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Vittima senza nome
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E-book488 pagine6 ore

Vittima senza nome

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Info su questo ebook

Numero 1 del New York Times

Dall’autrice del bestseller La ragazza N°9

Un grande thriller

Un omicidio del passato. Un omicidio del presente. Una scia di sangue che li unisce…

Per trascorrere più tempo con i suoi figli, la detective Nikki Liska ha scelto di dedicarsi ai cosiddetti “cold case”, i casi del passato rimasti irrisolti. Al momento si sta occupando dell’omicidio di un poliziotto avvenuto venticinque anni fa, ma le manca l’adrenalina della sua vecchia vita e soprattutto le manca il suo partner, Sam Kovac. Sam, dal canto suo, è alle prese con un crimine scioccante. Una coppia di mezza età è stata fatta a pezzi all’interno della propria abitazione. L’arma con cui è stato commesso l’efferato crimine è una spada da samurai. I due coniugi trucidati sembra fossero delle persone assolutamente normali. Ma chi erano in realtà? E perché sono stati presi di mira? Le tracce di entrambi i casi sembrano condurre a una donna… Nikki Liska e Sam Kovac riusciranno a rintracciarla prima che sia troppo tardi? Una storia terrificante ad altissima tensione, con stratagemmi narrativi che disorientano il lettore in cerca della soluzione. La Hoag tesse una rete di emozionanti colpi di scena che tengono il lettore con il fiato sospeso fino all’ultima pagina.

Un’autrice numero 1 del New York Times
40 milioni di copie vendute nel mondo
Tradotta in 30 Paesi

«Tra i più intensi scrittori di thriller in circolazione.»
Chicago Tribune

«Grintoso, sinistro e cruento. Con una trama abilmente costruita.»
Sunday Mirror

«Le storie della Hoag sono perfette. Il lettore si trova sempre a fare il tifo per i suoi personaggi.»
Kirkus

«Tami Hoag è bravissima a controllare le trame e tenere alta la tensione in ogni pagina.»
Huffington Post

«Splendido… Tami Hoag non ha rivali. I colpi di scena mozzafiato si susseguono senza sosta in questo avvincente romanzo.»
Publishers Weekly
Tami Hoag
Vive in Florida ed è autrice di decine di bestseller. I suoi romanzi sono tradotti in più di trenta Paesi e hanno venduto 40 milioni di copie in tutto il mondo. Con la Newton Compton ha pubblicato La ragazza N°9, Indizio N°1 e Vittima senza nome.
LinguaItaliano
Data di uscita14 set 2016
ISBN9788854199217
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    Anteprima del libro

    Vittima senza nome - Tami Hoag

    1

    Novembre, Minneapolis, mn

    Venticinque anni prima

    Ted Duffy amava roteare l’accetta. Amava quel movimento – ritrarsi, tendere il corpo come se fosse una balestra e poi rilasciare la forza accumulata nei muscoli. Probabilmente ce ne metteva molta di più di quanto fosse necessario per portare a termine il lavoro. Non gli importava. Era il suo allenamento, la sua terapia, lo sfogo per tutte le emozioni tossiche che si accumulavano dentro di lui durante la settimana.

    Swish, crac! Swish, crac!

    In quel movimento c’era un ritmo che lo calmava e una violenza che lo soddisfaceva.

    Ogni giorno aveva a che fare con persone che avrebbe presto spedito all’inferno: la feccia della società, gli psicopatici e i depravati. Le cose che vedeva lui avrebbero fatto vomitare un cittadino ordinario e gli avrebbero fatto venire gli incubi. Lui viveva in una storia dell’orrore, combattendo una battaglia persa di cui non si vedeva la fine.

    Lavorava alla Crimini sessuali da sette anni ormai. I suoi sforzi iniziali per rimanere distaccato da quel marciume pian piano lo avevano distrutto. Il suo piano di fare un giretto in quell’unità e poi usarla come trampolino di lancio per una posizione più prestigiosa in un altro dipartimento, alla fine era andato in frantumi ed era imploso.

    Si sapeva che era dannatamente bravo in quel lavoro che lo risucchiava nei sudici bassifondi della depravazione umana. E più faceva quel lavoro, più diventava bravo. E più diventava bravo, più era difficile uscirne. Più era difficile uscirne, più si allargava la macchia sull’essenza stessa della sua anima. Più la macchia veniva assorbita, più riusciva a comprendere le menti dei predatori a cui dava la caccia. Più comprendeva, più il suo idealismo veniva intaccato e quel lerciume veniva assorbito dentro di lui, finché l’unica cosa che arrivò a riconoscere del suo io originale fu la faccia che vedeva nello specchio ogni mattina – e persino quella si stava corrodendo.

    Era sempre stato un tipo avvenente, con i lineamenti cesellati, la pelle liscia e una folta capigliatura corvina. Adesso il viso che ricambiava il suo sguardo mentre si faceva la barba era invecchiato due volte più velocemente e nella metà del tempo rispetto a quello del fratello gemello. Ogni giorno le rughe sembravano più profonde, gli occhi più spenti, i capelli più sottili e più grigi. Stava diventando qualcosa che si rifiutava di riconoscere, sia dentro che fuori.

    Per questo spaccava la legna sul ceppo di un olmo dietro casa sua.

    Swish, crac! Swish, crac!

