La favorita del principe: eLit
Di Betina Krahn
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Info su questo ebook
Inghilterra, 1887 - Jack St. Lawrence sta vivendo una battaglia interiore senza pari tra la lealtà nei confronti del suo migliore amico, il principe del Galles, e l'attrazione per il corpo sensuale della bella locandiera Mariah Eller. Lei, con i suoi modi eleganti, ha attirato su di sé non solo gli sguardi di Jack, che riesce a pensare solo alle sue curve sinuose, ma anche quelli del principe stesso, di solito interessato a donne rigorosamente maritate. Il problema? Il principe ha ordinato proprio a Jack di trovarle un marito!
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Anteprima del libro
La favorita del principe - Betina Krahn
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Make Me Yours
Harlequin Blaze
© 2009 Betina Krahn
Traduzione di Elisabetta Elefante
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
© 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5894-369-4
www.harlequinmondadori.it
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1
Inghilterra, Lake County 1887
«Ma è possibile starsene in santa pace una sera o è chiedere troppo?» borbottò Mariah Eller. Si avvolse meglio nella cappa per proteggersi dalla pioggia battente che la sferzava in viso e socchiuse gli occhi, sperando di vedere le luci dell’Eller-Stapleton Inn. Dover uscire con quel tempaccio in una fredda sera di fine ottobre mentre poteva starsene al calduccio, di fronte al caminetto, era una vera seccatura.
«Presto, miss!» Il ragazzo con la lanterna che la precedeva si arrestò per aspettarla. «Pa’ dice che stavano per sfondare una finestra.»
«Che cosa?» La donna affrettò il passo, allarmata. «Devo ancora finire di pagarle, quelle benedette finestre. Se si azzardano anche solo a sfiorarle...»
Non ultimò la minaccia, che suonò vuota alle sue stesse orecchie. Come avrebbe potuto intimidire quella masnada di uomini ubriachi che rischiavano di distruggerle la locanda? Mandandoli a letto senza cena?
Da tempo stazione di posta per i viaggiatori diretti a nord, l’Eller-Stapleton Inn distava parecchie miglia dal più vicino centro abitato: troppo per contare sull’intervento delle guardie. Se c’era qualche problema, Mariah doveva vedersela da sola: poteva contare solo su Carson, il nerboruto locandiere che manteneva l’ordine col suo sguardo affilato, due braccia muscolose e un vecchio moschetto.
Se Carson l’aveva mandata a chiamare, la situazione doveva essergli sfuggita di mano.
Mariah percorse con passo veloce l’ultimo tratto di strada saltando alcune pozzanghere e spalancò la porta della cucina, sul retro della casa. Si arrestò sulla soglia, sapendo che la cappa avrebbe grondato acqua sul ruvido pavimento di pietra. Il personale era radunato intorno al grande camino, in fondo alla stanza.
«Grazie a Dio è arrivata...» mormorarono tutti, tranne Carson. Che aveva un’aria accigliata.
«Da quando in qua avete bisogno di aiuto per tenere a bada un paio di ubriaconi?» esordì Mariah, abbassandosi il cappuccio, per asciugarsi il viso, e togliendosi la mantella.
«Hanno aggredito Nell» spiegò Carson. E indicò una delle domestiche che si era rintanata in un angolo. Era bianca come un lenzuolo e aveva gli occhi rossi. «L’hanno baciata e distesa sul tavolo, come se volessero prenderla con la forza.»
Il viso dell’uomo, solitamente gioviale, era trasfigurato da una collera a stento tenuta a freno.
«Sembravano un branco di stalloni impazziti. Stavo per cacciarli via a pedate, ma ho visto un cimiero sulla scatola da tabacco di uno di loro. E mio figlio ha notato uno stemma sulla carrozza dalla quale hanno scaricato i bagagli.»
Dei nobili dunque, dedusse Mariah contrariata.
«Chi sono? Non hanno dato i loro nomi?» Per legge, gli ospiti di una locanda dovevano firmare un registro per ricevere alloggio.
«Dei nomi, sì.» Carson andò a prendere il grosso libro rilegato in pelle e lo aprì. «Ma non sono i loro.»
«Jack lo Smilzo e Jack l’Astuto» lesse lei ad alta voce. «Union Jack... come la nostra bandiera. Jack Dandy. Jack il Musone e persino Jack O’Lantern.» Scosse il capo. «Furbi, però.»
Nomi inventati, ovvio. Forse dei soprannomi. E lo scopo era di non lasciare traccia, in modo da non doversi assumere nessuna responsabilità per i danni che potevano arrecare. Come sfondare qualche finestra, appunto.
Il quadro era chiaro, adesso. Un gruppetto di nobili impegnati in una partita di caccia. Si allontanavano dalle loro sontuose magioni e cercavano qualche isolata taverna di campagna dove si sentivano liberi di gozzovigliare, ubriacarsi e dar sfogo a certi bassi istinti. E se finivano per esagerare, come accadeva spesso, un povero locandiere non poteva sperare di mettere loro le mani addosso senza rischiare una pesante ritorsione.
