Qualcosa tra noi
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Info su questo ebook
Annie Talbot e Brant Cadman non si vedono da anni, ma si conoscono da molto tempo. Ex colleghi ed ex amanti, hanno sempre saputo di condividere qualcosa di speciale; senza mai immaginare che quel qualcosa andasse ben oltre l'attrazione fisica e la stima reciproca, e che avesse il potere di cambiare completamente le loro vite. Il primo a scoprire tutto è Brant. All'inizio Annie non vuole credergli, ma poi è costretta a cedere all'evidenza, e alla sua sconvolgente proposta: andare a vivere insieme. Costretti a condividere lo stesso tetto, non si rendono subito conto di quanto sia pericoloso.
Elizabeth Power
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Anteprima del libro
Qualcosa tra noi - Elizabeth Power
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Millionaire’s Love-Child
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2004 Elizabeth Power
Traduzione di Gloria Fraternale
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3052-655-6
Frontespizio. «Qualcosa tra noi» di Power Elizabeth1
«No, non è vero! Non ti credo!»
Annie si allontanò, irrigidita all’affermazione devastante di quell’uomo. I suoi occhi erano fissi sul piccolo giardino del suo appartamento di Londra, dove il suo gatto Attila stava proteggendo il territorio dall’intrusione di altri felini. «Tu stai scherzando. Dimmi che è solo uno scherzo crudele. Che ti sei inventato tutto. È così, non è vero?»
«Mi dispiace, Annie.» Dietro di lei, il tono dell’uomo risuonava dolce ma implacabile. «Credimi, se avessi trovato un modo più facile per comunicartelo, l’avrei fatto.»
«Non credi che lo saprei?» I capelli le ondeggiarono sulle spalle quando si girò per guardare l’uomo, con un’espressione incredula e confusa.
Per un attimo negli occhi verdi di lui Annie lesse qualcosa che poteva sembrare comprensione. Un’emozione che addolcì il suo viso, solitamente piuttosto intimidatorio con quei tratti squadrati, il naso aquilino e i capelli neri. «Non pensi che mi sarei accorta di un simile errore? Credi che non riconoscerei mio figlio?»
«Annie...» L’uomo tese la mano, avvicinandosi, ma Annie indietreggiò, colta dai brividi. «Sei sconvolta» osservò lui.
«Cosa ti aspettavi?» sbottò lei, troncando qualsiasi tentativo di compassione. Come pensava di poterla confortare se non rinnegando ciò che aveva appena affermato?
«Non pensi che tutto questo sia stato difficile anche per me?» replicò lui, sospirando.
Osservandolo meglio, notò le rughe agli angoli dei suoi bellissimi occhi e le emozioni contrastanti nel suo sguardo, che lo facevano sembrare ancora più fiero di come lo conosceva. Sempre ammesso che potesse dire di conoscerlo. In fondo, lei era stata semplicemente un ingranaggio nella conduzione del suo impero.
Brant Cadman. Trentacinque anni, proprietario della Cadman Leisure che comprendeva una catena di negozi al dettaglio, complessi sportivi e una linea di abbigliamento sportivo, per la quale lei aveva lavorato con Warren. Tutto questo prima di aver pagato il prezzo di essersi fidata di qualcuno. Prima di aver sentito la necessità di lasciare il suo lavoro, tormentata dalla vergogna che tutti sapessero. Prima di aver messo al mondo un bambino.
E ora Brant le stava dicendo che il figlio che lei aveva cresciuto negli ultimi due anni non le apparteneva, ma era invece suo. Di Brant e di un’altra donna. Che l’ospedale in cui il figlio di Brant era nato aveva trovato delle discrepanze nei loro dati, che erano emerse in seguito ad analisi che padre e figlio avevano fatto dopo aver contratto entrambi un’infezione virale durante un viaggio in Spagna.
Gli occhi di Annie si riempirono di lacrime e i capelli le ondeggiarono mentre scuoteva la testa.
«No, non è vero! Sean è mio! È sempre stato mio!» In venticinque anni di vita non aveva mai creduto di poter ricevere un colpo simile.