    Viveva in un vecchio quartiere di case rivestite di assi di legno, tutte allineate, a due piani, con verande nella parte anteriore, che erano state per lo più chiuse per far fronte agli inverni brutali del Minnesota, e giardini separati da staccionate alte e segnate dalle intemperie. La parte posteriore della sua proprietà si affacciava su un parco ampio e di forma irregolare che circondava uno dei tanti laghi della città. Il parco gli dava l’illusione di vivere nei boschi.

    Mr Taglialegna, che vive nei boschi e rotea la sua accetta.

    Swish, crac! Swish, crac!

    Nonostante il tempo freddo e umido, stava sudando sotto i vari strati di vestiti che indossava: biancheria intima termica, una camicia di flanella, uno smanicato imbottito. Odiava quel periodo dell’anno. Ogni giornata era più breve della precedente. La notte iniziava a scendere durante il tardo pomeriggio. L’inverno poteva arrivare in qualsiasi momento e durare fino ad aprile. C’era stata una tempesta di ghiaccio a Halloween e una bufera di neve durante la Giornata dei Veterani, seguita da tre giorni di pioggia che avevano causato allagamenti nelle aree pianeggianti. L’occasionale giornata con uno splendido cielo blu elettrico e tenui e fugaci colori autunnali non riusciva a compensare i periodi di tetro grigiore o il freddo umido che entrava come un coltello fin dentro le ossa. Conficcava la lama tra le sue spalle mentre si asciugava l’umidità dalla faccia sulla manica della camicia e sollevava di nuovo l’accetta.

    Swish, crac!

    La temperatura diminuiva rapidamente. L’intermittente pioggia leggera che era caduta di tanto in tanto per tutto il pomeriggio stava cedendo il passo a una fitta neve che tagliava come piccole schegge di vetro, pungendogli le guance arrossate.

    Ogni inverno si lamentava del tempo del Minnesota e giurava di trasferirsi in Florida il giorno in cui sarebbe andato in pensione. Tuttavia, se si fosse trasferito in Florida, non avrebbe avuto più alcun motivo per spaccare la legna. Allora cosa avrebbe fatto per la sua sanità mentale?

    Come se avesse qualche possibilità di andarsene via di lì, poi, pensò, osservando la casa, dove si erano accese delle luci in cucina e in una delle camere da letto al piano di sopra. Tutta la sua famiglia viveva a Bloomington. La famiglia di Barbie la Rompipalle aveva messo radici nei quartieri meridionali. I ragazzi avevano tutti i cugini e gli amici lì.

    Forse sarebbe dovuto andare da solo. Forse tutti sarebbero stati più felici se lo avesse fatto.

    Sospirò e prese un altro pezzo di legno, lo adagiò in verticale sul ceppo, fece un passo indietro e roteò l’accetta.

    Mr Taglialegna. Mr Detective dell’Anno alla Crimini sessuali. Oratore nei congressi di tutto il Midwest. Esperto in materia di degradazione umana.

    Swish, crac! Swish, crac!

    Tentò di concentrarsi sul silenzio tra le piccole esplosioni dell’accetta che colpiva il legno. Inspirò aria fredda nei polmoni anneriti dal fumo. Il cuore gli batté troppo forte per lo sforzo. Gli vennero i crampi ai muscoli delle spalle. Sentiva che poteva venirgli un infarto da un momento all’altro.

    Barbie lo avrebbe resuscitato e lo avrebbe ucciso di nuovo a mani nude, furiosa di essere lasciata con i ragazzi, il mutuo e le tasse della scuola cattolica.

    Il loro matrimonio era come quello di tante altre coppie: una collaborazione di stipendi che non erano abbastanza sufficienti, l’intimità solo un ricordo, il futuro un’immagine proiettata all’estremità di un tapis roulant che correva troppo veloce.

    Tutto ciò che voleva era sempre più lontano.

    Erano più i giorni in cui ce l’avevano l’uno con l’altra che quelli in cui si sopportavano. Sua moglie aveva smesso di considerarlo un uomo. Era uno stipendio, un coinquilino, una rottura di palle. Lui aveva cercato conferma e consolazione altrove. Non erano difficili da trovare. Di conseguenza, non significavano niente. E la spirale della sua vita andava sempre più giù. Non gli piaceva ciò che era diventato il suo matrimonio. Non gli piaceva ciò che lui era diventato.

    Sua nonna lo aveva sempre messo in guardia dal purgatorio. La sala d’attesa dell’inferno, così lo chiamava. La sua vita era diventata un purgatorio.

    A volte si chiedeva se la morte potesse essere peggiore.

    Swish, crac! Swish, crac!

    Crac! Crac!

    Gli ultimi due suoni sembrarono venire da lontano, come un eco.

    Ted Duffy era morto ancor prima di domandarsi il perché.

    Il primo proiettile lo colpì tra le scapole mentre teneva alzata l’accetta sopra la testa. Frantumò ossa e perforò un polmone e lacerò un’arteria. Il secondo proiettile lo colpì alla testa, entrando sopra l’orecchio destro e uscendo sotto l’occhio sinistro.

    Cadde a faccia in giù sul terreno alla base del ceppo, con gli occhi aperti che, però, non vedevano più niente e il sangue che si accumulava sotto la guancia e gocciolava nella neve fresca.

    2

    Novembre, Minneapolis, mn

    Oggi

    «Duffy era un brav’uomo».

    «Non è un criterio valido per scegliere un caso irrisolto», affermò Nikki Liska.

