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La vedova e il duca
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E-book262 pagine4 ore

La vedova e il duca

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Info su questo ebook

The Beauchamp Betrothals 1

Inghilterra, 1812.
In fuga da una famiglia che non l'ha mai riconosciuta e da un tutore che sta abusando della propria posizione per finanziare i suoi affari illeciti, Rosalind Allen si rifugia in un piccola proprietà nel Buckinghamshire dove cerca di mantenere un basso profilo spacciandosi per una vedova. Qui incontra Leo, al secolo Alexandre Beauchamp, Duca di Cheriton. Anche lui si nasconde dietro un'identità fasulla, deciso a tenere alla larga in questo modo le cacciatrici di dote che ambiscono solo al suo titolo. Leo prova per l'affascinante vedova un immediato interesse, incoraggiato anche dal fatto di non doversi preoccupare di un eventuale matrimonio o di preservare la sua virtù. Sarà tuttavia costretto a ricredersi molto presto, quando, dopo aver passato un'indimenticabile notte tra le sue braccia, scoprirà che Rosalind gli ha mentito.
LinguaItaliano
Data di uscita20 apr 2018
ISBN9788858980392
La vedova e il duca

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    Anteprima del libro

    La vedova e il duca - Janice Preston

    successivo.

    1

    Buckinghamshire, febbraio, 1812

    «Per l'amor del cielo!»

    Le pecore correvano attorno a Rosalind Allen, ignorando il cancelletto aperto che recintava il campo in cui brucava il resto del gregge. Rosalind si girò e le vide sparpagliarsi per il viottolo.

    «Stupidi ani...» Chiuse la bocca di scatto quando scorse un cavallo che si avvicinava con in sella un uomo mai visto. D'istinto strinse lo scialle che le copriva la testa. Perlomeno le pecore si erano girate per guardare il cavaliere e adesso correvano verso di lei. Rosalind allargò le braccia e agitò il bastone per dirigere le pecore, che finalmente si infilarono nel cancelletto e corsero belando a unirsi al resto del gregge, sorvegliato dal cane Hector.

    Rosalind andò al cancelletto e infilò il bastone sotto un braccio mentre cercava di chiudere il chiavistello. Una volta chiuso rammentò il cavaliere in avvicinamento e allungò la gonna che aveva sollevato a metà polpaccio per evitare che l'orlo si inzaccherasse. In quel momento ricordò che un gruppo di gentiluomini provenienti da Londra alloggiava a Halsdon Manor, acquistata di recente. Aveva udito i corni da caccia al mattino presto, quell'uomo doveva far parte del gruppo.

    «Oh, no, non coprite quelle belle gambe, tesoro!» Una voce scherzosa spezzò il silenzio. «Fa bene al cuore avere una visione così seducente, dopo una dura giornata.»

    Rosalind si irrigidì mentre alle sue spalle cessava il rumore degli zoccoli nel fango appiccicoso. Il germe della paura le contorse lo stomaco. Niente poteva sorprenderla riguardo ai cosiddetti gentiluomini dell'alta società, dopo l'esperienza che avevano avuto in famiglia con il tutore di Nell, Sir Peter Tadlow, e i suoi compari. Grazie al cielo Nell, la sua sorellastra, non si trovava più a Stoney End: era partita quella mattina presto sulla carrozza di famiglia per recarsi dalla zia, Lady Glenlochrie, a Londra, e prepararsi al debutto in società. La speranza era che sotto la protezione della zia sarebbe stata al sicuro fino alla fine della Stagione.

    I visitatori di Halsdon Manor non conoscevano Rosalind, né Freddie, suo fratello, perché non erano mai stati bene accetti negli ambienti frequentati dall'alta società.

