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Sfida al castello (eLit): eLit
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E-book295 pagine6 ore

Sfida al castello (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1158 - Non più giovanissima e ancora senza marito, la bella Rosamund de Longspey vive insieme alla madre nella fortezza di Clifford, al confine con il Galles. Un giorno giunge inaspettatamente a reclamare il possesso del maniero Lord Gervase Fitz Osbern che, impassibile di fronte alle proteste di Rose, si insedia al castello e con i suoi modi brutali e l'aspetto trascurato cerca di indurla alla fuga. Ma Rose, riconoscendo in lui il misterioso Falco Selvaggio che un tempo aveva conquistato il suo cuore di fanciulla, non è disposta a cedere senza lottare l'unico bene che le appartenga. E poiché si rivela molto più ostinata e battagliera del previsto, oltre che irresistibilmente bella, per impadronirsi di Clifford il tenebroso cavaliere si vede costretto a cingere d'assedio anche il cuore della fanciulla.



Storie di re e di cavalieri

1)Prigioniera del cavaliere

2)Un suddito fedele

3)La ballata dell'eroe

4)Sfida al castello
LinguaItaliano
Data di uscita30 mar 2017
ISBN9788858968383
Sfida al castello (eLit): eLit
Autore

Anne O'Brien

Nata e cresciuta in Inghilterra, è un'appassionata ricercatrice storica che predilige in particolare il Medioevo e le leggi che riguardano la condizione femminile dell'epoca.

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    Anteprima del libro

    Sfida al castello (eLit) - Anne O'Brien

    successivo.

    Prologo

    Gennaio 1158, un inverno freddo e umido nel quarto anno di regno di Enrico II

    Castello di Clifford, una remota roccaforte al confine con il Galles

    «Fermi! In nome di Dio, cosa state facendo?»

    «Quello che vedete.» Se il cavaliere sconosciuto che comandava la formidabile truppa era sorpreso di trovarsi davanti una signora, non lo dimostrò. Le rivolse un'occhiata sdegnosa, mentre lei rabbrividiva furiosa nel vento tagliente. Era ferma in cima alle scale che univano il cortile alla fortezza di pietra, accanto a un'altra donna, ma il cavaliere le ignorò e impartì ai propri uomini il secco ordine di smontare e di prendere possesso della fortezza.

    La donna aprì la bocca, poi la richiuse. Gli occhi di un verde intenso, ombreggiati da ciglia scure e ben disegnate, osservarono in un silenzio inorridito l'occupazione del castello.

    Sotto il velo che li ricopriva, il vento le scompigliava la massa di capelli ramati, dalle sfumature dorate e rossicce, ma lei non se ne curò. Per una volta nella vita non aveva parole per esprimere l'orrore e la collera che l'avevano paralizzata. Quello stato tuttavia non durò a lungo.

    «Cosa fate qui? Chi siete? Chi vi ha aperto i cancelli?»

    «Fitz Osbern» fu la succinta risposta, accompagnata da una breve occhiata nella sua direzione.

    La donna scrutò l'immagine che ondeggiava nella profusione di vessilli appesi alle lance dei soldati, una sorta di drago dall'aria feroce, argento su fondo nero.

    Cosa ci faceva lì Fitz Osbern? Era diventato un brigante o un ladro? Ce ne erano molti in quella zona di confine, uomini selvaggi e senza legge che non obbedivano nemmeno al re. Lui ne aveva tutto l'aspetto. Lanciò un'occhiata di fuoco al guerriero, che nel frattempo era smontato da cavallo e osservava il cortile con una mano stretta a pugno sul fianco. Accanto a lui c'erano un cavaliere più anziano e un levriero snello e slanciato come il padrone, che saltellava eccitato tra gli zoccoli dei cavalli.

    Fitz Osbern... Alzò la voce per farsi sentire al di sopra del frastuono che regnava nel cortile. «Non capisco cosa facciate qui.»

    «La cosa mi è del tutto indifferente, signora.» Gettò le redini dello stallone baio al giovane scudiero. «Bryn!» Schioccò le dita e il levriero scattò attento, poi si avviò verso le scuderie continuando a lanciare ordini ai propri uomini in un tono che non ammetteva ritardi o disobbedienze.

    Quell'atteggiamento fece scattare la donna. «Non mi farò oltraggiare in casa mia!» Scese di corsa i gradini e afferrò una piega del suo mantello con aria spavalda e sicura, per poi torcere la bocca con disgusto nel toccare lo strato di fango e pioggia che lo rivestiva. «Non avete il diritto di dare ordini qui!»