    Gene Grider strizzò gli occhi. Aveva la faccia simile a quella di un bulldog e un alito non da meno. «Si può sapere che diamine hai? Hai bisogno di un Buscofen o cosa?».

    Lei storse il naso. «Da che epoca vieni, Grider? Si direbbe dal 1955».

    Grider era stato nella squadra Omicidi prima di lei, ma non così tanto tempo prima. Aveva lavorato per trent’anni, passando per la Omicidi, per la sezione Rapine e alla Crimini sessuali. Negli ultimi anni si era dedicato a iniziative comunitarie particolari – lavori per cui Nikki riteneva ci volesse più fascino di quello che Grider riusciva a mettere insieme nelle sue giornate migliori.

    «Sono passati venticinque anni da quando Duff è stato freddato», disse, sbattendo la mano sul tavolo. «Venticinque anni questo mese! È terribile che questo caso non sia mai stato risolto. È per questo che sono ritornato al lavoro dopo il pensionamento. Finalmente abbiamo un’unità dedicata ai casi irrisolti. Questo caso dovrebbe avere la priorità!».

    «Non è che non si sia lavorato al caso», disse Liska. «Lo hanno fatto fin dall’inizio».

    «Come attività secondaria, senza soldi», protestò Grider.

    Che era il modo in cui veniva trattata la maggior parte dei casi irrisolti in tutto il Paese – in maniera frammentaria, se mai ci si lavorava. Le unità dedicate ai casi irrisolti erano molto più comuni in televisione che nella realtà. Nel mondo reale, i dipartimenti di polizia andavano avanti usando i soldi dei contribuenti, fondi che erano continuamente ridotti all’osso. Tutti i detective della Omicidi avevano i propri vecchi casi irrisolti ai quali continuavano pian piano a lavorare, quando potevano, e che lasciavano in eredità ad altri detective quando venivano trasferiti o andavano in pensione. Tutto considerato, c’era da stupirsi che qualche caso venisse risolto.

    «Come è successo con tutti gli altri casi», gli fece notare Nikki.

    Aveva passato gli ultimi due mesi esaminando, un po’ alla cieca, crimini irrisolti risalenti alla metà degli anni Settanta. Dei duecento casi che aveva valutato, ne aveva scelti sessantasette per un ultimo controllo. Grider ne aveva controllati altri duecento e ne aveva scelti cinquantanove. Avevano ridotto la lista a cento e ora dovevano stabilire il grado di priorità. Sarebbe già stata una fortuna se la sovvenzione federale usata per metter su l’unità fosse bastata per la metà dei casi della loro breve lista.

    «Non è la stessa cosa», sbottò Grider. «Duff era uno di noi. Dove cavolo sta la tua lealtà?»

    «Non si tratta di lealtà», disse Nikki. «Non importa che Duffy fosse un poliziotto…».

    «È bello sapere cosa pensi dei tuoi colleghi», disse Grider in tono di scherno.

    «Oh, scendi dal piedistallo», sbottò lei. «È questione di risolvibilità. Abbiamo un budget limitato. Dobbiamo seguire dei casi che abbiano almeno una remota possibilità di essere chiusi. C’è un motivo se non sei riuscito a risolvere il caso di Duffy in venticinque anni: non c’è un cazzo su cui lavorare. Gli hanno sparato da lontano. Non c’erano testimoni, né impronte, né dna, né alcuna prova di un qualche valore», disse elencando i vari punti con le dita.

    «Dovremmo spendere soldi e ore di lavoro per tornare su un omicidio che probabilmente non sarà mai risolto?», chiese lei. «Quale caso non dovrebbe essere scelto perché noi stiamo dando la priorità a un crimine irrisolvibile? Gli stupri seriali del 1997? L’omicidio del bambino nel 1985? La morte di un padre di sei bambini, investito senza essere poi soccorso? Quale escludiamo? Tutti questi casi hanno prove che possono essere riesaminate con tecnologie migliori e sono tutti potenzialmente risolvibili».

    Il nuovo tenente della Omicidi, Joan Mascherino, spostò lo sguardo da Liska a Grider e viceversa come un impassibile arbitro di tennis.

    Era una donna curata e rispettabile, con capelli castano ramato acconciati in maniera curata e rispettabile. Molto raffinata nel suo completo classico grigio abbinato a orecchini di perle, aveva la stessa statura di Liska – bassa. Spiriti affini nel mondo dei bassi – o almeno così sperava Nikki.

    Nikki aveva imparato già da tempo a sfruttare qualsiasi vantaggio riuscisse a ottenere in quella professione ancora dominata dagli uomini. Ovviamente non si sarebbe abbassata a giocare la carta le-ragazze-devono-rimanere-unite, quando poteva ottenere lo stesso risultato con l’astuzia. Tuttavia, Joan Mascherino non doveva essere una preda facile, per essere lì dove era arrivata. Ora cinquantenne, aveva iniziato quel lavoro quando la discriminazione verso le donne era uno stile di vita ed era riuscita comunque a fare carriera, diventando tenente. Dirigere la Omicidi era solo un altro fiore all’occhiello nel suo percorso verso traguardi più importanti. Si diceva che sarebbe andata ai piani alti a socializzare con i vicecapi in un futuro non molto lontano.

