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1001 cose da vedere a Bologna almeno una volta nella vita
1001 cose da vedere a Bologna almeno una volta nella vita
1001 cose da vedere a Bologna almeno una volta nella vita
E-book768 pagine10 ore

1001 cose da vedere a Bologna almeno una volta nella vita

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Info su questo ebook

Dalle due torri a San Luca, Bologna ti sorprende sempre 

Bologna è impossibile da spiegare a parole. Occorre viverla per poterla comprendere. La sua magia percorre le strade, i portici, le vette delle torri che sbirciano il cielo, le basiliche che solo qui possono essere monumenti allo spirito laico della città. Perché le contraddizioni, in questa città senza paragoni, sono la regola. Ogni volta che si pensa di aver afferrato l’essenza della “grassa”, lei sa sorprenderti offrendo una nuova prospettiva da cui osservarla. La “dotta” è mutevole come la luna che illumina le sue notti, calma eppure irrequieta come gli studenti che arrivano per frequentare l’antica e prestigiosa università. Più che una guida, questo libro vuole essere un racconto non lineare, un collage di suggerimenti per il turista che voglia orientarsi tra le mete più classiche e scoprirne di alternative, ma anche per i bolognesi alla ricerca di nuove idee per (ri)scoprire lo straordinario patrimonio artistico, storico e culturale che rende la loro casa unica al mondo.
Barbara Baraldi
è emiliana, ama la buona cucina e la letteratura del mistero. Spaziando dal thriller al dark fantasy, nella sua carriera ha pubblicato nove romanzi. I suoi libri sono tradotti in varie lingue. Con la Newton Compton ha pubblicato 101 misteri di Bologna (che non saranno mai risolti), Misteri, crimini e storie insolite di Bologna, Alla scoperta dei segreti perduti di Bologna e 1001 cose da vedere a Bologna almeno una volta nella vita.
LinguaItaliano
Data di uscita23 ott 2017
ISBN9788822714794
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    Anteprima del libro

    1001 cose da vedere a Bologna almeno una volta nella vita - Barbara Baraldi

    Introduzione

    Per apprezzare Bologna la prima regola è non fermarsi alle apparenze.

    Il colpo d’occhio è dominato dalla sua rete di portici, la più estesa del mondo, recentemente candidata a patrimonio unesco, e dalle sue torri, veri e propri grattacieli medievali che si elevano al di sopra dei tetti delle case e dei palazzi, sorvegliando la città come guardiane silenziose. Una città ricca di apparenti contraddizioni; impossibile non pensare alla basilica di San Petronio, allo stesso tempo monumento sacro e laico, o alla statua del dio Nettuno, un simbolo pagano per celebrare la potenza delle istituzioni religiose.

    Per questo ho immaginato questo libro come un’indagine, per cogliere appieno le suggestioni che è in grado di regalare, alla scoperta degli scorci più affascinanti, evocativi, meno noti anche a chi la vive ogni giorno. Un’indagine in cui ognuna di queste milleuno cose da vedere costituisce il tassello di un mosaico da decifrare, una rete di meraviglie inattese, uno scrigno di tesori nascosti.

    Ma questo libro è soprattutto una guida, magari da portare con sé durante un’escursione tra i portici. E come in ogni guida che si rispetti, non manca una panoramica sulle chiese, i monumenti e i palazzi che le autorità e le illustri famiglie bolognesi hanno commissionato ai più grandi architetti del passato che, mattone per mattone, hanno costruito l’identità di Bologna, e che offrono l’opportunità di raccontare la sua storia attraverso la sua quotidianità, perché questo libro è anche un racconto.

    Un racconto su una città che non ha mai smesso di sognare e di far sognare, regalando nuove storie e nuove suggestioni a chi ha voglia di ascoltarle, al riparo dalla frenesia quotidiana. Un viaggio nel tempo, guidati dalla sua voce, durante il quale vi sembrerà di udire ancora il rimbombo degli zoccoli dei cavalli sul sagrato di una chiesa durante un lontano palio notturno indetto per celebrare le nozze che avrebbero unito due nobili casate, il clangore delle spade nelle antiche battaglie con cui i bolognesi hanno difeso la propria indipendenza, il fragore delle acque che alimentavano gli antichi mulini o il vociare degli artigiani durante la costruzione del portico di San Luca, contrapposto al silenzio delle aule dove si radunavano i rivoluzionari scolari dello Studium, la più antica università del mondo.

    Durante il percorso, sfateremo qualche leggenda metropolitana, (ri)scopriremo opere d’arte considerate perdute e, perché no, daremo risposta ad alcune chiacchierate curiosità, senza dimenticare di rendere omaggio alle specialità gastronomiche che hanno contribuito ad accrescere la fama di Bologna nel mondo.

    Tra le pagine del racconto di una città che si lascia scoprire piano piano, e che non si lascia dimenticare facilmente.

    Le strutture difensive

    1. Torre Asinelli

    Bologna è la città turrita per antonomasia: dall’alto il panorama è una selva di svettanti grattacieli medievali. E la torre per eccellenza, a Bologna, è senza dubbio la più centrale di tutte, e la più alta (ben novantasette metri): la torre degli Asinelli, che deve il suo nome all’omonima famiglia che ne entrò in possesso a un certo punto del xii secolo.

    Sia chiaro, però: non furono i membri della famiglia Asinelli a costruirla, sebbene esista in merito una suggestiva leggenda che coinvolge un tesoro, una bellissima fanciulla e il giovane figlio di un contadino. Si narra infatti che il capostipite della famiglia, durante il lavoro nei campi con i suoi asinelli, avesse trovato un baule sepolto pieno di monete d’oro e d’argento. Dopo averlo custodito in segreto per molti anni, lo consegnò a suo figlio quando quest’ultimo gli confessò di essersi innamorato della figlia di un nobiluomo. Il motivo? Pare che il nobiluomo avesse accettato di concedergli la figlia in sposa solo se avesse costruito la torre più alta della città!

    In realtà la struttura fu probabilmente edificata come torre di avvistamento da Matilde di Canossa tra il 1075 e il 1100 per prevenire eventuali attacchi provenienti da est. Nei suoi novecento anni di vita, è sopravvissuta a incendi, fulmini, terremoti, e persino a una… palla di cannone, che nel 1513 la colpì durante le celebrazioni per l’elezione di papa Leone x.

    Oggi vi si può accedere pagando un modico biglietto d’ingresso. I suoi 498 gradini sono piuttosto ripidi, ma la vista sull’intera città al termine della salita è davvero da togliere il fiato.

    2. Torre Garisenda

    Accanto alla Asinelli sorge la più celebre torre pendente di Bologna, la misteriosa Garisenda. La sua origine è stata a lungo dibattuta, ma probabilmente si deve la sua costruzione di nuovo alla contessa Matilde di Canossa, che amministrò il potere a Bologna negli anni a cavallo tra xi e xii secolo. Probabilmente fu iniziata prima della torre Asinelli con la medesima finalità (torre di avvistamento), ma fu interrotta a causa del cedimento strutturale delle fondamenta. Un intervento di accorciamento si deve al cardinale Oleggio, che nel xiv secolo la fece mozzare di dodici metri per evitarne il crollo.

