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Un suddito fedele (eLit): eLit
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E-book278 pagine6 ore

Un suddito fedele (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1109 - Quando nomina tutore del piccolo Philip uno dei suoi sudditi più fedeli e gli affida anche la madre, re Enrico forse non immagina di mettere in una situazione insostenibile l'aitante Richard di Wilmont e l'incantevole Lucinda di Northbryre. Come può sentirsi attratto dalla vedova del suo peggior nemico?, si domanda sgomento il malcapitato Richard. Come può desiderare un uomo che non potrà mai avere?, si tormenta ogni giorno Lucinda. Ma il cuore, si sa, ha delle ragioni che la ragione non conosce e che spingono i due amanti a superare ogni sorta di ostacoli, fra i quali anche i dubbi dell'anima.



Storie di re e di cavalieri

1)Prigioniera del cavaliere

2)Un suddito fedele

3)La ballata dell'eroe

4)Sfida al castello
LinguaItaliano
Data di uscita31 mar 2017
ISBN9788858968369
Un suddito fedele (eLit): eLit
Autore

Shari Anton

Vive nel Wisconsin e condivide con il marito la passione per la storia, che l'ha portata a scegliere per le ambientazioni dei suoi romanzi i periodi che più ama: la guerra civile americana, le imprese dei pionieri e il medioevo.

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    Un suddito fedele (eLit) - Shari Anton

    successivo.

    1

    Inghilterra, 1109

    Richard arretrò di un passo e tirò indietro lo stomaco per evitare la punta sibilante della spada del suo avversario. Il mormorio che serpeggiò tra la folla assiepata attorno all'arena confermò quanto vicina fosse andata la lama a sforacchiargli l'ombelico.

    Sorrise. Come sempre aveva permesso a Gerard, il maggiore dei suoi fratellastri e barone di Wilmont, di prendere l'iniziativa, di cercare i punti deboli nelle sue difese. Quella formidabile stoccata dimostrava appunto che non ne aveva trovato nessuno.

    Rispose con un affondo che avrebbe disarmato un uomo meno abile. Gerard assorbì il colpo come un enorme, inamovibile masso.

    «Vuoi smettere?» domandò in tono casuale.

    «Non finché non ti avrò visto sudare» ribatté Richard, avendo notato la mancanza del tipico velo lucido sul suo petto nudo.

    In realtà, nessuno dei due avrebbe vinto quella contesa. Erano troppo bene assortiti, dalla perizia di spadaccini alle spalle poderose. Dal verde degli occhi al color stoppa dei capelli. Una lunga cicatrice attraversava il torace di tutti e due. Gerard se l'era procurata molti anni addietro difendendo Everart, il loro padre ormai defunto. Lui in epoca più recente, quando era stato scambiato per il fratellastro.

    In sella ai loro cavalli da guerra e protetti dall'elmo e dalla cotta di maglia di ferro, era pressoché impossibile distinguere il barone di Wilmont dal bastardo di Wilmont. Quell'incredibile somiglianza era sempre stata un motivo di divertimento per loro, fino al fatidico giorno in cui aveva evitato a Gerard la ferita che a lui era quasi costata la vita.

    L'uomo che aveva ordinato di assassinarlo, Basil di Northbryre, aveva pagato il suo errore con la morte e la perdita delle sue terre. Gerard lo aveva poi ricompensato offrendogli la signoria di una parte dei possedimenti acquisiti grazie alla rovina di Basil.

    Richard doveva molto al fratello la cui spada, se non fosse stato in guardia, stava rischiando di tagliarlo in due. Il clangore di acciaio contro acciaio echeggiò nell'arena mentre parava la vigorosa stoccata di Gerard. La violenza dell'urto gli intorpidì la mano e gli fece tremare il braccio. Anche quello di Gerard doveva tremare, solo che si guardava bene dal lasciar trapelare la benché minima reazione.