Che fare, dunque?
Mariah guardò l’espressione mortificata sul viso di Carson e si sentì persa. Non aveva un vicino altolocato a cui chiedere manforte, né un marito vigoroso che potesse intervenire per fare la voce grossa. Tutto dipendeva da lei. Doveva intervenire con estrema cautela: sorridere, ma senza essere troppo condiscendente. Mostrarsi cordiale e spiritosa, ma senza esagerare con smancerie e svenevolezze.
Consegnò il mantello fradicio al figlio di Carson e si guardò i vestiti. La giacca di lana blu scuro, la sobria camiciola bianca e la lunga gonna grigia non erano l’ideale per disarmare un branco di aristocratici avvinazzati, ma non c’era tempo di cambiarsi.
«Datemi uno specchio, chiamate il violinista e portate altre brocche di birra.» Le venne un’idea. «Dentro però aggiungeteci una dose abbondante del rum più forte che abbiamo.»
Rincuorato, Carson spedì il figlio a chiamare Farley, lo stalliere, col suo violino, e ordinò a una delle sguattere di correre a prendere uno specchio. Dal corridoio che portava nell’ampia sala centrale proveniva il suono di alcune risate sguaiate, misto al rumore metallico delle tazze che cadevano per terra e alla voce di qualcuno che urlava al locandiere di rimandare dentro la formosa servetta di prima
.
Mariah si accorse che i suoi dipendenti la fissavano, speranzosi, e chiamò a raccolta tutta la sua forza d’animo. Quelli erano il suo lavoro, la sua casa, la sua vita. Doveva difendere ciò che le apparteneva con tutta l’astuzia e la determinazione di cui era capace.
Arrivato lo specchio, si sciolse i lunghi capelli color del miele, li ravviò e tornò a raccoglierli più morbidamente; quindi si tolse la giacca e si sbottonò la blusa sulla gola. Non si reputava una gran bellezza, ma suo marito si era spesso riempito la bocca dicendo che gli uomini si giravano a guardarla, quando sorrideva. Si passò un dito sui denti e si diede un paio di pizzicotti sulle guance, controllandosi poi un’ultima volta allo specchio.
«Non andare a dormire, Carson: potrei aver bisogno di te. E continua a riempire le brocche.» Mandò giù un sorso di birra, afferrò una bottiglia del suo rum migliore e si avviò.
La sua strategia era semplice, ma azzardata: individuare il capo di quella allegra combriccola, entrare nelle sue grazie e farsi aiutare a tenere le cose sotto controllo mentre gli altri bevevano fino a crollare a terra, addormentati. Se non fosse riuscita nell’intento, si sarebbe messa a urlare come una furia. E Carson sarebbe intervenuto col suo fedele moschetto.
Sei uomini, tre dei quali abbastanza giovani, e tutti ben vestiti, sedevano spaparanzati su sedie e panche intorno al grande camino acceso in fondo alla sala rivestita di spessi pannelli di quercia. Non c’erano altri ospiti. Strano, dal momento che la locanda era al completo. Era logico dedurre che il comportamento di quegli screanzati avesse allontanato tutti.
Avvicinandosi, Mariah ebbe conferma che doveva trattarsi di persone molto agiate: bracciali d’oro, stivali di morbida pelle. L’odore che sentiva era quello del sapone al sandalo misto a tabacco speziato. Vide anche il tavolo inzaccherato di fango nel punto in cui i suoi ospiti vi avevano posato i piedi, la cenere gettata incautamente sul pavimento tirato a lucido, i boccali vuoti abbandonati per terra.
«Avete ancora sete, signori?» chiese, avanzando. I due uomini che aveva di fronte si drizzarono e gli altri si girarono, per vedere cosa avesse suscitato il loro interesse. Mariah si arrestò e strinse entrambe le mani sulla bottiglia.
«Bene, bene... Che cosa abbiamo qui?» Il tizio a lei più vicino, un uomo dal faccione rotondo e i capelli impomatati, le rivolse una lenta occhiata lasciva.
«Sono la proprietaria della locanda, signori.» Fece un inchino lento e profondo. Alzò lo sguardo... e incrociò un paio di occhi ambrati. Un volto dai tratti cesellati.
Si arrestò un istante, fissando i capelli scuri dell’uomo, la sua pelle bruciata dal sole, le labbra piene che si incrinavano in un sorrisetto. Che però si spense subito. Mentre gli occhi si accesero. Di interesse! Quello sguardo indugiante le carezzò la pelle accendendole dentro qualcosa che Mariah non provava più da tempo: un senso di vibrante anticipazione.
Reprimendo un brivido, spostò gli occhi sull’uomo subito a destra: massiccio, aveva capelli radi e il mento ricoperto di una curata barbetta...
Il sangue le defluì dal viso. Conosceva quella faccia. La conosceva tutta l’Inghilterra. Misericordia divina! Possibile che Carson non avesse riconosciuto il loro futuro re?
