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Un imperfetto gentiluomo: Harmony History
Un imperfetto gentiluomo: Harmony History
Un imperfetto gentiluomo: Harmony History
E-book229 pagine3 ore

Un imperfetto gentiluomo: Harmony History

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Info su questo ebook

Australia/Nuova Zelanda, 1863
Caroline Morgan, poco incline ad adattarsi al ruolo che la famiglia le ha assegnato, sfida l'autorità del padre che le ha combinato un matrimonio indesiderato e fugge da Sydney diretta in Nuova Zelanda, dove vive una sua parente. Giunta a Dunedin, decide di occuparsi dell'albergo della zia e per ottenere dalla banca il prestito necessario a proseguire l'attività, si vede costretta a prendere marito. La scelta cade su Leander, il più improbabile dei candidati, un giovane conosciuto solo pochi giorni prima. Questi, col vizio del gioco, gli abiti malmessi e due occhi che la penetrano in profondità, accetterà di offrirle il proprio nome solo dietro pagamento di un'ingente somma di denaro, ma in cambio le riserverà più di una sorpresa.
LinguaItaliano
Data di uscita10 lug 2020
ISBN9788830517493
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    Anteprima del libro

    Un imperfetto gentiluomo - Victoria Aldridge

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    A Convenient Gentleman

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2004 Victoria Aldridge

    Traduzione di Rita Orrico

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-749-3

    Prologo

    Nuovo Galles del sud, The Hawkesbury, 1863

    Per la terza sera consecutiva la battaglia imperversava nella dimora dei Morgan.

    Gli scontri si svolgevano nelle diverse stanze della casa: in salotto, nella sala da pranzo, in cucina, e ogni contrasto si protraeva a lungo e sempre con grande clamore.

    Tutti i braccianti, al sicuro nei cottage dietro la casa padronale, seguivano l’evolversi della situazione con grande interesse, e le scommesse su chi ne sarebbe uscito vincitore erano aperte. La maggior parte dei giocatori aveva puntato il proprio denaro su Ben Morgan: la giovane Caroline aveva un caratteraccio, ma il padre era sempre riuscito a spuntarla in precedenza.

    Altri, forse più esperti, puntavano sulla ragazza: non solo aveva ereditato la testardaggine del padre, ma era anche degna figlia di sua madre e, a comandare davvero in casa Morgan, era sempre stata la moglie. I braccianti più anziani annuivano lanciandosi occhiate complici.

    Quella terza sera di conflitto, i due protagonisti si fronteggiavano al tavolo della cucina, con una caraffa di tè freddo a delimitare le rispettive posizioni. La tensione nell’aria si sarebbe potuta tagliare con un coltello.

    Emma Morgan, tranquillamente seduta accanto alla stufa, posò in grembo il lavoro a maglia e guardò marito e figlia, esasperata.

    «Ne ho abbastanza di voi due! Quando tornerete a una conversazione civile, se è lecito chiederlo?»

    Ben fulminò la moglie con lo sguardo. «Quando tua figlia avrà appreso le buone maniere e il buon senso. Ma ti consiglio di non sperarci troppo!»

    «È così, dunque?» replicò Caroline, sollevando il mento. «Vogliate notare mamma, dato che voi siete stata il mio unico genitore negli ultimi tre giorni, che se sono solo vostra figlia, mio padre non ha alcun diritto di trattarmi come uno dei suoi servi!»

    «Caro!» esclamarono entrambi i genitori all’unisono in tono di rimprovero.

    Emma guardò la figlia con quel misto di amore e costernazione che provava da sempre nei confronti della figlia maggiore. Era così simile a suo padre, con gli stessi colori, la stessa bellezza e lo stesso temperamento focoso. Solo gli occhi verdi erano quelli della madre, e in quel momento brillavano di una luce quasi feroce. A volte Emma temeva per il futuro di Caro: c’erano in lei una determinazione e un pragmatismo che, per quanto desiderabili in un uomo, in una donna erano semplicemente fuori luogo.

    «Tutto ciò che tuo padre ti chiede di fare, Caro, è di considerare l’offerta di matrimonio del signor Benton...»

    «E io ho già dato la mia risposta! Quante volte lo devo dire? La mia risposta è no!»

    Emma trasferì il suo sguardo sul marito. «Non lo vuole sposare, Ben.»

    «Allora è una sciocca! Benton è l’unico erede del padre e alla sua morte entrerà in possesso della migliore proprietà terriera dell’Hawkesbury che, se annessa a questa...»

    «Quindi voi volete vendermi?» protestò Caroline.

    «Niente affatto, sto solo enunciando i fatti! Non c’è nulla che non vada nel giovane Benton.»

    «È un idiota, e le sue orecchie sporgono in fuori.»