    L’ultimo responsabile della Omicidi, Kasselmann, aveva usato la risoluzione degli assassinii di Doc Holiday come trampolino per ottenere la carica di vicecapo dell’ufficio Investigazioni – come se avesse avuto a che fare con la risoluzione dei crimini del serial killer: si era semplicemente trovato in quell’ufficio all’epoca.

    Mascherino era stata trasferita dagli Affari interni giusto in tempo per vedersi affidare l’ambito incarico di mettere insieme l’unità Casi irrisolti che, almeno all’inizio, avrebbe mantenuto un alto profilo e l’avrebbe messa sotto i riflettori dei media.

    Gene Grider, andato in pensione per diciotto mesi, era tornato per unirsi a quell’unità, offrendosi di lavorare part-time, cosa che lo rese molto appetibile per i contabili che cercavano di spremere ogni centesimo dalla sovvenzione. Ma questo aumentò anche la pensione di Grider e gli permise di portarsi dietro il suo programma.

    Il suo programma era Ted Duffy.

    Funzionava così la catena alimentare nelle forze dell’ordine.

    Anche Nikki aveva un proprio programma. Aveva sfruttato il suo ruolo nella chiusura dei casi di Doc Holiday per farsi raccomandare da Kasselmann per quell’unità. Quando nella Omicidi c’era un caso, non era inusuale lavorare per ventiquattro ore o più, senza sosta. Nella Casi Irrisolti non c’era urgenza: gli orari erano regolari e le concedevano più tempo con i figli.

    Aveva passato la maggior parte dell’ultimo decennio nella Omicidi. Quella squadra era la sua casa lontano da casa, la sua famiglia lontano dalla famiglia. Amava il lavoro, ed era molto brava. Ma R.J. e Kyle, di quattordici e sedici anni, stavano diventando adulti, lottando contro le difficoltà dell’adolescenza mentre passavano dalla giovinezza all’indipendenza e alla maturità. Avevano bisogno di un adulto disponibile come lei. Dio solo sapeva che il padre non era adatto a quel compito.

    Al culmine della caccia a Doc Holiday, Nikki si era resa conto di non sapere abbastanza di quanto succedeva nella vita del figlio maggiore, Kyle. Le vite degli adolescenti erano molto più complicate ora di quando lei era piccola. I suoi figli si sarebbero potuti perdere così facilmente mentre lei guardava altrove – perdere sia letteralmente che metaforicamente. Non importava quanto amasse il suo lavoro: amava i suoi figli un milione di volte di più.

    La notizia di una sovvenzione per un’unità dedicata ai casi irrisolti aveva iniziato a circolare al momento giusto. Avrebbe indagato ancora su degli omicidi, ma senza l’urgenza e i lunghi orari di un caso nuovo. Le sfide sarebbero state diverse, ma avrebbe ancora lottato per una vittima.

    Solo che, al momento, stava lottando contro una vittima. Un altro detective, nientemeno.

    «Se l’omicidio di Ted Duffy non è in programma, mi tiro fuori», minacciò Grider.

    Come se fosse una specie di superpoliziotto. Come se fosse Michael Jordan uscito dal pensionamento per salvare i Chicago Bulls o roba del genere.

    «E tutti i poliziotti di Minneapolis ne saranno indignati», continuò Grider, guardando duramente Liska. «Eccetto questo qui», brontolò, e poi volse di nuovo l’attenzione alle persone che voleva influenzare. «Negli archivi, quello di Duffy è l’unico omicidio irrisolto riguardante un poliziotto. È una macchia per il dipartimento. E credo che ora – specialmente ora – significherebbe qualcosa».

    Liska si mise a sedere più dritta, incredula. «È una minaccia? È questo che stai tentando di infilare così astutamente in questa filippica? Farai fuoco sui tuoi compagni se non ti lasceranno fare come vuoi?».

    Grider scrollò le spalle. «Dico solo che la gente ha già i nervi a fior di pelle».

    «Sei uno stronzo prepotente».

    Il tenente Mascherino lanciò a Nikki un’occhiata di disapprovazione. «Possiamo fare a meno di quei termini, sergente».

    Nikki si morse la lingua. Perfetto. Parlava come uno scaricatore di porto in vacanza e aveva una maestrina per tenente.

    Si sedettero a un tavolo rotondo bianco di melammina in una sala operativa requisita alla Omicidi. Si supponeva che i tavoli rotondi incoraggiassero sentimenti di uguaglianza e cooperazione, almeno secondo quanto diceva l’esperto di psicologia industriale e organizzativa per cui il dipartimento aveva buttato i soldi dei contribuenti durante l’ultima ristrutturazione degli uffici. Quello stesso esperto aveva raccomandato di pitturare di colore malva le pareti dell’ufficio e aveva detto che bisognava rimuovere i morsetti dai muri e dai pavimenti delle stanze degli interrogatori, così non avrebbero saputo dove ammanettare i criminali violenti in caso di necessità, perché la minaccia di un controllo fisico sarebbe stata probabilmente ritenuta intimidatoria.

    Nikki ricordava ancora lo sguardo di Kovac, il suo collega, mentre ascoltavano la presentazione. Nessuno aveva stampato in faccia un Mi stai prendendo per il culo? migliore di quello di Kovac.

    Qualche settimana dopo, un sospettato aveva divelto un’inutile mensola decorativa dal muro di una stanza per gli interrogatori e aveva colpito Kovac in testa: aveva ancora una piccola cicatrice. Nikki aveva colpito il sospettato alle gambe con il manganello tattico prima che potesse fare di peggio. Grazie a Dio Kovac aveva la testa dura come il marmo.

