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Piu' forte del tempo: I Romanzi Storici
Piu' forte del tempo: I Romanzi Storici
Piu' forte del tempo: I Romanzi Storici
E-book283 pagine3 ore

Piu' forte del tempo: I Romanzi Storici

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Info su questo ebook

Galles, 1188/1204 - Brenna ha atteso per anni il ritorno del cavaliere dei suoi sogni, l'eroe appena adolescente incontrato in cima alle mura di Dinas Bran quando era soltanto una bambina. Ha atteso finché ha potuto, ma ora suo nonno, il signore del castello, non intende ragioni: la nipote deve sposarsi per motivi politici e dinastici. Al posto del promesso sposo arriva però un misterioso cavaliere biondo. Chi è? Da dove viene? Brenna sa solo che è lui l'uomo che ha atteso per tanto tempo e decide che lo sposerà a tutti i costi. Le cose, però, non sono così semplici...

LinguaItaliano
Data di uscita20 nov 2012
ISBN9788858905463
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    Anteprima del libro

    Piu' forte del tempo - Emily French

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Ironheart

    Harlequin Historical

    © 2001 Germaine Kennedy

    Traduzione di Linda Rosaschino

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2002 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5890-546-3

    www.eHarmony.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    Prologo

    Galles, 1188

    La notte era scura e minacciosa. Leon rabbrividì sforzandosi di restare sveglio. Era l’ora in cui le cose iniziano e finiscono. Un’ora terribile per chi non è nel proprio letto; l’ora che precede il canto del gallo, quando muoiono gli agonizzanti e i demoni camminano.

    «Sei un cavaliere?»

    Era una vocetta sottile che veniva da un punto alla sua destra. Sulle prime Leon credette di essersela immaginata, perché a volte le vecchie pietre del castello stridevano e il vento sibilava passandoci in mezzo.

    Poi la vocetta risuonò di nuovo.

    «Sei un cavaliere?»

    La punta della sua spada si sollevò un poco.

    Era un intrigo. Doveva esserlo. Presto sarebbe arrivata l’alba, l’ora degli assassinii e delle stragi.

    Leon respirò piano. Per fortuna il mantello e il cappuccio grigi che indossava si confondevano con il grigio dei bastioni, rendendolo invisibile. Solo il luccichio della spada denunciava la sua presenza. Aspettando, tese l’orecchio.

    Non vide alcun movimento accanto a sé, ma sentiva un formicolio alla schiena. Deglutì e si fece coraggio.

    «Chi è?» domandò con calma.

    Silenzio.

    Doveva trattarsi di qualche brutto scherzo. Nessuno l’aveva più trattato così da quando aveva nove anni e nel fienile aveva sfidato il corvo che gli altri paggi si rifiutavano di affrontare. L’uccello aveva preferito volare via piuttosto che vedersela con lui.

    «C’è nessuno?» chiese, poi trattenne il fiato in attesa di una risposta.

    Nessuno parlò, nessuno si mosse. Nessuno apparve sulla soglia. Leon deglutì. Non c’era pericolo. Una piccola luce giungeva dal basso, insufficiente a illuminare i gradini.

    Leon rifletté un istante. Aveva parlato in francese, ora provò con il latino. Nulla. «Chi c’è?» domandò in anglosassone e infine in gaelico, la lingua della sua infanzia.

    «Sono qui.»

    La voce giungeva da dietro di lui, la stessa voce, come se lo stesse inseguendo furtivamente. Era una voce infantile. Sentendo un passo leggero vicino al parapetto, Leon si voltò di scatto e tese le mani.

    «Ti ho chiesto se sei un cavaliere.»

    Con il cuore che gli martellava nel petto, Leon scrutò per un attimo nel buio. Finalmente qualcosa si mosse. Dalle tenebre sbucò una bambina con una camicia da notte bianca. Aveva le mani sporche e l’orlo di pizzo le pendeva su una caviglia. Piegò la testa su una spalla e l’osservò.

    «No» rispose Leon.

    La bambina aveva un visetto da elfo e i capelli neri e lucidissimi che le sfioravano le spalle. Un aspetto regale e non sembrava certo una creatura sovrannaturale. Non c’era nulla da temere. Lei continuò a guardarlo fisso. Lui sentì un’ondata di rossore salirgli alle orecchie e disse: «Lo diventerò quando sarò un uomo».

    La bambina aggrottò leggermente la fronte, come se lui avesse detto qualche cosa di curioso. «Non è così che vanno le cose» commentò avvicinandosi un poco, come se condividessero già un segreto e con il tempo potessero condividerne un altro.