    Cercando di mantenersi calma, Rosalind terminò di sistemarsi la gonna e quando si voltò verso il cavaliere strinse il bastone di ruvida corteccia. Il gentiluomo era alto ed esibiva i classici tratti aristocratici. Mostrava un incarnato insolitamente scuro e sedeva sul suo stallone nero macchiato di sudore con aggraziata insolenza. Le sue labbra ben modellate erano distese in un sorriso che non raggiungeva gli occhi, i più scuri che lei avesse mai visto. La scrutò dalla testa ai piedi con un freddo sguardo calcolatore che le lasciò addosso una sensazione di diffidenza e vulnerabilità.

    «Buona giornata a voi, sir.» A testa alta, Rosalind fece per passargli accanto e tornare verso casa. Il suo tentativo di affrontarlo con spavalderia fallì. L'uomo girò il cavallo e con un movimento rapido le bloccò la strada, fermandosi così vicino che l'odore di quell'animale sudato le colmò le narici.

    «Oh, non abbiate tanta fretta, tesoro.» Il tono del cavaliere era brusco, e i suoi occhi risoluti. «Permettete che mi presenti.» Sollevò il cappello. «Anthony Lascelles, al vostro... servizio

    Lo stomaco di Rosalind si contrasse all'udire quell'untuosa insinuazione.

    «Sono il nuovo proprietario di Halsdon Manor» proseguì lui. «E voi siete...?»

    «Mrs. Pryce.» Grazie al cielo, quando si erano trasferiti nel Buckinghamshire aveva avuto l'accortezza di nascondersi dietro l'identità di una vedova. «E ora, se volete scusarmi...» Fece un nuovo tentativo di passare accanto al cavallo, ma l'uomo le bloccò di nuovo la strada e si allungò per strattonarle lo scialle. Rosalind fece un balzo indietro e brandì il bastone, pronta a dar battaglia, poi si ricordò di Hector, in attesa di un comando. Si portò due dita alle labbra e fischiò. Da dietro le giunse il rumore delle falcate, e il cane le fu subito di fianco, con i peli sollevati e ringhiando in difesa della sua padrona. Era un animale imponente, la cui testa arrivava al fianco di Rosalind. Il cavallo di Lascelles indietreggiò di lato, poi sollevò la testa in aria, agitando la coda per la paura, mentre il suo cavaliere impallidiva e spalancava gli occhi. Di certo ora Lascelles non l'avrebbe trattenuta ulteriormente.

    «Buono!» Un comando brusco si levò sui ringhi di Hector, e il silenzio si fece assoluto. Nell'agitazione, Rosalind non si era accorta dell'arrivo di altre tre cavalieri, e si tese ancor di più. Perfino Hector non ce l'avrebbe fatta, con quattro uomini, se animati da cattive intenzioni. Rosalind cercò di mantenere una calma esteriore, malgrado le tremassero le ginocchia.

    «Quanto manca per tornare a casa, Anthony?» Quello in mezzo, con la mascella cesellata, le spalle ampie e l'aria altezzosa parlò con voce tagliente. Sedeva su un enorme baio con la grazia di chi era nato in sella, i calzoni macchiati di fango stretti sulle cosce muscolose e le mani inguantate poggiate con noncuranza sul pomo della sella. I tratti severi del viso erano alleggeriti dalla bocca magnificamente disegnata, gli occhi erano di un singolare grigio argento sotto spesse ciglia, e le sopracciglia dritte. I suoi capelli, che spuntavano da sotto il cappello, erano quasi neri.

    Il cuore di Rosalind le martellava nelle orecchie, e i palmi erano umidi. Deglutì e sollevò il mento, cercando di nascondere l'ansia.

    «Circa un miglio.» Lascelles indicò con il frustino.

