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Tè nel deserto (eLit): eLit
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E-book158 pagine2 ore

Tè nel deserto (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Leonora Groom è un'ereditiera sotto mentite spoglie, che vuole disperatamente essere amata per se stessa e non per il denaro del padre.
Ma sotto il rovente cielo egiziano la sua facciata di donna di ghiaccio comincia a sciogliersi.
Un uomo dal fascino misterioso ha appena bussato alla sua porta e le chiede di...
LinguaItaliano
Data di uscita31 mag 2018
ISBN9788858987544
Tè nel deserto (eLit): eLit
Autore

Sophie Weston

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Tè nel deserto (eLit) - Sophie Weston

    successivo.

    Prologo

    «Chi stiamo aspettando?» chiese incuriosito il secondo pilota.

    Il pilota abbassò lo sguardo sulla pista del Cairo. Di primo mattino, i tetti degli edifici che costituivano l'aeroporto brillavano in lontananza e un paio di uomini vestiti di scuro stavano spazzando l'aerea di stazionamento, dove si era fermato il loro aereo.

    «Quelli della sicurezza» rispose, laconico.

    Il secondo pilota era alla sua prima esperienza a bordo della flotta privata dello sceicco di Dalmun. «Fanno sempre questi controlli?»

    Il collega scrollò le spalle. «È una persona importante.»

    «Allora è lui il bersaglio.»

    «È ricchissimo ed è l'erede legittimo di Dalmun» spiegò il pilota in tono cinico. «È naturale che sia il bersaglio.»

    Il compagno sorrise. La sua fidanzata acquistava regolarmente riviste di gossip mondani. «Una calamita per le ragazze, vero? Beato lui.»

    Quando gli uomini della sicurezza ebbero terminato i loro controlli, uno di loro fece un cenno con la mano e una limousine bianca si avvicinò lentamente all'aereo. Il pilota, con il berretto sotto al braccio, si alzò e andò a stringere la mano al passeggero che era in procinto di scendere.

    La tunica bianca mossa dalla brezza mattutina, lo sceicco si avviò verso la macchina. Nonostante il folto seguito di dignitari e guardie del corpo, appariva come una figura solitaria.

    Il pilota rientrò in cabina. «Rimaniamo in stand-by» dichiarò.

    Subito sopraggiunsero altre automobili destinate agli uomini della sicurezza, mentre la limousine si allontanava.

    Il pilota riprese il suo posto in cabina e rimase in attesa di qualcuno che lo scortasse al posteggio definitivo del velivolo.

    «Per quale motivo è venuto qui?» domandò il secondo pilota. «Affari o piacere?»

    «Entrambi, credo. Manca da Dalmun da parecchi mesi.»

    «Come mai?»

    Il pilota non rispose.

    «Ho sentito dire che ha litigato con il padre. Voleva forse che si risposasse?»

    «Forse.»

    «Tu che ne pensi? Che sia venuto a cercarsi una moglie?»

    «Amer el-Barbary? Una moglie? Lo sceicco si sposerà solo quando gli asini voleranno.»

    1

    Leonora si passò una mano tra i capelli e respirò profondamente. L'atrio del Nile Hilton era affollato. Aveva perso tre componenti del gruppo che avrebbe dovuto accompagnare in visita al museo, non era riuscita a passare neanche un po' di tempo con la madre, che, di conseguenza, era furiosa, e come se non bastasse, la cliente difficile di quella settimana le aveva posto un'altra delle sue domande provocatorie.

    «Che cosa?» chiese con aria distratta.

    «Sta facendo il suo ingresso in questo momento.» La signora Silverstein annuì in direzione delle porte girevoli. «Chi è?»

    Una limousine bianca dai finestrini schermati si era accostata al marciapiede, preceduta da due Mercedes scure. Dalle auto emersero alcuni uomini vestiti di grigio che si sistemarono in posizioni strategiche, mentre una frotta di facchini si riversava sul gruppo. Le portiere della limousine rimasero rigorosamente chiuse. Solo allora Leo capì...

    «Probabile che sia un reale.» Non sembrava molto interessata. L'agenzia del padre non contava ancora fra i suoi clienti membri di famiglie reali.

    «Oh, cielo! Un reale?» ripeté la signora Silverstein, incantata ed eccitata al tempo stesso.

    Lei le rivolse un sorriso. In fondo, quella donna le era simpatica.

    «Un signore del deserto» specificò l'altra.