    «Mia cara, non è vero» obiettò la madre con gentilezza. «Be’, non così tanto, almeno. Poi lo conosci da tutta la vita, e lui ti adora!»

    «Proprio così, mamma. Mio padre desidera maritarmi a un giovanotto che possa comandare a bacchetta, e che considero quasi come un fratello! Benché, se avessi un fratello, non avrebbe tanta fretta di vedermi sposata!»

    Ben guardò la figlia attraverso gli occhi ridotti a due fessure. «Un figlio maschio avrebbe preso le redini della fattoria una volta che io me ne fossi andato, e si sarebbe preso cura delle sorelle così che non ci sarebbe stata alcuna necessità di trovarti un buon marito.»

    «E allora lasciate la fattoria a me» ribatté Caro in tono stanco, per l’ennesima volta. «Posso dirigere la proprietà molto meglio di qualunque giovanotto, e voi lo sapete bene.»

    «Sii ragionevole, Caroline» sbottò il padre. «Una donna non può amministrare una fattoria, o qualunque altro commercio. Non è per questo che sono state create.»

    Caro guardò la madre in cerca di appoggio. Le figlie di Ben Morgan avevano sempre riso delle sue antiquate idee a proposito del ruolo delle donne, ma questa volta la sua ostinazione si scontrava con il più grande sogno di Caroline. Lei amava quella terra, apparteneva alla famiglia da tre generazioni e aveva fatto dei Morgan una delle famiglie più facoltose d’Australia.

    «Immagino che mi vogliate come Olivia, tutta dolcezza e frivolezze» commentò ad alta voce. «Lei ha sposato l’uomo che voi le avete scelto.»

    «Tua sorella ha sempre desiderato sposare William, mia cara» le fece notare la madre. «È felice, e noi con lei. E ora che c’è anche un bambino in arrivo...»

    «Quale perfezione!» sbottò la giovane con sarcasmo. «È oltremodo bizzarro che non abbiate mai menzionato il fatto che il bambino nascerà a gennaio, solo sette mesi dopo il matrimonio!»

    «Caro, hai passato la misura!» Emma si alzò e la figlia capì di essersi spinta troppo oltre. «Và in camera tua!»

    «Madre...»

    «Ho detto di andare in camera tua! E non curarti di uscirne prima d’aver imparato un minimo di decoro.»

    Caroline era sul punto di obiettare, ma la madre era molto vicina alle lacrime e a quel punto la furia di suo padre sarebbe stata inarrestabile.

    A testa alta, la fanciulla uscì dalla cucina con tutta la dignità di cui era capace, ma non poté evitare di richiudere la porta alle proprie spalle con una tale forza da svegliare le sorelle più giovani.

    Rimasti soli, i suoi genitori si scambiarono un’occhiata.

    «Giuro che un giorno la strangolerò. Un marito è quello che ci vuole per domarla, anche se dubito che Frank Benton riuscirebbe nell’intento per più di cinque minuti» sbraitò Ben.

    Emma ripose il lavoro a maglia nel cestino e rifletté su quanto stava per dire. Doveva usare tatto: i difetti che padre e figlia condividevano erano anche quelli che rimproveravano di più l’uno all’altra.

    «Non sono certa che il matrimonio sia la soluzione giusta per lei, non ancora almeno. Ha bisogno di vedere un po’ il mondo per comprendere che non sa tutto e che non può averla sempre vinta. Potrebbe andare in Inghilterra...»

    Il marito si lasciò sfuggire un lamento. «Non in Inghilterra. È così lontana! Non la rivedremmo più per anni, e non sappiamo cosa potrebbe succederle dall’altra parte del mondo.»

    Lei sorrise. «Sei sempre stato troppo accondiscendente con loro, Ben. È per questo che Caro è così cocciuta. Lasciala andare; prima o poi dovrai farlo, lo sai.»

    «Suppongo che tu abbia ragione» si arrese il marito, chinandosi a posarle un bacio sulla fronte. «Avremmo dovuto avere dei figli maschi, non ci avrebbero creato così tanti guai.»

    Poco prima dell’alba il signor Morgan fu svegliato dal movimento dei cani sotto la finestra della camera da letto. Gli animali non abbaiavano, il che lasciava intendere che chiunque fosse stato a passare di lì non era un estraneo.

    Che il diavolo se la porti!, pensò, intuendo subito di chi si trattasse. Si alzò dal letto senza far rumore e scese nell’atrio, dove incontrò il signor Matthews.

    «Se n’è andata» esordì quest’ultimo.

    «Già.» Ben si passò una mano sul mento ruvido di barba, pensieroso.

    «Non tornerà.»

