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Un lord per la gitana: Harmony History
Un lord per la gitana: Harmony History
Un lord per la gitana: Harmony History
E-book251 pagine3 ore

Un lord per la gitana: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1820
Dopo che Selina Agres ha salvato la sorella di Edward Fulbrooke quando era in difficoltà, ora lui è deciso ad aiutare la giovane gitana a difendere il proprio accampamento da una grave minaccia. Edward le propone di sposarlo: in questo modo lui entrerebbe in possesso della propria eredità e dei terreni che gli spettano e allo stesso tempo permetterebbe alla famiglia di Selina di insediarsi in uno di essi in maniera permanente. Lei accetta e subito la vita matrimoniale si dimostra molto diversa da quella a cui era abituata. La confidenza e l'intimità con Edward aumentano di giorno in giorno, fino a quando un passato che Selina credeva dimenticato per sempre torna a minacciarla, costringendola a fuggire dall'uomo di cui ormai si è perdutamente innamorata.
LinguaItaliano
Data di uscita21 ott 2019
ISBN9788830505896
Un lord per la gitana: Harmony History

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    Anteprima del libro

    Un lord per la gitana - Joanna Johnson

    successivo.

    1

    Sarebbe morta, ed era soltanto colpa sua. Del resto, non l'avevano messa in guardia più e più volte contro i rischi derivanti dall'avvicinarsi troppo agli esponenti dell'aristocrazia?

    Mentre gli zoccoli del suo cavallo Djali echeggiavano imperiosi sul terreno acquitrinoso, Selina Agres aveva l'impressione di sentir risuonare nelle orecchie le parole di sua nonna Zillah.

    Stupida ragazza!

    Non si poteva dire neppure che non avesse avuto occasione di vedere con i suoi stessi occhi le prove della crudeltà di cui i nobili erano capaci.

    L'ultimo ricordo distinto che conservava della madre era quello del mutamento nei suoi occhi nell'istante in cui era morta. Tutti gli altri ricordi erano sfocati, indistinti: strofe di ninnananna cantate nelle sere d'estate, quando l'ondeggiare ritmico della carovana aveva cullato Selina, ancora piccola, verso il sonno; la fragranza appena accennata di un profumo floreale che a stento riusciva a distinguere. Il ricordo di quegli occhi, invece, di quegli occhi vivaci a cui niente era mai sfuggito, le era rimasto impresso nella mente nell'attimo stesso in cui si erano spenti fissandola. Selina l'aveva guardata a sua volta, domandandosi cosa avesse smorzato la luce sul volto della sua mamma...

    Si chinò ulteriormente sul collo del cavallo, spronandolo al galoppo. Una rapida occhiata alle spalle le confermò che i suoi inseguitori stavano perdendo terreno, ostacolati da cavalcature ben più goffe della sua. Una scintilla di speranza le si riaccese nel cuore. Per quanto fosse ferito e male in arnese, nessuno era in grado di superare il suo Djali su un terreno pianeggiante. Un tempo era stato il cavallo di sua madre, e Selina non l'avrebbe mai benedetta abbastanza per averlo addestrato così bene. Forse, solo grazie a lui si sarebbe salvata.

    Il vento le sferzava le vesti, raffiche violente che annunciavano l'arrivo imminente dell'inverno e le scompigliavano i folti riccioli neri, strappandoli dal nastro con cui erano legati per scagliarglieli sul viso. Selina se li scostò con un gesto disperato, restando aggrappata alle redini con l'altra mano.

    Non poteva fermarsi proprio adesso. C'era ancora uno steccato da superare, poi una galoppata lungo il fianco della collina e giù verso il boschetto dove, se la memoria non la ingannava, avrebbe potuto nascondersi. Sempre che fosse riuscita a seminare i suoi inseguitori, beninteso. Erano trascorsi dodici anni dall'ultima volta che era stata da quelle parti, e non era certa che fosse rimasto tutto come lo ricordava, dunque non le restava che pregare che i suoi ricordi di quei luoghi fossero corretti.

    «Forza, Djali!» spronò il cavallo.

    L'animale si protese in avanti, le froge frementi contro il vento, il respiro affannoso quasi quanto quello della sua padrona.

    Non era stata intenzione di Selina avvicinarsi tanto, ma cos'altro avrebbe potuto fare? Lasciare quella bambina tutta sola nella foresta? Già, forse sì, considerando la situazione in cui si era cacciata per aver provato pietà per la figlia di un proprietario terriero.

