Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Prigioniera del cavaliere (eLit): eLit
Prigioniera del cavaliere (eLit): eLit
Prigioniera del cavaliere (eLit): eLit
E-book286 pagine9 ore

Prigioniera del cavaliere (eLit): eLit

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Con il paese sull'orlo dell'anarchia, Bastien de la Roche, prode cavaliere al servizio del Duca di York, è pronto a qualsiasi sacrificio pur di riportare la pace nelle proprie terre. Così, quando cattura la giovane e intraprendente Alice Matravers e scopre che lei è una dama di corte, usa tutto il proprio fascino per convincerla a procurargli un'udienza con Re Enrico. In realtà, la graziosa fanciulla non è affatto docile come lui aveva immaginato, e si rivela una vera sfida. Anche se, sotto l'apparente fierezza, nasconde anche un grande coraggio e un'infinita dolcezza. Ma queste sue qualità basteranno a ridare vita al cuore inaridito di Bastien?



Storie di re e di cavalieri

1)Prigioniera del cavaliere

2)Un suddito fedele

3)La ballata dell'eroe

4)Sfida al castello
LinguaItaliano
Data di uscita31 mar 2017
ISBN9788858968352
Prigioniera del cavaliere (eLit): eLit
Autore

Meriel Fuller

Appassionata di arte e letteratura medievale, ha abbandonato il mondo della pubblicità per concentrarsi sulla ricerca storica e sulla scrittura di romanzi ambientati perlopiù nell'Alto Medioevo.

Autori correlati

Correlato a Prigioniera del cavaliere (eLit)

Titoli di questa serie (4)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa romantica storica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Prigioniera del cavaliere (eLit)

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Prigioniera del cavaliere (eLit) - Meriel Fuller

    successivo.

    1

    Shropshire, Inghilterra, 1453

    «Santo cielo!» gemette Beatrice Matravers stizzita come al solito, portando la pallida mano tremante alla fronte priva di rughe. «Questi scossoni infernali saranno la mia morte!»

    Quasi a sottolineare la sua imprecazione, la carrozza scartò con violenza, facendola sobbalzare contro l'interno imbottito.

    Beatrice rimase lì, appoggiata al fianco della vettura, gli occhi serrati e la bocca contratta in una severa espressione di profondo malcontento.

    Joan, la cameriera, ciondolava al suo fianco, sprofondata in un sonno ristoratore.

    «Fatevi forza, madre, cercate di riposare.» Alice Matravers si sporse in avanti, sorridente, dando dei colpetti al ginocchio della donna per rincuorarla. L'elaborato ricamo dorato che decorava l'abito della madre le graffiava la punta delle dita. Alice si appoggiò allo schienale e con una mano scostò le pesanti cortine di velluto che riparavano il finestrino, nel tentativo di capire dove si trovassero. Soffocata dalla calda, tesa atmosfera dell'interno opprimente, sporse la testa al di là delle tende, godendosi la fresca aria mattutina sulla pelle. Fuori, il giorno era limpido e luminoso; i faggi, vestiti dei loro sgargianti colori autunnali, torreggiavano con i lisci tronchi grigi sullo stretto sentiero che percorreva la foresta.

    Una sottile sensazione di fastidio invase le vene di Alice, come risultato del lungo viaggio in compagnia delle continue lamentele materne sin da quando avevano lasciato Bredon quella mattina presto. La giovane sospirò. Sua madre sarebbe stata molto più felice se Sir Humphrey Portman l'avesse trovata più docile, più adeguata come potenziale sposa. Non vi era dubbio sul fatto che l'avesse ritenuta del tutto carente nelle qualità necessarie per diventare la signora di un maniero.

    Che diamine, l'aveva decisamente guardata torvo, quando lei aveva marciato fiduciosa verso il tavolo principale per salutarlo con un ampio sorriso. La giornata era peggiorata da quel momento in poi.

    «Dovremmo essere a casa allo scoccare delle quattro.» Alice si afflosciò sui cuscini di piuma, sbattendo le palpebre con rapidità per riabituare gli occhi all'indistinta penombra dell'interno.

    «Almeno questo è di qualche conforto, suppongo» replicò debolmente la donna. I suoi grandi occhi blu, specchio di quelli della figlia, la scrutarono con un misto di irritazione e di perplessità. «Di certo, saremmo ancora là se Sir Humphrey ti avesse trovata più accomodante. Avevo sperato che questa volta... dopo il nostro discorsetto...» Lasciò la frase in sospeso e sospirò delusa.

