Un accordo milionario: Harmony Jolly
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Anteprima del libro
Un accordo milionario - Barbara Wallace
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Billionaire’s Fair Lady
Harlequin Mills & Boon Romance
© 2013 Barbara Wallace
Traduzione di Elisabetta Motta
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A..
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-678-3
1
Non le credeva.
Il suo rossore non fu una sorpresa. Devi andare nei quartieri alti a lottare. Avrebbe dovuto mettere da parte quel pensiero nello stesso istante in cui le era entrato nel cervello. Dopotutto, le cattive idee erano una specialità di Roxy O’Brien. E invece aveva aperto l’elenco telefonico e aveva scelto il primo studio legale il cui profilo professionale menzionava competenze in successioni ereditarie. Ecco perché in quel momento sedeva con indosso la migliore imitazione di un abbigliamento professionale, in realtà la sua divisa da cameriera con una nuova giacca a quadri, in attesa del verdetto dell’avvocato Michael Templeton.
«Dove ha detto di avere trovato queste lettere?» le chiese il legale. I suoi occhiali dalla montatura dorata non riuscirono a mascherare il bagliore di scetticismo che illuminò le sue iridi castane. «Nell’armadio di sua madre?»
«Sì» confermò. «In una scatola di scarpe.» Nascosta sotto una pila di maglioni.
«E non sapeva nulla della loro esistenza?»
«No, fino a un mese fa.»
La testa le girava vorticosamente.
L’avvocato tacque. Di nuovo, nessuna sorpresa. L’uomo aveva parlato poco durante l’incontro. Difatti, Roxy aveva la netta impressione che lui considerasse l’appuntamento una sorta di prova. Un qualcosa da superare per ottenere un affare importante e credibile.
Per salvare la sua reputazione, incredulità o no, non l’aveva messa alla porta. Le aveva permesso di raccontare la sua storia e adesso lui stava leggendo con attenzione la lettera che aveva in mano. La prima di una raccolta di ventinove, tutte ordinate cronologicamente. I segreti di sua madre.
Hai i suoi occhi.
Il ricordo la pervase. Quattro parole. Tredici lettere. Con il potere di cambiarle la vita. Un attimo prima era Roxanne O’Brien, figlia di Fiona e Connor O’Brien, quello successivo sarebbe potuta essere... Chi? La figlia di un uomo che non aveva mai conosciuto. Un amante che sua madre non aveva mai... menzionato. Ecco perché era andata da Mike Templeton. Per trovare delle risposte.
Forse, molto più di una qualche risposta. Dopotutto, se sua madre le aveva confidato la verità, allora lei, Roxy O’Brien, avrebbe potuto rivendicare una vita diversa. Di gran lunga migliore.
Hai i suoi occhi.
A proposito di occhi, Mike Templeton mise giù la lettera e fissò i suoi sulla cliente. Non era la prima volta che Roxy si sentiva sotto l’esame attento di qualcuno. I clienti occhieggiavano la cameriera che arrivava con il conto. E questi erano i più educati. Era diventata immune alle attenzioni da molto tempo. O almeno era ciò che pensava. Per qualche ragione, lo sguardo intenso di Mike Templeton la agitava. Forse perché si era tolto le lenti, offrendole la visione di com’erano veramente quelle profonde iridi nocciola. Era come se volesse scandagliarla dentro. Leggerle la mente o misurare le sue intenzioni. Un moto di ansia si fece strada nello stomaco di Roxy. Accavallò di nuovo le gambe, desiderando che la gonna non fosse così corta e si sforzò di mantenere il contatto visivo.
Con suo sollievo, fu lui a interromperlo, quando si adagiò contro lo schienale della poltrona in pelle.
L’attenzione di Roxy fu attirata dalla lucida penna nera che l’avvocato rigirava tra le lunghe, eleganti dita.
