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Identità segrete: Harmony History
Identità segrete: Harmony History
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E-book234 pagine3 ore

Identità segrete: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1815
Per sottrarsi agli egoistici disegni matrimoniali di una madre che non l'ha mai amata, Sophia Somerlock tenta la fuga prima in carrozza e poi a piedi nella foresta. Tratta in salvo da Fell Barden, il fabbro del paese, mente sulla propria identità. Solo quando gli scagnozzi inviati dal suo promesso sposo arrivano a cercarla, decide di dire la verità all'uomo che l'ha salvata e di cui sente di potersi fidare. Fell ha sempre desiderato una famiglia, ma non è mai riuscito a coronare il suo sogno. Proponendosi a Sophia potrebbe finalmente ottenere ciò che vuole e allo stesso tempo garantire l'incolumità della giovane donna di cui si sta innamorando. Il matrimonio viene celebrato e la passione tra i due esplode, fino a quando il pericolo non bussa alla loro porta, costringendo anche Fell a rivelare a tutti chi sia veramente...
LinguaItaliano
Data di uscita19 giu 2020
ISBN9788830516373
Identità segrete: Harmony History

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    Anteprima del libro

    Identità segrete - Joanna Johnson

    successivo.

    1

    L'istante in cui a Sophia Somerlock venne annunciato il nome dell'uomo che avrebbe dovuto sposare fu lo stesso in cui comprese, senz'alcuna esitazione, di non avere altra scelta. Sarebbe fuggita.

    Raggomitolata in un angolo della carrozza che ondeggiava, Sophia scostò la tendina di velluto che copriva il finestrino e guardò fuori, cercando di distrarsi dal terrore che le serrava lo stomaco. Non vedeva altro che alberi spettrali, appena illuminati dal chiaro di luna che filtrava a stento sotto la volta fitta dei rami. Il bosco di Savernake si estendeva ai due lati della strada dissestata che portava a Marlborough. Il silenzio di quella notte d'estate era interrotto solo dal cigolio delle ruote e dallo scalpitio dei cavalli. Un'altra occhiata le rivelò la sagoma di un gufo, che scomparve nell'oscurità, lasciando solo il riflesso del suo viso pallido che la scrutava dal vetro.

    La mamma sarà fuori di sé dalla collera, quando si accorgerà che sono scappata. Stento ancora a credere di averne avuto il coraggio.

    Quanti vasi avrebbe spaccato, sua madre, per la rabbia, ora che era stata privata del bersaglio abituale della sua ira? In fondo l'unico scopo dell'esistenza di Sophia era quello di sopportare il suo pessimo carattere, oltre a quello di venir venduta al suo futuro marito per un matrimonio proficuo da cui avrebbero tratto vantaggio tutti, tranne lei. Era il solo motivo per cui sua madre non l'aveva mandata in convento, dopo la morte del padre. Le era stato ripetuto quasi tutti i giorni fin da quando aveva sei anni, ma ora che era fuggita dal futuro a cui era destinata, il pensiero della collera di sua madre faceva gelare il sangue a Sophia. Finché il padre era stato in vita, la madre gli aveva nascosto i lati peggiori della sua crudeltà, evitando di maltrattare in sua presenza la figlia vivace che non aveva mai voluto, e con cui aveva dovuto dividere l'affetto del marito; ma dopo la sua morte Sophia non aveva trascorso un solo giorno senza paura e sensi di colpa, e il suo spirito esuberante era stato schiacciato sotto il tacco dello stivaletto materno.

    Quasi sola nella carrozza, Sophia infilò nella cuffietta sottratta alla cameriera una ciocca ramata che era sfuggita. Il signore anziano seduto di fronte a lei sembrava profondamente addormentato, ma non voleva rischiare di fargli vedere la sua chioma fiammante. Aveva i capelli lunghi, folti e tanto lisci che era impossibile arricciarli, con grande irritazione di sua madre, come se Sophia avesse i capelli lisci appositamente per indispettirla. Era l'unica caratteristica che aveva ereditato dal suo vero padre, l'ultimo legame tra loro che sua madre non aveva mai potuto troncare. Lord Thruxton insisteva perché lei lo chiamasse padre, avendo sposato sua madre cinque anni addietro, il giorno prima del diciassettesimo compleanno di Sophia; ma nessuno avrebbe mai potuto sostituire l'uomo bello e buono che aveva amato, e che aveva ricambiato il suo amore, fino al giorno fatale in cui la sua stupidità l'aveva ucciso. Sarebbe sempre stata una Somerlock, in cuor suo, anche se veniva presentata come Miss Sophia Thruxton. Il nome di suo padre sarebbe vissuto in lei per sempre, non sarebbe mai diventata veramente una Thruxton, né per matrimonio né per forza.