    Nel vedere una bimba in lacrime nella foresta, insieme a una gitana – e non una bimba qualsiasi, ma la figlia di Lord Ambrose Fulbrooke – era chiaro che quegli uomini fossero balzati alle conclusioni sbagliate. Nessuno di loro aveva pensato che la piccola fosse sfuggita al controllo della governante. Avevano dato per scontato che la gitana l'avesse rapita.

    Purtroppo, Selina sapeva per esperienza quanti pregiudizi ci fossero contro la sua gente. Emarginati, temuti, gli zingari erano avvezzi a vivere di espedienti ai margini della società, eppure erano forti e indomiti, caratteristiche che erano più che mai evidenti in Selina.

    Aveva lavorato duro fin da quando aveva mosso i primi passi, trasportando cibo, andando a prendere l'acqua, aiutando il padre a domare i cavalli. Le si erano presto formati i calli alle mani, e il sole le aveva scurito la pelle, e con il passare degli anni era diventata sempre più simile alla dolce madre che le era stata strappata tanto crudelmente.

    Perfino il padre una volta aveva commentato quella somiglianza. Era accaduto anni prima, a centinaia di miglia da quella maledetta tenuta, quando l'aveva vista domare con dolcezza e determinazione un puledro particolarmente ombroso.

    «Cosa ne pensi, Lina?» le aveva chiesto quella sera, la pipa tra le mani, mentre se ne stavano seduti sul piccolo portico posteriore del loro carrozzone. «Riuscirai a farne un cavallo da sella?»

    «Credo di sì, papà. È un buon cavallo, e la fatica non lo spaventa.»

    «Penso tu abbia ragione. Hai occhio, per i cavalli. L'hai preso da me.» Lui le aveva sorriso, ma poi aveva ricominciato a fumare la pipa e il sorriso era svanito. «Tutto il resto, invece, l'hai preso da tua madre. Le assomigli sempre di più ogni giorno che passa, sai?»

    «Grazie, papà» aveva mormorato lei e, prima di tornare a girarsi verso il puledro, aveva visto il padre, un omone forte e invincibile, asciugarsi furtivo una lacrima. Quell'immagine non l'avrebbe più abbandonata, né mai avrebbe mancato di farle venire un nodo alla gola.

    Lo steccato si faceva sempre più vicino. Non sarebbe stato facile superarlo con un salto. Selina imprecò sottovoce e si arrischiò a guardarsi di nuovo alle spalle. Gli inseguitori che aveva alle calcagna erano diventati tre, adesso. Due di loro erano vestiti nei tipici colori fangosi dei guardacaccia. Il terzo era troppo lontano per poterlo osservare nei dettagli, ma a lei parve di scorgere un lampo azzurro. Da quando si era unito alla caccia?

    In quel momento, purtroppo, non aveva tempo per farsi delle domande. Selina doveva sfuggirgli, oppure soccombere mentre ci provava.

    «Forza, Djali. Andiamo, bello, salta!» spronò il cavallo piantandogli i talloni nei fianchi. Avvertì il flusso d'aria quando si sollevarono da terra. Fu come uno schiaffo che le fece venire le lacrime agli occhi mentre volavano sopra lo steccato.

    E poi, all'improvviso, atterrarono.

    Djali colpì lo steccato con uno zoccolo, scartò da un lato, barcollò per riprendere l'equilibrio e così facendo sospinse Selina in avanti, sbalzandola di sella in un groviglio di gonne color cremisi e di scialli variopinti.

    Le si mozzò il respiro per il dolore, quando atterrò con un tonfo. Era già caduta da cavallo, parecchie volte, ma mai da un animale alto quando Djali.

    Che ironia crudele, se anch'io dovessi morire qui.

    Quel pensiero le attraversò la mente prima che avesse la possibilità di scacciarlo, seguito a ruota da un'ondata di terrore.

    Non saremmo mai dovuti tornare qui, anche se quell'assassino di Charles Fulbrooke si trova dall'altra parte dell'oceano.

    I suoi inseguitori l'avevano vista cadere. Riusciva a sentirli mentre si avvicinavano. Non c'era più tempo per raggiungere Djali. L'avrebbero presa prima ancora che riuscisse a montare in sella, così Selina fece l'unica cosa che ancora le restava da fare: si alzò con uno sforzo supremo, ignorando il dolore lancinante al polso, e incominciò a correre.