Mentre ondeggiava, vide Brant guardarsi rapidamente intorno e andare a prendere la sedia accanto al tavolo dove si trovavano i colori, i pennelli e l’acquerello in miniatura a cui stava lavorando. La posò accanto a lei ed esercitò una leggera pressione sulle spalle per incitarla a sedersi.
Annie obbedì come un automa, trovandosi in uno stato troppo confusionale per obiettare.
«Non volevo crederci neanch’io quando l’hanno detto a me. Ma non appena mi hai aperto la porta, non ho più avuto dubbi.»
Cosa stava dicendo? Che il bambino che lui stava crescendo le assomigliava in qualche modo? Che l’aveva davvero partorito lei?
Annie scosse ancora il capo. Non era possibile. Il bambino che dormiva beatamente nell’altra stanza era suo. Sean era suo figlio.
«D’accordo. Così il bambino che credevi fosse tuo e di tua moglie improvvisamente non lo è più. Ma cosa ti fa credere che Sean sia tuo?» Lo stupore stava a poco a poco lasciando spazio alla rabbia. «Cosa ti fa credere di poter venire qui e cercare di portarmi via il bambino? Ti ha mandato l’ospedale? Ti hanno detto loro di venire qui?»
«No. E l’ultima cosa che voglio è portarti via tuo figlio.»
Annie inspirò profondamente. «Ci devi solo provare» lo sfidò con veemenza.
Brant decise di ignorare il suo tono furibondo. «L’ospedale mi ha chiamato quando hanno appurato che il sangue di Jack non corrispondeva ai dati che loro avevano sul computer. Confrontando il mio gruppo sanguigno e quello di Naomi, è risultato che Jack non può essere nostro figlio. Quel giorno è nato solo un altro bimbo che avesse il tipo di sangue che poteva corrispondere a quello di un figlio generato da me e Naomi. Il tuo, Annie. L’unica conclusione a cui sono arrivati è che ci sia stato uno scambio prima che i nostri figli lasciassero l’ospedale.»
«No. È uno sbaglio! Loro non avevano diritto di darti il mio nome!»
«Non l’hanno fatto» replicò lui, abbassando lo sguardo. «Hanno detto che non potevano svelare l’identità della madre biologica di nostro figlio.»
Madre biologica?
«Allora cosa ti ha portato qui?» Come aveva saputo che due anni addietro Annie Talbot, la povera e abbandonata Annie, sua ex dipendente, aveva partorito nello stesso giorno di sua moglie? Perché lei non lo aveva saputo. Non fino a qualche tempo dopo, quando un’amica le aveva riferito che Naomi Cadman era morta ventiquattr’ore dopo aver dato alla luce un bimbo. «Nessuno si è messo in contatto con me. Non credi che l’avrebbero fatto se queste tue ridicole supposizioni fossero vere?»
«Avrebbero dovuto. Hanno detto che l’avrebbero fatto. E non sono supposizioni, Annie, vorrei anch’io che lo fossero. È la realtà, che l’ospedale deve ancora confermare.»
«Ma... hai detto che non potevano darti i miei dati, che era contro la loro...»
«Non l’hanno fatto. Non volontariamente. Quando mi hanno convocato, sono rimasto solo nell’ufficio per qualche minuto. Il computer era acceso. Non ho potuto resistere all’istinto di sapere.»
«Quindi hai cercato nell’archivio?» lo interrogò lei in tono d’accusa, provando l’impulso di telefonare all’ospedale e accusarlo di aver curiosato nei loro computer.
«No, Annie. Mi sono semplicemente sporto per vedere dall’altro lato della scrivania. I tuoi dati erano sullo schermo. Suppongo che un’incuria simile sia poco sorprendente, in una clinica che manda a casa i genitori con il figlio sbagliato.»
Il figlio sbagliato. Le sue parole e la rabbia con cui le aveva pronunciate cominciavano a farle dubitare che fosse tutto vero. Che Sean, che lei adorava più della sua stessa vita, potesse non essere suo. Che presto si sarebbe potuta ritrovare in una lunga e traumatica battaglia per tenerlo con sé.
