Resta con me: Harmony Collezione
Di Penny Jordan
4/5
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Info su questo ebook
Penny Jordan
Scrittrice inglese, attiva da parecchi anni nell'area della narrativa romantica, è notissima e molto apprezzata dal pubblico di tutto il mondo.
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Anteprima del libro
Resta con me - Penny Jordan
successivo.
1
Firenze era attanagliata dall'afa estiva e il calore era molto più intenso di quanto Alice si aspettasse. Mentre Louise, la nipote acquisita, dormiva nel suo letto in hotel, rifiutandosi scontrosamente di accompagnarla, Alice aveva deciso di esplorare da sola la città di primo mattino.
Vide una giovane madre vestita con eleganza uscire da una gelateria con i suoi bambini che reggevano trionfanti un cono gelato a testa, e non riuscì a resistere alla tentazione di cedere allo stesso peccato di gola.
Adorava occuparsi dei bambini e adorava Firenze, dove era già stata anni prima per perfezionare il suo italiano. Proprio la sua grande passione per le lingue straniere, oltre che per i bambini, aveva portato l'agenzia a raccomandarla per un posto come tata di una bambina di soli sei mesi, orfana di madre, a Firenze.
Alice aveva deciso di approfittare di quel colloquio per prendersi un paio di giorni di vacanza in Italia ed era partita da Londra con la nipote ribelle, in piena crisi adolescenziale. Louise era figlia del marito di sua sorella e stava dandole del filo da torcere, e lei aveva colto al volo quell'occasione per conoscerla meglio e per dare alla coppia un po' di respiro.
Immersa nei suoi pensieri e con la prospettiva di un goloso cono gelato, non prestò molta attenzione alla macchina che stava bloccando la strada, ma si accorse che un'auto sportiva rosso squillante si stava avvicinando rapidamente. Di fronte a lei, il semaforo era fisso sul rosso e decise di ignorare lo strombettio irritato del guidatore costretto a frenare dall'auto parcheggiata malamente.
Era comunque consapevole della presenza del motore pulsante alle sue spalle, dove si trovava il semaforo, mentre ordinava un cono al tiramisù, il suo dolce italiano preferito. Il ragazzo che la servì le fece un complimento piuttosto audace consegnandole il resto, tanto che lei arrossì fino alla punta dei capelli. Per di più aveva parlato a voce abbastanza alta da farsi sentire anche dal conducente del bolide rosso, si rese conto quando si voltò per andarsene.
L'uomo infatti la squadrò da capo a piedi, curvando poi la bocca in una smorfia di disprezzo.
Mortificata, Alice si sentì avvampare ancora più di prima e il piacere di gustare il gelato ormai era stato completamente distrutto dall'atteggiamento sprezzante di quell'uomo nei suoi confronti.
Senza dubbio la considerava una di quelle sciocche turiste del nord Europa che cercavano un'avventura senza complicazioni per le vacanze, pensò furiosa, fulminandolo con uno sguardo che intendeva essere caustico quanto quello che le aveva appena rivolto lui. Sfortunatamente, però, non aveva considerato l'effetto del sole torrido sul gelato e si rese conto troppo tardi che le stava colando sulla camicetta.
L'effetto delle gocce gelide accrebbe il suo imbarazzo perché i suoi capezzoli si inturgidirono con una determinazione sfacciata. E intanto lei era costretta a starsene lì impalata ad aspettare per poter attraversare la strada mentre quello teneva lo sguardo volutamente incollato sul rigonfio dei seni.
Un uomo orribile, lo etichettò tra sé, ma sapeva che era anche l'uomo più sensuale e pericolosamente magnetico che avesse mai incontrato.
Il fugace contatto tra i suoi occhi stupiti e sconvolti e l'intensità ipnotizzante di quegli occhi color topazio sarebbe stato sufficiente a sciogliere un ghiacciaio, figuriamoci il suo gelato, rifletté lei scossa quando l'auto rossa la superò.
Eppure quell'uomo non aveva cercato di sedurla. Chissà cosa poteva accadere se avesse scoccato di proposito uno sguardo sensuale a una donna! Non che lei ci tenesse a saperlo.