    Leon sbatté le palpebre. Come faceva una bambina piccola a parlare con tanta saggezza? Con l’eccezione dei druidi, gli adulti erano gelosi dei propri segreti e non li rivelavano ai bambini. Era forse la figlia di un druido?

    E lui era rimasto vittima di un incantesimo? Serrò una mano per allontanare quel pensiero e poi toccò il ruvido muro di pietra per assicurarsi che fosse vero.

    Decise di non farle vedere di essere in imbarazzo. Di non lasciarsi abbindolare da quella bambinetta.

    «Sei una strega?» le domandò sforzandosi di parlare con voce ferma.

    «Sembro forse una strega?» replicò lei.

    «Ne ho visto solo una. Almeno credo che fosse una strega. Non le assomigli. Ma come faccio a saperlo?»

    «Be’, ora che ti vedo da vicino, neanche tu sembri un cavaliere. Sei alto, ma sembri un ragazzo.»

    Leon infilò la spada nel fodero. «Mi stai distraendo dal mio dovere. Che ci fai qui a quest’ora?»

    «Sono venuta a guardare.»

    «A guardare cosa?»

    Lei scrollò leggermente le spalle. «Volevo vedere mio padre... mi hanno detto che parte con il principe» rispose di slancio, con espressione determinata. I suoi occhi brillavano. «Mi sono dovuta alzare presto e sfuggire alla bambinaia, ed eccomi qui.»

    Lui cominciò a camminare. Lei lo affiancò.

    «Come sei riuscita ad arrivare fin qui? E perché lo hai fatto?»

    «Non potevo scendere perché ci sono le guardie, così sono venuta qui.» Si avvicinò e aggrottò di nuovo la fronte. «Ho cercato di salire lassù» aggiunse indicando lo spazio fra due merli, «ma non sono abbastanza alta. Però, visto che ci sei tu, potresti...»

    Leon trasalì e ribatté a denti stretti: «Scordatelo».

    Si fermò accanto a un contrafforte e guardò nel vuoto. Là fuori l’oscurità era totale. Non si vedeva la minima luce, ma si intuiva lo strapiombo che si apriva subito oltre quei merli. Si sentì pervadere da un terrore cieco e afferrò un merlo. L’arenaria di cui era fatto gli si sbriciolò fra le mani. D’istinto si ritrasse.

    «Accidenti a questo cumulo di vecchie...»

    Lei si voltò a guardarlo, poi cominciò a sorridere. «Hai paura?»

    «Certo che no! Ho braccia d’acciaio e cuore di ferro!»

    «Oh, che meraviglia! Gli eroi sono sempre così forti?»

    «Naturalmente.»

    Leon stava sudando. Gli eroi sono sempre forti e non scappano mai, si disse. Lui però era terrorizzato e senza fiato.

    «Sei più grande di me.» La bambina sorrise di nuovo. «Puoi vedere oltre le mura?»

    Leon annuì e la piccola rise. A lui parve di non avere mai sentito un suono più bello. «Certo.»

    «E allora?»

    Leon era molto agitato. Aveva il fiato corto e il cuore in gola. Possibile che lei se ne fosse accorta? Le lanciò un’occhiata, ma vide che la sua espressione era fiduciosa e innocente. «Non pensarci neppure. Non è ancora l’alba. Non c’è nulla da vedere.»

    «Oh...» mormorò lei con rammarico. «Speravo proprio di riuscire a vedere qualcosa d’interessante... Sai, mi annoio nelle stanze dei bambini, devo immaginarmi delle avventure... Ma tu sei un maschio, per te sarà diverso. Chissà quante avventure vivrai!»

    «Forse. Non c’è però modo di conoscere in anticipo il futuro, né è possibile cambiarlo.»

    «Tu dici?» La bambina sorrise misteriosamente.

    «Senti, io so solo che sta per arrivare il principe, e che il tempo sta peggiorando.»

    «Questo è importante.»

    «Se ho capito bene come vanno le cose, alla tua età dovresti essere ancora a letto, e non a spasso sui bastioni» osservò Leon cupo. «Queste zone non sono molto sicure.»

    «Tu cerchi di spaventarmi» ribatté la bambina con la sua voce dolce e melodiosa. «Ma io non ho paura.»

    «Stai per caso mettendo in dubbio il mio coraggio?»

    «Non il tuo coraggio, questo no. Sei capace di finire quello che incominci.» Mentre parlava guardava Leon dritto negli occhi. Sembrava anche lei un po’ a disagio.