    Continuarono a battersi. Un altro brusio si levò dalla folla, ma Richard non vi fece caso preferendo concentrarsi sugli occhi stretti e sul ghigno di Gerard. Conosceva bene quell'espressione e si preparò alla raffica di sciabolate che senza dubbio sarebbe seguita.

    Godeva della forza di ognuna di esse, di come i suoi muscoli reagivano ai suoi comandi, del semplice piacere di opporre la propria abilità e scaltrezza a quelle di Gerard. Era soprattutto per questo che tornava spesso a Wilmont, dove sua madre, una popolana inglese, lo aveva dato alla luce e suo padre, un nobile normanno, lo aveva allevato. Dove da bambino aveva conosciuto affetto e disprezzo. Dove adesso veniva rispettato come uomo.

    Un fischio acuto lo indusse ad arrestarsi di botto. Abbassando la spada, si volse verso il castello. Stephen, il minore dei suoi fratellastri, si stava aprendo un varco fra gli spettatori dirigendosi rapidamente verso di loro. Se bastava un'occhiata per capire che lui e Gerard erano figli dello stesso padre, questo non si poteva dire per Stephen. Non solo era più basso e più snello, ma aveva la carnagione olivastra e i capelli neri di sua madre Ursula.

    Richard fece segno al giovane soldato che teneva le loro tuniche di avvicinarsi.

    «All'inferno!» imprecò Gerard mentre consegnavano le armi e riprendevano le tuniche.

    «Esatto» rise Stephen. «Ardith ha appena saputo che vi stavate battendo e che nessuno dei due usava uno scudo e indossava un usbergo. Temo che ti aspetti una bella lavata di capo.»

    La moglie di Gerard era una delle donne più dolci che Richard avesse mai conosciuto. Ma se provocata, non si faceva scrupolo di manifestare la sua contrarietà. Non sarebbe stata la prima volta che Gerard pativa le pene dell'inferno per essere sceso in campo senza un'adeguata protezione.

    «Quindi ti ha mandato qui per farci smettere» sbuffò Gerard.

    «Una donna nelle sue condizioni non dovrebbe farsi largo a spintoni tra la calca né piombare nel bel mezzo di uno scontro. Perciò le ho offerto i miei servigi. Inoltre, speravo che ti decidessi a spiegarci perché ci hai mandato a chiamare.»

    «A suo tempo» bofonchiò Gerard, passandosi la tunica dalla testa.

    «Sono rimasto qui per due giorni in attesa di Richard. È arrivato stamattina ed è quasi ora di cena. Vuoi dirmi per quanto tempo dovremo ancora aspettare?»

    «Finché non avrò placato le ire di mia moglie, non mi sarò lavato e non avrò mangiato» lo informò Gerard girando sui tacchi.

    «La sua ostinazione è davvero esasperante» si lagnò Stephen, guatando la sua schiena con occhio torvo.

    Richard si infilò la tunica. «Pazienza, Stephen» gli consigliò, pur sapendo di sprecare il fiato. Stephen voleva sempre essere dove non si trovava, fare una cosa diversa da quella che stava facendo. Benché finisse spesso nei guai a causa della sua irrequietezza, questo non contribuiva minimamente a diminuire la sua smania di imbarcarsi nell'avventura successiva.

    «Sono stato fin troppo paziente. Non sei curioso di sapere perché Gerard ci ha convocati?»

    «Sì, ma posso attendere che sia pronto a spiegarcelo.»

    «Puah! Probabilmente lo farà con due parole alla volta e mi manderà fuori di senno.»

    Richard proruppe in una risata divertita. «Suvvia, Stephen. Quando decide di farlo, Gerard riesce a parlare per ore e ore.»

    «Ah, sì? Quando è stata l'ultima volta in cui lo hai sentito pronunciare più di un paio di frasi di seguito?»

    «A corte, durante il suo processo per omicidio. Ha perorato la sua causa di fronte a re Enrico in modo estremamente eloquente.»

    «Non ero presente, come ben sai. Ero qui a Wilmont, impegnato nei preparativi per la guerra che sarebbe scoppiata se Gerard non fosse riuscito a dimostrare la sua innocenza. Dimentichi, Richard, che non ha vinto con le parole, ma con le armi.»

