Ritorno da te: Harmony Jolly
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Lawrie Bennett mai avrebbe immaginato che per il suo trentesimo compleanno sarebbe tornata nel piccolo paese della Cornovaglia in cui è nata e cresciuta. Ma la cosa che più la sconvolge è il festeggiare quella data in compagnia del suo ex marito, Jonas Jones. Mi sembra di non essere mai andata via. E se avessi sbagliato tutto?
È proprio lei, la sua esuberante Lawrie. Jonas ancora non riesce a crederci, sono nove anni che non la vede e ora il tempo pare essersi fermato. Questa volta non mi farò cogliere impreparato. La signora Jones tornerà a casa con me.
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Anteprima del libro
Ritorno da te - Jessica Gilmore
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Return of Mrs. Jones
Harlequin Mills & Boon Romance
© 2014 Jessica Gilmore
Traduzione di Daniela Alidori
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3050-143-0
1
«Puoi entrare, sai. Oppure voi, gente di città, preferite evitare di bere il caffè?»
A quel tono ironico, Lawrie Bennett sussultò e si riscosse dalla stupita contemplazione dell’edificio ultramoderno che si stagliava in fondo al porto. Convinta di aver fatto comparire la sua voce con la sola evocazione dei ricordi, si girò e lo vide appoggiato contro l’insegna di legno, lo stesso sorriso sbieco che brillava negli occhi azzurri.
«Jonas?»
No, non era un fantasma. Lievi cambiamenti mostravano il passare del tempo: i capelli biondi da surfista erano un po’ più corti e qualche leggera rughetta intorno agli occhi aggiungeva carattere al viso abbronzato.
Imbarazzo, senso di colpa, umiliazione, Lawrie poteva scegliere. Essere stata colta a spiare fuori del locale del suo ex marito come un’adolescente goffa in preda a una cotta adolescenziale, era già sufficientemente brutto. Essere stata sorpresa dal suo ex marito in persona era il giusto finale di quelle settimane orribili.
Cercando di recuperare una parvenza di controllo, fece ricorso al suo miglior sorriso, quello che aveva sfoggiato nelle occasioni mondane o negli incontri di lavoro. Ma i suoi occhi disobbedirono e corsero a quel corpo slanciato di fronte a lei.
I pantaloni neri dal taglio sartoriale e la camicia grigia erano una stupefacente rivoluzione rispetto ai jeans slavati e alle magliette elasticizzate che era solito indossare, ma i muscoli sotto erano rimasti uguali. Era sempre irritantemente bello. E, a giudicare dal bagliore che gli attraversò gli occhi per un attimo, era pienamente consapevole del suo scrutinio.
Jonas inarcò un sopracciglio. «Così, stai... meditando di entrare?»
Come poteva la sua voce risultare così familiare? Era passato tanto tempo dall’ultima volta che aveva ascoltato quei toni profondi addolciti dalla cadenza della Cornovaglia. Eppure, le sembrava di essere tornata a casa.
«Mi stavo proprio chiedendo se ero nel posto giusto» rispose indicando la costruzione in legno e vetro alle sue spalle, così luccicante e nuova, così estranea. «È tutto diverso.»
«Ho fatto qualche modifica. Cosa ne pensi?» C’era dell’orgoglio nella sua voce.
«Impressionante» disse lei. Ed era vero. Ma le mancava il vecchio capanno sgangherato. Lo scenario del suo primo lavoro, del suo primo bacio. Del suo primo amore. «Hai demolito la rimessa per le barche?»
I battiti accelerarono mentre aspettava la risposta. Le interessava, si rese conto scioccata. Non metteva piede nel piccolo villaggio della Cornovaglia da nove anni. Non vedeva quell’uomo da nove anni. Eppure le importava ancora.
Era la sua storia.
«L’ho ristrutturata. In fondo, è stato l’inizio di tutto. Demolire la vecchia ragazza sarebbe stato un delitto. E naturalmente abbiamo tenuto il nome e il marchio.»