    Mascherino scambiò un’occhiata con Chris Logan, viceprocuratore distrettuale. Logan era un uomo grosso, attraente nel costoso completo, alto e atletico, con folti capelli di un nero irlandese, striati di grigio. Sulla cinquantina. Sfacciato. Aggressivo. Intimidatorio nell’aula di tribunale o in una conversazione.

    Logan era presente a quell’incontro per approvare i casi che pensava potessero essere risolti con successo. Il caso Duffy non gli offriva niente in cui affondare i denti come pubblico ministero. Lui avrebbe voluto testimoni, prove, indagini della Scientifica – o almeno un possibile sospetto in quella fase del gioco. Eppure, non si intromise per liquidare il discorso di Grider.

    Logan sicuramente era a conoscenza delle tensioni contrattuali tra la città e il sindacato della polizia, recentemente inasprite dalle minacce del sindaco di tagli consistenti al budget e di licenziamenti. Ma, se anche tutto ciò lo riguardava, non lo dava a vedere: doveva essere un grande giocatore di poker.

    Si accarezzò la mascella mentre soppesava i pro e i contro.

    «Glielo dobbiamo, a Duffy», insistette Grider. «Abbiamo solo bisogno che qualcuno parli. È tutto ciò di cui abbiamo bisogno per chiudere un caso come questo».

    «Dopo venticinque anni, perché qualcuno dovrebbe parlare?», chiese Nikki.

    «Forse perché hanno una coscienza», disse Grider, «o hanno trovato Gesù o perché ora odiano la persona che proteggevano allora».

    Tuttavia, nessuna di quelle opzioni sembrava probabile e, anche se qualcuno avesse parlato, non ci sarebbe stata ancora alcuna prova materiale. Non potevano presentarsi a un processo solo con dicerie o testimonianze complici non avvalorate. Nikki sospirò.

    Il caso irrisolto che lei aveva scelto come candidato numero uno era lo stupro e omicidio di una giovane madre avvenuto nel 2001. C’erano due validi sospetti. Avevano solo bisogno di qualche altro pezzo del puzzle e di un po’ di fortuna per risolvere il caso. La madre della vittima si era già messa in contatto con lei per fare pressione per conto della figlia.

    «Hai letto tutto il fascicolo sull’omicidio Duffy?», le chiese Logan.

    «Abbastanza per sapere che non c’è…».

    «Quindi è un no», disse lui. «Forse dovresti darci un’occhiata più approfondita».

    «Ho letto personalmente altri sessantasette casi molto più promettenti».

    Logan non batté ciglio.

    «Interrogare di nuovo amici, famiglia, colleghi. Rivedere il fascicolo a mente fresca», disse lui. «Non serve molto tempo. Qualche giorno, una settimana al massimo. Se non salta fuori niente, almeno gli avremo dato una possibilità».

    «È un buon caso per i media», disse Grider, rendendo il tutto più allettante. «Il venticinquesimo anniversario dell’omicidio di uno dei migliori della città. La copertura mediatica potrebbe far smuovere qualcosa».

    E non c’era niente che piacesse di più di un po’ di pubblicità gratuita a un pubblico ministero politicamente ambizioso. Non era un segreto che l’attuale procuratore distrettuale stesse pensando di candidarsi al Senato degli Stati Uniti. Tutti supponevano che Logan sarebbe stato il prossimo pezzo grosso a subentrare nella Contea di Hennepin. Se avesse deciso di perorare il caso Duffy, avrebbe potuto avere quell’iniziale esposizione mediatica che sarebbe seguita alla presentazione della nuova unità e, allo stesso tempo, avrebbe potuto ingraziarsi il sindacato della polizia. Due piccioni con una fava. Agli occhi dei poliziotti sarebbe stato un eroe per aver riaperto il caso e, quando i media si sarebbero interessati ad altre notizie, se anche l’omicidio non fosse stato risolto, la colpa sarebbe andata agli investigatori. Nessun danno per Logan.

    Nikki si accomodò sulla sedia, incrociando le braccia sul petto: non avrebbe ammesso la sconfitta, ma avrebbe dovuto accettarla. Bene. Che Grider avesse pure il suo caso. Si sarebbe tolto dai piedi mentre lei si dedicava alla giovane madre morta.

    Diversamente dalla Omicidi, dove i detective lavoravano insieme e avevano più casi contemporaneamente, nella Casi Irrisolti ognuno di loro avrebbe seguito un caso per volta, finché non fosse stato risolto o tutte le speranze non si fossero esaurite, e poi sarebbero passati a quello successivo.

    Logan tamburellò con le dita sul tavolo e diede l’assenso decisivo. «Facciamolo. Sarà il nostro pezzo forte».

    Mascherino si alzò e andò alla lunga lavagna bianca sulla parete dietro di lei. «Bene. Iniziamo con l’omicidio di Ted Duffy».

    Scelse un pennarello e scrisse il nome di Duffy in cima alla lavagna, in un corsivo ordinato. Grider guardò Nikki sorridendo come uno squalo. Lei spostò lo sguardo da lui al terzo membro della loro squadra, Candra Seley, che fece spallucce e allargò le braccia, mimando con le labbra la sua opinione: È un tale stronzo!