    Sophia strinse forte le mani, sforzandosi di non pensare alla magione che si era lasciata alle spalle. Fenwick Manor le era sembrata una prigione dorata, in cui non aveva trovato una sola faccia amica. Sua madre la detestava, e Lord Thruxton era freddamente indifferente alla sua presenza, e si rianimava solo quando veniva a trovarlo il caro Septimus, il suo beneamato nipote ed erede, il marito più terrificante a cui Sophia avrebbe mai potuto pensare.

    Era il segreto meno segreto della società del Wiltshire che Jayne Thruxton era stata dichiarata pazza dopo due anni di matrimonio, pensò Sophia con un brivido mentre la carrozza la portava sempre più lontana dal destino da cui era fuggita. Tutti compativano Septimus e la sua sfortuna per aver preso in moglie una donna folle, ma dai discorsi sottovoce che aveva sentito tra sua madre e il patrigno, Sophia sapeva che non era così. Jayne le era parsa una persona con la testa sulle spalle finché non era stata tormentata quasi a morte dalla cattiveria e dalla brutalità del suo affascinante marito, una sfaccettatura della sua personalità che le era stata nascosta finché non era stato troppo tardi. Se era entrata di sua volontà in manicomio, era perché Septimus l'aveva fatta uscire di senno, o perché vivere relegata le era parsa una prospettiva migliore che continuare a essere sua moglie. Sophia non avrebbe voluto trovarsi al suo posto, e quella cruda verità le aveva dato il coraggio di travestirsi con gli abiti di una serva e sparire nella notte; un'azione avventata che andava contro l'istinto, che la esortava a obbedire. La sua forte personalità era stata schiacciata da anni di tormenti che l'avevano indotta a essere obbediente, ma la prospettiva di una vita ancor più infelice di quella che aveva condotto fino a quel momento l'aveva spinta a prendere una decisione che la riempiva di paura.

    Non mi sorprende che mia madre abbia scelto un uomo del genere per me, dopo quello che ho fatto al povero papà, per punirmi per le mie azioni. Mi ha detto spesso che è stato per colpa mia se è rimasta vedova e ha perso l'unico uomo che avrebbe mai amato, come se avessi avuto bisogno di una prova che si era risposata solo per il titolo nobiliare. Se non poteva essere felice, perché avrei dovuto esserlo io?

    Suo padre era morto quando Sophia aveva solo sei anni e da quel momento lei si considerava un mostro, una creatura indesiderata a cui mancavano la tenerezza e l'approvazione che sapeva di non meritare. Era sopraffatta dal dolore e dai sensi di colpa, alimentati dalla lingua crudele di sua madre, e di certo non si era mai aspettata di sposarsi per amore, quando fosse giunto il momento. Sua madre avrebbe voluto far fruttare l'investimento fatto a malincuore nella sua unica figlia. D'altronde Sophia era convinta di non avere nulla che potesse suscitare l'affetto di un uomo. Come poteva essere altrimenti, quando le era stato ripetuto sin da quando aveva avuto l'uso della ragione?

    «Un giorno mi sposerò, vero? Con un uomo come papà?» aveva chiesto una volta a sua madre.

    «Certo che ti sposerai, ma di certo non con un uomo come tuo padre» aveva decretato la donna. «Era buono, forte e bello. Credi che un uomo così, che può scegliersi una moglie, ne vorrebbe mai una indegna e inetta come te?»

    «Suppongo di no.»

    «E giustamente» aveva convenuto la madre. «La mia vita con tuo padre era perfetta, prima che arrivassi tu a rovinare tutto con la tua cattiveria, a metterti tra noi e a distogliere la sua attenzione da me. Perché mai un uomo dovrebbe prenderti in considerazione, dopo aver conosciuto i tuoi peccati?»