    Il padrone di casa cercò d’interpretare l’espressione sul volto di Matthews, che era al suo servizio ormai da una vita. Ex galeotto trasferito nelle colonie, si era guadagnato da tempo il proprio riscatto ed era divenuto un membro indispensabile e apprezzato della famiglia. Il suo unico difetto, almeno ai suoi occhi, era la sua cieca predilezione per Caroline.

    Se c’era una possibilità che la figlia si fosse confidata con qualcuno, questo era lui.

    «Te l’ha detto lei?»

    «No. Ma desidera davvero amministrare queste terre, e voi gliel’avreste dovuto permettere.»

    «Non essere ridicolo» sbottò lui. «A ogni buon conto, tornerà non appena si renderà conto di quanto fosse agiata la vita che ha condotto finora. Non durerà un solo giorno là fuori...»

    «A meno che non le accada qualcosa» gli fece notare il devoto Matthews. «Come venire rapita, o aggredita, o derubata, o venduta al porto...»

    Ben batté col pugno sul corrimano della veranda. «Dannazione! Va bene, seguila e assicurati che stia bene. Prendi del denaro con te, lei non ne avrà portato molto.»

    «Ha preso Summer.»

    «Cosa? Quel cavallo vale una fortuna! Vai, e fai in modo di non pagare troppo per ricomprare quell’animale.» Morgan si voltò per andarsene, ma si fermò proprio sullo specchio della porta, come colpito da un pensiero improvviso.

    «Solo un’altra cosa, Matthews...»

    «Sì?»

    «Qualunque cosa succeda, non farla arrivare a Dunedin!»

    1

    Dunedin, Nuova Zelanda, 1863

    La città di Dunedin era ricoperta da un leggero strato di neve, la prima che Caroline avesse mai visto. Incantata dalla bellezza delle colline imbiancate, restò ferma ai cancelli del porto, incurante della folla che la urtava e si affrettava intorno a lei.

    Aveva visto alcune illustrazioni con paesaggi innevati sui libri che parlavano dell’Inghilterra, ma questo era molto più emozionante di quanto il vecchio continente avrebbe mai potuto essere.

    Questa era una vera avventura!

    Il fatto che con sé non avesse altro che un unico cambio di vestiti e venticinque sterline avanzate dal viaggio per mare non faceva che rafforzare il suo entusiasmo. Le tre settimane di viaggio in nave erano state noiose, ma ora, per la prima volta in vita sua, era indipendente, e non era mai stata più felice di così.

    Infilò la mano nella retina e rigirò tra le dita inguantate la lettera che conteneva, della quale conosceva a memoria l’indirizzo del mittente.

    Mrs. Jonas Wilks, Castledene Hotel, Castle Street, Dunedin.

    Dunedin non era grande come si era aspettata, di certo non così grande come Sydney. Costruita lungo le rive di una baia naturale e annidata tra ripide colline, la cittadina che era divenuta il cuore della corsa all’oro di Otago muoveva ora i primi passi, e mentre Sydney aveva l’aspetto tranquillo della città colonizzata ormai da ottant’anni, Dunedin sembrava brulicare di energia.

    Nutrita dai filoni d’oro della regione dell’Otago, i più ricchi dopo quelli di Ballarat e della California, la prosperità di Dunedin saltava subito agli occhi. Dal parco centrale, chiamato l’Ottagono, si dipanavano numerose strade, fiancheggiate da palazzi con la facciata decorata. Sulle colline più vicine si intravedevano file interminabili di tende, che Caro pensò essere gli alloggi dei minatori che non potevano trovare, o permettersi, qualcosa di meglio.

    Una folata di vento gelido raggiunse la banchina, gonfiando gli abiti delle donne e facendo volare via qualche cappello. Caro sentì freddo all’improvviso, un freddo come non aveva mai sperimentato prima di allora, ma, anziché spaventarla, quella novità aggiunse altro fuoco al suo entusiasmo.

    Rialzando il colletto di pelliccia a ricoprire il mento, s’incamminò lungo la banchina e prese la strada che da lì partiva, ignara come al solito degli sguardi dei passanti.

    Era sempre stato difficile non notarla, non solo per la sua notevole statura, ma soprattutto per il suo portamento eretto e aggraziato. La combinazione di grazia, splendidi capelli biondi e un paio di occhi verdi lucenti, faceva della signorina Morgan una vera bellezza.

    Tuttavia, Caroline non ne era consapevole, cosa davvero sorprendente in una giovane donna.

    A dispetto del tempo uggioso e del clima gelido, le strade erano affollate e c’era a stento spazio per tre persone sulla passerella di legno che costeggiava la fila di negozi, quindi lei si tenne sulla sinistra.

    Notò con interesse che nel vociare confuso della folla, il più diffuso era l’accento scozzese. Passò davanti a due Chiese della Scozia, e la metà dei negozi recava il prefisso Mac davanti al nome del proprietario. Adesso capiva perché Dunedin venisse definita la Edimburgo del Sud!