    Ci fu un lungo silenzio carico di tensione.

    «Voglio solo vedere mio padre e gli altri» sussurrò lei a un certo punto, tirandogli la casacca.

    Leon rise forte. «Sei sicura?»

    «Certo» gli rispose sorridendo con dolcezza.

    «Come posso rifiutare di compiere una buona azione?» sospirò lui. Sperava non si sentisse che la voce gli tremava.

    «Allora potresti...?» Di nuovo quel sorriso angelico. Era una sciocchezza fare ciò che gli chiedeva una bambina, eppure non se la sentiva di dirle di no.

    Non osava tirarsi indietro proprio ora. Chi altri avrebbe potuto aiutarla, se non lui?

    Facendosi coraggio si afferrò a un merlo e si sporse nel vuoto.

    Le mura del castello scendevano a strapiombo. Molto più in basso si vedeva la loro base allargata, di solido granito. Oltre si estendeva la foresta e si allungava pigramente il fiume.

    Leon gemette senza volerlo. Aveva le mani tremanti, i palmi bagnati di sudore. Avrebbe voluto ritrarsi, ma si costrinse a restare lì, fermo. In lontananza un gallo cantò, annunciando l’alba. L’aria era fredda e umida contro il suo viso mentre guardava giù.

    Inutile. Stava battendo i denti e gli tremavano le gambe. Aveva la vista confusa. Ancora un attimo e sarebbe caduto giù. Lentamente, trascinando i piedi, si allontanò dall’apertura.

    «Che cos’hai visto? Tirami su, così potrò vedere anch’io!» Tutta sorridente, la bambina si mise a saltellare sui bastioni.

    Leon sussultò sentendo quell’ordine avventato. Stava tremando dalla testa ai piedi. Mentre indietreggiava si augurò che il suo cuore smettesse di battere così all’impazzata. Sembrava che stesse per scoppiare da un momento all’altro. Respirò profondamente e riuscì a dire soltanto: «Cadrai».

    Lei lo guardò con espressione solenne e scosse la testa. «No, non cadrò. E poi tu sei qui per trattenermi.»

    Leon aprì la bocca per dire che non era vero, ma gli tremava la mascella. Per fortuna, non stava più ansimando. Con la manica si asciugò la fronte. Odiava stare sui bastioni. A sette anni era caduto da una torre. Quando riviveva in sogno quell’episodio, urlava. Allora aveva pianto fra le braccia del padre adottivo, e se ne era vergognato, ma lui gli aveva dato una pacca sulle spalle e lo aveva abbracciato come faceva con Fulk Riven, lo aveva chiamato figlio e gli aveva assicurato che anche gli uomini adulti commettono sbagli e piangono.

    «Dall’altra parte si vede meglio.» Temendo che lei potesse saltare sopra lo spazio vuoto fra merlo e merlo, Leon cominciò a camminare. La bambina rise e lo seguì. Mentre si dirigeva verso est, Leon le chiese con studiata indifferenza: «Non soffri di vertigini?».

    «Di solito no» rispose saltellandogli accanto.

    Leon temette che lo stesse prendendo in giro. Si pentì di avere sollevato l’argomento, ma non gli importava nulla di ciò che pensava quella streghetta. Lei sembrava non conoscere la paura. Così giovane e così coraggiosa, pensò. Vide che aveva le braccia graffiate e la camicia da notte sporca e strappata all’altezza delle ginocchia. La bambinaia certo la stava cercando. Quasi quasi gli dispiaceva per quella povera donna. L’avrebbe pagata cara, se la madre della bambina l’avesse vista ora.

    «Tirami su, così potrò guardare anch’io.» La piccola sollevò le braccine esili.

    La brezza mattutina gli scompigliò i capelli e gli rinfrescò le guance accaldate. Finalmente Leon ritrovò la calma e, con la calma, arrivò anche la determinazione. Non avrebbe abbandonato la sua prima damigella in difficoltà. La sollevò e le fece appoggiare i piedi nudi su una sporgenza del parapetto.

    Lei si mise in punta di piedi e si sporse. Era matta, Leon ne era certo. Le mise un braccio attorno alla vita per impedirle di cadere, ma non le impedì di guardare. «Appoggiati pure alla mia spalla se ti gira la testa. Ti terrò io.»

    «Lo so, sciocco!» La bambina gli posò una mano sulla spalla e gli sfiorò delicatamente i capelli. «Parli in modo strano, ma hai dei bei capelli. Lucidi.» Nella sua voce vibrava un accenno di riso. Il suo corpicino profumava di pulito, e di qualcosa di dolce, come latte e miele.