    Gerard se l'era cavata per miracolo durante la singolar tenzone contro il rappresentante di Enrico. Se Ardith non avesse lanciato un pugnale nell'arena a pochi centimetri dalla sua mano, avrebbe perduto sia Wilmont sia la vita.

    «Non importa come l'ha fatto. Gerard ha difeso il suo onore e la sua baronia, e tutti noi abbiamo conservato le nostre terre.»

    «Questo è vero.»

    Richard gli batté una mano sulla schiena. «Vieni. Andiamo a vedere quali vini Gerard è riuscito a importare dalla Francia. Chissà che l'alcol non gli sciolga la lingua.»

    Fu una cena assai gradevole. Gerard era riuscito a rabbonire la sua splendida moglie. Seduta al suo fianco alla tavola principale, posta sulla pedana del salone di Wilmont, Ardith divideva serenamente il suo tagliere. Stephen ne divideva uno con Daymon, un bambino di sei anni, figlio illegittimo di Gerard, mentre il piccolo Everart, il suo erede di appena tre anni, mangiava con sua nonna Ursula.

    Un tempo Ursula era stata la croce dell'esistenza di Richard. Con gli anni la sua lingua tagliente si era alquanto smussata, ma non riusciva ancora a guardarlo senza ricordare l'infedeltà del marito.

    Non volendo causarle ricordi più penosi di quelli evocati dalla sua sola presenza, lui aveva preferito sedere a uno dei tavoli su cavalletti, con il pretesto di scambiare quattro chiacchiere con i cavalieri più anziani del castello.

    Più tardi, dopo che quasi tutti si furono coricati, prese posto a quello stesso tavolo di fronte a Gerard, mentre Stephen vi camminava nervosamente attorno.

    Gerard versò in tre coppe d'oro il vino francese contenuto in una brocca d'argento. «La domenica di Pentecoste» annunciò, «re Enrico terrà corte a Westminster per il fidanzamento della principessa Matilda con l'imperatore.»

    Stephen si lasciò cadere a cavalcioni sulla pan ca. «Vuoi che ti accompagniamo a corte per assistere alla cerimonia?»

    «Ho deciso di non andare e di mandare voi due a rappresentarmi.»

    Mentre Stephen saltava per la gioia, Richard rabbrividì. Detestava stare a corte, odiava le frotte di nobili e le loro incessanti manovre politiche. E sebbene nessuno si azzardasse a dirglielo in faccia per rispetto a Gerard, gli aristocratici tolleravano a stento la presenza del bastardo che godeva della benevolenza del fratello maggiore. Non contava che le sue terre fossero assai più numerose di quante molti di loro potessero mai sperare di possedere né che la corte accettasse di buon grado lo stuolo di figli illegittimi di Enrico I. Quei bastardi venivano accettati unicamente perché erano i bastardi del re.

    Mandò giù una lunga sorsata di vino. «A che cosa si deve questa tua decisione?»

    «Ogni volta che metto piede a corte, Enrico monta su tutte le furie e mi assegna un compito che mi tiene per mesi lontano da Wilmont. Ardith partorirà fra due mesi e voglio essere qui quando nascerà il bambino.»

    «Molto saggio da parte tua» assentì Stephen. «Andiamo, Richard. Perché quella faccia scura? Ce la spasseremo alla grande. In occasione del fidanzamento di sua figlia il re non lesinerà cibo, bevande e divertimenti.»

    Lui lo ignorò e si sporse verso Gerard. «Perché non mandi solo Stephen, allora? Ti ricordo che la mia faccia è troppo simile alla tua. Vedendola, Enrico potrebbe comunque adombrarsi.»

    «È possibile, ma malgrado tutti i suoi difetti, è un uomo giusto e non è in collera con te quanto lo è con me. E poi desidero che siate presenti tutti e due, che siate i miei occhi e le mie orecchie.»