    Il passeggero anziano sussultò nel sonno mentre la carrozza affrontava una curva e rallentava. La voce del cocchiere che dava ordini ai cavalli fece riscuotere Sophia dai suoi ricordi infelici. Sbirciò fuori del finestrino e vide due uomini che aspettavano che la carrozza si fermasse. Erano sotto una torcia che ne ombreggiava i volti, e Sophia avvertì una fitta di apprensione.

    A ogni nuovo passeggero che saliva a bordo aumentavano le possibilità che qualche conoscente dei Thruxton potesse riconoscerla. Sarebbe bastata una parola, o uno sguardo, e sua madre e il patrigno avrebbero saputo perché era fuggita. Prendere una carrozza a mezzanotte le era parsa una scelta sicura, perché tutti quelli che conosceva nella contea sarebbero stati a letto, ma evidentemente non era l'unica intenzionata a viaggiare per allontanarsi da Fenwick Manor. Se l'avessero vista, tutti i rischi corsi sarebbero risultati vani, e lei avrebbe dovuto affrontarne le conseguenze. Non poteva far altro che rimanere seduta, impotente e angosciata, mentre la carrozza si fermava e dall'esterno filtrava il mormorio delle voci. La luce divenne più forte quando lo sportello si aprì e due uomini salirono a bordo.

    Sophia fu sollevata quando vide che non conosceva il primo, che guardò con aria di apprezzamento il suo viso a forma di cuore e gli occhi verdi a mandorla. Non avrebbe mai osato fissarla così, se fosse stata vestita bene. Negli abiti di una domestica sembrava una preda appetibile. Sophia stava pensando che si sarebbe comportato in modo diverso, se avesse avuto indosso un abito elegante, quando vide il secondo passeggero, e raggelò.

    Il contabile di Lord Thruxton si sedette nell'angolo in fondo alla carrozza, facendo distrattamente un cenno di saluto agli altri occupanti mentre sistemava i suoi effetti personali sotto il sedile. L'anziano di fronte a Sophia si svegliò giusto il tempo di borbottare un saluto, ma lei non riusciva a parlare.

    Era proprio come aveva temuto. A poca distanza da lei c'era qualcuno collegato alla sua famiglia, che ben presto avrebbe dato una seconda occhiata ai suoi compagni di viaggio e forse l'avrebbe riconosciuta. Dopotutto era stato più volte a Fenwick Manor. Se avesse pronunciato il suo nome tutti gli occhi si sarebbero puntati sulla donna fuggita da un matrimonio che era stato combinato da persone che non si erano mai curate della sua felicità.

    La carrozza ripartì, e il contabile si guardò di nuovo intorno, poi notò Sophia raggomitolata vicino al finestrino. Lei chiuse gli occhi e girò la faccia per nascondere le guance rosse. Se il contabile di Lord Thruxton l'avesse riconosciuta sarebbe stato tutto vano. Non avrebbe mai creduto che lei aveva il permesso di viaggiare in carrozza di notte, e per giunta vestita da serva, e l'avrebbe riportata nell'unico posto che lei non voleva vedere mai più.

    Per un attimo sperò di essere stata fortunata. L'uomo non le rivolse la parola e, quando osò aprire un occhio, Sophia vide che aveva lo sguardo basso. A un certo punto, però, si protese verso di lei, perplesso, e Sophia rabbrividì.

    «Vi chiedo scusa, ma forse siete...?»

    Sophia aprì la bocca, terrorizzata. Mi ha riconosciuta, e cercherà di riportarmi a casa.

    Il viso di Septimus le comparve davanti agli occhi, bello e crudele, e le si serrò la gola. Temette di svenire al pensiero di essere restituita a lui. Sua madre e il patrigno gli avrebbero permesso di farle qualsiasi cosa, e il triste destino della sua prima moglie le faceva temere che il suo futuro sarebbe stato insostenibile.

    Quella poveretta passerà tutta la vita in manicomio, pur di non continuare a essere sua moglie. Non voglio scoprire sulla mia pelle che cos'ha fatto Septimus per portarla a tale disperazione.

