La donna del cowboy: Harmony Collezione
Di Jeanne Allan
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Jeanne Allan
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La donna del cowboy - Jeanne Allan
successivo.
1
J.J. non aveva mai visto una donna così bella. Una invidia irrazionale quanto inaspettata la strinse allo stomaco. Il dipinto, intitolato semplicemente La sua vita, raffigurava la donna di un pioniere nell'atto di stendere la biancheria.
Vicino alla donna un paio di bambini giocavano sull'erba, un lattante dormiva in una culla, una torta era posta a raffreddare su un davanzale e un fucile da caccia era appoggiato in un angolo.
Elementi di vita quotidiana occupavano appena un quarto della superficie del quadro, mentre un cielo sbiadito, incombente su una pianura riarsa priva di alberi, riempiva il resto.
L'acquerello, nebbioso e quasi monocromatico, evocava durezza, solitudine e disperazione, almeno finché l'occhio dell'osservatore non notava piccoli tocchi di colore. In lontananza, sullo sfondo, un uomo con una bandana annodata al collo accompagnava un aratro di legno trainato da un cavallo.
Accanto alla casa, un'unica, grande rosa era fiorita su di un esile cespuglio. Il volto della donna, rivolto al cielo, portava su di sé i segni del sole e del vento, esprimendo forza e speranza al tempo stesso.
J.J. decise che avrebbe parlato a Burton del dipinto. Lui era troppo compassato per vantarsi, ma ne avrebbe avuto tutte le ragioni. Aveva dovuto sopportare le lamentele di J.J. per essere stata trascinata fino all'inaugurazione della galleria di Larimer Square proprio il giorno del suo compleanno; adesso era autorizzato a manifestare almeno un moto di soddisfazione, venendo a sapere che lei aveva trovato un'opera di suo gradimento.
Eppure Burton non avrebbe mai potuto immaginare le emozioni che l'acquerello aveva suscitato in lei.
Un capannello di gente si affollò intorno a J.J. disquisendo con aria saccente sulla tecnica dell'artista e sull'uso minimalista del colore. Lei si allontanò rapidamente, per evitare che le opinioni altrui condizionassero la sua reazione istintiva di fronte al quadro. Riflettendo, si mise a girovagare senza accorgersi di stare tornando nei pressi del dipinto.
Improvvisamente ebbe l'impressione di essere osservata, e con istinto animale percepì la presenza di lui prima ancora che parlasse.
«Ciao, O'Brien.»
J.J. si voltò lentamente. I suoi occhi si posarono su di una cravatta di seta rossa con tante piccole mucche stampate. Sbatté le palpebre e fu percorsa da un brivido.
Il suo sguardo salì fino alla fossetta sul mento; poi si soffermò estasiato sulle labbra atteggiate a una smorfia.
Non c'era nulla di particolare in quelle labbra; niente dunque giustificava quel suo stato d'animo turbato.
«Sei in forma, O'Brien. Anche con quella specie di sacco che ti sei messa addosso.»
Lei si sforzò di affrontare il suo sguardo. Il nocciola di quegli occhi si fondeva con il grigio e con il blu in una miriade di tonalità differenti a seconda dello stato d'animo.
«Ciao, cowboy. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore» lo salutò lei con nonchalance. Per niente al mondo gli avrebbe fatto capire che il suo cuore era in tumulto.
Non era cambiato molto da un anno a quella parte. Allora lei l'aveva stupidamente ritenuto l'uomo più bello che avesse mai incontrato. Ma non era obiettiva. Ora riusciva a individuare in lui qualche difetto. Non era bello, era solo terribilmente... maschio.
J.J. serrò le dita intorno al manico della ventiquattrore, ricacciando nei meandri della memoria ricordi pericolosi. «Cosa fai qui?» gli domandò con un sorriso molto professionale.
«Guarda là.» Luke accennò al quadro appeso alle sue spalle. «Non dev'essere poi così somigliante, dal momento che tu non mi hai riconosciuto.»
J.J. si volse a guardare il dipinto a olio. Accidenti, non poteva fermarsi da qualche altra parte? Alzò il mento e osservò l'opera con espressione critica.