    Corse a perdifiato verso il boschetto, che ormai si stendeva soltanto a pochi passi da lei. Se fosse riuscita a mettersi in salvo tra gli alberi, magari si sarebbe potuta arrampicare abbastanza in alto da nascondersi tra le loro chiome sferzate dal vento. Djali se la sarebbe cavata, ne era certa. Era un cavallo ostinato, perfettamente in grado di badare a se stesso e, se non l'avesse vista ricomparire per guidarlo a casa, di certo sarebbe tornato da solo al campo.

    Nonna Zillah sarebbe morta di crepacuore, se l'avesse visto tornare a casa senza di lei, ma in quel momento Selina non poteva preoccuparsene.

    «Corretele dietro!»

    «Non lasciatevela scappare!»

    Selina udì le urla alle sue spalle e si slanciò tra gli alberi, correndo come il vento sul manto di foglie secche che erano cadute sul terreno. I rami più bassi le colpivano il viso, facendolo sanguinare, ma lei continuò a correre alla ricerca dell'albero giusto per nascondersi finché, all'improvviso...

    Eccolo! Quasi per volere della provvidenza, scorse dinanzi a sé una quercia maestosa dalle radici nodose, i cui rami sembravano protendersi come braccia accoglienti verso di lei. Le ci vollero pochi istanti per arrampicarsi lungo il tronco e nascondersi tra la fitta chioma dell'albero. Il dolore al polso le toglieva il fiato, ma lo ignorò e continuò ad arrampicarsi fino a nascondersi tra i rami dell'albero.

    I suoi inseguitori comparvero in quel preciso istante tra gli alberi. Erano a piedi, adesso, i volti arrossati per lo sforzo.

    «Da che parte è andata?»

    «Non l'ho vista.»

    «Intendi dire che l'hai persa

    Selina guardò in basso tra i rami. I due guardacaccia si trovavano a pochi passi dal suo nascondiglio. Grazie al cielo la sua gonna cremisi si confondeva con i colori autunnali delle foglie, e tuttavia un brivido di apprensione le corse lungo la schiena. Se solo avessero guardato in su...

    Perché non si era limitata a indicare alla bambina la strada per tornare a casa, anziché offrirsi di accompagnarla? Detestava con tutto il cuore i ricchi proprietari terrieri. Detestava la loro arroganza, la loro ipocrisia, il modo in cui trattavano la gente come lei e, più di ogni altra cosa, li odiava per il ruolo che avevano avuto nella morte di sua madre. Non le importava che il padrone di quella tenuta e del castello di Blackwell Hall non fosse il diretto responsabile del destino di Diamanda Agres: i nobili erano fatti tutti della stessa pasta.

    Per quanto ne sapeva lei, era stato proprio Lord Ambrose ad aiutare il fratello Charles a fuggire verso il continente, dodici anni prima, a seguito degli eventi che avevano segnato con tale violenza la giovane vita di Selina, per risparmiargli le accuse infamanti che lo avrebbero condotto in prigione. Se solo Selina avesse trattato la bambina con lo sdegno che meritava, anziché proporsi di accompagnarla al castello...

    Dannazione! Le salì un sospiro alle labbra. Hai sempre avuto il cuore tenero. Troppo tenero.

    La verità era che si era lasciata commuovere da quella bimbetta in lacrime che si serrava al petto una bambola. Magari c'entrava il fatto di avere lei stessa perso la mamma a soli otto anni. Fatto sta che, quando l'aveva sentita singhiozzare e invocare la mamma, non aveva esitato un solo istante: si era inginocchiata accanto a lei, l'aveva avvolta nel suo scialle e si era diretta verso Djali.

    Non era colpa di quella piccina se era nata da un padre simile, si era detta. Non che l'uomo in questione potesse farle più del male, aveva pensato mentre montava in sella. Ambrose Fulbrooke era morto da quasi un mese, stroncato dagli eccessi di cibo e di alcol e, in attesa che il figlio si facesse vivo per ereditare la terra e il titolo, gli zingari avevano pensato di accamparsi temporaneamente sulla terra dei Fulbrooke. Data la situazione attuale, Selina non poteva far altro che rimpiangere con tutta se stessa quella decisione.

    Nel frattempo il terzo uomo si stava avvicinando, calpestando il manto di foglie secche. Uno dei guardacaccia emise un brontolio di disappunto. «Sapevo che ci avrebbe seguiti» borbottò. «E ora? Scoprirà che ce la siamo lasciata scappare.»

    «Harris! Milton! Cos'è successo?»