    «Dunque andiamo. Si sta facendo tardi, sono stanco e affamato. Se davvero pensi di sprecare il tempo in questo tipo di caccia, ti suggerisco di restare a Londra. Sono certo che le prede laggiù sanno difendersi con minor efficacia.» Detto ciò, gettò uno sguardo a Rosalind, la quale provò un'inaspettata fitta di attrazione, nonostante l'arroganza dell'uomo, che non l'aveva neppure guardata in viso. La freddezza dimostrata nello scorgerle gli stivali fangosi e l'abbigliamento trasandato l'accese di rabbia, ma le sue parole e il tono di voce la tranquillizzarono. Poi la guardò in viso. Rosalind lo vide stringere gli occhi d'argento che la perforarono con una tale intensità da provocarle un tuffo al cuore. Sentì salire un calore che si propagò dal collo alle guance. Malgrado l'avversione che provava verso i tipi come lui, non riuscì a distogliere lo sguardo, avvinta dal suo magnetismo, e le labbra di lui si incurvarono in un sorriso consapevole che le fece ribollire il sangue.

    L'incantesimo venne interrotto da Lascelles, che finalmente riuscì a controllare il cavallo e si posizionò tra Rosalind e gli altri uomini. «Voi tornate a casa» ordinò. «Io non farò tardi. Voglio solo conoscere meglio la graziosa Mrs. Pryce.»

    Uno dei tre, dai capelli castani, gli rivolse uno sguardo disgustato. «Lasciala stare, Lascelles. Scommetto che qui in giro ci sono donne disponibili. Lei non mi sembra una di quelle.»

    «Ah, ma è proprio questo il bello, mio caro Stanton!» esclamò Lascelles. «Mi piace un po' di resistenza, nelle ragazze, aggiunge un po' di pepe alla caccia e rende la resa finale ancor più dolce.»

    Le si accapponò la pelle. Come osava parlare in quel modo come se neppure fosse presente?

    Lascelles girò la testa, rivolgendo a Rosalind uno sguardo cupo e un sorriso glaciale. «E dovete sapere che io ottengo sempre il premio finale» l'avvertì.

    «Portalo via, Stan.» Quelle parole calme e minacciose furono pronunciate dall'uomo con gli occhi d'argento.

    Stanton incitò il cavallo in direzione di Lascelles e lo spinse a girarsi verso Halsdon Manor, mentre Rosalind indietreggiava tirando Hector per il collare.

    «Andiamo, Lascelles. Fa' strada.» Stanton rivolse uno sguardo contrito a Rosalind mentre le passava accanto toccandosi il cappello.

    Tuttavia Lascelles, con un ghigno, girò il cavallo e andò a mettersi di fronte agli altri due uomini. «Non hai il diritto...»

    «Non fare lo stupido» borbottò il terzo uomo. Era attraente, con gli occhi verdi e i capelli color nocciola, e mostrava una forte somiglianza con il primo. Poggiò una mano sul braccio di Lascelles. «Sai bene cosa pensa Leo di situazioni come queste. Lascia perdere.»

    Lascelles esitò, le labbra serrate. Poi, dopo un brusco cenno del capo, girò il cavallo e seguì Stanton giù per il sentiero. L'uomo dagli occhi verdi esitò e rivolse un'occhiata all'uomo che avevano chiamato Leo, il quale lo ignorò e continuò a fissare Rosalind. L'altro scrollò le spalle, sollevò il cappello in direzione di Rosalind e spronò il cavallo.

    Lasciando Rosalind di fronte a Leo.

    Lei lo guardò dritto negli occhi trattenendo il fremito che avvertiva sulla pelle, mentre lui fissò i suoi occhi con espressione imperscrutabile per quella che le sembrò un'eternità. Alla fine Rosalind sollevò il mento e inarcò le sopracciglia. «Vi sono grata, sir» pronunciò.

    Lui fece una specie di sorriso e si toccò il cappello, quindi incitò il cavallo a passarle accanto. «Vi auguro una buona giornata, madame

    Lei lo osservò andar via. Sensazioni sconosciute la pervasero, lasciandole un senso di perdita che non riuscì a spiegarsi. Si portò d'istinto la mano al petto. Lì, sotto la lana dell'abito, le dita cercarono e trovarono l'ovale del ciondolo d'argento che il nonno le aveva regalato per il suo sesto compleanno: il suo tesoro più prezioso, che rappresentava il mondo di suo padre e il suo unico legame con quella parte della famiglia.