    «Mi rincresce, madre» si scusò Alice. I sensi di colpa le attanagliarono le viscere. I genitori avevano solo a cuore il suo interesse: vederla felicemente maritata a un uomo facoltoso, con una nidiata di bambini sorridenti aggrappati alle gonne. Anche lei desiderava la medesima cosa, ma con una persona che potesse amare davvero, qualcuno che le concedesse quella libertà e indipendenza a cui era abituata, non un vecchio corteggiatore con il doppio dei suoi anni, che le mettesse il freno alla prima occasione!

    «Be', c'è sempre Edmund.» Beatrice fece un debole sorriso. «È entusiasta all'idea di sposarti e otterrà la sua eredità piuttosto presto. Anche se sarà inferiore a ciò che possedevano tutti i tuoi corteggiatori precedenti.» Le ombre scure sotto gli occhi della madre sembravano prove evidenti delle innumerevoli notti insonni. Tuttora, con la guerra in Francia che volgeva al termine, non si avevano notizie del fratello di Alice, che era andato a combattere per il suo paese due anni prima e non era ancora tornato.

    «Edmund è un brav'uomo» concordò Alice. «È solo che...» Come poteva confessare alla madre che la prospettiva di sposare Edmund riempiva la sua mente di noiose immagini di un infinito squallore? Serene, certo, ma tediose. Conosceva Edmund fin dall'infanzia; le piaceva, era un buon amico, però non lo amava. Tuttavia, l'espressione sconvolta della madre la costrinse a ripensarci. Avrebbe reso entrambi i genitori molto felici se si fosse finalmente decisa a sposarsi. «È solo che io non amo Edmund» sbottò infine.

    Beatrice la fissò con gli occhi arrossati. «Come ti ho già detto, ragazza mia, l'amore non c'entra e non deve entrarci! Abbiamo bisogno di denaro, denaro che il tuo inutile padre manca di fornirci, e un ricco matrimonio è per te il solo modo di ottenerlo.»

    Alice si morse il labbro, corrucciata. Paragonato a Sir Humphrey, Edmund appariva una prospettiva di certo migliore. E forse, se si fossero sposati, l'amore fra loro sarebbe sbocciato. Sentì il senso di responsabilità gravarle sulle spalle. Di colpo si alzò, aggrappandosi alle tendine. «Cavalcherò per un tratto, ho bisogno di aria fresca.»

    Non appena Alice balzò fuori dalla carrozza traballante, con le morbide scarpette di pelle che sprofondavano nel terreno spugnoso, si aspettò che la madre la richiamasse, pregandola di non cavalcare con l'elaborato vestito alla moda che aveva indossato apposta per l'occasione. Beatrice, in realtà, sembrava remissiva, addirittura affranta, persa nei propri pensieri, e la fanciulla fu ben contenta di lasciarvela.

    Vedendola saltare giù con grazia dal cocchio in movimento, uno dei soldati della scorta gridò un secco comando per arrestare il convoglio.

    Alice gli sorrise in segno di ringraziamento, camminando con cautela sulla carreggiata fangosa verso il retro della carrozza, dove il soldato conduceva la sua grigia giumenta pomellata. Sapeva, anche senza guardare in basso, che il lungo strascico dell'abito si stava inzuppando nel fango; quando infilò la punta del piede nella staffa, la terra appiccicosa aveva già imbrattato l'orlo della pregiata stoffa verde.

    «Posso esservi di aiuto, mia signora?» Il soldato si sporse, come preparandosi a scendere da cavallo, con le lucide piastre dell'armatura che risplendevano nella luce del sole che filtrava attraverso i rami.

    «No, non ce n'è bisogno» lo rassicurò subito Alice, dandosi lo slancio sulla sella per sedersi a cavalcioni.

    Il soldato girò la testa, nascondendo un sorriso. Lady Alice era ben conosciuta per i suoi modi da maschiaccio, che non cessavano mai di suscitare il divertimento fra i cortigiani.

    «Ehm... forse volete...» suggerì il soldato indicando l'ampio groviglio di gonne attorcigliato alla sua esile figura.

    «Oh, sì, certo» rispose Alice con un largo sorriso, contorcendosi sulla sella per sistemare la parte posteriore dell'abito e del mantello che si allargavano di traverso sulla groppa del cavallo. «Non sono abituata a portare questo tipo di abbigliamento.» Voltandosi, si sistemò meglio, mentre la carovana si rimetteva in moto, compiaciuta di essere stata tanto accorta da indossare un mantello per il viaggio, cosa che sua madre, più attenta alla moda, si era rifiutata di fare.