    Seley, in prestito dal reparto Affari e tecnologia, avrebbe soprattutto controllato le prove, esaminato e rielaborato i risultati dei test, fatto dei controlli su testimoni e sospetti, compilato le liste dei testimoni e costruito la cronologia degli eventi. Liska e Grider sarebbero scesi direttamente in campo.

    Grider si alzò, lisciandosi la cravatta sopra la pancia sporgente. «Procedo subito».

    «No», disse con calma Mascherino. «Il caso Duffy va a Liska».

    «Cosa?!», sbottarono Liska e Grider all’unisono.

    «È il mio caso!», protestò Grider con la faccia che diventava rossa.

    «C’è bisogno di una persona nuova», disse in modo fermo il tenente. «È questa la ragione di un’unità dedicata ai casi irrisolti: fare una nuova interpretazione di un vecchio crimine. Sono sicura che il sergente Liska apprezzerà i tuoi suggerimenti quando te li chiederà, ma questo caso è suo ora».

    «Ma so tutto su questo caso! Io conosco queste persone!».

    «Proprio per questo. Voglio qualcuno che non conosca nessuna delle persone coinvolte. Qualcuno che non abbia idee preconcette. È la sola possibilità che abbiamo per risolvere un caso così vecchio».

    Grider camminò su e giù dietro il tavolo. Nikki lo sentiva inspirare ed espirare come se avesse corso un centinaio di metri.

    «Lei non pensa neanche che valga la pena studiare il caso!», urlò lui indicando Nikki, additandola come se fosse una strega.

    «Non credo che meriti la priorità», lo corresse Nikki, spingendo indietro la sedia e alzandosi: lui era ancora più alto di lei di quindici centimetri.

    «Hai detto che era irrisolvibile».

    «Be’, in venticinque anni non hai certo dimostrato che ho torto».

    «Quindi non importa se non lo risolvi neanche tu», disse Grider con tono sarcastico. «Hai già la scusa pronta».

    Nikki sentiva che la testa stava per scoppiarle. Furiosa, gli si avvicinò con le mani sui fianchi. «Stai forse insinuando che non farò il mio lavoro? Pensi che io sia un cattivo poliziotto? Vaffanculo, Grider! Non ho avuto certo la strada spianata. Mi sono fatta il mazzo per arrivare dove sono. Posso dimostrare di essere migliore di te in qualsiasi momento grazie ai miei risultati nella Omicidi. Io non ho casi irrisolti vecchi di secoli con il mio nome sopra».

    Grider guardò il tenente. «Come dovrei lavorare con lei?»

    «Non devi», disse Mascherino. «Hai il tuo caso. Prendi la tua seconda scelta e dacci dentro. Nikki, Candra sarà a tua completa disposizione, per qualunque cosa tu abbia bisogno».

    Logan si stiracchiò sulla sedia, guardando Nikki. «Conferenza stampa alle cinque al centro amministrativo».

    «Oggi?». Diede un’occhiata all’orologio: erano quasi le quattro.

    «Hai tutto il tempo per incipriarti il naso e mettere il rossetto», disse Logan, facendo lo spiritoso.

    «Parla per te», sbottò Nikki, raccogliendo gli appunti sul tavolo. «Ho un caso da risolvere».

    3

    «Quel ragazzo è una femminuccia», disse Sam Kovac. «La prima cosa che ha fatto quando l’ho messo dentro è stata vomitare sul pavimento».

    Si sedette alla scrivania osservando la diretta dalla stanza degli interrogatori sul computer. Il nuovo tirocinante – si rifiutava di usare la parola collega – si trovava in fondo al corridoio, tentando di cavare delle informazioni a Ronnie Stack. Stack – trentaquattro anni, drogato, tutt’ossa, pallido – era un tipo nervoso e tormentato: furtivo, con le sottili labbra tremanti, gli occhi piccoli che guizzavano da un capo all’altro della stanza e mani che sfregava come se lavasse continuamente qualcosa.

    «È strafatto?», chiese Tippen, guardando al di sopra della spalla di Kovac come un avvoltoio. Gli somigliava anche: alto e scarno, con una postura sempre cadente, il naso a becco e scuri occhi taglienti. Era un detective quasi da quanto lo era Kovac, il che li rendeva vecchi quanto il cucco.

    «No, ma sono sicuro che vorrebbe esserlo».

    Questo, Kovac lo sperava, avrebbe fatto pendere la bilancia in loro favore. Stack voleva uscire da quella stanza – forse lo desiderava abbastanza per dare loro quello che volevano: informazioni sull’omicidio di uno spacciatore noto come BB. Stack era un noto collaboratore di BB e, a quanto si diceva, era stato con lo spacciatore poco prima che qualcuno gli piantasse un coltello in gola e lo facesse annegare nel suo stesso sangue. Stack non era in arresto, si trattava di un interrogatorio non detentivo: era libero di alzarsi e andarsene in qualsiasi momento. Kovac si stupiva di quante poche persone esercitassero quel diritto. Sembravano pensare che quell’opzione fosse un trabocchetto.

    «Come va con il ragazzo?», chiese Tippen, andandosi a sedere sull’altra sedia nella stanzetta.

    Il ragazzo, Michael Taylor, detective di omicidi alle prime armi, era il terzo tirocinante di Kovac in altrettanti mesi. Degli altri due, uno era tornato al vecchio lavoro alla Crimini sessuali, l’altro si era trasferito per un’improvvisa opportunità nel reparto Affari e tecnologia. Nessuno dei due era tagliato per la Omicidi, secondo Kovac – opinione che aveva espresso senza mezzi termini.