«Non avevano l’indirizzo giusto nel computer. Ti ho trovato tramite Katrina King. Mi ricordavo che eravate amiche, quando lavoravi alla Cadman Sport.»
Così si era ricordato di questo particolare. E si era dato una gran pena per rintracciarla, arrivando persino a mettersi in contatto con l’unica amica e collega che lei frequentava ancora.
«Hai già fatto il test del DNA o qualsiasi cosa facciano per attestare la paternità? È per questo che sei così sicuro che tuo figlio è stato scambiato col mio?»
Annie non riuscì a mascherare il disprezzo nel suo tono, tradendo il dolore e l’odio che provava, non nei suoi confronti, ma verso il personale dell’ospedale responsabile di quel disastro.
«No, non l’ho fatto. Non ancora.»
«Perché?» gli domandò d’istinto, ma poi sembrò leggergli la risposta negli occhi. Voleva sapere, era ovvio. Ma allo stesso tempo non voleva. E in quel momento le furono chiare le implicazioni che quel test avrebbe comportato. Perché, se il bambino che Brant aveva cresciuto non era il figlio che Naomi aveva dato alla luce...
Annie si raggelò, con lo sguardo fisso sulle tele e i colori che riempivano la sua vita e le permettevano di mantenersi. Anche lei avrebbe voluto sapere, ma avrebbe rifiutato la verità, proprio come stava facendo Brant. Non avrebbe sopportato l’idea di scoprire con certezza che Sean non era suo.
Un lieve gemito dalla stanza accanto la fece saltare in piedi. Le loro voci o il miagolio del gatto dovevano aver svegliato il bambino. Ma solo per poco. Dormiva ancora tranquillo quando Annie sbirciò all’interno, richiudendo subito la porta.
«Posso vederlo?»
Annie si girò, ritrovandosi Brant alle spalle. Nonostante la sua discreta altezza, si sentì sopraffatta dal suo metro e ottanta.
«No!» Istintivamente aprì le braccia facendo scudo alla porta. «Non adesso» aggiunse, in tono più pacato.
«Capisco» replicò lui, chinando il capo.
Capiva davvero? Osservando la sua espressione tirata, Annie si rese conto che stava facendo un notevole sforzo. Da quella distanza ravvicinata, avvertì la fragranza del suo profumo e il calore che emanava il suo corpo. E nonostante la tragicità del momento, non poté fare a meno di pensare alla sua sensualità e a come una volta si era resa stupida fra le sue braccia, incapace di resistergli.
Ma quello era stato un secolo addietro. Prima che lui rinunciasse al suo stato di scapolo e sposasse la sofisticata Naomi Fox. Annie si domandò se anche lui stesse ricordando la stessa cosa o se, peggio ancora, si fosse reso conto delle sue emozioni! Poi Brant arretrò, tornando freddo e distaccato.
Quando le aveva telefonato, poco prima, l’aveva avvisata che la sua non sarebbe stata una visita di cortesia, per mettere in chiaro probabilmente che qualunque cosa ci fosse stata tra loro in passato era semplicemente... passata.
«Puoi richiedere l’aiuto di uno specialista. A me è stato offerto.»
Ma l’hai rifiutato. Era ovvio, pensò Annie. Nessuno poteva guidare o analizzare i pensieri e i sentimenti di Brant Cadman meglio di Brant Cadman stesso.
Sollevò le mani davanti a sé, scotendo il capo. «Non... non ho bisogno d’aiuto. Voglio solo che tu te ne vada.»
«Non penso che dovresti restare da sola» replicò lui, con evidente preoccupazione.
«Non sono sola. Ho Sean.» Annie protese il mento con fermezza. «Non mi interessa se quello che dici è vero. Io non lo lascerò.»
Brant sembrò sul punto di replicare, forse per contraddirla, ma poi la sua espressione mutò. «Io voglio il meglio per Jack, così come sono sicuro che tu lo voglia per Sean. Capisco che questo sia stato uno shock per te e che tu abbia bisogno di