    Selina serrò istintivamente le labbra al suono di quella voce. Parlava con l'accento tipico degli aristocratici, degli uomini nati nel lusso. Era uno di loro, ne era sicura.

    E le bastò guardare in basso per trovare conferma ai propri sospetti: l'uomo alto e imponente che le volgeva le spalle era il tipico esemplare di gentiluomo inglese di alto lignaggio: ben vestito, con stivali di pelle perfettamente lucidati e una folta chioma d'oro brunito. Un lampo le balenò nella mente, simile a una brezza leggera che aleggiava sull'erba. Quel colore di capelli così unico, così diverso da quello dei gitani... Dove l'aveva già visto?

    «Ebbene? Non tenetemi all'oscuro. Ho visto mia sorella su un carro insieme a vostra moglie, Milton, che la portava in direzione del castello, e poi voi due a cavallo che seguivate qualcuno. Ve lo domando di nuovo: cos'è accaduto?»

    «Ecco, milord...» borbottò uno dei guardacaccia in tono nervoso, «stavamo facendo il nostro giro di guardia quando abbiamo visto una gitana che si portava via Miss Ophelia. La poverina piangeva a dirotto. Dico bene, Harris?»

    «Sicuro» confermò l'altro. «Siamo corsi a riprendercela. Quella zingara voleva farci credere di aver trovato Miss Ophelia tutta sola nel bosco, ma noi sapevamo che non era vero. Voleva rapirla, ecco tutto.»

    «È per questo che le davate la caccia? In due contro una donna, e vi siete fatti seminare comunque?»

    I due si agitarono. «Sapete come sono quei gitani, milord. Viscidi come anguille, perfetti imbroglioni.»

    «Già, immagino che vi abbia dato filo da torcere.»

    Selina non era in grado di guardarlo in faccia, ma era sicura che stesse sorridendo.

    «Non fa niente» affermò lui. «Tutto è bene quel che finisce bene. Adesso mia sorella è al sicuro con la sua governante.»

    «Grazie, milord. Però, sapete...» La voce minacciosa del guardacaccia le fece venire la pelle d'oca. «Se dovessimo trovarla, o scoprire dove si accampano quegli zingari, non esiteremo a dar loro una bella lezione.»

    «Sì, Milton. Credo di capire.» La voce dell'uomo era diventata fredda, quasi glaciale. «Per il bene di tutti, direi che dobbiamo augurarci che la donna in questione sia ormai lontana.»

    «Sì, milord.»

    «E ora penso che dovremmo andarcene tutti a casa. Vi auguro una buona giornata.»

    «Buona giornata a voi, milord.»

    Gli uomini si allontanarono. Selina tese l'orecchio per seguire il suono dei loro passi sulle foglie, poi il tintinnio dei finimenti dei cavalli mentre montavano in sella. Finalmente sulla foresta calò il silenzio.

    Selina esalò un sospiro. Era salva.

    Aveva commesso l'errore di avventurarsi nella tana del lupo e se l'era cavata per un pelo.

    «Ora potete scendere, signorina. Siete al sicuro.»

    Selina raggelò. Non se ne sono andati tutti!

    Un tuffo al cuore. Si appiattì contro il tronco nodoso della quercia, premendosi con tutte le forze contro la corteccia. Guardò di sotto, tra le foglie, ma non riuscì a scorgere altro che quella testa bionda così stranamente familiare, il cui proprietario stazionava risoluto ai piedi dell'albero.

    «So che siete là sopra. Non abbiate paura. Non vi farò del male.»

    Selina deglutì. Aveva festeggiato troppo presto. Era in trappola. Non c'era che una strada per scendere, e lui gliel'aveva sbarrata. Non c'era modo di fuggire senza farsi vedere.

    «Vi prego, signorina. Non avete niente da temere da parte mia.»

    Le batteva forte il cuore quando udì quelle parole. Ma con che genere di idiota pensava di avere a che fare, quel tipo? «Niente da temere?» ripeté. «Mi avete appena braccata come un animale e adesso vi aspettate davvero che balzi a terra a uno schiocco di dita?»

    Una risatina risuonò di sotto. «Comprendo il vostro punto di vista, ma sarei felice di spiegarvi il mio, se solo mi faceste la cortesia di scendere dall'albero.»

    «Non credo proprio.»

    Selina arrischiò un'altra occhiata verso il basso, verso i riccioli biondi del suo inseguitore. Non si era spostato di un passo, maledizione a lui. Dal canto suo, Selina incominciava a risentire della ruvidezza della corteccia. Cambiò posizione, ma il movimento fece cadere un ramo secco.

