Un vicino tutto da scoprire: Harmony Jolly
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Non tutti credono all'amore a prima vista. Come definire, allora, quella strana sensazione che prende la bocca dello stomaco quando due sguardi si incrociano e non si lasciano più?
Sophie Messina, tu sei una donna di successo e non sarà un contrattempo mattutino a fermarti!
Di solito lei a quell'ora è già pronta per cominciare la sua lunga giornata lavorativa, tra smartphone, computer portatile e conference telefoniche, e invece si trova bloccata a casa per un problema idraulico!
Ma lei sa di chi è la colpa.
Il nuovo arrivato, il bellimbusto del piano di sopra, tale Grant Templeton, la sentirà e dovrà, seduta stante, ripararle la perdita. Non sarà certo un fisico da urlo, due occhi da svenimento e una voce da telefono bollente a farla desistere da dirgliene quattro.
Però, Sophie, ammettilo, l'impresa si preannuncia ardua.
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Anteprima del libro
Un vicino tutto da scoprire - Barbara Wallace
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Mr. Right, Next Door!
Harlequin Mills & Boon Romance
© 2012 Barbara Wallace
Traduzione di Paola Picasso
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-390-4
1
Lo stava facendo di nuovo.
Da quando Sophie Messina si era trasferita in quell’appartamento, l’inquilino del piano soprastante non aveva mai smesso di martellare, segare, sbattere e Dio sa che cos’altro. Tutto quel frastuono le impediva di concentrarsi.
Non si rendeva conto, quel bifolco, che nei fine settimana la gente voleva godersi un po’ di quiete?
Sospirando, cercò di non ascoltare. Allen Brekinridge, uno dei dirigenti, aveva annunciato il pomeriggio precedente che per la riunione di martedì avrebbe avuto bisogno del contratto per una fusione: questo significava che lei doveva correggere immediatamente le bozze che la sua più giovane analista le aveva mandato quel mattino e siccome nessuna di queste poteva diventare un documento definitivo senza che lo avesse riletto e controllato almeno quattro volte, era necessario che si sbrigasse ad apportarvi delle eventuali correzioni.
Molti analisti sarebbero stati tentati di aggiungere dei commenti dettagliati solo per dimostrare la loro competenza, ma Sophie preferiva l’efficienza. L’ultima cosa che desiderava era passare per una che rallentava il lavoro. Soprattutto perché il suo obiettivo era fare carriera, diventare dirigente lei stessa.
Bum!
Per tutti i diavoli, che cosa stava facendo quell’uomo lassù? Dei buchi nel muro? Togliendosi gli occhiali da vista, Sophie li buttò sul tavolo. Era una situazione assurda. Gli aveva infilato sotto la porta decine di biglietti, pregandolo d’interrompere quello che stava facendo. Dapprima con gentilezza, poi minacciando una denuncia alla riunione condominiale, ma lui sembrava averli ignorati completamente. Ebbene, adesso avrebbe smesso di fare tutto quel baccano.
Buttandosi dietro le spalle la coda di cavallo bionda, si recò nell’atrio del palazzo che, prima di essere ristrutturato e diviso in appartamenti, era stato un’imponente dimora signorile. Gli architetti avevano deciso di lasciare le zone comuni e l’appartamento di Sophie il più possibile uguale all’originale tanto che dal soffitto dell’ingresso pendeva ancora un grande lampadario di cristallo.
Sophie amava lo stile e il gusto del Ventesimo secolo. Tutto in quel palazzo ricordava il Vecchio Mondo, la storia e quindi dava un senso di stabilità che le piaceva molto.
Amava anche la tranquillità, cosa che le era mancata nell’ultimo mese. Mentre saliva la scala, sentì che a ogni gradino il fracasso aumentava. Era proprio necessario che quel tipo facesse tutto quel rumore?
Non era così che aveva previsto la sua prima conversazione con lui. Anzi, a essere sinceri, non aveva previsto alcuna conversazione. Uno dei motivi per cui vent’anni prima si era stabilita in città era che potevano passare mesi, perfino anni, senza scambiare più di un saluto con chi ti stava intorno. Non che fosse un’asociale. Solo preferiva scegliere con chi socializzare. Aveva anche troppo da fare per perdere tempo in frivolezze.