    A dispetto delle pesanti falde del mantello, dopo il caldo eccessivo della carrozza Alice rabbrividì nella fresca aria autunnale. La madre aveva insistito affinché mettesse un abito elaborato, di costoso velluto di seta. Un filo d'argento formava la trama del tessuto, così il vestito luccicava a ogni movimento, ma la stoffa leggera offriva poca protezione dalle intemperie. Abituata a vestire con indumenti più dimessi e pratici, Alice si sentiva a disagio in abiti tanto formali. Rappresentavano tutto ciò che odiava della vita di corte, con Re Enrico e la moglie francese, la Regina Margherita D'Angiò: la vanità, le costanti critiche, i battibecchi delle dame di compagnia della regina, delle quali sua madre faceva parte, e le lunghe ore sprecate in inutili ricami.

    Grazie a Dio, aveva suo padre, un medico della corte reale, che riusciva anche a trovare il tempo per assistere i bisognosi al di fuori della corte. Con gran disappunto da parte della madre, Alice lo accompagnava in quelle uscite, abbigliata con i vestiti del fratello maggiore per non attirare l'attenzione.

    Oh, Thomas! Il cuore le si strinse quando le balenò nella mente il pensiero del fratello e del suo luminoso volto sorridente. Da bambini erano stati assidui compagni di gioco, avevano corso come pazzi nella foresta reale, cavalcato a pelo, si erano arrampicati sugli alberi. Thomas le aveva insegnato ad amare la vita all'aria aperta, a godersi il vento fra i capelli, la pioggia leggera sulla pelle. Come le mancava!

    La testa della madre si sporse dalla carrozza, con il copricapo ingioiellato che brillava sotto il sole, in contrasto con i colori spenti della foresta. Ai lati della parte centrale imbottita erano intrecciate reticelle di sottile filo dorato che le nascondevano le orecchie. Alice sapeva che i capelli della madre erano dello stesso biondo brunito dei suoi, ma la moda del momento pretendeva che i capelli di una donna fossero completamente nascosti. Alice represse un risolino nel vedere il copricapo impigliarsi in un filo allentato della tenda; quella moda non era davvero pratica per viaggiare.

    «Alice» piagnucolò la voce irritante di Beatrice verso di lei, «ho bisogno di riposare un po'. Mi sento male.»

    Alice ebbe un piccolo tuffo al cuore. Aveva sperato di non prolungare il viaggio più di quanto non fosse necessario e fu sorpresa che la madre volesse fermarsi, dato che a casa potevano esserci notizie di Thomas.

    «Possiamo fare una sosta qui?» Alice levò i grandi occhi blu verso il soldato dietro di lei. «Magari mangiare qualcosa? Mia madre ha bisogno di riposo.»

    L'esasperazione attraversò il volto del soldato, ma questi la dissimulò in fretta.

    «Chiedo perdono» mormorò Alice, cogliendo la sua espressione. «Comprendo che voi e i vostri uomini vogliate tornare ad Abberley quanto prima.»

    «Nessun problema, mia signora.» Il viso del soldato si rasserenò. «Tuttavia, questi sono tempi travagliati. Non vorrei che ci attardassimo troppo.» Il suo sguardo corse lungo i ranghi serrati dei faggi che fiancheggiavano il sentiero segnato da solchi profondi. «C'è una radura poco più in là» annunciò. «Andrò avanti a dire agli altri di fermarsi.»

    Lady Matravers si appollaiò impettita sulle coperte di lana che Joan aveva disteso nella radura. Ora la cameriera era indaffarata a estrarre i numerosi involti di garza preparati per loro dal personale di cucina di Sir Humphrey.

    Sarà anche stato un vecchio orso, pensò Alice, ma di sicuro non era avaro con il cibo. Il suo stomaco brontolò alla vista delle cosce di pollo arrosto, delle forme di formaggio cremoso e del pane croccante.

    Nel vedere tutti quegli involucri aperti, Beatrice le rivolse uno sguardo carico di significato, come a voler dire: guarda a cosa stai rinunciando. La disapprovazione materna non era mai stata così esplicita e tangibile.

    «Ecco, mia signora, prendete un po' di cibo, vi farà sentire meglio.» In ginocchio di fronte al cesto di vimini, Joan porse a Beatrice un piatto di peltro carico di prelibatezze. «Lo stesso per voi, mia giovane signora?» La serva volse il volto segnato in direzione di Alice, che indugiava ai margini della radura.