    A quel rumore improvviso l'uomo girò di scatto la testa, cercando di individuare la direzione da cui proveniva, e a quel punto Selina riuscì finalmente a guardarlo in viso.

    Le si mozzò il fiato in gola.

    Lo conosceva! Non di nome. No, certo. Non c'era stato il tempo per fare le presentazioni, molti anni prima, quando in quegli stessi boschi aveva incontrato un ragazzo sconosciuto e gli aveva tenuto premuto del muschio contro la guancia per arrestare il flusso di sangue che gli scorreva tra le dita.

    Quanti anni poteva avere avuto, allora? Forse dodici, quando Selina ne aveva otto? Era stato il primo giovane signore che aveva incontrato, e la combinazione dei suoi occhi color nocciola e dei capelli biondi, così insoliti tra i gitani, era rimasta impressa nella memoria infantile di lei. Non aveva dubbi che l'uomo ai piedi dell'albero fosse la stessa persona, e un sentimento sconosciuto le attraversò con un brivido la schiena, mentre il terrore di pochi istanti prima veniva sostituito da un palpito di confusione.

    È bello. Quel pensiero la colse di sorpresa, costringendola a scuotere il capo. Non essere assurda!, si ammonì aspramente, e tuttavia non riuscì a trattenere il rossore che sentì avvamparle le guance, né l'ulteriore brivido che le corse lungo la schiena alla vista della mascella volitiva di lui, del naso diritto e della bocca appena distesa nell'accenno di un sorriso.

    Era qualcosa di molto simile all'ammirazione che aveva provato un paio di volte, in passato, di fronte a un uomo attraente. In quelle occasioni, tuttavia, non aveva provato un tuffo al cuore, né tantomeno aveva fatto caso al morbido color nocciola degli occhi di lui. Dunque, non sapeva spiegarsi per quale motivo quel gentiluomo le facesse quel bizzarro effetto, però sapeva che non le piaceva neanche un po'.

    Nel frattempo lui aveva cominciato a frugare tra le fronde dell'albero, e Selina si appiattì più che poté contro il tronco, chiudendo gli occhi mentre cercava di riflettere.

    Chi è? E come mai è qui?

    Soltanto a lei poteva capitare un simile incontro nella foresta, si disse mentre la curiosità la spingeva a guardare di nuovo di sotto. Non che pensasse che lui avrebbe potuto riconoscerla come la mocciosa sporca, tutta pelle e ossa che lo aveva aiutato tanti anni prima, eppure...

    Sul suo volto aveva scorto una cicatrice, proprio nel punto in cui lei aveva posato il muschio per arrestare l'emorragia, quel giorno lontano. Era l'unico neo su un volto altrimenti perfetto, un volto che sembrava fatto apposta per essere accarezzato da mani femminili.

    Un profondo rossore le imporporò le guance. Selina inorridì alla reazione spontanea del proprio corpo alla vista di quell'uomo, e di nuovo arrischiò uno sguardo nella sua direzione. Non poteva credere che fosse davvero lo stesso giovane che aveva aiutato tanti anni prima. Era mai possibile che per una volta il destino le fosse favorevole, e che quel giovane potesse darle una mano?

    In fondo, da ragazzo aveva accettato il suo aiuto e glien'era stato grato. Forse, ora che era cresciuto, sarebbe stato disposto a ignorare il baratro sociale che li separava e a consentirle di andarsene senza crearle problemi?

    Selina si aggrappò con tutte le forze a quella speranza e di nuovo chiuse gli occhi, pregando che l'effetto sconcertante che quel giovane sortiva su di lei svanisse in fretta.

    Edward Fulbrooke si accigliò mentre scrutava in alto, tra le fronde della quercia. Dove diamine si era nascosta quella ragazza? Aveva capito subito che doveva essersi arrampicata sull'albero. Era il nascondiglio più ovvio, e c'era da domandarsi come mai Milton e Harris non se ne fossero resi conto.

    Era arrivato sulla scena subito dopo i due guardacaccia, rallentato dalla stanchezza del cavallo, con cui era stato fuori per tutto il pomeriggio. Si era imbattuto in Ada, la moglie di Milton, che cercava di trascinare verso casa la piccola Ophelia. Nel vederla in lacrime, era smontato da cavallo per aiutarle.

    «Oh, Lord Fulbrooke, come sono felice che siate qui!» aveva esclamato Ada

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