Conosceva il nome dell’inquilino del piano superiore solo perché la cassetta delle lettere del signor Templeton era vicina alla sua. Aveva poi visto lo stesso nome sulla fiancata di un furgone parcheggiato fuori. Doveva essere un appaltatore.
Ma che cosa stava facendo adesso? Demoliva lo stabile? Di colpo a Sophie tornarono alla mente i danni e le distruzioni compiute da uomini ubriachi e violenti. Aveva comprato quell’appartamento per dimenticare quei giorni, non per ricordarli. Alla sua età non avrebbe più voluto essere perseguitata dai fantasmi del passato. Eppure quelle ombre non scomparivano mai del tutto. Sentiva che la spiavano, la controllavano.
In un certo senso la loro persistenza l’aiutava a concentrarsi sul lavoro. Diversamente, invece di essere riuscita a comprarsi un appartamento che aveva immaginato tranquillo, sarebbe stata ancora in un misero buco infestato dagli scarafaggi, come quello di Pond Street in cui era cresciuta.
Quando raggiunse il secondo piano ebbe l’impressione che ogni colpo si riverberasse sulla sua spina dorsale, accrescendo la sua irritazione.
Poco ma sicuro, il signor Templeton avrebbe ricevuto una tirata d’orecchi. Imponendosi un atteggiamento autorevole, bussò alla porta. La risposta fu un altro colpo.
Magnifico, pensò, bussando ancora più forte.
«Signor Templeton!» strepitò.
«Un momento. Sto arrivando.»
Era ora. Incrociando le braccia sul petto, Sophie si preparò a ricordare al signor Templeton che esistevano degli altri condomini e che bisognava rispettare la loro tranquillità.
La porta si aprì.
Dio del cielo! L’aspra ramanzina le morì sulle labbra. Sulla soglia era apparso l’uomo più sensuale del mondo. Non lo si poteva definire bello, rivolto a lui quello sembrava un termine riduttivo. Quell’uomo abbronzato e con la mascella quadrata, aveva un aspetto rude, una sensualità aggressiva. Un naso un po’ più lungo rispetto ai canoni di bellezza impediva al suo viso di essere perfetto e gli dava personalità. Gli uomini forti devono avere dei tratti forti. I suoi capelli avevano il colore del miele scuro e gli occhi le ricordavano lo zucchero caramellato. Per non parlare del torace che sembrava fatto apposta per posarvi sopra le mani.
Doveva avere almeno dieci anni meno di lei e teneva in mano un martello, di sicuro la causa del gran baccano che stava facendo. Fu quello a far tornare Sophie sulla terra. Sollevando il mento, si preparò a dirgliene quattro.
«Signor Templeton?» ripeté, tanto per essere sicura.
I suoi caldi occhi la percorsero dalla testa ai piedi. «Chi vuole saperlo?»
Se credeva che il suo sguardo sfrontato la innervosisse, si sbagliava. Era ormai dai tempi del diploma che aveva imparato a ignorare le occhiate assassine. Forse nessuna era stata arrogante quanto questa, ma non importava.
«Sono Sophie Messina, del piano di sotto.»
Lui annuì. «La signora che mi ha scritto dei biglietti. Che cosa posso fare per lei, signora Messina?»
«Signorina» lo corresse Sophie pur non comprendendo il motivo di quella precisazione.
Lui posò il martello e incrociò le braccia sul petto. «Va bene. Che cosa posso fare per lei, signorina Messina?»
Sophie era certa che lo sapesse benissimo. «Ultimamente ha fatto molto baccano.»
«Sto ristrutturando il bagno principale per installare una vasca con i piedi a zampa di leone.»
«Interessante» commentò lei, pensando che una vecchia vasca con i piedi a zampa di leone non si addiceva a un tipo così rude. «Ebbene» aggiunse, lisciandosi i capelli per darsi un contegno, «io sto preparando un modulo finanziario da presentare a un potenziale acquirente.»
L’uomo strinse le labbra che avevano una linea perfetta. «Ha detto modulo finanziario?»
