Modella per amore: Harmony Jolly
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grazie a te per aver accettato di scambiare i nostri impieghi! New York, la città che non dorme mai, è davvero fantastica. Purtroppo, non posso dire altrettanto del tuo posto di lavoro. Il tuo capo, Brenda, mi ha affidato l'incarico di assistere Gael O'Connor, un fotografo suo amico molto quotato in città. E lui è un uomo assolutamente insopportabile, arrogante e saccente. E non solo: invece di aiutarlo a riordinare il suo archivio fotografico, mi ha proposto di posare come modella... senza vestiti! Ho accettato solo perché il compenso mi permetterà di pagare le nozze di mia sorella e il mio abito da damigella.
Comunque, non credo che lui abbia un secondo fine, o almeno lo spero perché... è davvero irresistibile!
Ti terrò aggiornata.
Hope McKenzie
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Anteprima del libro
Modella per amore - Jessica Gilmore
978-88-3052-793-5
1
Beep, beep, beeeeeep.
Hope McKenzie borbottò e si girò nel letto, allungando il braccio per spegnere la sveglia, cercando a tentoni il tasto off, il pulsante pausa, il tasto del: per favore, smettila subito.
Ma... un attimo... Lei non aveva una sveglia lì, a New York; usava il suo cellulare nelle rare occasioni in cui il sole, il traffico e l'umidità non la svegliavano prima. E allora, cos'era quel rumore? E perché non si fermava?
Beeeeeep.
Qualunque cosa fosse, stava diventando sempre più insistente e fastidioso. Hope si sollevò, lottando contro il torpore e allungando le gambe a penzoloni sul bordo di metallo del divano letto prima di mettersi in piedi barcollando. Guardò l'orologio che teneva al polso anche mentre dormiva. Le cinque e trenta. Sbatté le palpebre, mettendo a fuoco la piccola stanza, ancora grigia per l'immobilità delle prime luci dell'alba, il buio spezzato solo dal bagliore del lampione della strada che disegnava un alone ovale sotto l'unica finestra.
Beeeeeep.
Non era l'allarme antincendio e nemmeno il rilevatore di fumo. Non si sentivano passi scendere dalle scale dello stabile, come nessuna sirena suonare fuori. C'era solo quell'insistente e assordante suono che proveniva dal tavolino sistemato nello spazio circolare della porta finestra.
«Che accidenti...?» Hope incespicò nei pochi passi che la separavano dal tavolino e girò il laptop verso di lei. Lo schermo era acceso e la luce intensa la accecò, nonostante avesse ancora gli occhi mezzi chiusi; le lettere le apparvero confuse e sbatté le palpebre fino a quando non riuscì a metterle a fuoco.
Faith sta chiamando. Rispondi?
Faith? A quell'ora? Aveva qualche problema? Stava male? Un momento, dov'era? Aveva già lasciato l'Europa? Forse era stata coinvolta in un traffico di stupefacenti? O era stata rapinata e aveva perso tutti i suoi soldi? Hope si sarebbe presa a pugni. Perché aveva deciso di venire a New York per sei mesi mentre sua sorella minore era sola e vulnerabile? Pigiò con mano tremante, il tasto per accettare la chiamata, si scostò i capelli dagli occhi e guardò ansiosa lo schermo, tirando in su la scollatura profonda della vecchia canottiera con cui aveva dormito.
«Faith?» Hope emise un profondo sospiro di sollievo che sostituì il panico cieco degli ultimi secondi non appena il viso felice e abbronzato di sua sorella ebbe riempito lo schermo. «Tutto bene?»
«Tutto fantastico! Oh, ti ho svegliata? Aspetta, ho beccato l'ora sbagliata? Pensavo che fosse sera, a New York.»
«No, è mattina; siamo indietro, non avanti. Ma non preoccuparti» si affrettò ad aggiungere nel vedere il viso di sua sorella rabbuiarsi. «È bello sentirti, vederti. Dove sei?» Ancora in Europa, immaginò, facendo un rapido calcolo mentale. A dispetto delle promesse di Faith di chiamare e scrivere spesso, contattare sua sorella era stato difficile da quando era salita sull'Eurostar, tre mesi prima, per iniziare il suo viaggio. Stava passando l'estate in giro per l'Europa con un biglietto interrail, e poi sarebbe volata in Australia per iniziare ufficialmente il suo giro del mondo. Sempre che si fosse attenuta a quel progetto perché, a differenza di sua sorella maggiore, Faith preferiva divertirsi, invece di seguire meticolosamente un programma preciso. Il che significava che anche in quell'istante avrebbe potuto essere ovunque.