    Alla base della torre è presente un’iscrizione, tratta dal xxxi canto dell’Inferno di Dante Alighieri: «Qual pare a riguardar la Garisenda / sotto ‘l chinato, quando un nuvol vada / sovr’essa sì, che ella incontro penda; / tal parve Anteo a me che stava a bada / di vederlo chinare». Con questi versi il Sommo Poeta descrisse infatti l’affascinante fenomeno che si verifica osservando la vetta della torre; l’impressione è che non siano le nuvole ad avvicinarsi, ma che la torre stessa si inchini per raggiungerle.

    3. Torre Prendiparte

    Mai pensato di trascorrere una notte all’interno di una torre? In caso affermativo, a Bologna la scelta cadrebbe su torre Prendiparte, la cosiddetta torre coronata che sorge alle spalle della cattedrale metropolitana di San Pietro. Con i suoi abbondanti sessanta metri, è la seconda torre gentilizia più alta della città.

    Grazie ai recenti e accurati restauri, i suoi dodici piani sono oggi accessibili e visitabili in tutte le stanze, comprese quelle che durante il xvii secolo vennero utilizzate come carcere per coloro che si erano macchiati di reati contro la morale religiosa, come ad esempio rubare oggetti sacri o persino sfidarsi a duello all’interno di una chiesa. Qui è ancora possibile osservare i graffiti lasciati dai prigionieri durante la detenzione.

    4. Torre Accursi

    Costruita come casa-torre dal giurista Accursio a metà del xiii secolo, questa torre è oggi inglobata nella struttura del palazzo comunale. È nota soprattutto come torre dell’orologio: il meccanismo è attivo fin dal 1451, ma un tempo vi era annesso un carosello. Fino alla fine del Settecento, infatti, al rintocco di ogni ora usciva un gruppo di statue di legno (i tre re Magi e un angelo suonatore di tromba), che si inchinavano di fronte alla statua della Madonna, all’epoca installata in una nicchia. Tuttavia, il meccanismo si guastò per non essere mai più ripristinato. Circa un secolo dopo, durante i restauri in occasione dell’Esposizione universale del 1888, le statue vennero definitivamente rimosse.

    5. Torre Agresti

    È questa una delle torri di Bologna che nel tempo sono state inglobate negli edifici circostanti. Torre Agresti si trova in piazza Galileo (per intenderci, quella della Questura), mimetizzata ma riconoscibile grazie all’altana che la caratterizza. Una delle particolarità di questa torre è il discreto numero di calamità a cui è sopravvissuta. Il 2 agosto del 1641, infatti, un incendio si sviluppò nei due edifici che la affiancavano, lasciandola miracolosamente in piedi. Va precisato che in quel periodo la vicina torre Lapi era utilizzata come magazzino di polveri da sparo e munizioni, ma per fortuna non si verificò alcuna esplosione. Durante la seconda guerra mondiale, poi, i bombardamenti rasero al suolo gran parte degli edifici dell’area lasciando però, ancora una volta, torre Agresti intatta.

    6. Torre Alberici

    Siamo in pieno centro, dalle parti dell’antica dogana cittadina, all’imbocco di via Santo Stefano. Accanto al palazzo della Mercanzia sorge una torre che a lungo è rimasta nascosta dagli edifici circostanti, tornata alla luce grazie alla riqualificazione della zona e ai restauri avvenuti negli anni Venti del secolo scorso. Si tratta di torre Alberici, sulla quale sono ben visibili i tipici fori da ponte, alcuni dei quali fungevano da ancoraggio per i ponti durante la costruzione, altri come supporto per le travi su cui poggiavano i ballatoi esterni e le scalinate che mettevano in comunicazione i piani della torre, e la torre stessa con gli edifici vicini.

    Particolarmente suggestiva la bottega al pianterreno, caratterizzata da un serraglio a forma di ribalta. Secondo alcune fonti, è la più antica di Bologna (risale al 1273).

    7. Torre dell’Arengo

    La torre del palazzo del Podestà ha una particolarità: è l’unica torre di Bologna priva di fondamenta. La spiegazione è semplice: il suo peso si scarica infatti sui quattro pilastri che fanno da sostegno al cosiddetto voltone del Podestà, il quale in passato era un autentico centro della quotidianità cittadina, per la presenza del mercato, dei banchi dei notai (prima che venisse costruito il palazzo per ospitarli) e per le esecuzioni capitali che avevano luogo proprio qui.

    Da piazza Maggiore è possibile ammirare la torre svettare al di sopra del palazzo del Podestà. A partire dal 1453 sulla sua cima è stata collocata una campana (nota ai bolognesi come il Campanone), che serviva da richiamo per il popolo in caso di eventi straordinari, come un’assemblea o la chiamata alle armi. Oggi è possibile udire i suoi rintocchi ogni 21 aprile, in memoria di quel giorno del 1945 in cui Bologna fu liberata dal giogo del nazifascismo.

    8. Torre Azzoguidi

    È definita alta e bella. Non è un caso, infatti, che sorga proprio in via… Altabella, nome derivato dalla presenza della torre che svetta al di sopra dei tetti dei palazzi. Con il suo aspetto slanciato, i suoi circa sessanta metri di altezza e la base costituita di dieci file di blocchi di selenite (un minerale gessoso di cui abbonda l’appennino bolognese), torre Azzoguidi è senz’altro l’autentico prototipo della torre gentilizia medievale.

    Sappiamo che tra il xiii e il xiv secolo queste strutture avevano una duplice funzione: difensiva durante le faide tra le famiglie di fede guelfa (filopapale) e ghibellina (filoimperiale), ma anche espressione del prestigio e della potenza militare dei suoi appartenenti. I complessi architettonici formati da torre Azzoguidi, torre Prendiparte e dagli edifici circostanti, costituivano una sorta di avamposto a difesa delle fazioni guelfe, non a caso radunate nei dintorni della cattedrale metropolitana di San Pietro.

    A partire dal Cinquecento, quando la famiglia Azzoguidi si estinse, la torre rimase abitabile soltanto nel primo e secondo piano, mentre il pianterreno divenne la sede di un negozio. Per ampliare il locale adibito a bottega, si intervenne sullo spessore dei muri del basamento, mettendo a repentaglio la stabilità, che fortunatamente è stata ripristinata con i restauri del 1951.

    9. Torre Bertolotti

    Situata al crocevia tra vicolo San Damiano e via Farini, torre Bertolotti è oggi riconoscibile più che altro per l’altana che si erge al di sopra di palazzo Saraceni, costruito verso la fine del Quattrocento e oggi sede della Fondazione Cassa di Risparmio.

    La torre fu costruita dai Bertolotti, una famiglia di mercanti che si arricchì nel xii secolo grazie al commercio della pergamena. Tale pregiato bene veniva fabbricato tramite un mulino che sfruttava le acque del torrente Aposa, che a quell’epoca scorreva appunto nell’attuale vicolo San Damiano.

    10. Torre Carrari

    In via Marchesana, parallela di via dell’Archiginnasio nella zona del cosiddetto Quadrilatero, sorge la casa-torre eretta a cavallo tra xii e xiii secolo dalla famiglia Carrari.

    Le case-torri erano sostanzialmente una via di mezzo tra la residenza di legno molto in voga in antichità e quella in muratura. Lo spessore dei muri alla base fa pensare che l’altezza della torre fosse sin dalle origini intorno ai ventidue metri attuali.