    «Scusatemi, signore!» apostrofò un uomo che ostruiva il passaggio per caricare il proprio carro. Aveva un aspetto piuttosto rude e la sua espressione era corrucciata. Doveva trattarsi di un minatore.

    «Sparisci!» sbottò lui senza alzare lo sguardo.

    Caro attese pazientemente. I suoi genitori avevano sempre insistito che si dovesse mostrare cortesia alle persone, di qualunque estrazione sociale fossero. Avrebbe potuto scendere dalla passerella e girare attorno al carro, ma la neve si era trasformata in una fanghiglia poco invitante.

    «Vi ci vorrà molto, signore?» domandò dopo qualche minuto.

    «Tanto quanto mi occorre» fu la secca replica dell’uomo, che gettò un altro pesante sacco sul carro. Ce ne era almeno un’altra dozzina ai suoi piedi.

    «Capisco.» Caro posò le proprie valigie a terra. «Forse potrei aiutarvi, così fareste più in fretta. Non credete?»

    L’uomo si voltò pronto a imprecare, ma qualunque cosa fosse stato sul punto di dire gli morì in gola alla vista di quei due grandi occhi verdi del tutto privi di malizia o sarcasmo.

    L’uomo arrossì violentemente mentre si faceva da parte per lasciarla passare. La stava fissando come facevano molti uomini quando i suoi genitori la portavano a Sydney; Caro non amava quegli sguardi, e tanto meno quel comportamento incomprensibilmente deferente.

    Tuttavia, quella era la Nuova Zelanda. Forse gli uomini erano più sensibili in quel paese. Così, sorrise ed estrasse la lettera dalla retina.

    «Grazie, signore. Mi chiedevo se poteste indicarmi la via per Castle Street? È da queste parti?»

    Senza distogliere lo sguardo attonito dal viso della giovane, lui si limitò a stendere un braccio nella stessa direzione che lei aveva seguito fino a lì.

    «Laggiù. La seconda sulla sinistra.»

    «Molte grazie, signore.» Lei sollevò le valigie e riprese il cammino.

    Dopo pochi minuti arrivò in vista di Castle Street e il suo cuore prese a battere più in fretta. Non era certa di ciò che avrebbe trovato, né del tipo di accoglienza che avrebbe ricevuto al Castledene Hotel. Si chiese se la signora Wilks vivesse ancora lì.

    Charlotte Wilks. Sua zia, la sorella di sua madre. Caro non l’aveva mai vista e di lei non sapeva nulla eccetto che un qualche scandalo aleggiava su di lei, e non il genere di scandalo che metteva in moto le malelingue dell’Hawkesbury, come l’aver danzato per due volte di fila con lo stesso cavaliere.

    No, i peccati della zia Charlotte erano così terribili da non poter essere nominati, a giudicare dalla tensione che si creava tra i suoi genitori e in particolare nel padre all’arrivo di ogni sua lettera.

    Qualunque cosa la zia Charlotte avesse fatto, di certo il cognato non l’aveva mai perdonata. Lui la detestava più di chiunque altro.

    Caroline, invece, non vedeva l’ora di conoscerla.

    Girò l’angolo di Castle Street e trattenne il respiro. Al termine della via senza uscita, il Castledene Hotel si stagliava con orgoglio, una magnifica costruzione su due piani, la più elegante che avesse visto fino a quel momento a Dunedin notò con sollievo.

    Le sue paure di trovare la zia mezza morta di fame in una soffitta polverosa svanirono. L’ultima lettera di Charlotte risaliva a tre mesi addietro, e se poteva permettersi di alloggiare in un posto simile significava che il denaro non le mancava di certo.

    Raggiunse il portone d’ingresso, entrò e posò le valigie nell’atrio, guardandosi attorno con approvazione. L’entrata era imponente anche se un po’ fredda, pavimentata com’era dello stesso marmo verde chiaro delle colonne. Due scalinate in legno di kauri intarsiato si snodavano su entrambi i lati verso i piani superiori, in parte oscurate da tendaggi di ricco velluto.

    Proprio di fronte a lei alcune porte rivestite di pannelli si aprivano su una sala da pranzo, lasciando intravedere i tavoli apparecchiati con tovaglie di damasco e argenteria scintillante. L’albergo era elegante quanto i migliori hotel di Sydney, e solo un leggero odore di legno tagliato ne tradiva la recente costruzione.

    «Posso aiutarvi, signorina?»

    Caro si voltò con un sorriso verso l’uomo magro in piedi dietro il bancone della reception. «Lo spero, signore. Sto cercando Mrs. Jonas Wilks. Ritengo sia stata ospite qui alcuni

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