    Il gentiluomo che si allontanava invece proveniva dal mondo di sua madre: un mondo fatto di diritti, gestito da rigide regole comportamentali e da un incrollabile credo nelle classi sociali, un mondo che non avrebbe mai accettato né lei né suo fratello. Un mondo detestabile e ostile del quale non voleva far parte.

    Tuttavia le sensazioni che quegli occhi d'argento le avevano suscitato non prestavano ascolto alla ragione, alludevano a una possibilità, alla promessa di piaceri, risvegliando il desiderio di essere toccata da labbra e mani di un uomo.

    Invece di sentirsi sconvolta da simili pensieri scandalosi, ne restò intrigata. Mai prima di allora, nei suoi trent'anni di vita, un uomo le aveva suscitato sensazioni di quel genere. Quegli occhi l'avevano penetrata fino in fondo all'anima.

    Un colpetto alla mano la ridestò da quelle riflessioni. «Hai ragione, Hector. È inutile sognare su un bel viso. Andiamo, torniamo a casa.»

    Il cane, entusiasta, trottò per il sentiero davanti a Rosalind, che contemplava il proprio futuro con molto meno entusiasmo di lui: trent'anni, di cui gli ultimi quattordici trascorsi ad allevare Freddie, la sorellastra Nell e il fratellastro Jack dopo la morte della madre di febbre puerperale, Rosalind aveva da tempo accettato il fatto che non si sarebbe sposata né avuto figli, ed era sempre stata contenta della sua famiglia finché il suo amato patrigno non era morto inaspettatamente, la primavera passata, lasciando il caos sulla scia della sua morte.

    Il suo patrigno aveva fatto testamento, lasciando una rendita sia a Rosalind che a Freddie, e provvedendo a una generosa dote per Nell. Il titolo e le tenute adesso appartenevano al quattordicenne Jack, ottavo Conte di Lydney, che avrebbe ottenuto quei beni al compimento del ventunesimo anno di età. Tuttavia il fratello minore del defunto conte, nominato tutore del figlio, era morto prematuramente; così la Corte di Giustizia di Londra aveva nominato lo zio materno di Nell e di Jack, Sir Peter Tadlow, che era il parente maschio più prossimo, loro tutore.

    Sulle prime Rosalind se ne era rallegrata, dal momento che Sir Peter era giunto a Lydney Hall dichiarando di voler adempiere ai suoi obblighi verso i carissimi nipoti, ma purtroppo non c'era voluto molto perché la sua vera natura si rivelasse. Lydney Hall era stata subito presa d'assalto dagli amici di Sir Peter, mentre l'eredità di Jack veniva spesa per pagare i loro conti. Sir Peter non aveva mai nascosto il disprezzo che provava nei confronti di Rosalind e di Freddie, e delle loro umili origini. Il loro padre era stato un soldato, figlio di un argentiere, che era fuggito con la nipote di un duca. Tadlow e i suoi amici consideravano Rosalind una bella preda e Freddie era oggetto di derisione. Tuttavia i due fratelli sarebbero rimasti e avrebbero tollerato ogni tipo di sgradevolezza, se non fosse stato per i progetti che Sir Peter aveva per Nell.

    Rosalind deglutì una rabbia impotente al pensiero dei sette lunghi e frustranti anni durante i quali la tenuta e il futuro di Jack sarebbero rimasti sotto il controllo di quel... saccheggiatore.