E quanto alla macchina scoperta, con quel caldo, be', era senza dubbio una posa, per sottolineare la sua mascolinità. Lei disprezzava uomini come quello, che avevano bisogno di esibire il loro machismo. Non che lui sembrasse aver bisogno di sfoggiare alcunché... e senza dubbio quella chioma folta di capelli scuri, ma non proprio neri, gli avrebbe assicurato una certa protezione dai raggi del sole più forti.
«Accidenti a quella donna, dove si è cacciata?» Marco guardò il suo orologio con irritazione e poi si rabbuiò studiando l'atrio deserto del lussuoso hotel appena fuori Firenze, dove aveva stabilito di incontrare l'inglese cui doveva fare il colloquio.
Stava camminando a grandi passi, con delle falcate agili e decise. Un'ospite dell'hotel attraversò l'atrio imponente in quel momento e non riuscì a reprimere un brivido di eccitazione guardandolo.
Inconsapevole dell'effetto che aveva avuto su quella donna, Marco continuò ad aggrottare la fronte.
Il fatto che la candidata al posto di tata non avesse né la disciplina di essere puntuale all'appuntamento né le buone maniere di mandargli un messaggio di scuse per il ritardo non deponeva a favore delle sue capacità professionali, malgrado gli fosse stata raccomandata tanto caldamente dall'agenzia.
Era di pessimo umore fin dalla mattina. La sua macchina, la berlina superaffidabile che guidava di solito, aveva dei problemi al motore e aveva dovuto lasciarla dal meccanico. Non aveva avuto scelta e si era ritrovato alla guida della Ferrari che era appartenuta a suo cugino Aldo, e che dalla sua morte era rimasta inutilizzata al palazzo.
A differenza della sua Mercedes, la Ferrari calamitava gli sguardi, ma era un tipo di attenzione che lui non voleva, pensò Marco. Socchiuse leggermente gli occhi ricordando la ragazza bionda che aveva notato al suo arrivo in città poche ore prima.
Il suo corpo aveva approvato quell'auto esagerata, anche se con gli occhi gli aveva lanciato uno sguardo omicida, di rifiuto, un segnale della serie non osare guardarmi in quel modo, rifletté divertito.
Personalmente, preferiva che una donna fosse attratta da lui e non dalla sua macchina. Aldo, invece, aveva altre idee in proposito.
Ma dov'era quella ragazza?
Irritato, si slacciò un bottone della giacca grigio chiaro, un capo di alta sartoria. Angelina, la bambina per cui stava cercando una tata, si sarebbe svegliata e si sarebbe chiesta che fine aveva fatto.
Dopo la perdita traumatica dei suoi genitori, Marco era l'unico adulto che costituiva una costante nella sua vita e con lui la piccola sembrava sentirsi al sicuro. Gli sembrava che la ragazza assunta dalla madre di Angelina non le dedicasse abbastanza cure e non si sentiva tranquillo.
Cupamente, Marco ricordò che la bambina dipendeva ormai da lui. In quel momento erano le esigenze della piccola ad avere la priorità nei suoi pensieri e nelle sue azioni. Ecco perché era deciso a trovarle non una semplice tata, ma quella giusta, la migliore... una tata disposta a impegnare se stessa e il suo tempo per stare con Angelina.
Nel suo intimo era combattuto. L'espressione sul suo viso cambiò e passò da irritata a preoccupata e protettiva. Sentiva un senso di responsabilità familiare ed emotiva così forte per Angelina che la sola donna a cui l'avrebbe affidata doveva essere una persona in grado di darle l'amore e la sicurezza di cui la morte della mamma l'aveva privata. Una persona affettuosa e tenera, affidabile e responsabile.
Aveva deciso inoltre di cercare una tata inglese che parlasse italiano, dato che la mamma della bambina era inglese, in modo che imparasse tutte e due le lingue fin da piccola.
La ragazza che aveva scelto esaminando le referenze inviategli gli era sembrata troppo in gamba per essere vera e i responsabili dell'agenzia l'avevano raccomandata con grande convinzione. D'altra parte non si poteva prendere per oro colato tutto quello che dicevano, e probabilmente non erano certo oggettivi nei confronti delle loro bambinaie!