    «Forse dopo.» Aveva le membra indolenzite e rigide per le lunghe ore di inattività nella carrozza. La cavalcata le aveva alleviato un pochino la sensazione, ma il movimento era stato interrotto troppo presto per avere un reale beneficio. «Credo che farò una breve passeggiata.»

    Le perle che pendevano dal copricapo della madre si agitarono con violenza, non appena Beatrice sollevò la testa, socchiudendo gli occhi. «Porta un soldato con te, allora.»

    «Oh, madre, non è qualcosa a cui voglio che una guardia assista» replicò Alice, lasciando intendere che la sua camminata coinvolgesse questioni di una più delicata natura.

    «Ah, capisco... Allora Joan.» La madre indicò con la mano pallida in direzione della cameriera.

    «Madre...» Alice le sorrise. «... farò attenzione. Rimarrò a portata d'orecchio. Sarò del tutto al sicuro.»

    Non appena si fu allontanata dalla radura e dalle insistenti raccomandazioni materne, Alice inspirò a pieni polmoni l'aria fresca della foresta. La corteccia dei faggi le scricchiolava sotto le scarpette e i suoi passi affondavano nella soffice coltre di foglie e di vegetazione in decomposizione. Per la centesima volta quel giorno, maledisse la scomodità delle proprie calzature. Allorché si avventurava all'aperto con il padre, indossava sempre robusti stivaletti allacciati.

    Di quando in quando, il sole riusciva a penetrare attraverso il fogliame che si diradava, filtrando in spirali di luce sulla terra bruna. Talvolta i tiepidi raggi di sole le sfioravano il volto, rammentandole le miti giornate d'estate, facendole desiderare di chiudere gli occhi e di volgere il viso in direzione della luce. Sopra la sua testa, gli uccelli volteggiavano e cinguettavano, sfrecciando dentro e fuori dai rami, indifferenti ai suoi passi discreti. La tensione sul collo e sulle spalle accumulata nei giorni precedenti iniziò a diminuire e ad alleviarsi. Dietro di lei, riusciva ancora a sentire le basse voci gutturali dei soldati che consumavano il pasto di mezzogiorno al limitare del sentiero. Decise di non avventurarsi troppo lontano.

    Sulla destra, percepì un debole scorrere d'acqua: le acute note gorgoglianti catturarono il suo interesse in un istante. Si inoltrò nel sottobosco, controllando dietro di sé la direzione presa. I rovi le si impigliavano nel mantello e i rami bassi le graffiavano il semplice copricapo, ma Alice non fu dissuasa dal proprio intento.

    E infine eccola.

    L'acqua sgorgava da uno spuntone roccioso, precipitava spumeggiante in una piccola pozza, scivolando via in un sottile ruscello. Il rumore dell'acqua smorzava tutti gli altri suoni della foresta e Alice si sentì suggestionata dal melodico gorgoglio del ruscello, incantata dalla sua placida fluidità.

    Una mano sudaticcia le tappò la bocca. «Presa!» le tuonò una voce rozza nell'orecchio. Fu trascinata via senza troppe cerimonie, lontano dall'acqua, lontano dal sentiero alla fine del quale sua madre e la carrozza l'attendevano.

    Un violento panico le serpeggiò nelle membra e il sangue le si gelò per il terrore. Strattonò le spalle prima da un lato, poi dall'altro, nel tentativo di divincolarsi dalla formidabile stretta dell'uomo. Un ripugnante puzzo di sudore mascolino, mescolato a un tanfo di grasso rancido, assalì le sue narici non appena l'uomo se la trascinò dietro, mentre Alice agitava inutilmente i talloni contro il terreno.

    Grosse dita viscide le si conficcarono nelle morbide guance e i palmi che le coprivano la bocca e il naso le impedivano il respiro.

    Un braccio enorme le circondava il busto, tenendole strette le braccia lungo i fianchi, in modo da evitare che le sollevasse per sottrarsi alla presa.

    Poi la morsa dell'uomo si allentò di colpo e Alice rotolò sul terreno in un turbine di gonne ricamate. Si trovò circondata da un coro di scurrili risate maschili; il cuore le batteva all'impazzata per il terrore.