    Il contabile la guardava, a disagio, e Sophia trasse un respiro profondo. Avrebbe dovuto fare qualcosa per trarsi di impaccio, e subito. Si alzò in piedi di scatto e batté sul tetto. «Fermate la carrozza!» ordinò. «Voglio scendere!»

    Il cocchiere si fermò con uno scossone che sballottò gli altri passeggeri. L'uomo anziano emise un grido, ma Sophia non vi badò mentre apriva lo sportello e scendeva inciampando, stringendosi addosso il mantello.

    Barcollò quando i piedi toccarono terra, ma recuperò l'equilibrio e, senza fermarsi a riprendere fiato, si gettò tra i cespugli al bordo della strada, correndo a perdifiato verso gli alberi.

    «Miss Thruxton! Tornate indietro!»

    Sophia sentì il grido, ma non si fermò neppure un istante per guardarsi alle spalle. Pensava solo che doveva scappare, e continuò a correre finché le lanterne della carrozza non furono inghiottite dall'oscurità e le voci si spensero, lasciando solo lo stormire delle foglie per la brezza notturna.

    La foresta la circondava da tutti i lati come un labirinto, mentre fuggiva come un cervo dai cacciatori, correndo alla cieca tra i cespugli e i rami bassi che si impigliavano nei vestiti.

    Cadde, e l'urto violento le tolse il fiato. Rotolò lungo un pendio ripido finché non sbatté contro un tronco, e il dolore dell'impatto si irradiò dalla gamba sinistra in tutto il corpo, facendole girare la testa.

    Cercò di rialzarsi a sedere, ma dovette rinunciare, ansante e disperata, perché il dolore era lancinante. Cercò di nuovo di muoversi ma invano, tremante e sofferente.

    Com'è successo? Com'è che il mio piano è andato a finire tanto male?

    Si leccò le labbra riarse, piena di paura. Non riusciva ad alzarsi, e ancor meno a riprendere il suo viaggio senza meta.

    Sono qui sola, distesa nel bosco, e non riesco neppure ad alzarmi. È troppo buio per trovare la strada, anche se potessi camminare. Forse è ciò che merito per aver disobbedito a mia madre e cercato di cambiare il mio destino. Perché ho pensato di meritare qualcosa di più, dopo quello che ho fatto?

    Rimase lì distesa per chissà quanto tempo, sopraffatta dal dolore e dalla nausea, tra gli alberi fitti che oscuravano la luna. Nel buio, chiuse gli occhi e pregò di trovare la salvezza.

    Qualcosa di freddo e bagnato che le premeva contro la mano la svegliò, mentre la luce fioca del giorno filtrava tra le fronde sopra di lei. Per un attimo quella sensazione inattesa la distrasse dal dolore pulsante alla gamba, mentre apriva gli occhi.

    Un cane sollevò il naso umido dalla sua mano e la guardò muovendo le orecchie, quando Sophia sentì una voce sopra di lei, una voce maschile che le fece battere forte il cuore per l'apprensione.

    «Lash? Dove sei?»

    Udì un rumore di passi tra l'erba alta, sempre più vicini. Sophia cercò di alzarsi dal giaciglio di foglie morte, anche se ogni movimento le faceva vedere le stelle per il dolore. Si aggrappò alla corteccia dell'albero alle sue spalle, sentendo tutti i muscoli doloranti per aver passato la notte distesa sul duro terreno. La gamba ferita non era in grado di sorreggerla mentre si alzava.

    Non appena fu in piedi si rese conto di aver commesso un errore, perché avvertì un fiotto caldo che le scese fino alla scarpa, e una fitta di dolore che le strappò un grido che non riuscì a trattenere. L'uomo si stava avvicinando e il cane scodinzolava per salutare l'arrivo del padrone. L'istinto la spronava a scappare, ma Sophia non poteva neppure muovere un passo. La sgradevole sensazione di un liquido appiccicoso sulla pelle la indusse a chinarsi vacillando per premervi sopra la mano, ma in quello stesso istante comparve un uomo da dietro l'albero.