    Gerard non era privo di fedeli alleati a corte, pensò Richard. Gliene venivano in mente diversi che sarebbero stati ben contenti di fornirgli un resoconto dettagliato. Se riusciva a capire il moti vo per cui uno di loro dovesse recarsi a corte in rappresentanza di Wilmont, perché Gerard volesse mandare entrambi i suoi fratelli superava la sua comprensione.

    «Perché? Che cosa pensi che succederà?» domandò Stephen.

    «L'unica cosa che so è che Enrico in quest'occasione si mostrerà generoso. Ascolterà tutte le petizioni, dalle richieste di terra a quelle di un'ereditiera. L'equilibrio del potere all'interno del regno muterà ed è di vitale importanza che io apprenda in quale direzione soffia il vento. È certo che non sarà nella nostra e dobbiamo difendere ciò che ci appartiene.»

    Richard aggrottò le sopracciglia. «Credi che Enrico aspiri ancora a mettere le mani su Wilmont?»

    «Può darsi.»

    Stephen agitò la mano in un gesto noncurante. «Dubito che muoverebbe un dito per saggiare il potere di Wilmont. Hai troppi alleati, Gerard. Sai piuttosto quali sono le ereditiere disponibili? Ma pensa, Richard, potremmo diventare ricchi tutti e due.»

    Lui rise, tanto del suo repentino saltare di palo in frasca quanto del suo ottimismo. «Tu, forse, ma io? Ne dubito.»

    Le probabilità che gli venisse accordata un'ereditiera erano praticamente inesistenti. Le grandi ereditiere inglesi venivano date in moglie a uomini di alto rango e in possesso di un nome senza macchia, non ai bastardi, a meno che non fossero bastardi reali. Ciononostante, qualora fosse stato in grado di mitigare il risentimento di Enrico nei confronti di Wilmont, esisteva una se pur remota possibilità di ottenere il suo favore e forse un'ereditiera meno facoltosa.

    Con la dote di una sposa avrebbe potuto ampliare le sue proprietà. Era la terra a conferire il potere e più ne avesse posseduta, più si sarebbe elevato socialmente, bastardo o no.

    «Allora, che ne dici, Richard?» domandò Gerard scrutandolo. «Che male ci sarebbe a dare un'occhiata?»

    Lui comprese finalmente il suo scopo. Ancora una volta gli stava aprendo una porta. Poteva darsi che desiderasse trovarsi a Wilmont al momento del parto di Ardith, ma evitava di recarsi a corte per dare ai fratelli l'opportunità di guadagnarsi la benevolenza del re senza rammentargli passati rancori.

    Non c'era alcun male a dare un'occhiata. E mentre guardava, chissà che non trovasse il sistema per sanare la frattura che si era creata fra due uomini che un tempo erano stati molto legati: Gerard ed Enrico I.

    «Dico che dovrei andare, se non altro per impedire a Stephen di commettere qualche malefatta.»

    Mentre Stephen protestava indignato, Gerard annuì e si accostò alle labbra la coppa tempestata di gemme. A Richard non sfuggì il suo malriuscito tentativo di nascondere un sorriso compiaciuto.

    Inginocchiata accanto al pagliericcio, Lucinda si chinò per afferrare le flebili parole di Hetty.

    «Porta via il bambino, mia cara. Subito, prima che vi ammaliate anche voi.»

    Le posò un panno bagnato sulla fronte. L'epidemia si era propagata nel villaggio a una velocità terrificante, colpendo soprattutto i vecchi e i bambini. Pochi di loro sopravvivevano.

    Lucinda sapeva che Hetty aveva ragione. Philip aveva solo sei anni. Avrebbe dovuto allontanarlo, ma non poteva lasciarla a lottare da sola contro la malattia.

    Hetty e suo marito li avevano ospitati e si erano presi cura di loro negli ultimi tre anni. Andarsene sarebbe stato un atto di ingratitudine da parte sua. E anche se fosse fuggita, non poteva avere la certezza che lei e Philip non soccombessero lungo la strada.

    «Ssh, Hetty. Risparmia le forze.»