    Quanti erano?, si chiese. In quanti le stavano intorno, schernendola? Per un momento rimase a terra, a faccia in giù nelle foglie bagnate, con l'odore del sottobosco in putrefazione che le giungeva alle narici e l'umidità che le penetrava nel corpetto, poi la paura la spronò ad alzare la testa. Con un rapido movimento, si spinse su con le braccia, si voltò e spalancò la bocca urlando a squarciagola. Il suono le rimbombò nelle orecchie, uno stridio disperato. Di sicuro qualcuno sarebbe giunto in suo aiuto!

    «Fai stare zitta quella stupida sgualdrina, per Dio!» L'ordine fu secco e minaccioso.

    Uno degli uomini più giovani si chinò per legarle uno straccio sporco sulla bocca, strappandole il velo con le dita nello stringere un nodo approssimativo. Ridacchiava, mentre lei agitava la testa, cercando di impedirgli di annodare il bavaglio.

    «Pare che tu abbia raccattato un bocconcino vivace» mormorò con approvazione il giovane soldato dopo aver allacciato il nodo. «E anche piuttosto carino» aggiunse, sfiorandole la pelle serica della guancia.

    Lentamente e con riluttanza, Alice si costrinse a concentrare l'attenzione sugli uomini che le stavano intorno. Il cuore le sobbalzò. Era circondata da cinque soldati che la fissavano con occhi affamati e iniettati di sangue. La ruggine aveva intaccato le placche ammaccate delle armature; i lunghi mantelli erano incrostati di fango e di quello che sembrava sangue rappreso; i sorcotti erano laceri e sporchi. Un pallore di sfinimento, accentuato dalle ombre scure intorno agli occhi, incupiva i loro volti, conferendo loro un'espressione di spietata disperazione. E sul davanti delle tuniche, Dio del cielo, il blasone del Duca di York!

    Alice spalancò gli occhi di scatto. Quegli uomini non erano comuni soldati, ma cavalieri, e, in quanto tali, avrebbero dovuto essere fedeli al codice cavalleresco, la cui prima regola era trattare ogni donna con rispetto! Una feroce, selvaggia rabbia rimpiazzò la sua paura iniziale. Prima che qualcuno potesse fermarla, balzò in piedi, strappandosi il bavaglio dalla bocca.

    «La pagherete per questo!» Fece scorrere lo sguardo, di un blu fiammeggiante, sugli uomini in circolo, puntando il dito contro di loro. «Sono sotto la protezione di Re Enrico VI in persona, non una qualsiasi servetta con cui trastullarsi nella foresta!» gridò con voce squillante.

    I soldati scoppiarono in una risata sguaiata. Un uomo corpulento si fece avanti, sovrastandola. «E quale protezione regale permette a una fanciulla di andarsene in giro per la foresta senza una scorta? Ditemelo, eh?» La spintonò brusco, facendola barcollare verso il cavaliere più giovane, che la prese senza fatica tra le braccia. «Sei il più giovane, John, quindi suggerisco che tu sia il primo.»

    Bastien de la Roche sorbì l'ultima goccia di liquido dalla sua fiasca di pelle, prima di riporla nella bisaccia sul dorso del cavallo. Strinse le ginocchia e rimise in movimento l'animale, seguendo lentamente uno stretto sentiero che costeggiava il limitare della foresta. Alla sua sinistra, il terreno si estendeva in una distesa di lievi colline e vallate; alla sua destra, la foresta sembrava viva per il cinguettio degli uccelli e una leggera brezza che mormorava attraverso le cime degli alberi. Era bello trovarsi di nuovo in Inghilterra. Quasi. La sua mente fece una pausa, acquietata da un ricordo lontano. No, non avrebbe pensato a quello, per il momento.

    Aveva dimenticato quanto poteva sembrare dolce quella terra; il protrarsi della battaglia in Francia lo aveva trattenuto lontano per troppo tempo. E ora era tutto perduto. I re inglesi, uno dopo l'altro, avevano combattuto a lungo e duramente per mantenere la posizione ottenuta in Francia, ma il paese alla fine era sfuggito alla loro presa. L'Inghilterra aveva concesso la vittoria ai francesi trionfanti e ora i soldati inglesi marciavano verso i loro paesi, scoraggiati e sconfitti, e spesso senza neppure una casa verso la quale dirigersi.

    Al trotto misurato del suo destriero, lo stallone che lo aveva portato per tutto il tragitto dalla Francia, Bastien si slacciò il soggolo dell'elmo, levandoselo dalla testa. Infilò la visiera sotto un braccio e spinse indietro il cappuccio dell'usbergo di maglia metallica.