    «Ho tutti i diritti.»

    L'uomo cercò di liberarsi dalla sua stretta come se fosse un cucciolo fastidioso e poi le girò di nuovo le spalle.

    «Questo castello mi appartiene, è la mia casa, la mia eredità.» Irritata dalla nota desolata che si era inserita nella propria voce, strinse più forte il mantello per bloccarlo. «E voi avete l'ardire di entrare qui e...»

    Il cavaliere si fermò di colpo e lei dovette farsi di lato per non finirgli addosso. Fitz Osbern si girò accigliato, così che la donna si ritrovò costretta a fare un passo indietro, e lui la esaminò dalle scarpe infangate fino ai riccioli fiammeggianti sfuggiti al velo. «La vostra eredità? E voi chi siete?»

    La donna rialzò il mento, fiera. «Rosamund de Longspey.»

    «Longspey?» Il cipiglio divenne ancora più cupo, lo sguardo più penetrante. «L'ereditiera? Ma è una bambina!»

    Rosamund sbuffò in modo poco signorile. «No, non lo è. Io non lo sono.»

    Il cavaliere la guardò di nuovo, soppesando quell'inattesa novità. Poi scrollò le spalle, noncurante. «Vedo. Comunque non ha importanza.»

    La donna raddrizzò la schiena con aria di sfida. «Sì, invece. Il castello è mio.»

    «Non direi proprio, signora.» Il cavaliere sollevò un braccio in un gesto impaziente, indicando le proprie guardie che prendevano posizione presso i cancelli e sul camminamento di ronda, mentre i cavalli si ammassavano nelle scuderie troppo piccole. «Come avrete certamente notato, ora il castello di Clifford è mio.»

    «E chi lo dice?» Confusa, indignata e spaventata, Rosamund strinse la folta imbottitura di pelliccia del mantello. Non doveva lasciargli intuire il panico che l'invadeva.

    Fitz Osbern abbassò lo sguardo sulla donna che gli arrivava a malapena alla spalla e la inchiodò con i freddi occhi grigi. «Ho detto che è mio. E lo dice anche questa.» Sguainò la spada con fredda determinazione, la sollevò e la puntò verso il centro del suo petto. Un sorriso feroce si aprì nel viso cupo e non rasato, senza arrivare a illuminargli lo sguardo. «In questo momento, con la spada che stringo in mano, il potere qui ce l'ho io, signora, non voi.»

    Rosamund si irrigidì agghiacciata: la minaccia implicita nelle sue parole era troppo reale per sottovalutarla.

    All'improvviso la spada venne abbassata, ma il sollievo di Rosamund durò poco. Il cavaliere coprì in due passi la distanza tra di loro e senza darle il tempo di reagire le cinse la vita con un braccio, attirandola brusco a sé.

    Con il seno premuto contro il suo petto muscoloso, Rosamund si ritrovò del tutto incapace di pensare, invasa da sensazioni intense e avvolta dal suo calore. Non le era mai successo prima di sperimentare a quel modo il controllo fisico di un uomo. Non riusciva quasi a respirare e il cuore le martellava forte nel petto. Si dibatté furiosa nel tentativo di liberarsi, ma non ottenne alcun risultato. Sollevò lo sguardo sul suo viso e lo sgomento si trasformò in paura, vedendo quegli occhi grigi screziati d'oro fissarla con un sentimento assai simile all'odio.

    Che cosa poteva sperare di ottenere da quell'uomo spietato?

    Per la prima volta nella vita, Rosamund si ritrovò a temere per la propria sicurezza e il proprio onore.

    1

    Gennaio 1158, due settimane prima

    I soldati cavalcavano verso nordovest, lasciandosi alle spalle Gloucester, spinti dalla prospettiva di un caloroso benvenuto al castello che i Fitz Osbern possedevano a Monmouth, dopo tanto tempo passato alla pioggia e al vento. Li attendevano cibo caldo, bevande senza limiti, le dolci carezze di una mano femminile e un bel bagno. Si erano ritrovati a viaggiare nel cuore dell'inverno, dopo una breve campagna dall'altra parte del Canale, nell'Angiò, dove Gervase Fitz Osbern possedeva diversi castelli posti in posizione strategica.