    Nel corso della sua storia, la torre ha più volte cambiato proprietari. Dopo l’estinzione della famiglia Carrari, è passata nelle mani dei Foscherari, poi acquistata per la modica cifra di 1200 lire dalla Fabbriceria di San Petronio nel 1484. Rilevata all’inizio del secolo scorso dalla Società Anonima di Rinnovamento edilizio, è stata oggetto di un intervento di restauro che ne ha mantenute intatte le caratteristiche originarie, consacrandola così uno dei più pregiati esempi di architettura medievale presenti in città.

    11. Torre Catalani

    Questa casa-torre si trova in vicolo Spirito Santo, una stradina alle spalle di piazza de’ Celestini. Sedici metri di altezza, dotata di tre piani più un sotterraneo ricavato all’interno delle fondamenta, è stata costruita ai primi del xiii secolo dalla famiglia Catalani (detti anche Castellani). Si racconta che sia stata innalzata per permettere al nipote di Delfino Castellani, Alberto Carbonesi, di ammirare da lontano Virginia Galluzzi, la sua amata. I due furono protagonisti, nella Bologna medievale, di una tragica vicenda simile a quella di Romeo e Giulietta; i Galluzzi, infatti, la cui torre sorge a poca distanza, erano nemici giurati dei Carbonesi.

    Alla base sono ancora visibili gli anelli di ferro che servivano a legare i cavalli, mentre non è rimasta traccia dei variopinti affreschi che adornavano le porte d’accesso e le pareti interne, un tempo intonacate.

    Tra le curiosità legate a questo edificio, spicca il fatto che uno dei membri della famiglia, Catalano dei Malavolti, fu insieme a Loderingo degli Andalò fondatore dell’ordine monastico cavalleresco dei Frati Gaudenti, citati anche da Dante Alighieri nell’Inferno. Le cronache cittadine ricordano che la torre in passato è stata più volte colpita da fulmini; in almeno un’occasione, nel 1280, ci furono ben due morti.

    12. Torre Galluzzi

    Fa parte, questa torre, della cosiddetta triade dei grattacieli medievali di Bologna. Sebbene oggi sia alta circa trenta metri, lo spessore dei muri alla base fa presupporre che in passato fosse molto più alta. È accostata tradizionalmente a torre Prendiparte e torre Azzoguidi, ovvero le altre due torri appartenenti alle più potenti famiglie di fazione guelfa del xiii secolo. Non a caso, analogamente a queste, era situata poco distante da un centro di potere: l’antica sede del Comune, che prima di palazzo d’Accursio era nel complesso di Sant’Ambrogio, che sorgeva a fianco a dove oggi c’è l’abside della basilica di San Petronio.

    La torre è visibile entrando in corte de’ Galluzzi, accessibile da piazza Galvani o da via D’Azeglio, un complesso di edifici che un tempo doveva essere una vera e propria cittadella. Le particolarità della torre sono gli archi a sesto acuto di porte e finestre, che testimoniano una certa modernità della costruzione (che iniziò nel 1257, in un clima architettonico che cominciava ad abbandonare il romanico in favore del gotico), e il fatto che la porta d’accesso si trovi a ben sei metri d’altezza, il che fa supporre che fosse raggiungibile con un sistema di passerelle e ballatoi dagli edifici adiacenti.

    13. Torre Ghisilieri

    Ecco una torre che, da antico simbolo di forza militare, potere e prestigio di una famiglia, si è trasformata nel tempo in un… simbolo di concordia. Torre Ghisilieri è infatti diventata il campanile della chiesa dei Santi Gregorio e Siro, la cui facciata dà su via Monte Grappa. Per vederla, tuttavia, occorre collocarsi sotto il portico di via Nazario Sauro.

    La famiglia Ghisilieri, tra il xiii e il xv secolo, era di certo una delle più agguerrite e rissose di Bologna, al punto che un’insurrezione popolare, nel 1445, portò alla distruzione di quasi tutti gli edifici che le appartenevano.

    14. Torre Guidozagni

    Questa torre si trova in via Albiroli, nelle vicinanze della più nota torre Prendiparte, al punto che a colpo d’occhio si ripete la dualità delle Due Torri di piazza Ravegnana.

    Membri della famiglia Guidozagni, esponenti della nobilità guelfa, parteciparono alle crociate (nel 1094 e nel 1291), e arrivarono a possedere ben quattro torri. Nessuna delle altre tre è sopravvissuta fino ai giorni nostri; l’ultima a essere abbattuta è quella che si trovava nelle vicinanze della Asinelli e della Garisenda. La demolizione è avvenuta nel 1918 nell’ambito di un piano di riqualificazione del centro storico.

    Edificata all’inizio del xiii secolo, torre Guidozagni fu in parte ricostruita nel 1487 in seguito a un crollo. Il proprietario dell’epoca, il professor Petronio Guidozagni, ultimo membro della casata, godeva di un tale prestigio che il Senato bolognese, all’epoca, gli elargì 400 lire come contributo per i lavori.

    Alla morte del professore, si succedettero numerosi proprietari, finché, nel 1926 passò alla società dei telefoni, che la restaurò e la utilizzò come centro di commutazione delle linee.

    15. Torre Conoscenti

    È possibile che una torre sia in grado di scomparire per più di un secolo, per poi essere miracolosamente ritrovata? Per quanto incredibile a dirsi, è questo il caso di torre Conoscenti, non a caso sfuggita anche al censimento dello scrupoloso conte Gozzadini, che nel xix secolo si occupò di inventariare tutte le torri presenti a Bologna.

    Senza scomodare la magia o l’opera di un prestigiatore, il motivo della scomparsa della torre è dovuto al fatto che nell’Ottocento i proprietari inglobarono la struttura medievale all’interno della loro residenza, ovvero palazzo Ghisilardi-Fava, oggi noto per essere sede del Museo Civico Medievale. La torre ritrovata può essere ammirata dall’interno della corte del palazzo. A costruirla sul finire del xiv secolo fu Alberto Conoscenti, capitano delle guardie e poi tesoriere del Comune. In quel periodo accumulò così tante ricchezze da potersi permettere di costruire una casa-torre come residenza.

    Tra i proprietari che nei secoli si sono avvicendati, ricordiamo Bartolomeo Ghisilardi, che fece costruire il palazzo che la ingloba, ma che scelse la torre come abitazione privata. La scelta si rivelò piuttosto infelice, dato che durante il terremoto del 1505 la sua camera da letto vibrò così intensamente da farlo morire di paura. Letteralmente.

    16. Torre Lambertini

    La casa-torre costruita della famiglia Lambertini si trova sullo spigolo nord-orientale di palazzo Re Enzo, per intenderci quello che si affaccia su via Rizzoli. La costruzione terminò nel 1242, e solo tre anni più tardi venne inglobata nel palazzo del Capitano del Popolo, che dopo la battaglia di Fossalta (1249) divenne prigione di re Enzo di Sardegna, figlio dell’imperatore Federico ii di Svevia; secondo le cronache, Lambertino dei Lambertini fu uno dei tre cavalieri che catturarono re Enzo (gli altri furono il Bottrigari e l’Orsi).

    I Lambertini, che erano di fede guelfa, nel 1274 furono tra i responsabili della cacciata delle famiglie ghibelline dalla città al termine di una sanguinosa guerra civile durata quaranta giorni.

    Tra i membri celebri della famiglia non si può non ricordare Prospero Lambertini, che nel Settecento salì sul soglio pontificio con il nome di Benedetto xiv.