    Una deliziosa brezza refrigerante gli si insinuò tra i capelli e l'uomo si passò le dita fra le ciocche, assaporando il fresco sollievo sul cuoio capelluto.

    Pigramente, si domandò dove si fossero fermati i suoi soldati in quella vasta foresta. Il suo cavallo aveva perso un ferro e, mentre aspettava che un fabbro in un villaggio gliene applicasse uno nuovo, aveva mandato avanti i soldati a riposarsi e a mangiare. Gli uomini erano impazienti di tornare a casa; altri due o tre giorni di cavalcata li avrebbero ricondotti ai suoi possedimenti nello Shropshire. Non aveva rivisto la propria magione per quasi due inverni e ora pregustava l'idea di buon cibo nello stomaco, raffinate lenzuola di lino contro la pelle affaticata e un focolare caldo, anche se ciò significava rivedere la madre.

    Il tempo in Francia era trascorso tra inutili cicli di attacco e di ritirata; avevano passato alcune notti nell'accampamento sotto una pioggia fitta che scrosciava tanto forte da inzuppare la robusta stoffa delle loro tende; altre notti lui e i suoi uomini erano stati alloggiati in un castello ospitale.

    Un grido perforò l'aria, riportandolo al presente. Un grido di donna.

    Più avanti, in alto, uno stormo di corvi spiccò il volo nel cielo in un solo movimento coordinato, scossi dai loro trespoli tra le cime degli alberi.

    Bastien storse la bocca, spronando il cavallo nella direzione del suono; istintivamente seppe che i suoi uomini erano coinvolti. Erano affamati, stanchi e sporchi dopo i lunghi mesi di campagna in Francia... e senza dubbio credevano che la società inglese dovesse loro un po' di svago.

    Il molle tappeto erboso attutì il rumore degli zoccoli del suo cavallo mentre abbandonava il sentiero principale per passare dalla foresta, sicuro della propria direzione. Ora riusciva a udire le voci degli uomini, le loro risate scurrili che echeggiavano tra gli alberi mentre schernivano una semplice contadina. Smontando con destrezza, assicurò le redini del cavallo a un ramo lì appresso e continuò ad avvicinarsi a piedi, con la mano sospesa sull'elsa della spada.

    Poteva sentire il tono acuto di una donna, ora fremente di rabbia dopo il grido lancinante, un timbro chiaro come il suono di una campana che rimproverava i suoi uomini con feroce ostinazione.

    Con il corpo imponente quasi del tutto nascosto dal tronco generoso di una quercia, Bastien sporse la testa con cautela per ottenere una visuale migliore e quasi scoppiò a ridere.

    Una fanciulla, una nobildonna a giudicare dalla qualità del suo abbigliamento, stava in piedi su un lato della radura, con entrambe le mani strette intorno all'elsa di una spada che era evidentemente troppo pesante per lei. Riconobbe la spada come appartenente a uno dei suoi uomini, quindi doveva essere riuscita a sottrargliela. La lama pesante si inclinava e oscillava mentre la figura minuta cercava di mantenerla orizzontale, ruotando ora a destra ora a sinistra, nel tentativo di respingere gli uomini e impedire loro di avvicinarsi.

    Che sciocchi erano i suoi soldati! Buon Dio, ci sarebbero state donne a sufficienza nella sua tenuta per scaldare i loro letti. Perché non avevano potuto attendere ancora qualche ora?

    Il volto della fanciulla brillava di uno splendore perlaceo nella luce velata d'oro pallido, i suoi occhi erano spalancati e inquieti mentre fissava il semicerchio di soldati. Portava i capelli color dell'idromele tirati indietro in una crocchia stretta sulla nuca, fissata da una retina dorata. Un velo di seta cadeva in pieghe rigide dal copricapo semplice a forma di cuore. Contro gli abiti polverosi e macchiati dal viaggio dei suoi soldati, spiccava come un gioiello luccicante, un fiore delicato tra semplici rovi.

    «Ora me ne andrò» stava dicendo, con il visetto ovale contratto in un'espressione determinata, mentre faceva roteare ancora un paio di volte la spada per sicurezza, «e voi non mi seguirete.»

    Dietro l'albero, Bastien sorrise; dall'espressione del suo volto, era ovvio che non aveva alcuna idea di cosa avrebbe fatto in seguito. Se si fosse voltata, gli uomini le sarebbero saltati addosso; se avesse indietreggiato, incerta sul sentiero, il

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1