    Si bloccò e aggrottò le sopracciglia scure, mentre con una sola occhiata notava il suo respiro affannoso e gli abiti stazzonati. Sophia ebbe appena il tempo di accorgersi della preoccupazione che si era dipinta sul suo volto – un bel volto, a dire il vero – prima di vedere il sangue che le sporcava la mano. Un attimo dopo chiuse gli occhi e svenne, crollando di nuovo a terra.

    Fell Barden guardò la figura femminile distesa ai suoi piedi. Lash, al suo fianco, la fissava anche lui in silenzio, poi i due si scambiarono un'occhiata eloquente. Fell era sicuro che lui e il cane stavano pensando la stessa cosa. Non ci aspettavamo di imbatterci in niente del genere, mentre cercavamo ramoscelli secchi per accendere il fuoco, eh?

    Era la prima volta che una ragazza cadeva letteralmente ai suoi piedi, ed era anche graziosa, pensò, divertito. Era distesa su un tappeto di foglie con la cuffietta sghemba che scopriva dei capelli di fiamma, e il pallore del volto era in netto contrasto con la macchia scarlatta che si allargava sulla gonna chiara. Fell non aveva idea di chi fosse né perché si trovasse lì, nel bosco, svenuta, ma aveva notato che aveva assunto un'espressione atterrita prima di perdere i sensi, sgranando gli occhioni verdi per il dolore e la paura. Sembrava che fosse stata all'aperto tutta la notte, l'alba l'aveva sorpresa infangata e sanguinante. Non c'era alcuna indicazione di dove fosse diretta, o da dove venisse.

    Il cane annusò circospetto la macchia di sangue sull'abito lacero della sconosciuta, e Fell lo allontanò con la mano mentre si chinava per esaminarla più da vicino. Non serviva un medico per capire che si era fatta male alla gamba, aveva la caviglia storta a un angolo innaturale e un taglio profondo allo stinco. Il sangue ai bordi frastagliati era rappreso, ma era chiaro che la ferita si era riaperta quando aveva tentato di muoversi. Fell tamponò il sangue annodando il suo fazzoletto intorno alla gamba con gesti rapidi ed esperti.

    «Non mi meraviglia che non sia scappata. Deve averle fatto un male tremendo.»

    Si accigliò ancora di più. Non poteva lasciarla lì, era chiaro, ma che cos'avrebbe dovuto farne? Non poteva certamente portarla nella sua modesta casetta con fucina annessa, nascosta tra gli alberi a una certa distanza dalle altre abitazioni di Woodford Common. La donna avrebbe ripreso i sensi presto e si sarebbe spaventata a morte trovandosi da sola con lui, incapace di fuggire a causa della ferita...

    Ma cos'altro posso fare?

    Nel villaggio non c'era nessuno disposto ad aiutarlo, Fell ne era certo. Rifletté, in cerca di una soluzione. In ogni comunità c'era una pecora nera che viveva in disparte e veniva guardata con diffidenza, e a Woodford Common quella pecora era lui, un bastardo mezzosangue Rom di padre ignoto. I paesani lo tolleravano per la sua abilità a lavorare il ferro con l'incudine e il martello, ma in tutti i suoi trentun anni di vita Fell aveva sempre saputo di venire considerato un essere inferiore, finché lui stesso non aveva finito per accettare la propria mancanza di valore e il fatto che non sarebbe mai stato un esponente di quella comunità.

    Sua madre l'aveva dato alla luce nel bosco come un animale, ripetevano le malelingue del villaggio, una gitana mai vista prima, sola e nubile, poco più di una bambina lei stessa. Era un miracolo che il parroco in visita a Woodford l'avesse trovata e l'avesse presa in casa come cameriera. Le pettegole del paese avevano protestato, ma il reverendo Frost era stato irremovibile. Chi è senza peccato scagli la prima pietra, aveva sentenziato citando il Vangelo, dimostrando la carità cristiana che la congregazione predicava e non praticava. Essea Barden e il figlioletto erano rimasti lì. Sua madre era stata grata al reverendo, ma non aveva mai rivelato da dove venisse, né chi fosse il padre del suo bambino.

    Fell si passò la mano sul mento ispido per un velo di barba. Se il buon parroco fosse stato ancora vivo, si sarebbe potuto prendere cura

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