L indomabile Claren (eLit): eLit
Di Joann Ross
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L indomabile Claren (eLit) - Joann Ross
successivo.
1
Già da molto tempo Dash MacKenzie era arrivato alla conclusione che non c'era più niente al mondo in grado di sbalordirlo. Ma questo era stato prima che gli capitasse di vedere Claren Wainwright sopraggiungere di corsa lungo un tranquillo e ombreggiato viale di Seattle, trascinando nella polvere il lunghissimo strascico dell'abito da sposa che indossava.
Sorpreso e anche un po' divertito, fece dietro-front e accostò l'auto al marciapiede dove avanzava la sposina che aveva smesso di correre, ma marciava come un treno.
«Posso darle un passaggio?»
«Grazie, ma non accetto mai passaggi dagli sconosciuti.»
Claren aveva il volto seminascosto dal velo nuziale, bianco e vaporoso come una nuvoletta. Pur non essendo molto alta di statura, riusciva a mantenere un passo alquanto veloce.
«È saggio da parte sua» le fece eco Dash. «Ma io non sono veramente uno sconosciuto. Di me si può fidare.»
Claren si passò da una spalla all'altra il voluminoso borsone che aveva con sé, augurandosi che il tizio la lasciasse in pace. Aveva già avuto anche troppi guai in una sola giornata.
«Dicono tutti così.» Gli lanciò un'occhiata carica d'irritazione. «Se è così ansioso di rimorchiare una ragazza, perché non prova in uno dei grandi alberghi del centro? Allo Sheraton magari. O all'Hilton. Entrambi ospitano parecchi congressi.»
«Sarò un po' arretrato in materia, ma cosa c'entrano i congressi?»
«Stando a un articolo che ho letto poco tempo fa, ci sono un sacco di donne che partecipano ai congressi per avere delle avventure con perfetti sconosciuti.»
«Oh, interessante.»
«Vero?»
Pur senza rallentare il passo, Claren riuscì ugualmente ad avvertire il tono della voce sensuale e profondo, di quelli che fanno impazzire le donne, tanto per intenderci. Avrebbe potuto trovarlo gradevole anche lei, se le fosse rimasto ancora un
briciolo di rispetto per il genere maschile, ma non era così.
«C'è un congresso di professioniste di lotta libera in città, questo fine settimana» lo informò prontamente. «Forse, se prova ad andarci, avrà fortuna.»
Che caratterino!, pensò Dash. Sarcasmo e sfac-ciataggine: un mix in grado di stendere qualsiasi avversario. «Credo di essere già stato abbastanza fortunato» replicò.
Claren smise improvvisamente di camminare, si piantò le mani sui fianchi fasciati dal corpetto di pizzo bianco e si voltò a guardarlo.
Sussultò senza volerlo quando si ritrovò a fissare una faccia dai lineamenti molto marcati, attraente e inquietante al tempo stesso. La carnagione abbronzatissima si tendeva sugli zigomi alti e pronunciati. Il naso era dritto e la bocca dura e scolpita. I capelli erano del colore della notte.
L'uomo portava un paio di occhiali da sole da aviatore, cosa che impedì a Claren di osservargli gli occhi. Intuì che da dietro le lenti scure la stava esaminando attentamente e provò uno strano brivido lungo la schiena.
«Che assurdità.» Scosse il capo e questo suo movimento fece sì che da sotto il diadema di perle che fermava il velo si liberasse qualche ciocca ribelle. «No so nemmeno perché le sto parlando.»
Darcy aveva sempre sostenuto che Claren fosse bellissima, ma adesso che la vedeva personalmente, Dash decise che il suo anziano amico era stato alquanto impreciso. Perché Claren Wainwright non rispondeva affatto ai canoni della bellezza come veniva classicamente intesa.
Aveva il viso affilato e i lineamenti decisi. Le labbra erano un po' troppo piene e l'espressione della sua bocca rivelava eccessiva testardaggine.