    «Possibile.»

    Leo decise di non rovinare tutto dicendole che probabilmente quell'uomo aveva studiato a Harvard, era poliglotta e attraversava il deserto a bordo di una jeep dotata di aria condizionata e non sul dorso di un cammello. La signora Silverstein era un'inguaribile romantica, lei no.

    «Chissà chi è...»

    «Non ne ho la minima idea.»

    «Si informi, allora» le suggerì l'anziana donna.

    Leo scoppiò a ridere. Era quello che la cliente le andava ripetendo fin dal suo arrivo.

    «Senta, io sono la sua guida e sono disposta a fare molto per lei. Posso permettermi di chiedere alle persone che età hanno e quanto costa mantenere un asino, ma non intendo disturbare un gruppo di uomini armati per sapere chi stiano proteggendo. Probabilmente, mi arresterebbero.»

    La signora Silverstein ridacchiò. «Codarda.»

    «Comunque, adesso, devo assolutamente trovare la famiglia Harris.»

    Leo si fece largo tra la folla per raggiungere un telefono nascosto dietro una composizione floreale. Guardandosi intorno, compose il numero della camera degli Harris. Fu allora che notò l'uomo che stava scendendo dalla limousine. Era stupendo.

    «Pronto?» rispose Mary Harris all'altro capo del filo. «Pronto?»

    Leo non lo aveva mai visto prima, ne era sicura. Tuttavia c'era qualcosa in lui che la colpì, come se lo conoscesse, come se fosse importante per lei...

    «Pronto? Pronto?»

    Portava la veste bianca e il copricapo di un arabo del deserto. Quella rigorosa semplicità contrastava con l'ambiente sfavillante dell'albergo e lo faceva apparire persino più autorevole. Gli occhi erano nascosti da un paio di occhiali scuri, ma l'espressione era diffidente.

    «Pronto? Chi parla?»

    Leo colse l'arroganza che i suoi lineamenti rivelavano e non le piacque. Tuttavia non poté impedirsi di fissarlo. Neanche fosse vittima di un incantesimo...

    La signora Silverstein le si affiancò e le tolse il telefono di mano. Leo non vi badò nemmeno: l'unica cosa che le riusciva di fare in quel momento era fissare lo straniero, in attesa che lui posasse il suo sguardo su di lei.

    Un uomo, che riconobbe come il direttore dell'albergo, stava scortando il gruppo e, passandole accanto, la sfiorò, obbligandola a indietreggiare di un passo. Leo batté il fianco contro il tavolo e si aggrappò a una colonna. Di norma, il direttore era una persona gentile ed educata, ma, in quella circostanza, non le prestò la minima attenzione.

    L'oggetto del suo interesse invece sì. La figura con la veste bianca si fermò all'istante e si voltò, guardando in direzione di Leo.

    Proprio l'occasione che lei stava aspettando. Trattenne il fiato e rafforzò la presa intorno alla colonna, quasi temesse di venire inghiottita dal pavimento.

    «Oh, mio Dio» sussurrò la signora Silverstein.

    Poi lui girò di nuovo la testa e Leo abbassò le spalle portandosi una mano tremante alla gola.

    «Oh, mio Dio» ripeté la signora Silverstein rimettendo il telefono al suo posto.

    Dall'altra parte dell'atrio ci fu un gesto imperioso e uno dei componenti del seguito si avvicinò e fissò Leo con espressione sorpresa.

    Lei capì. Non era certo il tipo di donna che gli uomini notano in un atrio affollato. Era troppo alta, troppo pallida, troppo rigida, il che le conferiva un aspetto fiero. In quel momento, però, aveva anche i capelli pieni della polvere del Cairo e il tailleur spiegazzato.

    Non molto seducente, pensò, cercando di ridere di sé. Si era ormai rassegnata a rimanere anonima, tuttavia lo sguardo stupito di quell'uomo la fece stranamente soffrire.

    «Mi scusi» esordì in un inglese privo d'accento. «Sua Eccellenza domanda se si è fatta male.»

    Leo scosse il capo, troppo agitata per parlare... anche se la ragione le sfuggiva. Dopotutto, visto che l'uomo vestito di bianco portava occhiali scuri, non aveva prove che stesse davvero guardando lei. Ma era sicura di sì.

    «Molto gentile da parte di Sua Eccellenza» commentò la signora Silverstein sorridendo raggiante all'ambasciatore. Poi si rivolse a Leo. «Quell'uomo non le ha fatto male, mia cara?»