Guardò di nuovo accigliato l'orologio. I suoi lineamenti cesellati erano arroganti e sensuali al tempo stesso. Emanava potere e mascolinità, con un tocco di sessualità potente. La grazia felina con cui camminava sottolineava il suo fascino, e il completo elegante che indossava non riusciva a nascondere il corpo scattante e muscoloso. Marco possedeva quella sensualità innata che nessuna donna poteva ignorare, che andava ben oltre l'aspetto piacevole che madre natura gli aveva regalato, e né il denaro né il potere né la posizione sociale potevano comprare.
C'era tuttavia un tocco di dolorosa determinazione nella linea rigida della sua bocca che lo distingueva dalla maggior parte degli altri uomini del suo ceto, e una certa alterigia che scoraggiava chiunque cercasse di avvicinarsi troppo.
A trentacinque anni, aveva alle spalle oltre dieci anni a capo della sua famiglia, costituita da una rete intricata e complessa di zie, zii e cugini.
Suo padre e sua madre erano morti quando il fratello minore del padre aveva fatto precipitare il piccolo aereo privato che stava pilotando. Marco, o per essere precisi il conte Marco Francesco Gabriele Vincenti, aveva venticinque anni allora e si era da poco laureato in architettura, consapevole della responsabilità del ruolo che un giorno sarebbe stato suo, cioè quello di custode della storia di famiglia, ma sollevato all'idea di non doverla assumere ancora per molti anni. La morte inattesa dei famigliari lo aveva invece gravato di un fardello che gli era sembrato quasi insostenibile.
In un modo o nell'altro era comunque riuscito ad adempiere ogni suo dovere. Così facendo, però, aveva perso parte della spontaneità, dell'amore per la vita, della gioia e della capacità di cogliere l'attimo che avevano invece contraddistinto suo cugino Aldo, che come lui aveva perso i genitori in quell'incidente aereo.
Alcuni degli esponenti più anziani della famiglia ritenevano che avesse permesso ad Aldo di approfittarsi di lui, Marco lo sapeva. Suo cugino però aveva solo sedici anni all'epoca della tragedia, e la perdita del padre in un'età così problematica aveva inciso profondamente, rappresentando sicuramente un peso molto più gravoso per lui di quanto non lo fosse stato per Marco stesso.
Il conte si rabbuiò ancora di più pensando al giovane cugino. Si era opposto in modo categorico al matrimonio di Aldo con Patti, una graziosa modella inglese di cui si era incapricciato. Il matrimonio era avvenuto comunque poche settimane dopo il loro primo incontro e lui non si era stupito che il loro amore fosse finito con la stessa rapidità con cui era cominciato.
Non aveva senso ripensarci ora. Aldo aveva sposato Patti ed era stata concepita la piccola Angelina, anche se quando era venuta alla luce entrambi i genitori consideravano già un errore la loro unione e si dichiaravano pentiti di essersi impegnati l'uno con l'altro davanti alla legge.
Nel suo ruolo di capofamiglia Marco si era sentito obbligato a invitarli in Toscana, nella speranza di riuscire in qualche modo ad aiutarli a ricomporre i loro dissidi. Anche se all'inizio non aveva approvato la loro unione, ora avevano una figlia a cui pensare e per Marco i bisogni della bambina erano decisamente più importanti dei loro meschini desideri.
Li aveva accolti cercando di farli sentire a casa ma, quando li aveva lasciati soli, tra i due era scoppiata una lite furiosa. Aldo aveva poi costretto Patti a salire in macchina per portarla via dalla villa, furibondo.
Probabilmente non si sarebbe mai saputo cosa aveva causato l'incidente fatale che aveva spezzato le loro giovani vite e lasciato orfana Angelina, rifletté Marco cupo, ma sapeva quanto si sentiva responsabile per aver insistito perché lo raggiungessero al palazzo.
Come parente più prossimo di Aldo, Marco si era fatto carico della bambina. Erano trascorsi tre mesi ormai ed era chiaro che la piccola Angelina era legatissima a lui.
Il suo senso di responsabilità si era affiancato a un forte istinto paterno, e lo aveva spinto a decidere che prendersene cura nel modo più opportuno era suo dovere, ed era nell'interesse