Incanto per tre: Harmony Collezione
Di Sara Wood
5/5
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Info su questo ebook
Un equivoco da chiarire. Un matrimonio da salvare. Un bambino da proteggere. Tra mille avversità, Dante e Miranda impareranno il rispetto e la fiducia reciproca, e che l'amore è la sola risposta.
Dante Severini non riesce a credere che sua moglie Miranda, la donna che ha amato più di ogni altra, abbia potuto tradirlo in quel modo. L'immagine di lei tra le lenzuola ancora calde del corpo di un altro uomo lo tormenta. Tuttavia, Dante è un personaggio pubblico e non può permettersi uno scandalo. Per questo le ha proposto di raggiungerlo nella sua villa sul lago di Como per continuare a vivere il loro matrimonio solo di facciata. Ma qualcosa nei ricordi di quella notte non quadra e una scoperta sconvolgente aprirà definitivamente gli occhi di Dante all'amore.
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Anteprima del libro
Incanto per tre - Sara Wood
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Italian Count’s Command
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2004 Sara Wood
Traduzione di Loretta Marsilli
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2007 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5892-472-3
www.harlequinmondadori.it
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1
«Brutte notizie. È meglio che ti prepari.» Contrariamente al solito, il tono di suo fratello esprimeva ansia e partecipazione.
Dante strinse più forte il cellulare fra le dita. «A che cosa?» chiese, il cuore in tumulto per il timore di vedere realizzate le sue peggiori paure.
«Mi dispiace, Dante. Temo di avere la prova che tua moglie ti tradisce.» Guido fece una pausa, ma Dante era troppo sconvolto per parlare. «Sono a casa tua, adesso. Lei è di sopra, ubriaca fradicia... e, be’, senza niente addosso. Tutto lascia supporre che stesse intrattenendo il suo amante...»
Suo fratello continuò a parlare sottovoce, però Dante non sentì una parola. Si era ritirato in un muto stupore che stava lentamente trasformandosi in una furia incandescente.
Dunque era vero. Erano quattro anni che difendeva sua moglie dalle accuse di suo fratello, insistendo che Miranda non lo aveva sposato per il suo conto in banca, ma perché l’amava sul serio nonostante lo desse poco a vedere. A quanto pareva, si era sbagliato. Si era lasciato ingannare dalla sua bellezza e dalla sua riservatezza.
Riservatezza? Dante fece una risata amara. Forse era una finzione anche quella. La riservatezza di Miranda svaniva tutte le volte che facevano l’amore. Nessuna donna gli aveva mai fatto provare un piacere così intenso. Era sensazionale, a letto, e di sicuro non aveva inibizioni.
«Dov’è Carlo?» chiese con voce strozzata, augurandosi che suo figlio fosse al sicuro con la governante in qualche parco inglese.
«Qui a casa» rispose Guido, con orrore di Dante. «E sta piangendo come un dannato. Non riesco a calmarlo.»
Dante ebbe un conato di vomito e imprecò in italiano. Una rabbia impotente cominciò a impossessarsi di lui, mentre folli progetti di vendetta gli ottenebravano la mente. Sconvolto da quanto gli stava succedendo, fece uno sforzo su se stesso e cercò di ritrovare il proprio equilibrio.
Faceva fatica perfino a respirare, ma riuscì a bofonchiare: «Sono in un taxi poco distante da casa. Sarò lì fra dieci minuti al massimo».
«Dieci...! Che cosa?!» annaspò Guido. «M... ma... non è possibile! Saresti dovuto atterrare a Gatwick fra due ore!»
«Ho preso il volo prima... Santo cielo! Che importanza ha?» ruggì Dante, perdendo il controllo.
Qualcosa aveva gettato Guido nel panico, ma lui aveva altro a cui pensare. Fuori di sé dalla rabbia, spense il cellulare e ordinò all’autista di fare presto.