    La traversata del Canale era stata tremenda; Gervase tremava ancora al ricordo della giornata intera passata a farsi sballottare e bagnare dalle onde – era chiaro che i viaggi per mare non facevano per lui – ma ora erano finalmente sulla terraferma. Sollevò la testa, come il levriero che lo seguiva annusando l'aria. Al di là della bruma si intravedeva il profilo scuro delle Montagne Nere, segno che erano vicini a casa.

    Poi un gruppo di viaggiatori si avvicinò lungo la strada, portando notizie che indussero Fitz Osbern a cambiare i propri piani.

    «Si dice che William de Longspey, Conte di Salisbury, stia per morire.»

    Gervase si sentì mancare il fiato, come se qualcuno lo avesse preso a pugni nello stomaco.

    «Proseguiamo, mio signore?» gli chiese Watkins, il comandante delle truppe.

    Gervase rimase in sella senza curarsi della pioggia scrosciante, il viso cupo e lo sguardo perso in lontananza.

    Poi sollevò la testa, raccolse le redini e fece segno agli uomini di muoversi. «Ci fermiamo a Hereford.» L'autorità del loro signore, oltre alla prospettiva dei piaceri offerti dalla città, ebbe l'effetto desiderato e i cavalieri posero fine a qualsiasi mormorio di dissenso. «E a Hereford farò in modo di scoprire lo stato di salute di William de Longspey» aggiunse Gervase a bassa voce, il viso serio e deciso.

    Nel frattempo, nella vicina e prospera cittadina di Salisbury, Rosamund de Longspey era d'umore irritabile e stizzito. D'altra parte, come darle torto? Aveva quasi ventiquattro anni, senza un fidanzato o un marito all'orizzonte, ed era rimasta orfana di padre per la seconda volta in vita sua. Era graziosa e di sangue nobile, eppure il futuro le pareva più incerto che mai.

    Rosamund raggiunse gli altri membri della famiglia, riuniti in occasione della morte per febbri di William de Longspey, Conte di Salisbury. Il nobiluomo era il suo patrigno, il che poteva spiegare il suo scarso dolore in quel momento, e non le aveva riservato un interesse e un affetto particolari, mentre passava da bambina a giovane donna di grande bellezza. Rosamund era figlia della Contessa Petronilla e del suo primo marito, John de Bredwardine; aveva assunto il cognome del patrigno quando la madre si era risposata e nutriva un interesse molto personale nei confronti del testamento del Conte William. Nell'ora seguente in quella stanza si sarebbe deciso il suo futuro, con o senza il suo consenso.

    Non ci furono sorprese quando padre Benedict, cappellano dei de Longspey, espose i termini del testamento: la famiglia costruita con la prima moglie veniva ricompensata con generosità. Il titolo, il grosso delle proprietà a Salisbury e le altre sparse per il paese passavano a Gilbert, l'erede, che assunse un'aria soddisfatta e piena di sé. Gli altri due figli, Walter ed Elizabeth, non vennero dimenticati.

    La Contessa Petronilla poteva mantenere le terre e le rendite della sua dote e vivere, se voleva, nel castello di Salisbury come ospite onorata. Altrimenti, avrebbe potuto trasferirsi a Lower Broadheath, una graziosa tenuta di campagna che ora le apparteneva.

    Il Conte William era stato generoso e giusto.

    «Il mio signore pensava che forse avreste voluto risposarvi.» Padre Benedict rivolse un sorriso benevolo alla vedova, che non mostrava alcuna traccia di lacrime per la perdita del marito.

    Lady Petronilla inclinò il capo, tuttavia Rosamund non si lasciò ingannare. Sua madre non aveva alcuna intenzione di imbarcarsi in un nuovo matrimonio, per quanto ricco o di bell'aspetto potesse essere il futuro sposo. Ora era libera di fare quello che voleva; due mariti, entrambi insoddisfacenti, erano più che abbastanza per una donna, le avevano sentito mormorare in privato.

    A me ne basterebbe uno. Rosamund aprì a fatica le dita. C'era ancora una questione che non era stata toccata.

    Puntò uno sguardo diretto sul sacerdote. «Padre Benedict, quali disposizioni sono state prese per me? Avrei almeno bisogno di terre sufficienti a costituire la mia dote.»

    «Ah... sì, certo, Lady Rosamund...» Padre Benedict si schiarì la gola. «Il conte vi ha concesso tre roccaforti.» Annuì con un sorriso incoraggiante, che alla giovane parve falso. «Tre fortezze e le rendite provenienti dalle terre e dalle tenute a esse legate, per il vostro piacere e la vostra dote, Lady Rosamund.»