    Su torre Lambertini, definitivamente acquistata dal Comune nel 1294, a metà del 1300 venne collocato il primo orologio meccanico pubblico di Bologna. Alzando lo sguardo, è ancora possibile vedere le mensole che lo sorreggevano. Fu questo il primo dispositivo in città a segnare le ore anche durante la notte. Prima di allora, infatti, il compito di segnare il tempo era affidato alla meridiana posta sulla torre dell’Arengo.

    17. Torre Lapi

    Questa torre, oggi inglobata all’interno di palazzo D’Accursio nel lato che dà su via iv novembre, apparteneva originariamente alla prima cinta muraria di Bologna, la cosiddetta cerchia di Selenite che difese la città a partire dal iv secolo e della quale costituiva Porta Nova. Fu acquistata dalla famiglia Lapi intorno al Duecento, per poi essere rivenduta circa un secolo dopo al Comune per la somma di 400 lire, in occasione dell’ampliamento del palazzo civico.

    In seguito, la base della torre divenne sede della bottega di una famiglia di beccai, come erano indicati i macellai a Bologna nel Medioevo. Il nome deriva dal maschio della capra, la carne di gran lunga più diffusa all’epoca. Pare che tutta via iv novembre, all’epoca, straripasse di bancarelle di questo tipo. Nel Cinquecento, tuttavia, il Senato bolognese decise di sgomberarli tutti e fece murare la porta. Sarebbe stato questo il motivo per cui la torre scampò all’incendio del 1641.

    In antichità doveva essere alta circa trenta metri, ma è stata ridotta agli attuali diciotto in epoca napoleonica per motivi sconosciuti. La porta è invece stata riaperta durante il restauro del 1948 per facilitare l’ingresso ai veicoli dentro il municipio.

    18. Torre Ramponi

    Ubicata al civico 8 di via Rizzoli, all’angolo con via Fossalta, questa torre è oggi quasi completamente mimetizzata nel complesso di edifici ottocenteschi che la circondano; insomma, non ha affatto l’aspetto della torre gentilizia medievale, pur essendo una delle più antiche presenti in città.

    Sappiamo che i Ramponi nel Medioevo appartenevano alla nobiltà guelfa che si distinse durante la guerra civile del 1274, e che proprio in questa torre fu ospitata una delegazione di cardinali che nel 1251 accompagnarono a Bologna papa Innocenzo iv. In seguito, durante la dominazione viscontea, questa famiglia fece costruire una vera e propria cittadella fortificata per difendersi dagli invasori. Dopo l’estinzione dei Ramponi, tuttavia, la torre passò alla famiglia Baglioni, poi alle suore di San Giuliano, infine fu acquistata dagli Stoppani che, nell’Ottocento, ne cancellarono l’aspetto medievale con interventi murari e lavori di intonacatura.

    19. Torre Scappi

    Per veder sbucare questa torre al di sopra dei palazzi del Canton’ Dei Fiori occorre posizionarsi in piazza Nettuno e rivolgere lo sguardo verso via dell’Indipendenza.

    C’è una leggenda legata al nome della famiglia responsabile della sua costruzione. Si racconta infatti di un popolano che, affacciandosi alla finestra della sua abitazione, vide i biondi capelli di re Enzo sbucare dal tino che un vinaio portava sulle spalle. Secondo questa diceria, l’uomo si mise a urlare: «Scappa, scappa!». Da questa frase, che avrebbe rovinato il tentativo di fuga del prigioniero, pare derivi il nome di una delle famiglie più longeve della Bologna medievale, che si è estinta soltanto ai primi del Settecento.

    20. Torre de’ Toschi

    La cima di questa torre, completamente soffocata dai palazzi che le sono stati costruiti intorno, è visibile da piazza Minghetti oppure da via Goidanich.

    Tra il xiii e il xiv secolo, a Bologna, ci si riferiva con il nome di Toschi ai cittadini di origine toscana, e che venivano iscritti alla Società dei Toschi. Si trattava perlopiù di studenti attirati dal prestigio e dall’importanza dello studio universitario bolognese o di famiglie in fuga dalle faide tra guelfi e ghibellini che imperversavano in quel periodo. Questo spiega il motivo per cui a Bologna all’epoca esistevano rami della famiglia Toschi appartenenti sia alla fazione ghibellina che a quella guelfa.

    Un celebre membro della famiglia fu Giuseppe Toschi, mercante e imprenditore che all’inizio del 1200 si fece promotore di un’iniziativa di finanziamento agli artigiani che diede grande impulso alla produzione tessile bolognese.

    Due suoi discendenti, invece, nel Quattrocento passarono alle cronache per dei misfatti. Si tratta di Giovanni Toschi, che tentò di avvelenare un nobiluomo perché innamorato della moglie, e dei fratelli di Ugolino di Stefano Toschi, che lo assassinarono per questioni di eredità.

    21. Torre Uguzzoni

    Questa torre è inserita in uno degli angoli più suggestivi di Bologna, che ha mantenuto il suo aspetto medievale a dispetto del passare dei secoli.

    Ci troviamo all’angolo di vicolo Mandria e vicolo Tubertini, a due passi dall’antico quartiere ebraico.

    Oggi sede degli uffici di Unicredit banca (un tempo Credito Romagnolo), fu costruita tra la fine del xii secolo e l’inizio del xiii come abitazione (casa-torre) per gli Uguzzoni, famiglia di fede ghibellina che sopravvisse alla guerra civile del 1274, continuando a rivestire cariche di potere fino al 1363.

    Particolarmente significativa la porta d’ingresso della torre, che ha conservato l’aspetto originario con arco a sesto acuto, e la presenza delle buche pontaie a cui un tempo erano agganciate le travi a sostegno dei ballatoi di collegamento con gli edifici circostanti.

    Solo la cima della torre ha subìto un intervento considerevole, essendo stata trasformata in altana verso la fine del Settecento dalla famiglia Tubertini.

    22. Torre degli Oseletti

    Costruita nel xii secolo e all’epoca alta probabilmente una settantina di metri, questa torre oggi è inglobata nella struttura di palazzo Sanguinetti, che si trova al civico 36 di strada Maggiore. Nel lato che dà sul cortile del palazzo è ancora possibile ammirare l’affresco trecentesco di scuola bolognese raffigurante una Madonna col Bambino.

    La famiglia Oseletti, di parte guelfa, doveva il suo nome alla presenza di tre cardellini nello stemma araldico. Sappiamo che membri di questa famiglia sono stati consoli e che parteciparono alle crociate. Tuttavia, nel 1283, Lippo Oseletti venne accusato di tradimento, i suoi beni vennero confiscati e lui stesso cacciato dalla città. Fu in questo periodo, probabilmente, che la torre venne ridotta agli attuali trentuno metri.

    23. Le mura di selenite

    La prima cinta muraria di Bologna fu costruita in epoca tardoantica per difendere la città dalle invasioni barbariche. Si parla degli albori del v secolo; il primo indizio sulla sua esistenza è la testimonianza dello storico bizantino Zosimo, secondo il quale la città fu in grado di resistere all’assedio di Alarico nel 402 e, quindi, doveva essere dotata di un valido sistema difensivo. La datazione di questa struttura è comunque incerta per la mancanza di una documentazione precisa.

    Quel che è sicuro è che la Bologna del periodo era una città molto più piccola rispetto a quella di epoca romana, per questo si parla di città retratta; i borghi più periferici furono abbandonati e divennero le rovine della città antica.

    La cinta muraria fu edificata utilizzando grossi blocchi di selenite, un minerale gessoso di cui i colli bolognesi sono ricchi. Si trattava, tuttavia, per la maggior parte di materiali di reimpiego provenienti dagli edifici pubblici romani.