Qualcuno la stava scuotendo. Le faceva male la testa e cercò di respingere il suo aggressore, ma le braccia si rifiutavano di rispondere agli ordini del cervello.
Gemette. Qualcuno le aveva messo la testa in un pentolone e gliela stava facendo bollire. Le stava scoppiando... Ma almeno non sentiva più quel pianto spaventoso... Pareva un bambino...
«Miranda! Miranda!»
Delle dita le arpionarono il braccio mentre la voce penetrava il caos nella sua mente. Doveva essere ammalata. Ecco cos’era. L’influenza.
«Aiutatemi» mormorò con la lingua impastata.
Si sentì sollevare. Terrorizzata, si rese conto di non poter reagire perché le sue membra erano completamente paralizzate. Tutt’a un tratto, si ritrovò seduta sulle piastrelle dure e fredde di quella che doveva essere una doccia.
«Apri gli occhi!» le urlò una voce infuriata.
Non riusciva. Erano incollati. Oddio! Che cosa le stava succedendo? Ebbe un conato di vomito.
Fu investita da un fiume di parole. Parole dure, aspre, che non capiva. Il suo cervello semplicemente non riusciva a elaborarle.
Un getto d’acqua gelida le sferzò il volto, togliendole il fiato. Annaspò e finalmente riuscì a socchiudere gli occhi.
«Dante!» Si sentì incredibilmente sollevata ed emise un piccolo singhiozzo. Adesso si sarebbe aggiustato tutto. Era chino su di lei, i lineamenti alterati. Spaventata, si aggrappò al bordo della doccia. «Sto male» farfugliò.
«Magari. Sei ubriaca, sgualdrina!» disse lui, disgustato. E se ne andò.
Allibita dalla sua reazione, Miranda rimase rannicchiata nella doccia, incapace di dare un senso a quell’incubo. Ecco cos’era. Un sogno. Aveva la febbre e quella era un’allucinazione. Se avesse chiuso gli occhi, forse si sarebbe svegliata...
Dante fece irruzione nella camera da letto e la perlustrò da cima a fondo. Lenzuola spiegazzate. Due bottiglie di champagne, due coppe. Gli indumenti di Miranda sparpagliati per la stanza. Deglutì. Sul pavimento, un paio di boxer da uomo. E non erano suoi.
Era la prova decisiva. Gli tremava la mano mentre prendeva il bicchiere di brandy che Guido gli stava porgendo.
«Ho cercato di avvisarti tanto tempo fa» disse suo fratello in tono gentile.
«Lo so.»
La sua voce suonò strana perfino alla sue orecchie. Era poco più che un sussurro. Lo shock del tradimento di Miranda lo aveva privato di tutta la sua forza, del suo orgoglio, della sua sicurezza.
Buttò giù il brandy e tornò da suo figlio. Naturalmente, appena arrivato, era corso subito da lui. Gli ci erano voluti diversi minuti per calmarlo. Alla fine, Carlo si era addormentato, esausto. Solo allora, Dante era andato a vedere in che stato versasse Miranda, perché lei non contava più nulla, ormai.
Giudicava criminale che avesse lasciato solo il loro figlioletto per spassarsela in camera da letto con il suo amante. Non sarebbe mai più successo.
Fece i bagagli. Stordito, accettò l’offerta di Guido di tenere d’occhio Miranda finché non si fosse ripresa. Con il cuore gonfio di dolore, prese in braccio suo figlio addormentato. E uscì per sempre dalla vita di Miranda.
2
«Adesso basta!» annunciò Miranda.
Stava cercando di non andare in iperventilazione. Nonostante le dita tremanti, riuscì a infilare la chiave nella serratura della casa di Knightsbridge e a disattivare l’allarme.
Sentì il respiro rasparle i polmoni e si chiese per quanto tempo ancora sarebbe riuscita a rimanere aggrappata ai fili di un’apparente normalità.