Hope sorrise a sua sorella, dimenticandosi dell'ora antelucana. Capiva perché Faith non si fosse fatta sentire per un po'; era stata impegnata a conoscere nuovi posti e a spassarsela. L'ultima cosa che avrebbe desiderato era sentire quella scocciatrice di sua sorella maggiore che l'avrebbe solo assillata con il budget e il mangiare bene.
«Sono a Praga.» Faith si spostò indietro dallo schermo per farle vedere la stanza e il panorama alle sue spalle. Era in una specie di loft, seduta di fronte a una portafinestra che si apriva su un balcone in pietra. Hope poteva solo immaginare come doveva essere spettacolare la vista del fiume e del castello a distanza. Accidenti, gli ostelli per ragazzi erano molto più belli di quanto avesse immaginato.
«Pensavo che fossi arrivata a Praga sei settimane fa.» Faith non voleva passare più di qualche giorno nello stesso posto e Hope era sicura che sua sorella le avesse inviato un messaggio da Praga dall'inizio di luglio.
«È così, e non me ne sono più andata. Oh, Hope, qui è una favola. Ti piacerebbe molto.»
«Ne sono certa.» Non che fosse mai stata a Praga, e nemmeno a Parigi, Barcellona, Copenhagen, Roma o in una qualsiasi altra città europea facilmente raggiungibile da Londra. I loro genitori amavano trascorrere le vacanze estive in Inghilterra, con la pioggia, e da quando erano mancati, i soldi non erano stati sufficienti per potersi permettere alcun tipo di viaggio. «Ma perché sei rimasta a Praga? Pensavo che volessi vedere altri posti, andare in giro!»
«Sì... è che... insomma, Hope, ho conosciuto qualcuno. È una persona meravigliosa e...» Hope scrutò con attenzione lo schermo del computer. Faith stava arrossendo? Gli occhi di sua sorella erano pieni di dolcezza e la sua pelle era luminosa in un modo che non aveva niente a che fare con la luce del computer. «Voglio che tu sia felice per me, d'accordo? Perché io lo sono. Hope, mi sposo!»
«Ti cosa?» No, non poteva avere udito bene. Sua sorella aveva solo diciannove anni. Non aveva ancora frequentato l'università, non aveva finito il suo viaggio. Diamine, aveva appena incominciato a farlo! E soprattutto, Faith non era ancora economicamente indipendente, non sapeva cambiare una lampadina né cucinare qualcosa di più elaborato di un piatto di pasta al pesto e riusciva anche a scottarsi due volte su tre. Come poteva una bambina come lei sposarsi? Una sola domanda le turbinava nel cervello. «Con chi?»
Sua sorella non rispose e girò la testa mentre Hope sentì una porta sbattere al di fuori dello schermo. «Hunter! Ho sbagliato l'orario. È mattina presto a New York.»
«Lo so, tesoro. Non è nemmeno l'alba. Hai svegliato tua sorella?»
«Oh, a lei non dispiace. Vieni a salutarla. Hope, lui è Hunter, il mio fidanzato.» L'orgoglio nella voce, la dolcezza nei suoi occhi mentre li alzava sull'alta figura che si era materializzata al suo fianco, fece venire a Hope un nodo in gola. Sua sorella era stata privata di una famiglia quando era ancora molto piccola. Non c'era da meravigliarsi che volesse cancellare il passato e crearsene una tutta sua. Hope aveva fatto del suo meglio, ma era consapevole di essere stata una ben misera sostituta. Era più giovane di quanto fosse adesso Faith quando l'aveva presa sotto la sua responsabilità. Forse quel ragazzo avrebbe potuto offrirle la stabilità e le opportunità che lei aveva cercato di fornirle.
E se non ci fosse riuscito, ci sarebbe stata lei a guidarlo nella giusta direzione. Forzò un sorriso, sperando che quei pensieri non le trasparissero sul viso. «Ciao, Hunter.»
«Ciao, è un piacere conoscerti. Ho sentito molto parlare di te.» Era un bel ragazzo. Americano, a giudicare dall'accento, biondo, occhi blu, aspetto curato e sorriso accattivante. Giovane. Non quanto Faith, ma doveva avere superato da poco i venti anni.
«E come vi siete conosciuti?» Hope trattenne le parole che avrebbe voluto dire. Sposarvi? Vi conoscete appena! Siete due bambini! Si era ripromessa, nove anni prima, che avrebbe fatto qualunque cosa per rendere felice Faith e non aveva mai visto sua sorella così contenta.
«Hunter è un artista.» L'orgoglio accompagnava ogni parola di Faith. «Disegnava dei ritratti su Charles Bridge e quando sono passata si è offerto di realizzarne uno per me gratis.»
«Hai il più bel viso che abbia mai visto» interloquì lui. «Come avrei potuto farti pagare, quando tutto quello che desideravo era guardarti?»