    Sul perimetro, di forma quadrata, erano disposte quattro porte, posizionate lungo il cardio massimo e il decumano massimo romani: porta Ravegnana (dove oggi sorgono le Due Torri), porta Stiera (lungo l’attuale via Ugo Bassi), porta Procola (all’angolo delle attuali via D’Azeglio e Carbonesi) e porta Piera (lungo via dell’Indipendenza, in corrispondenza di dove oggi sorge la cattedrale di San Pietro).

    Pochissimi i resti sopravvissuti di queste mura; i più significativi si trovano all’interno di palazzo Conoscenti e palazzo Ghisilardi-Fava, entrambi in via Manzoni.

    24. Le mura del Mille

    La seconda cerchia muraria di Bologna è di datazione incerta: alcuni sostengono che la sua costruzione sia da collocare tra il 1176 e il 1192, in seguito all’assedio di Federico Barbarossa, ma nuovi studi hanno confermato una datazione precedente, ribadendo la correttezza del tradizionale nome di Cerchia del Mille.

    Quel che è certo è che tra l’xi e il xii secolo la città iniziò un processo di espansione, con la costruzione di nuovi borghi al di fuori delle mura di selenite, che necessitavano di protezione.

    Questa cinta muraria è nota anche come Cerchia dei Torresotti per via delle torri che sormontavano ognuna delle sue diciotto porte, dette anche Serragli.

    Lunga circa tre chilometri e mezzo, la cinta muraria aveva forma poligonale ed era circondata da un fossato alimentato dal torrente Aposa.

    Due i luoghi più significativi in cui è possibile scorgere i resti di questa fortificazione: una piccola porzione delle mura si trova in piazza Verdi, mentre un’altra è presente in via Maggia, all’interno del giardino Pincherle.

    25. Torresotto di via Castiglione

    Gran parte dei torresotti della Cerchia del Mille sono stati demoliti in seguito alla costruzione della cosiddetta Circla, la terza (e ultima) cinta muraria della città, intorno alla quale oggi scorre la Circonvallazione dei Viali. Quattro i torresotti sopravvissuti, tra i quali quello di via Castiglione. Affiancato da un’ele­gante residenza quattrocentesca dotata di un suggestivo portico con volte a crociera, è oggi abitato. Fino a qualche anno fa ospitava un’edicola sul basamento del sottoportico.

    26. Torresotto di porta Govese

    Chiamato anche torresotto dei Piella, costituiva al tempo della cerchia muraria del Mille una delle porte d’accesso alla città. La sua particolarità, oltre al fatto di trovarsi in via Piella, nelle vicinanze della celebre finestrella che dà sui canali sotterranei di Bologna, è quella di conservare nel fianco una Madonna con santi realizzata da Francesco Brizio nel Seicento.

    27. Torresotto di via San Vitale

    Questa antica porta fortificata si trova all’incrocio tra via San Vitale e piazza Aldrovandi. Inserita in un contesto particolarmente suggestivo, la presenza della struttura accentua il carattere d’altri tempi di questa antica zona di Bologna.

    28. Torresotto di Porta Nova

    Più o meno a metà della lunga piazza Malpighi, in direzione del centro città, c’è l’imbocco di via Porta Nova. È qui che si erge il torresotto di Porta Nova, detto anche Serraglio del Pratello o torresotto di San Francesco per la vicinanza con l’omonima basilica. Ancora oggi, attraversare l’antica porta di accesso alla città e immaginare come doveva essere nel Medioevo è fonte di grande suggestione.

    29. La Circla

    È chiamata così la terza (e ultima) cerchia muraria costruita per difendere Bologna. Di forma pressoché circolare, la sua costruzione risale all’inizio del xiii secolo come palizzata in legno, per poi essere consolidata in muratura tra il 1327 e il 1390 con la stessa tecnica con cui erano costruite le torri gentilizie, ovvero la muratura a sacco. Questa consisteva nell’erigere due muretti a breve distanza l’uno dall’altro, formando uno strato intermedio che veniva riempito di ghiaia, laterizio e sabbia. Questo tipo di architettura permetteva di realizzare mura estremamente solide e rigide, e questo è anche il motivo per cui la maggior parte delle torri sono pendenti, in quanto frequenti piccole irregolarità del terreno si ripercuotevano in modo imprevisto sulle fondamenta, causando cedimenti.

    Il perimetro di questa cerchia muraria era lungo quasi otto chilometri, con dodici porte, ognuna dotata di ponte levatoio per attraversare il fossato esterno.

    Purtroppo, gran parte delle mura è stata demolita all’inizio del secolo scorso per far posto all’attuale Circonvallazione dei Viali. Fortunatamente, quasi tutte le porte sono state risparmiate grazie agli interventi di intellettuali come Giosuè Carducci e Alfonso Rubbiani, che difesero con ardore l’interesse artistico e culturale di ciò che restava della cerchia muraria.

    30. Porta Maggiore

    Posizionata all’estremità orientale del centro storico, dove la via Emilia cambia nome e da strada Maggiore diventa via Mazzini, questa porta (detta appunto anche porta Mazzini) è stata per secoli la principale via d’accesso alla città. Ricordiamo infatti che nel Medioevo Bologna era subalterna alla provincia ecclesiastica dell’arcidiocesi di Ravenna. All’ombra del suo arco sono transitati sovrani, papi, condottieri. Era inizialmente dotata di un cassero, ovvero un torrione difensivo, che papa Giulio ii, dopo il suo ingresso in città nel 1506, fece trasformare in una vera e propria rocchetta.

    Ristrutturata a fine Settecento, agli inizi del Novecento rischiò di essere abbattuta. A lavori già iniziati, l’intervento di Alfonso Rubbiani riuscì a impedire che la struttura venisse completamente smantellata; quelli che vediamo oggi sono i ruderi scampati alla demolizione.

    31. Porta Santo Stefano

    Posizionata al crocevia tra la via omonima e via Murri, è soprannominata porta per la Toscana, in quanto crocevia degli scambi con Firenze. Costruita nel xiii secolo e più volte ristrutturata, agli inizi del Cinquecento fu protagonista di un curioso avvenimento bellico, da alcuni addirittura definito… un miracolo.

    In quella circostanza, i soldati spagnoli alleati di papa Giulio ii cercarono di fare breccia sul baraccano, ovvero la torre di rinforzo che era posta tra porta Santo Stefano e porta Castiglione, piazzando una mina alle fondamenta.

    L’esplosione non sortì, tuttavia, l’effetto sperato, e questo contribuì ad alimentare le leggende sul presunto miracolo del Baraccano.

    Quella che vediamo oggi, tuttavia, non è la porta originaria. Questa venne infatti abbattuta nel 1843. Al suo posto, papa Gregorio xvi fece costruire quella che viene comunemente chiamata per l’appunto barriera Gregoriana, con funzione di barriera doganale.

    Una curiosità: l’ultimo a valicare porta Santo Stefano fu re Vittorio Emanuele ii nel 1860, in pieno ardore risorgimentale.

    32. Porta Castiglione

    Questa porta sorge all’incrocio tra strada Castiglione e i viali della Circonvallazione. Risalente al 1250, è stata realizzata dove il canale Savena entrava in città, fornendo l’energia idraulica che in passato permetteva agli svariati mulini da seta di operare.