    Leon sbatté le palpebre e dimenò le dita dei piedi dentro gli stivali. «Grazie.»

    Perfettamente immobile, guardò davanti a sé. Era appena spuntata l’alba. L’aria era fredda e una leggera foschia nascondeva le torri, celava alla vista la sommità dei cancelli e ristagnava nella corte, impedendo al fumo della legna che ardeva di sollevarsi liberamente.

    Dei soldati uscirono da uno dei cancelli. Le armature splendevano, le armi tintinnavano e gli stendardi sventolavano in cima alle aste.

    «Riesci a vedere il principe alla loro testa?»

    La bambina scosse il capo per allontanare dagli occhi una ciocca di capelli. «Eccolo là! Eccolo là!» strillò tutta contenta, battendo le mani.

    «Certo che è là. È il comandante» replicò Leon in tono sbrigativo. Guardò giù e si corrucciò. Keith, che avrebbe compiuto quindici anni a ferragosto, era stato scelto per fare da scudiero al principe. Keith, che, nonostante le gambe lunghe e le spalle larghe, non era in grado di battere Leon né in una battaglia simulata né in un combattimento a corpo a corpo.

    «Non sono magnifici? Dove vanno?»

    «Si radunano qui per seguire Riccardo in Palestina. Vanno a combattere i saraceni.»

    Non appena ebbe pronunciato quelle parole, se ne pentì, perché l’espressione della bambina, da gioiosa che era, divenne impaurita. La piccola aggrottò la fronte e lo afferrò con le manine.

    «Oh, gli uomini cattivi» mormorò. Il suo visetto si raggrinzì tutto. Ora sembrava giovanissima, non più una piccola strega, ma una bambina spaventata.

    Rimediò subito al proprio errore. «Coraggio, piccola. Tuo padre tornerà presto.»

    La bambina aggrottò la fronte. «E se gli uomini cattivi ci attaccassero mentre mio padre è lontano?» chiese in tono esitante. «Dovremo scappare via in fretta?»

    Leon guardò il suo visetto pallido e sorrise. «No» rispose con voce sommessa. «Il mio signore li fermerebbe e non li lascerebbe giungere qui.»

    La bambina gli posò una mano sul braccio e lo scrutò attraverso i riccioli scuri che le scendevano sugli occhi. «Io potrei lanciare delle pietre! Molto grosse.»

    «Oh...» Leon si sforzò di non mettersi a ridere e le scostò i capelli dalla fronte. «Sarebbe un bell’aiuto.»

    Gli uomini in assetto di guerra marciarono nella nebbia e scomparvero. L’aria sembrava innaturalmente ferma e pesante. Una specie di presagio gli fece scorrere un brivido lungo la schiena. La giornata si preannunciava pericolosa e piena di portenti. Come se...

    Come se il destino gli si fosse improvvisamente spalancato davanti. Eppure aveva solo dodici anni e, nonostante fosse già alto e robusto, nonostante se la cavasse bene con le armi e in seguito alla partenza di Keith fosse stato fatto scudiero, non era ancora cresciuto del tutto.

    La bambina si riparò gli occhi con una mano.

    «Non riesco più a vederli.»

    Leon fece un respiro profondo e la tirò giù dal suo posto di osservazione. Lei lo guardò con espressione seria.

    «Non vorresti essere andato con il principe?»

    «Vorrei essere con lui. Lo vorrei tantissimo» rispose d’impeto.

    «Non è troppo tardi. Se corri puoi ancora raggiungerli.»

    Leon lo sapeva. «Il mio signore non è soddisfatto della situazione nelle regioni di confine. Vuole che resti accanto al suo erede.»

    «Come ti guadagnerai gli speroni?» gli domandò lei con un mezzo sorriso.

    Leon sollevò le sopracciglia. «Non lo so ancora, ma un giorno sarò un cavaliere. Devo esserlo.»

    «Potresti scappare e diventare un cittadino, se lo volessi davvero. Mio padre dice che è una vita più facile.»

    «Parla troppo. I cavalieri sono come degli scudi contro il male. Sono l’unica speranza dei poveri contadini e delle bambine piccole... che i santi le proteggano. Nessun altro avrà pietà di loro.»

    «Oh, che bello. Canteranno delle canzoni in tuo onore.» Una manina s’insinuò nella sua, l’altra gli sfiorò la mascella con il pollice.

    «A me sembra una bella cosa.»

    Lei infilò le dita fra i suoi capelli. «Perché no? Tu sei coraggioso, nobile e forte. Diventerai un cavaliere.»