    L'anziana donna le afferrò la mano e gliela strinse un istante. «So che sto morendo, che presto raggiungerò il mio Oscar. Lo avete già sepolto?»

    Lei scosse la testa. Anche se Oscar era morto il giorno innanzi, troppo pochi uomini erano abbastanza in forze da poter scavare le fosse per quei poveretti che avevano già abbandonato la loro vita terrena.

    «Bene.» Hetty sospirò sollevata. «Così ci metteranno nella stessa tomba. È giusto che passi l'eternità insieme a mio marito.»

    La devozione reciproca di Hetty e Oscar non aveva mai cessato di sbalordirla. Il matrimonio era stato una gioia per loro, così diverso dall'orrore della sua vita coniugale con Basil. La sola cosa buona che Basil avesse fatto nella sua miserabile esistenza era stato ordinarle di fuggire dal castello di Northbryre e di tornare in Normandia dalla sua famiglia prima che lui fosse completamente rovinato. Non si era preoccupato per lei, ovviamente, ma per Philip, suo figlio ed erede. Aveva abbandonato il castello, ma non era tornata in Normandia.

    Volse lo sguardo attorno all'unica stanza della capanna fatta di argilla e di cannicci. Era diventata il suo rifugio, il nascondiglio che le consentiva di sfuggire ai nemici e ai parenti di Basil. Dove sarebbe andata se l'avesse lasciata? Possedeva ancora alcune delle monete che aveva prelevato dai forzieri di Northbryre. Sarebbero state sufficienti per raggiungere un altro villaggio, per indurre un'altra coppia caritatevole ad accogliere una donna e un bambino in casa sua?

    «Resteremo con te, Hetty. Non appena sarai guarita...»

    «Va' dal re. Chiedigli di restituire a Philip ciò che gli spetta.»

    Lucinda chiuse gli occhi e chinò il capo. Avevano parlato spesso dell'eredità di Philip. In tutto il villaggio solo Hetty e Oscar erano a conoscenza della sua vera identità. Avevano spiegato la sua presenza in casa loro facendola passare per una loro nipote che aveva perduto il marito. Quelle due persone buone e generose avevano ospitato la vedova di un traditore del regno, il figlio di un uomo le cui crudeltà erano notorie, e li avevano protetti.

    La rovina di Basil era stata quasi totale. Aveva perso la vita e per vendicarsi della sua slealtà il re aveva diviso i suoi possedimenti inglesi fra se stesso e Gerard di Wilmont. Lei dubitava altamente che Enrico avrebbe restituito quelle terre al figlio dell'uomo che aveva cercato di convincere i baroni inglesi a ribellarsi.

    Con ogni probabilità le proprietà di Basil in Normandia erano adesso nelle mani dei suoi congiunti, che non si sarebbero mai sognati di rinunciarvi. Per rientrarne in possesso, Philip sarebbe dovuto diventare il pupillo di un aristocratico abbastanza influente da poterne pretendere la restituzione.

    Lei non sopportava nemmeno l'idea di far allevare Philip da qualcun altro, tantomeno da uno dei nobili di sua conoscenza. Rabbrividì al pensiero. Suo figlio era tutto ciò che le rimaneva al mondo.

    Hetty la guardò e le rafforzò la stretta attorno alla mano. «Stai tremando. Ti senti male?»

    Sì, stava male, ma moralmente non fisicamente. «No, mi sento benissimo. Come Philip.»

    Lanciò un'occhiata all'angolo della capanna in cui il bambino sonnecchiava sul suo pagliericcio. Le visite di Basil alla sua alcova erano state le esperienze più orripilanti che avesse mai conosciuto e la nascita di Philip la più dolorosa. Il piccolo, tuttavia, costituiva la sua unica, vera gioia. Non ricordava più suo padre né il castello di Northbryre, ed era sinceramente convinto che Hetty e Oscar fossero loro parenti. Piangeva Oscar come uno zio molto amato e avrebbe avuto bisogno di conforto quando fosse spirata anche Hetty.