    La fortunata signora inarcò le sopracciglia. «E dove si trovano queste tre fortezze, padre Benedict?» La sua voce bassa e un po' rauca in genere possedeva un grande fascino, ma ora suonava sospettosa.

    «Sul confine, mia signora.»

    «Il confine gallese?» indagò Rosamund. «Siate più preciso, per favore, padre.»

    Il cappellano si schiarì di nuovo la gola e lanciò una rapida occhiata al nuovo conte, che annuì in segno di assenso. «I castelli e le terre di Clifford, Ewyas Harold e Wigmore al confine con il Galles ora vi appartengono, mia signora.»

    Rosamund abbassò lo sguardo sulle proprie dita, di nuovo intrecciate in grembo; l'espressione era indecifrabile, ma la mente lavorava febbrile. «E queste tre fortezze dovrebbero attirare un marito?»

    Il Conte Gilbert scoppiò in uno sghignazzo soffocato con prontezza, mentre Walter non si curò nemmeno di nascondere il proprio divertimento.

    «Oh, non devi preoccuparti, Rose» replicò Gilbert. «Non resterai nubile e povera.» Lei distinse un lampo astuto e calcolatore nello sguardo del fratellastro, prima che questi si alzasse, attraversasse la stanza e le battesse un colpetto consolatorio sulla mano. «Non temere, sistemerò tutto al meglio, con tre preziose fortezze come queste per attirare l'attenzione di un marito adatto» dichiarò con una risatina. «Nessuno potrà mai dire che non si è provveduto in modo adeguato a una de Longspey.»

    Rosamund gli rivolse un sorriso grato, ma in realtà ribolliva di rabbia.

    Quando si ritrovò da sola con la madre nell'intimità del solario, esplose con foga appassionata. «E così ora sono un'ereditiera, con tre castelli sperduti al confine gallese!» Gli occhi verdi sfolgoravano di collera. «Trasferirsi là vorrebbe dire restare sepolta viva! Niente mi convincerà mai ad andarci!» proclamò.

    La decisione di Rosamund non durò a lungo.

    Subito dopo che ebbe finito di pranzare, venne convocata nell'alloggio privato del nuovo conte.

    Lo scrutò diffidente: in quell'ambiente sontuoso Gilbert pareva ancor più compiaciuto e pieno di sé. Non appena lei comparve sulla porta le rivolse un sorriso falso.

    «Rose, ho delle magnifiche notizie per te» le annunciò. «Oggi è una giornata piena di novità. Non ti avevo forse detto di lasciar fare a me? Il messaggero è appena arrivato.» Le mostrò un documento spiegazzato per il viaggio. «Ho in mente un cavaliere disposto a sposarti per i tre castelli che ora possiedi; sarà un'unione molto vantaggiosa. Sei rimasta nubile troppo a lungo» concluse fissandola.

    Rosamund si sentì opprimere da un cupo presentimento. Come sospettava, quei tre castelli costituivano una trappola e lei era l'esca che avrebbe attirato la preda. Fece un respiro lento e profondo.

    «Chi è?»

    «Ralph de Morgan di Builth. Possiede vaste tenute da quelle parti.»

    «Ralph de Morgan?» Il cavaliere in questione visitava spesso le proprietà dei de Longspey; Rosamund evocò la sua immagine e sentì i palmi coprirsi di un sudore freddo e sgradevole. «Ma è più vecchio di Lord William!» protestò. Forse esagerava un po', però non di molto.

    «È un uomo importante, Rosamund.» Gilbert si sporse in avanti e continuò a sorridere. «E vedovo da poco. Vuole una sposa che gli porti in dote nuove proprietà in Inghilterra e ci aiuterà a tenere al sicuro i castelli lungo il confine. Dubito che potresti trovare un partito migliore. Ha fatto un'offerta generosa.»

    «Me lo immagino!» Chi avrebbe sdegnato un forte legame con i potenti de Longspey?

    «Non hai scelta, mia cara sorella» dichiarò il conte, come se avesse avvertito le sue mute obiezioni. «È già tutto combinato, Ralph de Morgan ha acconsentito e i termini dell'accordo sono più che accettabili. Verrà qui la settimana prossima per rinnovare la vostra conoscenza, questa volta come corteggiatore.»

