfida con se stesso è più forte della fatica. Si chiede spesso quale sia il motivo che lo spinge a cercare di continuo il limite delle cose. Ma la risposta è sempre latente. Corre, corre, e non trova pace.

    Poi, quasi per caso, ricorda di aver letto la settimana passata una strana comunicazione di servizio in cui si faceva riferimento alla creazione di una nuova squadra investigativa a Firenze. Qualcosa di sperimentale. Questo potrebbe essere ciò di cui ha bisogno adesso.

    «Firenze! Perché no!»

    2

    La folla di persone che brulica ogni giorno fra le strette viuzze di questa città non si può certo paragonare alla moltitudine di turisti che assalgono la capitale. Il piccolo gruppo di giapponesi assiepati sotto la statua del David di Michelangelo in Piazza della Signoria dà la misura esatta del turismo fiorentino. La maestosa figura di marmo finemente scolpito si mostra al mondo in tutto il suo splendore. L’eleganza delle forme e l’armonia delle proporzioni esprimono tutta la potenza del gesto. In realtà, si sa, questa è soltanto una copia. Bellissima, ma pur sempre una copia. L’ambiente urbano, qui, è più raccolto e intimo. L’atmosfera che si respira non è quella pesante della grande capitale dell’Impero Romano. Tutto è sobrio e leggero, in un certo senso, si direbbe provinciale.

    Il pallido sole che si affaccia timoroso sui tetti delle case riscalda gli animi dei fiorentini. Il Generale Inverno, con i suoi improvvisi colpi di coda, ha ritardato l’arrivo della primavera, e tagliato definitivamente le gambe agli abitanti di questa parte del mondo. Esausti, stremati da un lungo e tedioso oblio, riesplodono come giaggioli purpurei al tocco dei primi raggi. In giro per le strade si cominciano a vedere di nuovo le gonne corte accompagnate dalle calze appena velate. I ragazzi affilano i denti preparandosi alle inevitabili lotte per accaparrarsi le prede migliori. I negozi sfoggiano le prime collezioni estive. Magliette a maniche corte prendono il posto dei giacconi di pelliccia. Sul Ponte Vecchio i ragazzi si coprono a vicenda nel tentativo di chiudere un lucchetto alla ringhiera del putto come voto d’amore eterno.

    In una delle viuzze che compongono il labirinto urbano della città, in Borgo Pinti, si trova una piccola palestra. La gente che la frequenta è rappresentata per lo più da stranieri. I pochi italiani iscritti si sono spesso chiesti il motivo, senza mai trovare una risposta convincente. Per molti è dovuto alla posizione centrale, e all’accesso privilegiato dai viali di circonvallazione. Per altri è stata la proprietaria a stipulare di nascosto una convenzione con alcune agenzie di viaggio. Ma non è che la mancanza di risposte logori i presenti, anzi. Il continuo ricambio di giovani (pollastre), in particolare americane, e molto avvenenti, non fa altro che alzare il livello di testosterone presente in sala. In questo preciso istante alcune di loro stanno sperimentando i benefici effetti che una veloce camminata in salita può generare. Ridono, scherzano, si mettono in mostra dispensando occhiate maliziose a destra e a manca. Pantaloncini attillati e corpetti minuscoli rievocano i fasti di un’estate, ahimè, ancora troppo lontana a tornare. Due frequentatori abituali stanno osservando in disparte e commentano in modo colorito.

    «Io mi farei volentieri la biondina! Guarda che paio di tette che tiene!»

    «Per me va bene. Io prendo la mora, preferisco un bel culo!»

    Il più vecchio dei due, anche se vecchio per uno di trent’anni può risultare offensivo, si chiama Francesco, ma tutti lo chiamano Ghigo. È un poliziotto. Non è più di pattuglia a causa di un incidente di qualche anno prima.

    Durante un turno di notte in giro per le vie della città la volante su cui si trovava insieme a un collega venne travolta da un’auto che procedeva a tutta velocità in senso contrario. L’urto, avvenne a ridosso di una curva. L’impatto fu inevitabile. Le lamiere si accartocciarono su se stesse, intrappolando i due agenti in un abbraccio glaciale.

    Il collega subì un grave trauma facciale, alcune fratture multiple e un grosso buco nella nuca. Rimase in bilico tra la vita e la morte per parecchi giorni prima di uscire dal coma. A Ghigo, invece, andò meglio, se così si può dire. Si procurò la frattura della gamba destra, e la distruzione totale del ginocchio sinistro. Quest’ultimo, sebbene sottoposto a molteplici ricostruzioni, non è mai tornato completamente a posto. La deficienza deambulatoria che ne è derivata è la causa del suo trasferimento alla squadra investigativa.