    Più volte restaurata nel xiv e nel xv secolo, è stata sostanzialmente rimaneggiata nel 1850 per darle l’aspetto attuale.

    Ma cos’era il Castiglione? Con ogni probabilità si trattava di una struttura fortificata (castellione) che doveva trovarsi sui colli appena fuori Bologna, forse dalle parti di San Vittore, ma di cui ormai si è persa ogni traccia.

    33. Porta Saragozza

    Situata all’incrocio tra l’omonima via e i viali della Circonvallazione, è stata edificata nel xiii secolo e considerata per secoli una porta secondaria. Acquisì importanza a partire dal 1674 con la costruzione del portico di San Luca. Da quel momento, infatti, diventò il punto di partenza delle pellegrinazioni verso il santuario.

    L’aspetto attuale è molto diverso da quello originario, ed è frutto degli interventi di ricostruzione effettuati a metà Ottocento dall’architetto Giuseppe Mengoni, che ha aggiunto i torrioni cilindrici laterali e un nuovo cassero centrale.

    34. Porta San Felice

    Collocata sull’asse della via Emilia in direzione ovest, sorge nel punto in cui via San Felice diventa via Aurelio Saffi.

    Nel Medioevo gli edifici adiacenti ospitavano il corpo di guardia e i gabellieri addetti alla riscossione dei dazi. All’epoca, infatti, per attraversare un ponte o una porta era richiesto un pagamento, un po’ come avviene ai giorni nostri in autostrada.

    In passato era da qui che partiva l’esercito per le campagne contro gli ostili modenesi. In occasione della battaglia di Zappolino (1325) si verificò il celebre episodio della secchia rapita. I modenesi, dopo aver sconfitto l’esercito bolognese, marciarono fin sotto porta San Felice, e fu qui che uno dei soldati prelevò un secchio da un pozzo e lo infilò in testa a guisa di elmo, per poi cavalcare avanti e indietro lungo il perimetro delle mura per schernire gli abitanti barricati in città. Il pozzo in questione non è più visibile, ma si troverebbe nell’attuale via Saffi, all’altezza del civico 34. Quasi in mezzo alla strada c’è una lapide che ricorda l’avvenimento.

    Ben più trionfale fu l’ingresso attraverso porta San Felice dell’esercito bolognese dopo la battaglia di Fossalta (1249), quando venne portato in città il prigioniero re Enzo.

    Il 21 giugno 1805, Napoleone entrò a Bologna proprio da questa porta. In quell’occasione venne ampiamente restaurata, al punto che per qualche tempo assunse il nome di porta Napoleone.

    35. Porta delle Lame

    L’aspetto di questa porta, posizionata alla fine di via delle Lame, è mutato drasticamente nel corso dei secoli. Edificata per la prima volta nel xiii secolo, venne completamente ricostruita nel 1674 nello stile barocco che conosciamo oggi. Non tragga in inganno il nome delle Lame; coltelli o spade non c’entrano nulla. Questa zona, infatti, era anticamente acquitrinosa (limacciosa), al punto che la porta fu spesso chiusa perché difficilmente presidiabile. Nel 1334 fu dotata di due ponti levatoi, uno per il passaggio dei carri e uno per i pedoni. Qui, anticamente, sorgeva un porto con annessa salara.

    Celebre la battaglia di porta Lame, il più importante scontro cittadino tra partigiani e nazifascisti.

    36. Porta Galliera

    Per chi proviene dalla stazione dei treni o dall’autostazione, è questa la prima porta che segna l’ingresso in città. Posizionata all’estremità nord di via dell’Indipendenza, deve il suo nome all’antica via che conduceva al borgo di Galliera, avamposto difensivo in direzione Ferrara.

    Fin dalle sue origini (inizio 1200), questa porta aveva un’importante funzione di raccordo delle vie di terra e d’acqua verso nord-est, e infatti all’epoca di Giovanni ii Bentivoglio divenne sede del porto che presidiava il canale navigabile che qui entrava in città.

    La porta ha subìto un rimaneggiamento a metà Seicento che le dona il singolare aspetto odierno: barocco sul lato di piazza xx Settembre e più severo sul lato opposto, a sottolineare il suo antico carattere difensivo.

    37. Porta Mascarella

    È questa la porta della terza cinta muraria di Bologna che ha mantenuto maggiormente il suo aspetto originario, pur avendo subìto, al pari delle altre, svariati rimaneggiamenti e restauri nel corso dei secoli. Costruita intorno al Trecento sulla strada verso Malalbergo (e quindi Ferrara), si presenta come accesso al centro storico per chi proviene dal ponte di via Stalingrado.

    Un tempo, accanto alla porta sorgeva una casupola per i gabellieri addetti alla riscossione dei dazi di passaggio, demolita ai primi del Novecento. Il torrazzo fortificato presente in antichità è invece stato sostituito da un tetto nel 1511 perché troppo esposto ai colpi di artiglieria.

    38. Porta San Donato

    È posizionata all’estremità del quartiere studentesco, in fondo a via Zamboni (un tempo via San Donato). Costruita nel xiii secolo per presidiare la strada verso le valli di Argenta, era dotata di ponte levatoio e affiancata dagli alloggi per le guardie. Per motivi di sicurezza, venne murata nel 1428, per poi essere riaperta qualche decennio dopo. Suggestiva testimonianza della Bologna di un tempo, è scampata a un recente tentativo di abbattimento. A metà degli anni Cinquanta, infatti, l’amministrazione comunale era intenzionata a demolirla per facilitare il traffico della circonvallazione dei Viali.

    39. Porta San Vitale

    A dispetto del suo aspetto oggi dimesso, e le sue attuali piccole dimensioni, era questa nel Medioevo una delle principali porte di accesso alla città, in quanto posizionata sull’asse di comunicazione con Ravenna come porta Maggiore. Posizionata all’incrocio tra via San Vitale e via Massarenti, fu costruita nel 1286 e dotata di un alloggio per le guardie e di un grande torrione che fu demolito nel Cinquecento. Il ponte levatoio, invece, resistette fino alla fine del Settecento.

    40. Rocca Imperiale

    Non cercatela nelle carte turistiche: l’antica rocca (o castello) Imperiale è stata abbattuta durante un’insurrezione popolare in tempi remotissimi, per la precisione nel 1115, in seguito alla morte di Matilde di Canossa. Costei, agli inizi del xii secolo, governava il territorio bolognese su incarico dell’imperatore Enrico v, che l’aveva nominata viceregina.

    La struttura fortificata, di forma approssimativamente quadrata, si consolidò gradualmente tra il v e l’xi secolo nell’area che in epoca romana era dedicata ai templi (a ovest della cattedrale di San Pietro). Era protetta da un fossato alimentato dal torrente Aposa, che forniva acqua anche ai fossati delle mura di selenite.

    Oggi del castello non rimangono che pochi ruderi, ammirabili visitando il Museo Civico Medievale di palazzo Ghisilardi-Fava, e tracce nella toponomastica cittadina; via di porta Castello, che ne testimonia la presenza, delimitava il fianco occidentale della rocca. Sul lato sud della struttura, nell’attuale via Monte Grappa, si apriva invece porta Stiera, dove ai tempi del vescovo Petronio era collocata una delle Quattro Croci.

    41. Rocca di Galliera

    Abbiamo avuto modo di dire, e ci saranno altre occasioni per ribadirlo, che i bolognesi del passato erano piuttosto insofferenti all’autorità, soprattutto quando i regnanti si trasformavano in tiranni – e questo, nel Medioevo, a quanto pare accadeva fin troppo spesso. Questo vale, almeno, fino alla definitiva annessione allo Stato Pontificio, nel primo Cinquecento.