    Leon trasalì e diventò tutto rosso. I suoi pensieri si fecero confusi. Lei era curiosa, e pensava che lui fosse molto coraggioso. La cosa lo sconcertava più che inorgoglirlo, ma era molto difficile continuare a essere in collera con qualcuno che credeva sul serio una cosa simile.

    Si sforzò di trovare qualcosa di intelligente da dire, ma, siccome non gli venne in mente nulla, restò in silenzio e assunse l’espressione di chi la sa lunga.

    La bambina sorrise. «Mi sposerai quando sarò grande?»

    Leon non poté fare a meno di sentirsi in imbarazzo. Santo cielo, così piccola sembrava già una donna, con quelle sciocchezze. Non sapeva bene cosa avrebbe dovuto rispondere, ma conveniva parlare chiaro.

    «Tu devi sposare un uomo con un titolo e delle terre.»

    «Non potrei mai sposare un uomo che non amo!» ribatté lei con l’avventata sicurezza di una bimba di quattro anni.

    «Un giorno arriverà un cavaliere e ti ruberà il cuore.»

    «Vuoi essere il mio cavaliere?» domandò lei.

    «Ma certo» rispose Leon con un inchino elaborato.

    Lei sbatté le palpebre. Poi lo guardò con espressione preoccupata. «Per sempre?»

    Leon sorrise. La sua voce cambiò, divenne più profonda. «Da questo momento io sarò per sempre il tuo cavaliere.» Poi le baciò la mano.

    Lei liberò la manina e staccò un nastro dalla camicia da notte, quindi glielo porse. «Allora aspetterò e, quando sarai grande, tornerai qui e mi sposerai.»

    «Ah, sì?»

    Lei annuì.

    Leon prese quel pegno e le scompigliò i capelli. Poi guardò con studiato disinteresse il cielo che andava schiarendosi.

    «Va bene» disse.

    Gli occhi di lei parevano fatti per stregare. «Lo giuri?»

    Leon strinse i denti. Che bambina insopportabile! Gli stava davvero facendo perdere la pazienza! Chinò la testa e si voltò dall’altra parte.

    «Lo giuro sul sole e sulla luna, sulla terra e sull’acqua, sul fuoco e sull’aria. Sei soddisfatta?» chiese parlando al vuoto.

    Dietro di sé udì un leggero fruscio. Allora s’irrigidì.

    «Tata!» La bambina si mise a correre con le braccia tese. «Oh, tata, sono riuscita a vedere tanto lontano! Ho visto il principe che usciva dal castello!»

    Leon si girò. La donna allargò le braccia e strinse a sé la bambina. «Non devi mai salire quassù da sola» le disse in tono controllato.

    «Oh, ma non ero sola. C’era il mio cavaliere.»

    «Non puoi continuare a scappare, bambina mia.»

    «Ma perché?» chiese lei in tono cantilenante.

    La bambinaia la ignorò e cominciò a trascinarla via con sé rimproverandola ad alta voce. «È innaturale voler uscire all’aperto!»

    «Ma, tata, ho trovato il mio cavaliere, solo che non è ancora un cavaliere... e ha i capelli come l’oro!»

    «Un giorno un brav’uomo con i capelli d’oro chiederà la tua mano, poi ti sposerà e ti darà dei bei bambini, una mezza dozzina. Ma fino ad allora, padroncina, conviene che impariate a comportarvi come una signora.»

    Quando raggiunse la soglia, la bambina si voltò. «Arrivederci, mio cavaliere. Che tutte le strade siano piane sotto i tuoi piedi» disse con la sua vocina trillante, usando una formula di saluto celtica.

    «E che tu possa essere al sicuro da ogni male» rispose Leon con più sentimento di quanto la risposta usuale richiedesse.

    Si era dimenticato di domandarle chi fosse suo padre. Non che l’avrebbe più rivista.

    Il seguito di FitzWarren sarebbe tornato a Whittington l’indomani.

    Pur senza volerlo tese una mano con l’intenzione di chiederle il suo nome. Lei gli lanciò un’occhiata confusa, ma la bambinaia gli fece un breve cenno di saluto. Lui avrebbe voluto seguirla.

    Chiuse gli occhi per un istante. Quando li riaprì, le due figure erano state inghiottite dalle tenebre.

    1

    Territori al confine settentrionale, Galles, 1204

    «Il prete è qui. Manca solo lo sposo.»

    Brenna sentì queste parole come da una grande distanza. Erano sospese nell’aria sopra la sua testa come frecce fiammeggianti scagliate una

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