    Una volta giunta al cancello di Stoney End, la dimora che chiamavano casa da quindici giorni, Rosalind indirizzò il pensiero all'immediato futuro. Un viso attraente con uno sguardo incantatore e labbra sensuali le pervase i pensieri all'istante, e si sentì avvolta da quel singolare misto di desiderio e di curiosità. Leo. L'avrebbe incontrato di nuovo? Doveva forse temerlo? L'intuito le diceva di no, ma permaneva una punta di disagio.

    Percepiva un pericolo di natura differente rispetto al timore di un incontro con il viscido Lascelles: per il suo cuore e la sua tranquillità mentale.

    2

    Leo Alexander Beauchamp, sesto Duca di Cheriton, tirò le redini del cavallo e si girò sulla sella per guardare indietro. La donna, la schiena dritta e a testa alta, andava per la propria strada con lo scialle stretto attorno al corpo che accentuava l'ondeggiare provocante dei fianchi a ogni passo. Non una bellezza nello sbocciare degli anni, tuttavia era una donna attraente. L'aveva provocato con lo sguardo, ma, ancor più seducente, grazie a una mancanza di calcolo e di civetteria, due tratti femminili ai quali lui era divenuto avvezzo durante i tredici anni trascorsi dalla morte di Margaret, sua moglie. Un vedovo titolato, anche se padre di tre figli, destava sempre parecchio interesse nel gentil sesso.

    Mrs. Pryce. Presumibilmente da qualche parte doveva esserci un Mr. Pryce, dunque era meglio che se la togliesse dalla testa.

    Eppure... quando i loro sguardi si erano incrociati aveva percepito un lampo, come di un martello che batteva sulla pietra. Soffocò un sorriso. Era una metafora adatta: il rumore di una forza potente contro una sostanza inflessibile. Senza dubbio lei aveva mostrato una ferrea opposizione a Lascelles. Il pensiero del cugino lo rese all'improvviso consapevole che si trovava in sella a un cavallo, nel bel mezzo di un sentiero di campagna, a fissare una sconosciuta. Esortò Conqueror a riprendere la marcia. Inoltre c'era Vernon che l'aspettava con un sorriso sornione stampato in faccia. «Qualsiasi cosa tu stia per dire... non farlo» lo mise in guardia.

    «Io?» Lord Vernon Beauchamp, suo fratello minore di quattro anni, simulò uno sguardo innocente. «Sono solo preoccupato che tu non riesca a trovare la strada per Halsdon, senza la mia guida.»

    «Non sono ancora così vecchio» borbottò Leo. Era una considerazione amara, dato che di recente aveva festeggiato il quarantesimo compleanno. «Il mio istinto è pronto come lo è sempre stato.»

    Vernon lo guardò di sottecchi, poi inarcò un sopracciglio. «Quello lo vedo.»

    Leo ridusse gli occhi a due fessure. «È sposata.» Avendo indossato egli stesso i panni del marito tradito, non avrebbe inflitto quell'umiliazione a nessuno. «Inoltre» proseguì, «resteremo qui solo altri dieci giorni. Se resisterò tanto a lungo.»

    «Sempre preoccupato per Olivia?»

    «Non sono preoccupato.»

    «Cecily conosce ogni trucco e inganno» proseguì Vernon ignorando l'evidente desiderio di Leo di cambiare argomento. «Cielo, certo che quella ragazza è una furbetta.»

    Leo lo sapeva. Olivia, la sua unica figlia di diciotto anni, era in procinto di essere introdotta in società. La sua educazione, rispetto ai fratelli maggiori, le aveva instillato un profondo senso di ingiustizia di fronte all'evidenza che loro potevano godere di molta più libertà di lei. Leo l'aveva lasciata a Londra alle cure di sua sorella, Cecily, che aveva allevato i figli di Leo dopo l'assassinio della loro madre. «Ho detto che non...»

    «E Beauchamp House è più sicura della Torre di Londra» proseguì Vernon, mostrandosi ignaro della crescente irritazione del fratello. «Staranno bene senza di te per un paio di settimane.»