Jack St. Lawrence rimase col boccale davanti alle labbra, gli occhi fissi sulla avvenente bionda che si era inchinata a pochi centimetri dalle sue gambe allungate. Statura media, ma questa era l’unica cosa banale di lei. Il portamento era a dir poco regale, i capelli biondi e lucenti, il viso delicato di una bellezza folgorante. Sotto la camiciola inamidata e la gonna severa, poi, si intuivano curve che avrebbero fatto perdere la testa all’arcivescovo di Canterbury!
Il calore improvviso da cui si sentì avviluppare dissipò la leggera nebbia procuratagli dalla birra. Poi lei alzò la testa, rivelando due occhi più azzurri di un fulgido cielo estivo: due enormi pozze luminose. E sembravano fissare proprio lui con quel che pareva aperto interesse!
Lei però spostò subito lo sguardo... su Bertie. E il suo viso perse ogni traccia di colore, riconoscendo il Principe del Galles. Era una reazione che a Jack capitava spesso di osservare nelle donne di ogni rango e posizione. Sorpresa, stupore... e riverente adorazione.
Guardando i suoi compagni, li vide ridacchiare, leccarsi le labbra e ammiccare. Maledizione! Erano già alticci e le cose rischiavano di mettersi male. Ci mancava solo che le saltassero addosso, come avevano tentato di fare con la servetta venuta a portare la birra.
L’avevano presa per un braccio, l’avevano palpata. Jack era stato sul punto di intervenire, quando era apparso il locandiere che, ruggendo, aveva ordinato alla giovinetta di tornare alle sue faccende. Bloccati dal vocione dell’uomo, ma per nulla spaventati, i suoi compagni erano scoppiati in un’ennesima risata e avevano lasciato andare la ragazza, per tornare a svuotare i loro boccali di birra.
Con un silenzioso sospiro di sollievo, Jack si era portato alle labbra il boccale con cui si stava trastullando da quasi un’ora. Non era divertente, né facile, frenare quei simpaticoni. Purtroppo, questo rientrava nelle sue mansioni. Quando andava a caccia col principe, era suo preciso dovere assicurarsi che non venissero superati certi limiti.
L’erede al trono britannico, il principe Albert Edward, Bertie per gli amici, si sporse a guardare la locandiera, soffermandosi a lungo sui suoi seni prima di risalire fino al volto. Sorrise, come se apprezzasse quel che vedeva. Quando porse una mano paffuta, lei la accettò con disinvoltura.
E fece un secondo inchino. «E voi, signore?» riprese. «Quale Jack sareste? Non Jack lo Smilzo, ovviamente.»
Santo cielo! Quella sfrontata aveva appena fatto una chiara allusione al girovita esagerato di Bertie!? I suoi compagni soffocarono una risatina, mentre il principe usava la mano libera per abbassarsi il gilet sul ventre prominente, decidendo di accettare bonariamente la battuta.
Ma la locandiera doveva essere uscita di senno, perché continuò a fare la spiritosa.
«No, lasciatemi indovinare. Non siete Jack O’Lantern, perché non avete la faccia del giullare. E sembrate un tipo allegro, perciò escluderei il Jack Musone. Nemmeno il Dandy, direi, sebbene siate fin troppo elegante.» Si morse un labbro e lo studiò, civettuola. «Un uomo dal portamento così austero e maestoso non può che essere... Union Jack. Dico bene?»
Un urlo di approvazione si levò nella sala. E Mariah sfoderò un sorriso malizioso.
Che il principe contraccambiò. «Una ragazza perspicace» disse, tirandola per la mano.
«Così mi dicono.» Mariah esercitò una leggera resistenza: non aveva nessuna voglia di sedersi sulle ginocchia del principe. «E la mia perspicacia mi dice che voi avete amici molto... spiritosi.»
Il doppio senso era chiaro, e suscitò un altro scoppio di ilarità tra i presenti. Jack invece si raddrizzò sulla sedia, allarmato. Quella ragazza non se ne rendeva conto, ma stava scherzando col fuoco.
«Mi sono presa la libertà di chiedere al mio locandiere di prepararvi la nostra birra speciale.» Spostò il sorriso su tutti gli uomini. «È la migliore di tutta la contea. E pare abbia il potere di ammorbidire i più duri uomini di chiesa, di migliorare l’aspetto delle vecchie zitelle e di curare addirittura i peggiori casi di scorbuto.»
La risata piena del principe, a quell’uscita, la rincuorò alquanto.
«Avete detto che questa locanda è vostra?» riprese Bertie. «L’ultima volta che ci sono venuto, ricordo di aver parlato col proprietario. Un certo Eller.»
«Squire Eller era mio marito. Alla sua morte, avvenuta due anni orsono, la locanda è passata a me.»
«Quindi siete vedova.» Il principe inarcò un sopracciglio e sorrise.
In quel momento, arrivò Carson con una enorme coppa colma di birra calda, il cui profumo si diffuse nella sala. E alle sue spalle, si levò il suono allegro di un violino: a suonarlo era un vecchio dagli stopposi capelli bianchi.
Musica,