    Dopo questa premessa, avete presente i ruderi nei pressi di porta Galliera, all’inizio di via dell’Indipendenza? È tutto ciò che rimane della rocca di Galliera, cinque volte costruita e… cinque volte distrutta dalla furia popolare.

    La prima pietra fu posata per volere del famigerato cardinale legato Bertrando del Poggetto intorno al 1330, con la scusa di costruire una residenza per il pontefice, che intendeva rientrare da Avignone. La cosa, naturalmente, non aveva alcun fondamento, e quello che doveva essere un palazzo si rivelò una roccaforte con mura merlate, torrioni e fossati. Letteralmente smontata mattone per mattone durante la rivolta contro il Poggetto, la rocca venne ricostruita ai primi del Quattrocento per volere del feroce cardinale Baldassarre Cossa, che incaricò dei lavori Fieravante Fioravanti. Distrutta dai bolognesi mentre Cossa si trovava a Roma per essere eletto papa (per la precisione antipapa, uno dei tre papi presenti in quel momento), fu ricostruita e di nuovo rasa al suolo quando Cossa venne deposto con ignominia dal Concilio di Costanza.

    Un papa, Eugenio iv, fu responsabile della quarta incarnazione della fortezza. Costui riuscì a convincere i bolognesi a sborsare trentamila ducati per un concilio in cui discutere l’unione della Chiesa greco-ortodossa con quella romana, ma intascò la cifra e si recò a Ferrara, dove preferì indire il Concilio. Chiedendo altro denaro, naturalmente.

    L’ultima incarnazione della roccaforte si deve a un altro pontefice, Giulio ii, dopo che ebbe strappato Bologna ai Bentivoglio. Il Guidicini sostiene che questo castello fosse «il più vasto e il più forte di quanti lo avevano preceduto», una vera e propria cittadella che fu distrutta nel maggio del 1511, dopo il (temporaneo) rientro dei Bentivoglio in città, per non essere mai più ricostruita.

    Una curiosità: si dice che sotto la collina della Montagnola siano ancora presenti le macerie accumulate nei secoli per le ripetute demolizioni.

    L’architettura religiosa

    42. Cattedrale di San Pietro

    Al passante disattento può sfuggire che il principale luogo di culto di Bologna e sede della cattedra arcivescovile si trova in una posizione leggermente defilata rispetto al centro storico medievale. La cattedrale sorge infatti al civico 7 di via dell’Indipendenza, ed è proprio su questa via che si affaccia la sua imponente facciata in stile barocco e realizzata a metà Settecento su iniziativa di papa Benedetto xiv (il bolognese Lambertini), che ne affidò il progetto all’architetto Alfonso Torreggiani. L’edificio stesso, a partire dal 1575, era stato completamente ricostruito per essere elevato nel 1582 al rango di chiesa metropolitana da un altro papa bolognese, Gregorio xiii. In quella circostanza, tuttavia, i lavori non furono esenti da qualche inconveniente: nel 1599, per esempio, gli interventi operati dagli architetti Domenico Tibaldi e Pietro Fiorini si rivelarono così drastici da causare il crollo delle volte.

    La storia della cattedrale nei secoli è una singolare sequenza di eventi catastrofici che di volta in volta ne resero necessaria la ricostruzione. Fin dagli albori del cristianesimo, fu questa la zona prediletta dai bolognesi per l’edificazione della loro cattedrale: per gli storici il primo edificio con questa funzione esisteva già nel iv secolo. Distrutta in un incendio nel 906, venne ricostruita con pianta ottagonale in analogia al battistero degli Ariani esistente a Ravenna. A un altro incendio, questa volta nel 1141, seguì un’altra ricostruzione. Nel 1222, tuttavia, fu un terremoto a far crollare il tetto della chiesa; seguirono nuovi restauri che nel corso del tempo hanno modificato radicalmente l’aspetto dell’edificio sacro per esigenze di rinnovo o di ampliamento.

    A partire dal 1477 lavorarono qui i pittori della scuola ferrarese Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti. I loro affreschi furono studiati da Niccolò dell’Arca e da Michelangelo; sono tuttavia andati perduti durante i restauri cinquecenteschi. L’unico frammento sopravvissuto è oggi in mostra alla Pinacoteca Nazionale.

    L’interno della cattedrale si presenta sontuoso, con un’ampia navata unica fiancheggiata da cinque cappelle per lato. Particolarmente significativi il Compianto sul Cristo morto di Alfonso Lombardi presente nella prima cappella destra, il crocefisso ligneo sull’altare datato xii secolo, l’Annunciazione dipinta da Ludovico Carracci nel lunettone di fondo (fu la sua ultima opera, nel 1619) e il museo della cattedrale, che presenta una collezione di oggetti sacri, per la maggior parte lasciti dei papi bolognesi Gregorio xiii e Benedetto xiv.

    43. Il campanile nel campanile

    Con i suoi settanta metri di altezza, il campanile della cattedrale di San Pietro, che si affaccia in via Altabella, potrebbe essere la seconda torre più alta della città. Ma è un’altra particolarità a renderlo unico. La struttura esterna, di forma quadrata, è stata iniziata nel 1184 e si è conclusa nel 1426 con la copertura a cuspide. Visitando l’interno, tuttavia, si scopre che vi è racchiuso un altro campanile, di forma circolare, risalente con ogni probabilità al battistero romanico in stile ravennate preesistente.

    44. La più grande campana del mondo

    Si sa, i bolognesi hanno un debole per i primati, e in questo caso parliamo di un primato piuttosto singolare. La campana in questione, la più grande azionata manualmente del mondo, è chiamata affettuosamente la nonna, pesa ben 33 quintali ed è montata sulla cima del campanile della cattedrale di San Pietro. Insieme alle altre tre campane presenti compone un concerto di 65 quintali. In virtù della sua unicità, il metodo per suonarla è detto appunto alla bolognese, si è affermato nel Cinquecento e prevede l’intervento di una squadra di ben ventitré campanari.

    45. I due leoni

    Oggi utilizzati come sostegno alle acquasantiere all’interno della cattedrale di San Pietro, queste due pregiate sculture in marmo rosso sono straordinarie testimonianze della Bologna medievale.

    Nel 1220 facevano parte del portale realizzato per la chiesa da Maestro Ventura, un’opera così pregiata da impressionare secoli dopo il Vasari, uno che non aveva certo una predilezione per l’architettura medievale – dopotutto fu lui a coniare il termine gotico con accezione dispregiativa, intendendo barbarico o persino vandalico.

    I due leoni fungevano da base per due colonne che sorreggevano un arco, su cui erano montati altri due sostegni in bassorilievo, con la forma di un giovane e un vecchio seduti con le gambe incrociate, a fare da base per un altro arco sulla cui lunetta erano scolpiti Cristo circondato da san Pietro e san Paolo.

    L’opera, nel suo insieme, era denominata porta dei Leoni e rimase al suo posto fino al Seicento, quando venne demolita e l’intera struttura della cattedrale stravolta.

    46. Palazzo Arcivescovile

    La domus episcopi di Bologna sorge in via Altabella, tra i civici 2 e 6, e si affaccia all’interno di una corte delimitata dal complesso dell’arcivescovado e dall’abside della cattedrale di San Pietro.