Di tutto? Stava parlando di lei? Calmati, si disse. Stare lì poteva averla riportata indietro nel tempo, aveva risuscitato quei ricordi sepolti con cura, ma a giudicare dall’aspetto, Jonas era andato avanti, non era rimasto fermo ad allora.
«Allora, entri o no? Il caffè è ottimo e la torta è persino meglio. Riservata solo a un ex membro dello staff, naturalmente.»
Lawrie aprì la bocca per rifiutare, per puntualizzare che la costruzione non era la sola cosa che era cambiata, che da anni lei non toccava caffeina né zuccheri raffinati, ma colse un lampo interrogativo nel suo sguardo e cambiò idea. Non gli avrebbe dato quella soddisfazione. Inoltre, la vita sana e ordinata non l’aveva portata lontano.
«Grazie.»
«Da questa parte.» E Jonas si avvicinò alle doppie porte di vetro e gliele tenne aperte con esagerata galanteria. «E, Lawrie» mormorò mentre lei gli passava davanti, «buon compleanno.»
Lawrie si irrigidì. Solo mezz’ora prima era giunta alla triste conclusione che non ci poteva essere nulla di più patetico che passare il trentesimo compleanno da sola. Anzi, peggio, disoccupata e sola.
Un incontro col suo ex era la ciliegina sulla torta. Avrebbe dovuto ascoltare il suo istinto e stare a casa a meditare sulla sua triste sorte invece di uscire a prendere una boccata d’aria fresca.
«È così che dici grazie?» Jonas la stava guidando verso un tavolo in fondo al locale.
«Scusa?» A cosa si stava riferendo? Forse, era in uno di quei sogni surreali dove i discorsi non avevano senso.
«Hai vissuto a Londra per un po’...» c’era una nota di scherno nella sua voce «... ma tra noi comuni mortali, quando qualcuno ti fa gli auguri, è buona consuetudine ringraziare.»
Per la prima volta in una settimana, Lawrie sentì la pesantezza scivolare via. «Grazie» disse con enfasi. «Naturalmente, io potrei cercare di dimenticare questo giorno.»
«Oh, già, il grande tre.» Lui scoppiò a ridere mentre lei abbozzava una smorfia. «Non è un problema, una volta che ti abitui al mal di schiena e alle fitte al ginocchio.»
«Speravo che potesse essere come l’albero che cade nel bosco, se nessuno sa che è successo, allora non è reale.»
«Io lo so» le rammentò lui.
«E hai rovinato il mio astuto piano.»
Un sorriso gli curvò un angolo della bocca, ma non raggiunse gli occhi. Che continuavano a esprimere preoccupazione. Per lei. Che non la meritava, rifletté Lawrie.
«Bene, adesso che è venuto alla luce, dobbiamo festeggiare. Cosa ne dici di una fetta della mia torta di carote con sopra la glassa di cioccolato? A meno che adesso, che sei una cittadina londinese, tu non preferisca dei dolci più ricercati... Belli, ma con poca sostanza?»
Lawrie gli lanciò un’occhiata torva. Era una metafora dolciaria?
«O preferisci aspettare che ci raggiunga il tuo fidanzato?»
E immediatamente l’ansia tornò a investirla. Lawrie cercò le parole giuste, il tono giusto. «Io e Hugo abbiamo preso strade diverse. Era giunto il momento di un nuovo inizio.»
«Ancora?»
C’era la storia di una vita in quell’unica parola.
Venire lì era stato un errore. Mai avrebbe immaginato una situazione più umiliante.
Si guardò intorno alla disperata ricerca di un altro argomento. «Il locale è delizioso.»
Lo era davvero. Era uno spazio aperto, con la cucina a vista, il bancone del bar in legno e i muri azzurri come il mare, sempre presente. Ma la cosa più incredibile erano le vetrate a tutta altezza. Era tutto molto elegante, ma ancora una volta Lawrie sentì una fitta di nostalgia per il semplice capanno di un tempo.
La stagione non era cominciata, eppure il bar rimbombava del brusio di mamme con bambini, gruppi di amici e gli onnipresenti surfisti. Non c’erano menu. Le scelte del giorno erano scritte col gesso sulle lavagne che annunciavano le specialità del posto, con ingredienti di origine controllata.