    «Male?» ripeté lei, sbalordita. Che lui nascondesse un raggio laser dietro quegli occhiali scuri?

    «Quando l'ha urtata» le spiegò l'altra, in tono paziente.

    Leo ricordò la breve collisione con il direttore. «Oh, il signor Ahmed.»

    Si ricompose, ma con un certo sforzo. Ora lo sceicco non la stava più guardando, e lei se ne rese conto senza bisogno di vederlo. Era conscia dei suoi movimenti come se avesse tutto il corpo sintonizzato sulle sue vibrazioni personali.

    Nessuno aveva mai avuto quell'effetto su di lei. Nessuno. Deglutendo a fatica, replicò: «No, non è stato nulla».

    «Ne è sicura? È terribilmente pallida.»

    Leo ebbe la netta sensazione che non fosse la prima volta che quell'uomo portava un messaggio a una donna sconosciuta, ma che quei messaggi fossero di solito più divertenti e le donne più sofisticate e cento volte più belle.

    «Posso esserle d'aiuto in qualche modo?»

    Lei si inumidì le labbra e ritrovò il controllo. «No, grazie. Non mi serve niente.» Poi si ricordò di essere educata. «La prego, ringrazi Sua Eccellenza per le sue premure.»

    Si voltò, tuttavia la signora Silverstein non pareva intenzionata a perdere l'occasione di fare un'esperienza per lei così nuova. Infatti batté la guardia sulla spalla. «Di che tipo di Eccellenza si tratta?»

    L'altro fu colto così alla sprovvista che le rispose: «Dello sceicco Amer el-Barbary».

    La signora Silverstein ne fu incantata. «Uno sceicco» ripeté con aria sognante.

    L'uomo dagli occhiali scuri guardò di nuovo nella loro direzione e Leo arrossì. Pur non degnandolo di uno sguardo, poté sentire su di sé i suoi occhi e fu come se qualcuno le avesse buttato addosso un secchio di acqua fredda.

    Rabbrividì. Come poteva farle quell'effetto?, si chiese, cominciando a provare indignazione. Lo fissò con occhio torvo, certa di avere incontrato il suo sguardo, e all'improvviso ebbe la sensazione di avere attirato tutta la sua attenzione. E lui non sembrava affatto contento.

    Aiuto, pensò. Sta venendo qui. Si sentì rizzare i capelli sulla nuca, quando qualcuno di inaspettato venne in suo aiuto.

    «Tesoro!»

    Leo trasalì e guardandosi attorno scorse Deborah Groom che le faceva un segno con la mano. Aveva cercato di convincere la madre a non andare al Cairo proprio nella settimana più trafficata dell'anno, per l'agenzia, ma Deborah evidentemente non le aveva dato ascolto.

    In tono brusco, ringraziò di nuovo l'addetto alla sicurezza, scusandosi con la signora Silverstein. «Mi conceda dieci minuti, devo sbrigare una faccenda. Poi, se vorrà, la porterò alle piramidi di Giza.»

    «Vada pure» rispose l'anziana donna, ancora abbacinata dal suo incontro ravvicinato con uno sceicco.

    Rivolgendole un sorriso di gratitudine, Leo si infilò il blocco sotto il braccio e si fece strada tra la folla.

    «Ciao, mamma!» esclamò quando ebbe raggiunto Deborah. «Ti stai divertendo?»

    Deborah Groom era abituata ad andare sempre dritta al nocciolo delle questioni. «Andrebbe meglio se riuscissi a stare un po' di più con la mia unica figlia.»

    Lei si sforzò di essere paziente. «Ti avevo avvertito che avrei avuto molto lavoro.»

    «Ma non tutto il tempo. Il tuo capo sa chi sei?»

    «Vuoi dire se sa che sono la figlia del padrone? No di certo. Qui mi chiamano Leo Roberts.»

    Deborah sbuffò. «A volte, tuo padre proprio non lo capisco.»

    Niente di nuovo. Aveva piantato in asso Gordon Groom quattordici anni addietro lasciandolo solo a badare alla piccola Leo.

    «Lui apprezza che io sappia cavarmela da sola. Senti, mamma...»

    «Vuoi dire che lui apprezza il fatto che tu ti comporti più come un uomo che come...»

    Gli occhi di Leo lampeggiarono. Ma c'era abbastanza verità in quelle parole per soffocare in lei

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