    Rosamund riuscì a controllarsi. «Va bene, Gilbert.»

    Il fratellastro la guardò poco convinto. «Ascoltami, Rosamund, dovrai trattarlo bene.»

    «Ma certo, Gilbert» lo rassicurò lei con un sorriso sereno.

    A quel punto, una fuga a Clifford diventava una prospettiva attraente.

    Un solo incontro con Ralph de Morgan fu sufficiente per confermare i suoi peggiori timori e spingerla a un'aperta ribellione.

    Furiosa e risentita, Rosamund fece irruzione nella stanza della contessa, dove la madre sorvegliava la sua serva Edith intenta a preparare i bagagli in vista del viaggio a Lower Broadheath.

    «Non posso farlo» annunciò decisa.

    Lady Petronilla abbandonò la sopraveste di seta che stava ripiegando e guardò la figlia con un misto di simpatia e rassegnazione. «Ho pensato la stessa cosa quando mi hanno presentato i miei due mariti, ma a volte, mia cara bambina, non c'è possibilità di scelta.» La vedova lisciò le pieghe dell'abito scuro con gesti veloci e irrequieti, poi si avvicinò a una cassa che conteneva tazze e un boccale di birra. Di media statura, aveva una figura ben proporzionata, acuti occhi di colore grigioverde e capelli biondi senza fili grigi. Con gesti abili ed energici riempì una tazza e la porse alla figlia.

    «Com'è possibile che non ci sia scelta? Ralph de Morgan è rozzo e calvo e i suoi vestiti puzzano. L'avete visto? Si è pulito le dita sporche di salsa sulla tunica. Mi chiedo quando siano venute a contatto con dell'acqua l'ultima volta. E in quanto al suo alito, quando mi ha baciato sulla guancia...» Rosamund girò su se stessa, i capelli trattenuti dai nastri che ondeggiavano da tutte le parti, e colpì con il pugno le cortine del letto. «È disgustoso!»

    «Sposare Ralph de Morgan non è una prospettiva piacevole, lo ammetto, ma i tuoi fratelli sono molto decisi.»

    «Gilbert e Walter non sono miei fratelli di sangue» le ricordò Rosamund. «Ne ho abbastanza di uomini arroganti che mi dicono cosa devo e non devo fare, quello che mi conviene e quello che è meglio evitare. Io non ci sto!»

    «Capisco. Ralph non è un uomo attraente. È così... corpulento.»

    «Grasso, direi. Preferirei sposare il mendicante sporco e cencioso che ogni giorno chiede l'elemosina fuori dalla cattedrale.»

    «Non penso proprio. E poi non credo che lui ti vorrebbe.» Le due signore presero in considerazione per un momento quella prospettiva alquanto dubbia. «Mia cara Rose, comunque hai bisogno di un marito» riprese Petronilla. «Avresti dovuto sposarti anni fa.»

    «Lo so. Ci sono dei vantaggi nel matrimonio, ma io voglio...» Rosamund rivide nella mente il protagonista dei suoi sogni infantili. «Voglio un marito giovane e bello, con i capelli folti e i modi gentili, disposto a trattarmi con onore e considerazione. Un cavaliere colto e cortese, in grado di leggere e scrivere, che non mi costringa a fare ciò che non desidero.» Si interruppe un attimo, persa nelle proprie illusioni. «E che provi un po' d'affetto per me» concluse. «Non mi aspetto un grande amore, ma non voglio nemmeno essere una semplice pedina in un gioco di potere.»

    «Sei piuttosto esigente» commentò Lady Petronilla inarcando le sopracciglia, per poi riportare l'attenzione sulla veste di seta lucente. «Ma esiste un simile modello di virtù, un uomo che ti lasci fare a modo tuo? Non saprei proprio. E tu saresti felice con un marito del genere?»

    Rosamund ci pensò un momento. I due matrimoni non avevano portato una grande felicità alla madre, dunque perché la sua esperienza avrebbe dovuto essere diversa?

    Certo, c'era stato un uomo... Il solo ricordo la sconvolgeva nel profondo dell'anima.

    Rosamund si voltò per nascondere alla madre l'acuto desiderio che le chiudeva la gola.

    Il suo Falco Selvaggio. Il suo fiero signore.

    Gervase Fitz Osbern.

    Erano passati quattro anni, eppure il ricordo le ritornò alla mente con facilità, come era successo spesso, in tutto quel tempo, insieme alla vergogna, alla rabbia e all'umiliazione provate in quell'occasione.