Una vampata di orgoglio la colpì. Ce l’ha fatta, ha realizzato i suoi sogni. Molto tempo prima che iniziasse la moda dei cibi biologici, Jonas aveva usato solo ingredienti presi dalle fattorie locali, uova di polli ruspanti per le sue celebri frittate.
«Sono felice che approvi. Allora, quale vuoi?»
Per un secondo Lawrie ebbe voglia di coglierlo di sorpresa, ordinando qualcosa che lui non si sarebbe aspettato. Dimostrargli che era cambiata parecchio in quei nove anni. Ma la tentazione di farsi confortare dal passato ebbe la meglio. «Latte con cannella. E se hai quella fetta torta di carote nel...?» Scrutò la lavagna, scorrendo con gli occhi la lunga lista dei piatti dall’aria succulenta.
«Certo che c’è.»
Jonas si girò per consegnare la sua ordinazione, ma Lawrie era pronta a giurare di averlo udito dire: «È il tuo compleanno, dopotutto».
Era ancora lì. Jonas cercò di stare concentrato sullo schermo del computer, ma tutta la sua attenzione era sulla donna che stava mangiando la torta al tavolo di sotto.
Il soppalco dov’era situato il suo ufficio, sopra le cucine, era nascosto da una vetrata tinta di azzurro che gli concedeva la privacy necessaria e allo stesso tempo gli permetteva di controllare il bar. C’erano degli uffici più grandi nel suo albergo, ma lui preferiva rimanere lì. Dov’era cominciato tutto.
«Jonas? Mi stai ascoltando?»
Sussultò. «Certo» mentì.
«Non mi hai neppure sentita entrare!»
«Scusa, Fliss, ero assorbito da questa mail.»
La ragazza dai capelli rossi gli lanciò un’occhiata perplessa. «Abbiamo un problema» annunciò. «Il medico ha ordinato a Suzy di stare a riposo per il resto della gravidanza e noi non siamo in grado di organizzare il Wave Fest.»
«Gravidanza?» La fissò scioccato. «Non sapevo che Suzy fosse incinta.»
«Credo che non volesse dirtelo fino al terzo mese, conoscendo i tuoi pregiudizi sulle madri che lavorano» dichiarò Fliss in tono aspro.
Jonas inarcò un sopracciglio. «Non ho prevenzioni sulle madri che lavorano, e neppure sui padri, mi aspetto solo che i miei dipendenti facciano il loro dovere sul lavoro, non che stiano a casa a riposo. Dannazione! Manca solo un mese e non troveremo nessuno per sostituirla con un preavviso così breve. Non c’è modo che tu possa prendere il suo posto?»
«Temo di no» mormorò Fliss e sembrava dispiaciuta. «Devo finire di sistemare l’ultimo locale che hai comprato. Posso aiutare con le pubbliche relazioni, ma non me la sento di organizzare un intero festival. Suzy ha già impostato la tabella di marcia, perciò ci basterà qualcuno che la mandi avanti.»
Jonas fece segno di sì con la testa. Fliss aveva ragione. Si sobbarcava già un carico di lavoro esagerato. Spinse indietro la sedia e guardò la sala di sotto. «Fliss, ti viene in mente qualcuno di interno?»
Lei rifletté, il viso concentrato, poi scosse la testa. «Nessuno in grado di assumersi questo incarico.»
Jonas fece una smorfia. «Allora dovremo prendere una sostituta da fuori, anche se non è l’ideale.»
Affidare a un’estranea un evento così importante era una follia.
Fliss stava pensando la stessa cosa. «Ci vorrà almeno una settimana per trovarla e la percentuale dell’agenzia ci costerà una fortuna.»
«Temo che non ci sia scelta. Abbiamo gestito i primi tre festival...»
Lei gli lanciò un sorriso d’intesa. «Dio solo sa come. Ma eravamo giovani e pieni di entusiasmo, e il giro di affari era molto più limitato; ora siamo vittime del nostro successo. Ma d’accordo, avviserò Dave che lavorerò fino a tardi e che farebbe bene