Non che non avesse delle qualità propriamente femminili. Aveva una carnagione stupenda, simile a porcellana, che doveva essere oggetto di invidia per tutte le sue amiche. E che occhi! Enormi e ombreggiati da ciglia folte, risplendevano di tutte le infinite sfumature del verde. In quel momento, quegli occhi così fuori dal comune sprizzavano verso di lui scintille smeraldine.
«Forse mi sta parlando perché non vuole andare a piedi fino a...» Dash fece una pausa. «A proposito, dove sta andando?»
«Bella domanda.»
Soltanto in quel momento a Claren venne in mente che avrebbe dovuto riflettere un po' di più su quello che stava facendo. Ma, inizialmente, fuggire le era parsa la cosa più importante.
«C'è sempre la casa di suo zio» suggerì lui.
A quel consiglio, Claren si riscosse immediatamente. «Come fa a saperlo?»
«Io e Darcy siamo... anzi eravamo» si corresse, «amici.» Continuando a fissarla, Dash sporse un braccio fuori dal finestrino. «Sono Dashiell MacKenzie» si presentò. «Gli amici mi chiamano Dash.»
Claren riconobbe immediatamente quel nome. Non l'aveva forse letto in calce al breve documento in cui Darcy O'Neill lasciava tutti i suoi possedimenti all'unica parente in vita, e cioè lei, Claren O'Neill Wainwright? Incapace di stare ferma a causa del nervosismo che la rodeva, Claren sollevò la gonna bianca dell'abito nuziale e riprese a camminare.
«Lei ha fatto da testimone al testamento di mio zio.» Il pensiero della scomparsa di Darcy riportava a galla un dolore che non aveva ancora superato, che probabilmente non avrebbe superato mai.
Dash avanzò con l'automobile abbastanza lentamente da poter continuare la conversazione, pensando che gli spiaceva non poter vedere le gambe nascoste dalla lunga e voluminosa gonna dell'abito da sposa. «Ebbene sì» disse. «Anche se all'epoca nessuno poteva immaginare quanto presto Darcy avrebbe avuto bisogno di quel testamento.»
Fin dal giorno in cui Dash aveva ricevuto la notizia dell'incidente di Darcy, si era chiesto se il suo vecchio amico in realtà non sapesse saputo più di quanto non avesse voluto ammettere. Forse si era già reso conto di essersi cacciato in un guaio più grande di lui.
Claren gli lanciò un'occhiata per traverso. Avrebbe voluto poterlo guardare negli occhi. «Se-attle non è a un passo dalla Giamaica» mormorò.
Suo zio, artista e archeologo per passione, cercatore di tesori nascosti e vittima di uno sfrenato amore per i viaggi, aveva vissuto in Giamaica fino a due settimane prima. Era appunto nell'isola che era morto. Il suo corpo non era stato ritrovato, ma la sua imbarcazione era stata rinvenuta a sei miglia dalla pericolosa barriera di scogli a pelo dell'acqua che circondano l'isola.
Poiché Darcy aveva raccontato ai quattro venti di essere alla ricerca di antichi galeoni carichi di oro e pietre preziose che si diceva fossero ancora nascosti sul fondo del mare, la polizia locale aveva chiuso le indagini sulla sua scomparsa, dichiarandone la morte per annegamento.
«Come mai è venuto fin qui dalla Giamaica?» lo apostrofò Claren.
«Mi pare ovvio, per vederla.»
«Non capisco.»
«Darcy le voleva bene e parlava di lei in continuazione. Inoltre, ho una cosa sua che mi pare giusto consegnarle.»
«Avrebbe potuto spedirla.»
«È vero, ma così mi sarei perso il suo matrimonio.»
Il viso di Claren si fece rosso per la rabbia. «Non mi sposo più.»
Dash moriva dalla curiosità, ma decise di rimandare a più tardi le domande. «Peccato.»