«Così ho insistito a offrirgli da bere qualcosa per ricambiare la gentilezza.» Gli occhi scuri di Faith erano sognanti e un sorriso le increspò le labbra. «Dopo un'ora sapevamo già tutto di noi e da quel momento siamo diventati inseparabili.»
Un artista di strada. Il cuore di Hope si spezzò. Per quanto talento quel ragazzo potesse avere, non sembrava molto promettente mettere su casa con lui e Faith non aveva un lavoro né un'idea di quello che volesse fare alla fine di quell'anno. Forzò un altro sorriso. «Che romantico! Sono ansiosa di vedere il ritratto... e conoscere Hunter di persona.»
«Succederà! Tra due settimane, quando ci sposeremo! A New York e...» Faith assunse un'espressione supplichevole che Hope conosceva bene, «... speravo che ti occupassi tu di alcuni dettagli.»
Hope raggelò. Sapeva bene che cosa significasse per Faith occuparsi di alcuni dettagli. Voleva dire che si aspettava che fosse Hope a occuparsi di tutto. E di solito, per lei era un piacere. Ma questa era la prima volta, in nove anni, che si prendeva una vacanza dalle sue responsabilità.
Avrebbe dovuto godersi la vita, finalmente, ma non aveva fatto molto. Oh, era uscita nella prima settimana a New York e aveva speso un sacco di soldi in vestiti particolari dai colori brillanti, e si era tagliata i capelli e aveva sperimentato un nuovo look. Ma non riusciva a togliersi la sensazione di essere la stessa, vecchia noiosa Hope di sempre. Doveva restare lì altri tre mesi. Aveva l'opportunità di fare qualcosa di nuovo ed eccitante. Doveva solo iniziare.
«Dettagli?» ripeté cauta.
«Hunter e io vogliamo un matrimonio intimo a New York; solo i familiari e qualche amico. Sua madre organizzerà un grande ricevimento, un paio di giorni più tardi, e Hunter dice che lei farà le cose in grande così penso che il giorno del matrimonio dovrebbe essere molto semplice. Solo la cerimonia, il pranzo e un po' d'intrattenimento. Ce la farai, vero? Io arriverò un paio di giorni prima. Hunter non ha finito il suo corso e non voglio lasciarlo da solo. E poi, tu sei così brava a organizzare le cose che sono sicura farai un lavoro migliore del mio. Sai rendere tutto speciale.»
Il cuore di Hope s'intenerì all'ultima frase: ce l'aveva messa tutta per dare alla sorella un'infanzia perfetta. «Faith, tesoro, sono più che felice di aiutarti ma perché vi sposate così presto? Perché non rimandare tutto a dopo, così potrai organizzare il tuo matrimonio da sola? Viaggia prima, come hai programmato.» Concedetevi più tempo per conoscervi, aggiunse silenziosamente.
«Perché ci amiamo e vogliamo stare insieme il più possibile. Non ho abbandonato l'idea di viaggiare, ma lo farò con Hunter, in luna di miele. Australia e Bali, Nuova Zelanda e Thailandia. Sarà la luna di miele più lunga e romantica del mondo. Grazie, Hope, lo sapevo che avrei potuto contare su di te. Ti manderò qualche idea, d'accordo? Le mie misure per il vestito, i fiori, i colori, insomma... tutte queste cose. Ma tu conosci i miei gusti. So che qualunque cosa sceglierai, sarà perfetta.»
Hope cercò di mantenere un tono di voce entusiasta ma dentro sentiva già montare il panico. Come accidenti avrebbe potuto lavorare dodici ore al giorno in ufficio e organizzare un matrimonio in due settimane? «Il problema è che devo lavorare, tesoro. Il mio tempo è limitato e ancora non conosco bene New York. Sei sicura che io sia la persona migliore per fare tutto questo?» Conosceva la strada tra l'appartamento e il suo ufficio. Conosceva una piacevole passeggiata attorno a Central Park. Conosceva una buona libreria e il bar dove gustare un buon caffè. Ed era sicura che niente di tutto questo sarebbe stato utile per organizzare un matrimonio.
Faith non diede alcun peso alle rimostranze della sorella e continuò a parlare con entusiasmo. «Non abbiamo un budget, Hope. Non badare a spese.»
Lei deglutì. «Non abbiamo un budget?» Anche se lei e Faith non potevano definirsi esattamente povere, i soldi erano stati limitati per anni. I suoi genitori avevano contratto un'assicurazione e l'ipoteca sulla loro villetta vittoriana nella zona nord di Londra era stata estinta dopo la loro morte, ma le tasse si erano mangiate la maggior parte della loro eredità. Lei aveva dovuto crescere Faith con il suo stipendio e, a diciotto anni e con poca esperienza lavorativa, le sue entrate erano state piuttosto misere. «Faith, so che hai un piccolo gruzzolo da parte che ti hanno lasciato mamma