Tutto di quell’uomo era elegante, pensò. Le dita, il portamento, come avrebbe affermato la sua insegnante di recitazione. Era sicuramente adeguato all’ambiente, all’abito di ottima fattura sartoriale e alla fresca e inamidata camicia bianca che indossava. Roxy pensò di avere visto un’immagine simile sulle pagine di una rivista di moda maschile. Solo essere seduta di fronte a lui la faceva sentire di classe.
Ma se ciò che le aveva detto sua madre era vero, non era pure lei una donna dei quartieri alti, dopotutto?
«Tutte le lettere sono così... intime?» le chiese.
Le guance colorite da un lieve rossore, Roxy annuì. «Penso di sì. Ho dato un’occhiata alla maggior parte.» Come aveva appena detto l’avvocato, il contenuto era intimo. Leggerle era stato come sbirciare nel diario di un estraneo.
Un estraneo che era suo padre. A pensarci bene, nemmeno la donna descritta in quelle pagine sembrava sua madre.
«Guardi le date» gli fece notare. «L’ultima lettera è timbrata. Risale a nove mesi prima della mia nascita.»
«Quindi due settimane prima dell’incidente.»
L’incidente che aveva ucciso il suo presunto padre. Roxy aveva letto un breve resoconto quando aveva effettuato la sua ricerca su Internet.
L’avvocato corrugò la fronte. In qualche modo cercò di rendere l’espressione sofisticata. «È sicura che sua madre non le avesse mai detto niente prima?»
Stava scherzando? Roxy lo fissò per un lungo momento. Che cos’erano tutte quelle domande ripetitive? Aveva già detto tutto. Se quell’uomo aveva intenzione di congedarla, avrebbe potuto anche farlo subito. Perché perdere tempo? «Penso che me lo sarei ricordato, se l’avesse fatto.»
«E non le ha spiegato il motivo?»
«Per sua sfortuna era impegnata a morire.»
Le parole le uscirono di bocca prima che Roxy potesse controllarle, facendo accigliare l’avvocato. Evidentemente, non era il modo migliore per colpirlo.
Ma come si aspettava che gli rispondesse? Che in punto di morte sua madre le avesse fornito un dettagliato resoconto della sua relazione con Wentworth Sinclair? «Era incosciente» aggiunse Roxy, facendo del suo meglio per trattenere il sarcasmo. «All’inizio pensavo che parlasse sotto l’effetto degli antidolorifici.» Finché lo sguardo di sua madre si era illuminato per un solo, breve istante. Hai i suoi occhi...
«Adesso la pensa diversamente?»
«Dopo avere letto quelle missive, sì.»
L’uomo ricominciò a rigirare la penna tra le dita. Quel silenzio era insopportabile per Roxy. Le ricordò l’attesa dopo ogni audizione, mentre il direttore del casting prendeva appunti. Ma questa era ancora più snervante. Probabilmente perché gli interessi in gioco erano alti.
«Mi lasci capire bene» disse finalmente Templeton, pronunciando con lentezza le parole. «Sua madre le ha raccontato sul letto di morte che lei è la figlia di Wentworth Sinclair, discendente di una delle famiglie più benestanti di New York. Poi, mentre lei metteva via le cose della defunta, ha trovato una raccolta di lettere che non solo darebbero valore alla sua richiesta, ma si collocano anche in un periodo di tempo che si conclude proprio prima della morte del suo presunto padre.» Rigirò la penna ancora un paio di volte. «Tutto s’incastra bene, non le pare? Entrambe le parti sono decedute e quindi incapaci di contestarle la storia.»
«Perché dovrebbero? Sto affermando la verità.» A Roxy non piaceva nemmeno un po’ come stava andando a finire quella conversazione. «Se lei sta insinuando che io mi stia inventando tutto...»
«Non sto insinuando nulla» l’interruppe. «Sto semplicemente puntualizzando i fatti a suo vantaggio.» Si protese in avanti e intrecciò le dita. «Lo sa quante persone rivendicano eredità perdute?»