    Il suo amico di palestra è un venditore di auto che saltuariamente effettua delle sostituzioni come istruttore di spinning all’interno della struttura. Lavora presso un autosalone multimarca nella periferia della città. Ma lui preferisce spacciarsi per istruttore di fitness. A suo dire fa più colpo con le ragazze. Anche Ghigo ha un secondo lavoro. Insieme ad altri due amici, da un paio di anni, ha aperto un’agenzia immobiliare. Per ora gli affari non vanno un granché. Molti contatti e solo qualche affitto. In tasca un progetto per centoventi appartamenti, sulla carta già quasi tutti venduti, che non riesce a far decollare. Meno male che uno dei soci ha avuto la bella idea di aprire un negozio di integratori alimentari. Così, almeno, le spese di gestione sono garantite.

    «Ti hanno invitato alla festa della palestra venerdì prossimo?»

    Ghigo si rivolge all’amico senza distogliere lo sguardo dall’americana che ha di fronte.

    «Quale festa? Maledizione! Potrei essere io il padrone qua dentro, per quanti soldi ho pagato negli anni, e sono sempre l’ultimo a sapere le cose.»

    Ghigo sorride. «Non ci sai proprio fare! Non è questione di soldi. Devi saper spingere i tasti giusti. Guarda me, e impara! Sono anni che faccio il cascamorto con la Luisa, quella della reception. Niente di compromettente, sia ben chiaro. Cerco solo di essere più carino degli altri. La saluto sempre con un sorriso, anche quando mi girano alla grande. Ogni tanto mi sbilancio con la promessa di una cena che, però, non mantengo mai! E così ho un trattamento da prima classe, sempre e comunque. A prescindere! Come direbbe qualcuno che tu conosci bene.»

    L’amico scuote la testa borbottando parole incomprensibili.

    «Sei uno schifoso bastardo! Comunque, che cos’è questa storia della festa? Dov’è? Quando?»

    «Tranquillo! Ti ci porto io. Non devi preoccuparti. Lo sai che non lascerei mai un amico da solo. Anche se questa volta non sono certo che tu possa reggere il livello. Sai, il locale è molto chic...»

    L’amico diventa paonazzo. Sta per scagliare tutta la sua collera verso Ghigo, quando nota il sorriso beffardo che si cela sotto i baffi.

    «Se solo ci provi ti uccido!» Sono le uniche parole che riesce a proferire arrossendo per essere caduto ingenuamente nella trappola.

    «Ti passo a prendere verso le dieci di venerdì, non farmi aspettare come una quindicenne al suo primo appuntamento.»

    L’altro scuote la testa in segno di assenso mentre riprende a osservare le fanciulle americane.

    «Che ne dici di entrare in azione? Mi sto fracassando gli zebedei a stare qui a guardare quelle due. O le imbrocchiamo, oppure mi vado a fare una bella doccia. Magari fredda.»

    Ghigo non risponde. Non sta neanche ascoltando. La sua mente vaga per lidi oscuri. Un pensiero nefasto è subentrato nel subconscio. Un brivido freddo scivola giù lungo la spina dorsale. Un’immagine sfuocata affiora nella sua mente. Un sogno appena dimenticato. Cerca di concentrarsi sui rumori, ma non accade niente. Gli sembra di vedere in lontananza una bambina chiedere aiuto. Una piccola mano tumefatta che si agita nel buio.

    Inizia a sudare freddo, a tremare. L’amico se ne accorge. Lo afferra per un braccio e lo scuote con violenza.

    «Ehi! Che cazzo c’hai? Stai bene?»

    Ghigo non risponde subito. L’amico lo incalza con maggior energia.

    «Allora! Sei con noi?»

    Questa volta ottiene il risultato previsto. Ghigo si scuote, riprende colore, ritorna presente.

    «Scusami... Deve essere stato un abbassamento di pressione.»

    Distoglie lo sguardo dalle due ragazze e scende veloce dal tappeto.

    «Devo andare! Devo andare, scusami.»

    Esce dalla sala puntando dritto verso le docce. È sconvolto. Il colore del viso non è ancora del tutto tornato alla normalità. Quello che ha percepito non era solo un brutto incubo, ne è assolutamente certo. Qualcosa di terribile sta accadendo a quella bambina. Non sa chi sia. Non sa dov’è. Ma sa con certezza che è in pericolo. Incubi che si ripresentano sempre più spesso negli ultimi tempi. All’inizio pensava fossero semplici allucinazioni. Postumi derivati dal trauma subìto nell’incidente. Immagini confuse e volti sfuocati che si sovrapponevano gli uni agli altri, in seguito diventati sempre più nitidi e inconfondibili.

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