    Se si concentrava, Rosamund riusciva a rievocarne con precisione l'aspetto...

    L'uomo arrivò a Salisbury di pessimo umore per un colloquio con il conte. Rosamund non conosceva bene i retroscena, ma sapeva che tra Fitz Osbern e il Conte William correva cattivo sangue. L'atmosfera era tesa, ma il suo patrigno voleva calmare le acque e convincere il nemico a diventare un alleato, così gliela offrì in sposa.

    Venne convocata al suo cospetto, in modo che il cavaliere potesse esaminarla, ma lui si limitò a lanciare un rapido sguardo nella sua direzione, senza nemmeno fermarsi a considerare i suoi meriti come possibile sposa. E questo dopo che la madre si era impegnata per farla apparire al meglio, ornando con nastri color smeraldo le sue trecce ramate! Lui l'esaminò arrogante, squadrandola dalla testa ai piedi come se volesse strapparle i vestiti con lo sguardo e facendola avvampare di imbarazzo e di collera. Non che se ne fosse accorto: il formidabile cavaliere era troppo occupato a respingere l'offerta del Conte William per soffermarsi sul suo aspetto o i suoi sentimenti davanti a quel brusco rifiuto.

    Rosamund venne congedata poco dopo aver messo piede nella stanza!

    Volete comprarmi offrendomi una de Longspey? Non ci riuscirete. Avete le mani sporche di sangue, mio signore, e il dono di una vergine dal sorriso fasullo non potrà mai eliminarlo.

    La sua voce era furente e minacciosa e Rosamund provò un'ondata di vergogna, come se quel rifiuto fosse dovuto a qualche sua pecca.

    Lui la degnò appena di uno sguardo; lei non aveva affatto un sorriso fasullo – che accusa assurda! – e il suo sguardo affascinato era molto diverso da quello di Fitz Osbern.

    Da allora il cavaliere divenne il Falco Selvaggio dei suoi sogni, una creatura impossibile da domare, che non conosceva i legacci e il cappuccio del falconiere. Era una vera gioia per gli occhi: alto e snello, con il corpo muscoloso di un soldato, un signore capace di andare a cavallo, combattere e maneggiare le armi con maestria, anche se in quell'occasione era vestito in modo sontuoso, con fasce ricamate ai polsi e sull'orlo della tunica. Il fodero della spada era dorato e tempestato di gemme e lui era chiaramente deciso a fare colpo sugli ospiti. Capelli scuri, occhi grigi screziati d'oro, lineamenti aquilini e una volontà di ferro. Cosa avrebbe provato una donna data in sposa a un uomo simile?

    Il cavaliere si comportò in modo cortese ma schietto fino all'imbarazzo. Non desidero sposare una delle vostre donne. Lo sguardo duro dei suoi occhi grigi era già un insulto. Tutto quello che vi chiedo, mio signore, è la restituzione della proprietà di mio padre e una ricompensa per la morte prematura di mia moglie.

    Se avesse sposato il Falco Selvaggio, lui non l'avrebbe certo lasciata fare a modo suo, questo era sicuro. Avrebbe ordinato, imposto e insistito, una prospettiva che le metteva i brividi, tanto da farle quasi compatire la povera moglie defunta.

    Alla fine, mentre si avviava verso la porta furente e deluso, lui le passò vicino, si fermò di colpo e le porse la mano deciso.

    Lei vi posò la propria.

    «Mia signora.»

    Si chinò a baciarle le dita; la bocca e la mano erano fredde, così come la sua ira era ardente, eppure Rosamund si sentì avvampare, come se lui l'avesse marchiata a fuoco. In seguito, nei momenti di disperazione, avrebbe immaginato di sentire ancora una volta la pressione insistente di quelle labbra sulle proprie, la sua lingua che si insinuava, le mani che le carezzavano il seno, mentre il cuore le batteva forte e desiderava qualcosa di cui non aveva alcuna esperienza...

    Rosamund sbatté le palpebre per scacciare il ricordo. Lo scontro tra due nobili dalla volontà di ferro aveva escluso ogni possibilità di finire a letto con quell'uomo. Il Falco Selvaggio non aveva ottenuto la terra e la ricompensa che desiderava, il Conte William non aveva stretto l'alleanza a cui aspirava e lei era rimasta senza marito. Ricordava bene come il cavaliere si fosse irrigidito con la testa china e

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