Un cowboy e il suo cavallo, sudati e con l'aria stanca, erano in primo piano. J.J. si concentrò sul volto dell'uomo. Il volto di Luke. La soddisfazione prevaleva sulla stanchezza. In quell'espressione si leggeva la consapevolezza di aver svolto al meglio il proprio lavoro. La stessa sensazione che lei provava ogni volta che aveva vinto una causa particolarmente difficile.
«Perché quell'aria così compiaciuta?» gli domandò bruscamente. Poi si accorse del vitellino posto sulla sella del cavallo e sorrise. «Ah, l'hai salvato.»
Si voltò verso Luke e sentì il suo sguardo accarezzarle il volto. «Hai tagliato i capelli.» Luke piegò il capo di lato. «Mi piace. Ti dà un'aria... sexy.»
J.J. fece una smorfia. Non era quello il motivo per cui aveva chiesto al suo parrucchiere un taglio dritto con carré che le arrivava al mento. «È pratico.»
Lui fece un sorrisetto scettico. «No, è molto sexy, credimi.» I suoi occhi la percorsero da capo a piedi. «Scommetto un anno di stipendio che indossi della leggera biancheria di seta sotto quella specie di saio.»
«Non è affatto un saio.» Avrebbe potuto dirgli che aveva perso la scommessa, ma non era mai stata brava a mentire.
«Oh, eccoti! Ti avevo perso tra la folla. Vogliamo andare a mangiare?» Burton le sfiorò leggermente il braccio.
Lei gli rivolse un sorriso riconoscente. «Certo.»
«Bene, vedo che mi hai perdonato per averti costretta a venire all'inaugurazione» scherzò Burton guardando il dipinto. Poi si accorse di Luke. «Non ci conosciamo, credo. Sono Burton Alexander. È lei l'uomo del quadro, non è vero?»
«Già» ammise lui.
I due uomini non avrebbero potuto essere più in contrasto. Burton, in un abito gessato di taglio classico, una camicia a righe bianco su bianco e un ascot di seta al collo, aveva l'aria dell'avvocato di successo. E non sembrava aver nulla da invidiare all'uomo che aveva di fronte, sebbene fosse diversi centimetri più alto, abbronzato, in jeans e giacca scamosciata che metteva in evidenza due spalle di tutto rispetto. Probabilmente Burton non aveva neanche fatto caso all'aura di fascino che circondava Luke.
«Lei fa il modello?»
Luke scoppiò a ridere. «No. Harve aveva in mente di raffigurare delle scene ambientate in un ranch; così ha trascorso un paio di settimane da noi lo scorso anno.» Gli tese la mano con aria amichevole. «Luke Remington.»
Burton gliela strinse aggrottando la fronte. «Remington» ripeté. «Lei è...»
«Proprio così» tagliò corto J.J. «Non è una buffa sorpresa di compleanno? Mio marito e l'uomo che sto per sposare che si incontrano per pura coincidenza. Si accettano scommesse.»
Burton si guardò intorno. Erano in uno dei ristoranti della zona centrale di Denver. «Avrei dovuto cancellare la prenotazione. Di certo lei avrebbe preferito una bistecca alla brace.»
«La cucina italiana va benissimo» lo rassicurò Luke. «Posso sempre ordinare degli spaghetti. Credo di sapere cosa siano.»
«Comunque non avrei dovuto ordinare del vino» continuò Burton. «Immagino che lei preferisca bere birra.»
«Già, noi cowboy non abbiamo un palato molto raffinato» convenne Luke con un sorrisetto beffardo.
Il sarcasmo colse nel segno e Burton arrossì fino alla radice dei capelli. «Scusatemi, ho fatto delle osservazioni del tutto fuori luogo. Non volevo offendere nessuno, e... be', è un po' imbarazzante, non è vero?»
Per la prima volta da quando lo conosceva, J.J. vide Burton perdere il suo solito aplomb. Naturale, non capitava tutti i giorni di cenare con il marito della futura moglie. Ma del resto se l'era proprio cercata. Come diavolo gli era venuto in mente di invitare Luke Remington a cenare con loro? Certo, le sue maniere erano sempre impeccabili, ma non tutti erano alla sua altezza.
Lanciò uno sguardo di traverso a suo marito dall'altra parte del tavolo. «Qualunque gentiluomo con un pizzico di conoscenza dell'etichetta avrebbe cortesemente declinato il tuo invito, Burton.»