    In sintesi: non voleva un nuovo collega. Era troppo vecchio e scontroso per addestrarne un altro. Lui e Liska erano stati colleghi per così tanto tempo che si trovavano bene insieme, i loro stili si erano armonizzati; avevano imparato a tollerare le fastidiose abitudini l’uno dell’altro. Erano come una vecchia coppia sposata che non faceva mai sesso. Rivoleva indietro tutto quello. Invece, doveva prendersi quel ragazzo e tentare di trasformarlo in qualcosa con cui poteva convivere.

    Taylor prometteva abbastanza bene, ammetteva Kovac con riluttanza. Era stato un soldato dell’esercito. Dopo due mandati in Iraq aveva rinunciato all’esercito ed era tornato a casa a Minneapolis. Era entrato nelle forze dell’ordine e si era impegnato per diventare un detective, facendo velocemente carriera. Era arrivato alla Omicidi dalla Crimini speciali per ampliare il suo curriculum prima di lanciarsi verso altri successi. O almeno era ciò che credeva Kovac. Il ragazzo era troppo attraente e scaltro per attardarsi nelle trincee con i soldati semplici. Aveva Grandi cose stampato in fronte. Kovac era seccato dalla sua assoluta perfezione.

    Alla domanda di Tippen rispose con un’alzata di spalle. «Vedremo».

    Alzò il volume delle casse. Taylor sedeva rilassato, come se potesse star lì seduto per i due o tre giorni seguenti. Le maniche della camicia erano arrotolate perfettamente fino a metà avambraccio. Anche a quell’ora tarda la sua camicia sembrava ancora inamidata di fresco, fatta su misura per mettere in mostra le spalle larghe e la vita snella.

    «Meno male che Liska si è trasferita», disse Tippen. «Sarebbe stata addosso a Taylor come la puzza su un caprone».

    Tippen somigliava a un caprone, pensò Kovac, con quel viso scialbo e il pizzetto e i baffi che portava negli ultimi mesi. Il suo look vintage stile beat generation. Diceva che funzionava sulle pollastrelle del bar.

    «È un bel figo», continuò Tippen. «Se fossi una donna me lo farei».

    Kovac fece una faccia afflitta. «Gesù, non mettermi ’ste cose in testa!».

    «Taylor è troppo giovane per Trilly», annunciò Elwood Knutson, raggiungendoli nell’angusta stanzetta grigia e occupando tutto lo spazio rimanente. Aveva la corporatura di un orso di un cartone Disney e una pelliccia simile.

    «Non dirlo a Trilly», consigliò Kovac. «Ti caverebbe gli occhi e te li farebbe mangiare».

    «Era giusto un’osservazione», mormorò Elwood, accovacciandosi più vicino allo schermo. «Non è una tardona».

    «Comunque, lui non è così giovane», borbottò Kovac. Il ragazzo lo faceva sentire un dinosauro. «Ha trentaquattro anni».

    «E tu quanti ne hai, Sam?»

    «Abbastanza per ricordare i telefoni a disco. Ho scarpe più vecchie di questo ragazzo», confessò. «E anche un paio di cravatte».

    Tornò a concentrarsi sullo schermo del computer.

    «Sai», stava dicendo Taylor a Stack, «non stiamo facendo i progressi che speravamo, Ronnie. Sembravi così impaziente di collaborare, ma non mi stai dicendo niente che io non sappia già».

    «Forse non ne so più di te», disse Stack, togliendosi i biondi capelli flosci dal viso.

    Taylor scosse la testa. «Non credo di averti sopravvalutato. Penso che tu ci voglia aiutare a capire», disse. «BB era amico tuo, dopotutto».

    Gli occhi di Stack guizzarono da una parte all’altra. «Non era proprio un amico. Cioè, lo conoscevo ma…».

    Taylor si piegò un po’ in avanti. Stack si tirò indietro.

    «Bene, ecco qua, cerchi di prendere le distanze quando abbiamo dei testimoni che dicono che stavi con BB poco prima della sua morte», continuò Taylor. «Ora mi dici improvvisamente che forse tu e BB non eravate così tanto amici, dopotutto, mentre so che sei stato a casa sua. Sai a cosa mi fa pensare questo, Ronnie».

    Stack si mise a mangiucchiare una pellicina rannicchiandosi su se stesso, trasformandosi in una virgola umana all’altro lato del tavolo, cercando di farsi piccolo piccolo, come se pensasse di poter diventare così minuscolo che Taylor lo avrebbe ritenuto fisicamente insignificante e lo avrebbe fatto sparire.

    «Mi fa pensare che forse dovremmo considerarti un sospettato e non un possibile testimone». La voce di Taylor era calma e piatta, realistica. «Dovremmo considerarti un sospettato, Ronnie?»

    «N-no». La femminuccia si strofinò il braccio sulla fronte. «Fa molto caldo qui. Non ha caldo?»

    «Io? No. Ho passato due anni in Iraq a lottare per la tua libertà nel nono cerchio dell’inferno. So cos’è il caldo. Non fa caldo qui. Insomma, c’è il ventilatore e tutto il resto».

    Non avendo un’altra stanza per gli interrogatori libera, avevano fatto venire un addetto a pulire il vomito di Stack sul pavimento, e poi avevano portato un piccolo ventilatore da scrivania per far asciugare la moquette umida e far sparire l’odore di vomito e detergenti.