    Leo tenne a freno la propria esasperazione. Famiglie! Non poteva evitare di preoccuparsi per i suoi figli, e Vernon lo sapeva. «E Alex?» sbottò. «Chi lo terrà a freno?» Il minore dei suoi figli maschi, Alexander, aveva venti anni e diventava ogni giorno più imbronciato e taciturno.

    «Avon lo terrà fuori dai guai... almeno lui non sarà motivo di apprensione» lo rassicurò Vernon.

    Leo annuì. Dominic, Marchese di Avon, era il primogenito ed erede del ducato, e in effetti gli dava poche preoccupazioni. Era quasi fin troppo serio, per essere tanto giovane. Leo avvertì una stretta al cuore. Era forse a causa della prematura perdita della madre che il ragazzo si preoccupava tanto per i fratelli? Avrebbe voluto tenerli tutti al sicuro a Cheriton Abbey, in particolare Olivia, per il resto delle loro vite; anche se proprio quello non si era rivelato un luogo sicuro per Margaret, che era stata violentata e strangolata in un padiglione. L'impossibilità di proteggere la sua famiglia era per lui costante fonte di preoccupazione. Lasciare Londra per venire a Halsdon Manor era stato un modo per dimostrare a se stesso che non soccombeva alle sue paure irrazionali. Scacciò quei pensieri con un senso di disagio. «Andiamo, raggiungiamo gli altri!» esclamò incitando Conqueror al galoppo.

    Raggiunsero Richard, Lord Stanton, che appariva preoccupato. Leo pensò che dovesse avere a che fare con sua cugina Felicity, fresca sposa di Stanton.

    «Dove si trova il nostro stimato ospite?» si informò Vernon.

    «Più avanti» rispose Stanton. «Quel povero animale non durerà un altro anno se continua a fiaccarlo in quel modo. Non si disturba neppure a condurlo a casa al passo per raffreddarlo gradatamente.» Si rivolse a Leo. «Gli farò sbollire la rabbia prima che vi incontriate di nuovo.»

    Leo scrollò le spalle. «Anthony è sempre stato di indole cattiva, e pare non sia migliorato da quando è andato via.» Suo cugino aveva trascorso diversi anni nelle Americhe ed era tornato in Inghilterra solo qualche mese prima. «Temo che questo viaggio sia stata una cattiva idea, ma quando ho ricevuto il suo invito ho pensato di dovergli almeno concedere il beneficio del dubbio.»

    Inoltre, era stato sollevato all'idea di lasciare Londra per un po', anche se non l'avrebbe mai ammesso davanti agli altri tre. Non ne poteva più di sopportare quelle leziose signorine che gli venivano messe davanti al naso da genitori ambiziosi, che non vedevano l'ora di imparentarsi con il casato dei Beauchamp. Non voleva un'altra moglie. Il suo primo matrimonio l'aveva guarito dal desiderio di risposarsi.

    «Non gli devi nulla, Leo» dichiarò Vernon. «Non è certo colpa tua se zio Claude ha rifiutato di sposare sua madre.»

    «Se l'avesse sposata, Lascelles adesso sarebbe il duca.»

    «Ha fatto bene a non sposarla» dichiarò Stanton. «Un'attrice e sgualdrina per duchessa? E puoi immaginare un uomo come Lascelles con tutto quel potere e ricchezza?» Scosse la testa. «Impensabile.»

    «Possiamo sempre tornare a casa prima del previsto se Anthony si rivela troppo odioso» propose Vernon.

    «Non ci sarà nulla che ci trattenga, una volta che Stan avrà dato un'occhiata a quei pony per Felicity.»

    Leo grugnì in segno di assenso mentre cavalcavano attraverso i cancelli di Halsdon Manor. Stanton era alla ricerca di una coppia di pony per Felicity, e Lascelles sapeva che il suo vicino, Sir William Rockbeare, un rinomato

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