A Claren parve di rintracciare nella sua affermazione una punta di divertimento, ma, quando scrutò con attenzione il suo viso, lo trovò serissimo. «È stato meglio così» tagliò corto.
«Se lo dice lei...»
Un camion carico di tronchi d'alberi li superò. Il conducente, un omone abbronzato in canottiera e camicia a scacchi, abbassò il finestrino.
«Ehi, signora» gridò a Claren, «quel tipo la sta forse importunando?»
Sì, la stava importunando, ma le bastò un'occhiata ai bicipiti del camionista per capire che, se gli avesse detto la verità, ne sarebbe nata una rissa con i fiocchi. Cosa che, dopo la giornataccia che aveva passato, le sarebbe parsa intollerabile.
«No, no, va tutto bene» rispose.
Il camionista la fissò con aria incredula. «Sicura?»
No, non lo era affatto. Se proprio doveva essere sincera, non si era mai sentita così insicura in vita sua. Ma non le sembrava il caso di peggiorare la situazione.
«Sicurissima» rispose, inviando al camionista un rassicurante sorriso. «Grazie per l'interessamento, comunque.»
Dopo aver lanciato alla coppia un'altra occhiata perplessa, il camionista si allontanò.
«So benissimo che mi ha già detto di non volere un passaggio ma c'è ancora molta strada da fare per arrivare a Queen Anne Hill» le rammentò Dash. «Soprattutto senza venti damigelle che le reggano i chilometri di strascico che si porta appresso.»
«Come fa a sapere dove abito?» gli chiese Claren, spaventata. Per un attimo, si pentì di aver allontanato il camionista.
«Gliel'ho già detto, ero amico di Darcy. Mi leggeva tutte le sue lettere.»
«Oh.» Era una spiegazione plausibile, e tuttavia non bastò a tranquillizzarla del tutto.
«Forse questo servirà a convincerla che può fidarsi di me» disse Dash, porgendole un album di fotografie attraverso il finestrino.
Claren lo sfogliò camminando, ma si arrestò di colpo quando vide una vecchia foto in cui comparivano un uomo e una bambina. La bimba portava un vaporoso abito bianco e, sotto al corto velo di pizzo che aveva sul capo, spuntava una massa di capelli ricci e vaporosi che parevano non aver mai conosciuto un pettine. Claren ricordava benissimo quella fotografia.
«Questa è stata scattata il giorno della mia prima comunione» mormorò. «Quando stavamo ancora in Irlanda.» I suoi splendidi occhi verdi si riempirono di nostalgia.
«L'ho riconosciuta per via del vestito» disse Dash. «È molto simile a quello che indossa oggi.»
Claren restò colpita dall'osservazione, decisamente azzeccata. Il suo abito nuziale era effettivamente simile al bel vestitino da cerimonia che suo zio le aveva portato dall'America tanti anni prima. Il che spiegava, si disse, come mai si fosse subito innamorata di quel romantico abito da sposa proprio lei che normalmente portava dei vestiti molto semplici e sobri.
«È vero» ammise, continuando a sfogliare l'album. Sull'ultima pagina c'era una foto di suo zio Darcy con la barba rossa ormai striata di fili bianchi in compagnia di Dash MacKenzie.
«Questo dimostra soltanto che lei conosceva mio zio» obiettò Claren. «Non è una prova della vostra amicizia.»
Dash si ritrovò a un passo dall'esasperazione. Claren Wainwright era un osso duro, si disse. Assomigliava a suo zio, della cui testardaggine Dash aveva avuto innumerevoli dimostrazioni.
«E di questa che mi dice?»
Le porse una busta, che Claren aprì freneticamente. Conteneva una lettera, scritta con l'inconfondibile calligrafia di suo zio, quasi illeggibile. Era breve e concisa, priva dei caratteristici giri di prosa che Darcy amava tanto. Sembrava essere stata scritta in gran fretta.
Mia adorata Claren,
se stai leggendo questa missiva, significa