Nonostante tutti i suoi sforzi, non era ancora riuscita a rintracciare suo figlio né quel bastardo di suo marito che lo aveva portato via. Ed erano passate già due settimane... Provò l’impulso di prendere a calci qualcosa. Di chiudersi in una stanza e urlare fino a farsi scoppiare i polmoni. Prima, però, doveva fare qualcosa di importanza vitale.
Trascinando dentro la valigia con una violenza che tradiva tutta la sua tensione, lasciò cadere il bagaglio a mano dalla spalla e si diresse verso il telefono. Si muoveva con la sensazione che le gambe appartenessero a qualcun altro. Era stupita perfino che rispondessero ai suoi comandi.
«Basta rimandare. Chiamo la polizia!» annunciò a sua sorella, e sollevò il ricevitore.
«No!» Lizze pareva allibita. «Voglio dire... be’, non vorrai rendere pubblica la cosa, vero? Pensa al danno che farai accusando Dante di sottrazione di minore! Per i Severini, il buon nome della famiglia è tutto...»
Lizzie continuò a farfugliare, cercando di difendere l’indifendibile.
«Che m’importa?» replicò Miranda, furente.
Sentì la rabbia ribollirle nelle vene, mentre il volto bello e crudele di suo marito le danzava davanti agli occhi. Tutt’a un tratto, fu presa dallo sconforto e si rese conto che questa nuova immagine di lui le procurava un indicibile dolore.
Guardò il telefono. Voleva che il vecchio Dante Severini le fosse restituito. L’uomo adorante e sexy che l’aveva corteggiata e sposata nel giro di un mese. Non l’orribile mostro
che l’aveva trattata così duramente, portandosi via suo figlio. Miranda soffocò un singhiozzo e capì di essere troppo sconvolta per parlare.
Tremando, abbassò il ricevitore, attenta a mantenere un’apparenza di autocontrollo. Se avesse dato libero sfogo ai suoi veri sentimenti, probabilmente avrebbe sfasciato tutto quello che c’era in casa prima di sprofondare in un baratro di autocommiserazione.
Era incredibilmente stanca, ma non si sarebbe arresa. Non lo aveva mai fatto e non avrebbe cominciato adesso. Semplicemente non era nel suo stile.
«Devo rivolgermi alle autorità competenti. Sono due settimane che cerchiamo di ricostruire gli spostamenti di Dante» disse in tono freddo. «E ne ho piene le tasche di questa massa di lacchè che ammutoliscono appena viene fatto il suo nome.»
«È la politica della compagnia...» cominciò Lizzie.
«Ho spiegato che ero sua moglie!» replicò Miranda, irritata. «Ho mostrato anche il passaporto!»
«È stato Dante a dire di non lasciarti passare...»
«Come si permette di farmi una cosa simile?» Miranda era fuori di sé. «Non sono mai stata così umiliata in vita mia! Essere scortata fuori dal palazzo dagli uomini della sicurezza...!»
Ripensando al terribile muro di silenzio dietro il quale si era trincerato lo staff di Dante in alcune delle maggiori capitali europee, Miranda sollevò il mento in segno di sfida. Questa era una guerra.
«Voglio mio figlio» sentenziò, secca. «E...» Le mancò la voce per un momento. Inghiottì il nodo che le serrava la gola. «Lui vorrà me.»
Si girò, apparentemente per fare una telefonata, in realtà per nascondere le lacrime che velavano l’azzurro freddo dei suoi occhi.
La sofferenza che provava per la mancanza di suo figlio era indescrivibile. Più che una mancanza, era qualcosa di viscerale... come se le fosse stata strappata una parte di lei, lasciando una ferita sanguinante.
Ma Carlo avrebbe sofferto ancora di più. Non avrebbe capito perché la sua mamma era scomparsa, perché non gli rimboccasse più le coperte, perché non lo coccolasse e non giocasse più con lui...
«Oh, santo paradiso!» sussurrò.
Pensare a lui, a quanto doveva essere triste, era come sentirsi trafiggere