    Per risalire alle sue origini dobbiamo tornare al 1213, ai tempi del vescovo Enrico della Fratta, sebbene la struttura sia stata fortemente rimaneggiata nel Cinquecento da Domenico Tibaldi, per poi essere restaurata nell’Ottocento.

    La cappella al pianterreno contiene decorazioni di Flaminio Minozzi, mentre alcune delle sale del piano superiore furono decorate da Pietro Fancelli e altri artisti di scuola bolognese nel corso del xix secolo.

    Una curiosità: per accedere al palazzo si attraversa il più antico e alto portico in muratura della città.

    47. Basilica di San Petronio

    Può un edificio sacro essere simbolo dell’orgoglio laico di una città? Per quanto sembri una contraddizione, la decisione di costruire una basilica dedicata al vescovo patrono della città non fu presa in ambiente ecclesiastico, ma dalle autorità civili, che nel 1388 vollero con questa costruzione celebrare un atto di fede e allo stesso tempo gli ideali di libertà e autonomia del Comune. Per questo, al finanziamento dell’opera concorse l’intera cittadinanza e coinvolse tutti gli strati sociali.

    Il progetto fu affidato all’architetto Antonio di Vincenzo, lo stesso dell’adiacente palazzo dei Notai e del palazzo della Mercanzia. Per supervisionare le attività di costruzione, venne istituita la Fabbriceria di San Petronio; la prima pietra fu posta nel 1390 e il cantiere rimase attivo fino al 1663. Una serie di circostanze, tuttavia, fecero sì che la basilica restasse incompiuta. La morte improvvisa di Antonio di Vincenzo, infatti, diede un brusco arresto ai lavori già all’inizio del Quattrocento. L’ostile legato pontificio Baldassarre Cossa approfittò della situazione vendendo i materiali necessari alla costruzione e ordinò la distruzione dei progetti originali e del modello in scala realizzati dall’architetto.

    Per un secolo si avvicendarono i tentativi del Comune di ridare impulso al cantiere, e la svolta avvenne nel 1507, quando il progetto di completare l’opera venne affidato ad Arduino degli Arriguzzi. Costui presentò un progetto così ambizioso che avrebbe fatto di San Petronio la più grande basilica della cristianità, più grande persino di quella di San Pietro in Vaticano.

    Alle problematiche architettoniche causate dalla difficoltà di costruire l’imponente cupola si aggiunsero quelle di spazio: nel 1562, infatti, papa Pio iv fece costruire il palazzo dell’Archiginnasio a ridosso del fianco orientale della basilica, a soli dodici metri di distanza, impedendo di fatto che si potesse estendere il transetto.

    L’esterno della chiesa si presenta oggi con la sua caratteristica facciata dall’aspetto incompiuto, mentre l’interno, in stile gotico, divide lo spazio in tre navate e ventidue cappelle. La chiesa è stata testimone di svariati avvenimenti storici, tra i quali l’incoronazione di Carlo v (1530) e alcune sessioni del Concilio di Trento (1547).

    48. La più bella Madonna del Quattrocento

    La facciata incompiuta della basilica di San Petronio è in grado di regalare al visitatore attento un vero e proprio gioiello della storia dell’arte: si tratta di un’opera contenuta nel suo portale centrale, realizzato dallo scultore Jacopo della Quercia. Le formelle a bassorilievo sugli stipiti raffigurano Storie della Genesi, mentre sull’architrave sono presenti Storie del Nuovo Testamento.

    Ma il vero pezzo forte è costituito da ciò che si trova sulla lunetta: quella Madonna col Bambino e i santi Petronio e Ambrogio, che venne studiata dal giovane Michelangelo quando si trovava in visita a Bologna. Costui non esitò infatti a definire la scultura «la più bella Madonna del Quattrocento».

    Le stesse Storie della Genesi furono oggetto di un attento studio da parte dell’artista, che ne ripropose alcune pose nell’affresco della cappella Sistina.

    49. Le Quattro Croci

    Si racconta che Petronio, che fu vescovo di Bologna tra il 433 e il 450, fece posizionare alle estremità della città quattro croci, poste su antiche colonne di epoca romana e disposte lungo gli assi cardinali. Si trattava di una sorta di mistico baluardo a protezione dell’abitato in un periodo in cui le scorrerie e i saccheggi dei barbari erano all’ordine del giorno.

    Oggi le antiche croci sono andate perdute; esistono tuttavia delle copie medievali, realizzate tra il xii e il xiii secolo, che sono conservate all’ingresso della basilica dedicata al patrono della città.

    A questo proposito, c’è un aneddoto che riguarda la scelta di Petronio come patrono. Nel xiii secolo, infatti, le autorità giunsero a una sorta di compromesso. Egli venne preferito a san Pietro, divenuto ormai simbolo dell’egemonia papale, e a san Procolo il quale, sebbene fosse molto popolare in città, era stato un militare e, quindi, indirettamente legato alla figura dell’odiato imperatore, all’epoca Federico Barbarossa.

    50. Le reliquie di san Petronio

    Cosa sappiamo di Petronio, l’uomo che da vescovo della città ne è diventato santo protettore? Non molto, in verità. Le poche testimonianze sulla sua esistenza sono una lettera in cui il vescovo Eucherio di Lione lo cita come esempio di persona che aveva abbandonato gli agi di un rango sociale elevato per seguire la vocazione sacerdotale, e un manoscritto in cui Gennadio da Marsiglia lo descrive come «un uomo di santa vita ed esercitato agli studi dei monaci fin dall’adolescenza». È lecito supporre che fu discepolo di sant’Ambrogio (fu ordinato vescovo a Milano) e che a Bologna succedette nel ruolo di vescovo a Felice. Il resto (il pellegrinaggio in Terrasanta, il consolidamento delle mura, la promozione degli studi universitari con seicento anni di anticipo sulla fondazione dello Studium) è agiografia redatta nel Medioevo.

    Le sue spoglie sono oggi conservate all’interno della seconda cappella a sinistra dell’ingresso della basilica a lui dedicata. C’è un aneddoto che riguarda il ritrovamento di queste reliquie. Avvenne nel 1141, quando l’allora vescovo della città, Enrico, fu costretto ad abbandonare il vescovado a causa di un incendio, per trasferirsi in Santo Stefano. Al ritorno in sede, Enrico annunciò di aver ritrovato le spoglie di san Petronio all’interno del complesso stefaniano.

    51. Il più antico organo d’Italia

    Sul lato destro dell’altare maggiore della basilica di San Petronio si eleva una tribuna realizzata dal Vignola, all’interno della quale è presente l’organo in cornu Epistulae, costruito tra il 1471 e il 1475 da Lorenzo di Giacomo da Prato. Si tratta dell’organo ancora funzionante più antico d’Italia, secondo al mondo soltanto all’organo della chiesa di Notre-Dame de Valère a Sion, in Svizzera, che risale al 1435. Quest’ultimo, tuttavia, non è completamente originale: alcune parti (tra cui la cassa e tre dei registri di canne) sono state sostituite nel xviii secolo.

    Dall’altro lato dell’altare della basilica bolognese è presente un altro organo in cornu Evangelii realizzato da Baldassarre Malamini nel 1596 e anch’esso tuttora funzionante.

    52. La meridiana più lunga del mondo

    Come già accennato in precedenza, la basilica di San Petronio fu concepita in concordanza con dei valori civili, nonostante il suo carattere religioso.

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