«No.» E non le interessava.
«Più di quanto immagina. Solo la settimana scorsa, per esempio, un uomo è venuto qui, dichiarando di avere tracciato l’albero genealogico della sua famiglia fino a Henry Hudson. Voleva sapere se poteva chiedere il risarcimento alla città di New York per la sua quota sul fiume Hudson.»
«E il suo punto di vista?» La rabbia le fece stringere i denti.
«Il mio punto di vista» replicò avvicinandosi, «è che aveva lavorato a tavolino più di lei.»
Quell’uomo la considerava una truffatrice. No, peggio. Stava insinuando che aveva inventato la storia per appropriarsi indebitamente di un qualcosa che non le apparteneva. Come se non avesse passato l’ultimo mese a interrogarsi su tutto quello che sapeva della sua vita. Come osava? «Pensa che io stia mentendo sul fatto di essere la figlia di Wentworth Sinclair?»
«Non sarebbe il primo caso.»
«Lei...» Le ci volle tutto il suo autocontrollo per non afferrare la targa sulla scrivania e colpirlo in testa. «Non m’interessano i soldi» sottolineò.
«Davvero?» Si adagiò di nuovo contro lo schienale. «Vuole dire che non mira a ottenere una parte dei milioni dei Sinclair?»
Roxy aprì la bocca, poi la richiuse. Sarebbe stato meglio tacere piuttosto che negare, ma sapevano entrambi che era una menzogna. Se fosse stato solo per lei o se avesse vissuto in un mondo perfetto, si sarebbe potuta permettere di essere sincera, ma non era solo per lei. E Dio solo sapeva quanto il suo mondo fosse ben lontano dall’essere perfetto. Era questo il punto. Essere la figlia di Wentworth Sinclair sarebbe stata la sua opportunità di non danneggiare l’unica cosa degna della sua miserabile esistenza.
Ma come spiegarlo a una persona come Mike Templeton? Che cosa ne sapeva lui di sbagli e mondi imperfetti? Aveva probabilmente passato la sua vita a guardare diventare oro tutto ciò che toccava.
E adesso, quell’uomo stava sorridendo alla sua reazione. «È come pensavo. Mi dispiace, ma se sta cercando un’eredità, dovrà presentare di meglio che trenta lettere d’amore.»
«Ventinove» corresse Roxy, anche se in realtà era irrilevante. Quell’uomo si era già costruito la sua idea che lei fosse una bugiarda cercatrice di eredità.
«D’accordo, ventinove. Ma la prossima volta le suggerisco di esibire dei documenti più utili, come un certificato di nascita, magari.»
«Intende dire un foglio che attesti che Wentworth sia mio padre?» La sua battaglia contro il sarcasmo fallì, per sua sfortuna, e si batté una mano sulla fronte. «Che sciocca! L’ho lasciato a casa.» Quando l’avvocato le indirizzò un’occhiata pungente, lei lo ricambiò con un’espressione altrettanto pungente. Non era l’unico a saper essere critico. «Non pensa che se avessi avuto qualcosa del genere l’avrei portato?»
«Mi verrebbe da considerarlo, ma allora dovrei pensare anche che sua madre le avesse rivelato il nome del giusto padre anni fa.» Stava ripiegando la lettera che poi infilò nella busta.
Roxy avrebbe voluto afferrare quelle lunghe dita e stringerle fino a farlo gridare. Forse sua madre aveva temuto che nessuno l’avrebbe creduta.
«Lo sa che cosa le dico?» sbottò prendendo il mucchio di missive. «Dimentichi tutto.»
Che cosa le aveva fatto sperare che un avvocato di quel calibro avrebbe voluto aiutarla? In quell’ambiente nessuno si sarebbe preoccupato di una persona come lei e sarebbe stata dannata se avesse permesso a un uomo pieno di sé di trattarla senza rispetto.
«L’unica ragione per cui sono venuta