    Ecco, aveva finalmente ammesso l'inimmaginabile. Hetty stava per morire, probabilmente entro un'ora. E poi?

    Va' dal re.

    Era un errore allevare suo figlio come un plebeo, costringerlo a rinunciare a tutti i suoi legami con l'aristocrazia? Forse, se fosse tornata in Normandia dalla sua famiglia... No, suo padre avrebbe consegnato Philip ai parenti di Basil senza pensarci due volte.

    Cosa che avrebbe potuto fare anche il re. Enrico non era solo re d'Inghilterra, ma anche duca di Normandia.

    Hetty si era addormentata, un sonno da cui forse non si sarebbe mai svegliata. Lucinda districò la mano dalle sue dita e si alzò. Mentre si avviava alla porta per respirare una boccata di aria fresca, indugiò per scostare una ciocca dagli occhi di Philip. Aveva ereditato i suoi capelli neri, ma al di sotto delle palpebre abbassate si celavano gli occhi grigi di Basil, così diversi dai suoi, di un inconsueto color ametista. Si augurò che il colore degli occhi fosse l'unica cosa che avesse ereditato da suo padre.

    Era possibile che una sprezzante mancanza di rispetto nei confronti dei propri simili si tramandasse di generazione in generazione? Senza dubbio una guida adeguata plasmava il carattere di una persona più del sangue che le scorreva nelle vene. Molti però non avrebbero visto che il retaggio di Philip, lo avrebbero giudicato corrotto per colpa dell'uomo che lo aveva generato.

    Aprendo la porta, uscì nel sole e nella tiepida brezza. Era delittuoso che una disgrazia così grande accadesse in una giornata così bella.

    La strada era pressoché deserta. La maggior parte degli abitanti del villaggio si era chiusa in casa per evitare il contagio o impedire l'aggravarsi della malattia. La campana della chiesa non suonava le ore da due giorni perché il parroco stava male. Quanti sarebbero morti quel giorno? Quanti l'indomani?

    Incrociando le braccia sul petto, Lucinda si appoggiò al tronco di una quercia vicina alla porta, da dove avrebbe potuto sentire se Hetty o Philip si fossero mossi.

    Philip.

    Non restava più nulla per lei e Philip in quel minuscolo villaggio. Ancora una volta sarebbe stata costretta a fuggire e cercare un asilo.

    Non mancava che una settimana alla Pentecoste, quando il re avrebbe tenuto corte a Westminster. Viaggiatori e venditori ambulanti di passaggio avevano portato la notizia del fidanzamento della principessa con Enrico V, re di Germania e imperatore del Sacro Romano Impero. La nobiltà si sarebbe riunita nel palazzo reale per rendere omaggio al re e assistere alla cerimonia. Enrico avrebbe ascoltato le petizioni di tutti i presenti, sia aristocratici sia plebei. Si sarebbe mostrato magnanimo, sforzandosi di compiacere tutti i suoi sudditi qualora ne avesse avuto la possibilità.

    Abbassando lo sguardo sulla veste di lino grigio a trama rada, tentò di immaginarsi di fronte al re vestita come una contadina, intenta a supplicarlo di accordarle la sua benevolenza. Una prospettiva umiliante, considerato che un tempo si era abbassata in una riverenza davanti a lui con indosso una veste di seta.

    Basil l'aveva condotta a corte una sola volta, ma era stata sufficiente per vedere come si agghindavano i nobili e per imparare l'etichetta indispensabile in presenza del sovrano. Era cresciuta in una casa aristocratica, educata come una signora. Sapeva come comportarsi e poteva insegnarlo a Philip.

    Ma come insegnare a un bambino a ignorare gli insulti che senza dubbio avrebbe udito? Come spiegargli che doveva celare i suoi sentimenti dietro una maschera di indifferenza e non fidarsi di nessuno?

    Buon Dio, stava sul serio prendendo in considerazione l'idea di recarsi a corte?

    «Madre?»

    Lucinda si girò di scatto al suono della voce di Philip. Lo vide in

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