    «Avevi qualche problema con BB, Ronnie?»

    «No!».

    «Lui aveva qualche problema con te? Magari gli avevi rotto i coglioni. Magari ti aveva beccato a rubare».

    «No!», protestò Stack con troppo fervore. Come un uomo colpevole. «Non sono così. Sono una brava persona. Farei di tutto per chiunque. Mi venderei anche la camicia», disse strattonando il colletto della felpa verde oliva sporca di vomito. Con quel colore sembrava avere qualche malattia al fegato – o forse aveva una malattia al fegato. Dannato tossico.

    «Vengo sempre accusato per della roba che non ho fatto!», piagnucolò.

    «Non è forse vero che hai vissuto a scrocco da BB per un bel po’?», chiese Taylor con quella voce calma e piatta che era più snervante di uno strillo. «Dormivi sul suo divano, mangiando il suo cibo e approfittando della sua gentilezza».

    «Non è che non lo aiutassi», disse Stack indignato. «Gli guardavo il cane mentre era fuori città».

    «Gli guardavi il cane mentre dormivi sul suo divano, fumavi la sua erba, mangiavi il suo cibo e ti servivi della sua metanfetamina».

    «Mi doveva qualcosa per tutto quello che ho fatto».

    «Ti sentivi autorizzato», disse Taylor annuendo.

    «Ho fatto di tutto per lui», sostenne Stack.

    «Tipo vendere la sua erba e metterti in tasca i soldi? Che ne pensava di questo?»

    «Non l’ho mai fatto! Mi avrebbe ammazzato!».

    «Quindi l’hai fatto solo mentre lui era fuori città e badavi al suo cane?», chiese Taylor. «Perché eri autorizzato».

    Stack si agitò sulla sedia. «No! Gliel’ho detto. BB mi avrebbe ammazzato».

    «Magari l’hai colpito tu, allora».

    «Ho troppo caldo», disse Stack strattonando di nuovo il colletto della felpa.

    «È solo il nervosismo», continuò Taylor. «Insomma, stai qui seduto con un detective della Omicidi che ti sta dicendo che potresti essere sospettato della morte del tuo amico. Magari sto cercando di immaginarti mentre pianti il coltello nel collo di BB, gli spingi la lama giù per la gola, ascoltandolo farfugliare mentre annega nel suo stesso sangue. Gran bel modo di andarsene, buttando giù tutto quel sangue a grandi sorsi».

    Stack si dimenò sulla sedia. Sembrava che stesse per vomitare di nuovo. Taylor si alzò, lisciandosi la cravatta con una mano.

    «Al posto tuo, sarei nervoso anch’io, Ronnie», disse. «Hai già un paio di retate antidroga nel tuo fascicolo. BB era uno spacciatore. La maggior parte delle persone non ci metterà molto a distorcere la storia per farla quadrare. Capisci che intendo? Mi assicurerò che la giuria non si interessi alle storie strappalacrime del povero, povero Ronnie».

    «Vaffanculo!», sputò Stack.

    Taylor ignorò l’insulto. Non aveva cambiato il tono o il volume della voce dall’inizio dell’interrogatorio. Dannatamente notevole, pensò Kovac, sebbene neanche tutto l’oro del mondo l’avrebbe fatto confessare.

    «Sai che ti dico, Ronnie», disse Taylor, «vado un attimo fuori a parlare con il detective Kovac. Ti avverto già da adesso: lui vuole trattenerti. Non è paziente come me. Mentre sono fuori, schiarisciti un po’ le idee, altrimenti Kovac ti piomberà addosso come il martello di Thor. Fidati, non ti piacerebbe».

    «Chi è Thor?», chiese stupidamente Stack. «Oh, quello del film?».

    Taylor lo guardò e poi lasciò la stanza.

    «Ben fatto, ragazzo», disse Tippen impressionato.

    «Mi piace il suo stile», concordò Elwood.

    Kovac ringhiò un po’, come se non fosse ancora convinto.

    Appena Taylor fu uscito dalla stanza dell’interrogatorio, Stack si alzò e iniziò a camminare avanti e indietro, tenendosi lo stomaco e chinandosi un po’.

    «Oh, cavolo. Oh, cavolo», mormorò.

    «Non lo so», disse Taylor raggiungendo la piccola folla nella stanzetta. «Siamo lì già da due ore e non ci ha dato ancora nessuna informazione utile».

    «Tranne che ora sembra più un sospettato che un testimone», disse Elwood. «Ben fatto».

    Taylor scrollò le spalle: erano dannatamente grosse. Impossibile che non si facesse fare le camicie su misura.

    «Ronnie Stack non ha accoltellato uno spacciatore – non lui in persona», disse. «Non ha le palle per uccidere qualcuno».

    «No, ma direi che ci sono buone probabilità che sappia chi è stato», disse Kovac. «Torneremo dentro insieme. Se sa qualcosa, ce lo dirà».

    «Possiamo aspettare un paio di minuti?», chiese Taylor mentre Sam si alzava. «L’odore in quella stanza mi sta nauseando. Penso che il tipo si sia mangiato un cavolo intero per pranzo. Comunque non so quanto possiamo spremerlo ancora, prima che usi la parolina magica».

    «Dipende da cosa intendi», disse Elwood indicando lo schermo del computer. «Penso che stia per spremere qualcosa».

    Kovac riportò

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