«Sì. Sono un’analista del settore investimenti. Lavoro per la Twamley Greenwood.»
«Buon per lei» commentò l’uomo, per nulla impressionato. «Che cosa vorrebbe che facessi?»
Non era ovvio? Meno rumore. «Mi domando se non potrebbe fare più piano. I colpi che vibra m’impediscono di concentrarmi.»
«È un po’ difficile dare delle martellate sommesse» replicò lui con calma. «Per sua natura martellare è un’attività rumorosa.»
Sophie digrignò i denti. Conosceva quel tono condiscendente. Lui non la stava prendendo assolutamente sul serio.
«Senta» esordì, raddrizzandosi in tutta la sua altezza. Sforzo vano visto che lui la sovrastava di oltre una spanna. «Le ho chiesto diverse volte se può fare meno rumore.»
«No. Lei ha infilato dei biglietti sotto la mia porta esigendo che cessassi di fare rumore. Non mi ha chiesto proprio niente.»
«Bene. Glielo chiedo adesso. Per favore, può fare meno rumore?»
«Spiacente.» Lui scosse la testa. «Non posso.»
«No?»
«Gliel’ho spiegato. Sto rifacendo il bagno. Ha idea di che cosa significhi?»
«Sì» rispose lei, immaginando i suoi bicipiti al lavoro.
«È sicura? Perché altrimenti sarei lieto di offrirle una dimostrazione. Forse le piacerebbe dare lei stessa qualche martellata.»
«Io....io...» Stava flirtando con lei? La sua audacia le tolse il respiro, come pure lo spettacolo delle sue braccia muscolose.
Inspirando, tentò di nuovo con maggiore fermezza. «Senta, signor Templeton, ho molto lavoro da sbrigare...»
«Anch’io» la interruppe lui, gonfiando i bicipiti, forse per distrarla. «È sabato pomeriggio, non notte fonda e credo che ristrutturare il mio appartamento durante i fine settimana sia accettabile. Se il rumore le dà troppo fastidio, le suggerisco di portare altrove i suoi moduli.»
Il punto non era quello. Sì, Sophie aveva un ampio e comodo ufficio in cui avrebbe potuto lavorare, ma non voleva andare a Manhattan. Che vantaggio offriva avere la propria casa se bisognava sottostare alle esigenze altrui? Tra l’altro aveva sborsato un sacco di soldi per quel posto. Se voleva lavorare a casa, accidenti, doveva poterlo fare.
Come era riuscito quel tipo a comprare un appartamento in quella zona? Lei aveva impiegato venti anni per mettere da parte il denaro necessario. Forse lui non si faceva problemi ad avere dei debiti. Oppure era un milionario mascherato. Ma in quel caso perché avrebbe ristrutturato il bagno da solo durante i fine settimana?
Comunque fosse, non le importava. Voleva solo tornare a lavorare. «Potrei concordare se si trattasse di un pomeriggio, ma questa situazione va avanti da tutto il mese.»
«Che cosa posso dire?» ribatté lui, stringendosi nelle spalle. «Il lavoro da fare è molto.»
Ignorava volutamente il problema. Forse avrebbe ottenuto un miglior risultato se si fosse presentata in abbigliamento professionale, pensò Sophie. La gonna di cotone e la polo non le conferivano un’aria autorevole, ma al contrario le davano l’aspetto di una ragazza.
Tentando di reagire, sollevò il mento e assunse quel tono che, perfezionato nel corso degli anni, non ammetteva replica.
«E gli altri inquilini? Che cosa pensano delle sue ristrutturazioni?»
Il signor Templeton tornò a scrollare le spalle. «Finora nessuno si è lamentato.»
«Davvero?»
«Lei è la sola.»
Sophie si lisciò la coda di cavallo. Era ora di fargli capire che non scherzava. «Forse, quando esporrò questo problema durante la riunione condominiale, sentirà qualche altra opinione in merito.»
«Oh, è vero. Mi ero dimenticato che nell’ultimo biglietto minacciava di parlarne con l’amministratore.»
«Mi fa piacere sapere che almeno li ha letti. Immagino che lei non