«Dannazione, O'Brien, non cercare di confondermi con quei paroloni. Se stai parlando di buone maniere, non ho nulla da rimproverarmi. Mi sono tolto il cappello entrando, e ti assicuro che non userò le dita per mangiare.» Le lanciò un'occhiata accusatoria. «Come ricorderà, signora avvocato, non ho avuto l'onore e la possibilità di imparare da lei.»
«E tu invece dovresti ricordare che non sono nata ieri» lo ammonì lei. «Quindi puoi anche smettere di recitare questa ridicola commedia.»
«Credevo che la mia immediatezza fosse la qualità che ti aveva affascinato di più.»
«Perché continua a chiamarla O'Brien?» volle sapere Burton.
«J.J. non è un nome da donna, O'Brien sì.» Gli occhi di Luke brillarono di soddisfazione vedendo J.J. ribollire di rabbia. «E così tu e O'Brien progettate di sposarvi.»
«Sì, appena lei otterrà il divorzio» azzardò Burton con aria circospetta.
«Mi stavo giusto chiedendo se non avesse dimenticato questo piccolo dettaglio.» Un ghigno sadico gli inarcò le labbra. «Immagino che sia per questo che sono stato invitato a cena. Per ammorbidirmi e costringermi a firmare.»
«Credevo che una cena sarebbe stata una buona opportunità per conoscerci meglio. Del resto, suppongo che il vostro divorzio sia una pura formalità...»
Luke lo guardò freddamente. «Che cosa te lo fa pensare? Sentiamo...»
«Siete già separati da un anno.»
«Se non sbaglio, la formula è finché morte non ci separi.»
«Ricordo molto poco del nostro cosiddetto matrimonio, tantomeno la formula che abbiamo recitato» replicò J.J. acidamente.
Sulle labbra di Luke ricomparve il ghigno di poco prima. «Già, avevamo troppa fretta di tornare a casa per pensare alla cerimonia. Troppa fretta di andare a letto» soggiunse nel caso Burton avesse bisogno di chiarimenti. «Avevo in mente un sontuoso banchetto, ma O'Brien non ha voluto niente del genere.»
«A Burton interessa il nostro divorzio, non il nostro matrimonio» lo redarguì lei.
«Se è per questo, non interessa neanche me.»
«Allora non hai nulla in contrario a incontrarci lunedì nel mio ufficio per definire i dettagli» dedusse J.J.
Luke deglutì un sorso di vino. «No.»
«Bene.» Di certo il senso di vuoto che le prese allo stomaco era dovuto alla lunga attesa per la cena. Alzò il calice rivolgendosi a Luke. «Al nostro pacifico, amichevole divorzio...»
Luke posò il bicchiere e si appoggiò alla spalliera della sedia. «Intendevo dire no, lunedì non verrò nel tuo ufficio per discutere del divorzio.»
Burton intervenne mantenendo la calma.
«Se lunedì è scomodo per lei, possiamo...»
«Quello che è scomodo per me è il divorzio.» Non c'era nulla nella sua espressione che potesse far pensare a uno scherzo.
J.J. sbatté il bicchiere sul tavolo. «Se c'è qualcosa di scomodo, quello è il nostro matrimonio.»
Luke guardò alternativamente lei e Burton. «Non mi sembra.»
«J.J. si è sempre comportata in maniera più che esemplare» s'intromise Burton seccamente. «Nel caso non sia stato chiaro, Remington, glielo dirò in modo esplicito. Non è mai venuta a letto con me. Si è sempre rifiutata di farlo, fino a quando non avrà ottenuto un decreto di scioglimento del vostro matrimonio.»
«Perché no, O'Brien?»
«Non sono affari che ti riguardano.» Luke era stato il primo e unico uomo a dividere il suo letto, pensò J.J. pungendo la tovaglia con la forchetta. «Burton ha una figlia adolescente. Io sarò la sua matrigna, e non voglio confonderle le idee a proposito di sesso al di fuori del matrimonio.» Avrebbe potuto aggiungere che non riusciva a tollerare l'idea di tradirlo ma preferì cambiare argomento. «Perché dici che un divorzio tra noi sarebbe scomodo? Credevo fossimo d'accordo sulla nostra totale incompatibilità.»
I commenti di lui quella mattina di un anno prima, quando lei aveva annunciato di voler tornare a Denver, l'avevano colta assolutamente di sorpresa. Aveva dato per scontato