Raccontando Lunamatrona
Di Simona Cau
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Info su questo ebook
In sommario le testimonianze orali di Anastasia Aroffu, Gesuino Caddeo, Giampaolo Caddeo, Erminio Cadeddu, Vitalia Cadeddu,
Maria Carrucciu, Giannetta Cau, Bonaria Desogus, Settimio Frau,
Enrico Garau, Elvira Malloci, Maria Malloci, Ignazio Mancosu, Maria Mancosu, Romilde Medda, Francesco Meloni, Delia Mereu, Cesarina Murru, Angela Paderi, Ruggero Picchedda, Angela Piras, Ada Pitzianti, Bruna Sanna, Ireneo Secchi, Cecilia Serpi, Claudina Serpi, Grazietta Serra, Maria Dolores Spiga, Mario Uda, Maria Usai.
Il presente e-book ripropone in versione digitale i contenuti del volume "Raccontando Lunamatrona" di Simona Cau (Editoriale Documenta, 2019, Isbn 978-88-6454-413-7), ad esclusione del repertorio fotografico.
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Anteprima del libro
Raccontando Lunamatrona - Simona Cau
Prefazione
Racconti come immagini, ricordi come ritratti, storie come schegge di vita di un tempo perduto che rivive nelle testimonianze documentali, ora intense e vibranti, ora flebili e periture, degli abitanti di Lunamatrona, protagonisti di un'antologia di pensieri sulla storia sociale ed economica del paese all'alba del Novecento. Brani vergati di seppia per riecheggiare, sul filo di una memoria divenuta storia, uno spaccato di vita comunitaria, sospesa tra racconto e fantasia, mito e leggenda, all'ombra di un passato che è nostalgia, malinconia, tormento, ma anche inviolabile eredità storica e spirituale, da custodire e tutelare.
Nota editoriale
Il presente e-book ripropone in versione digitale i contenuti del volume Raccontando Lunamatrona
di Simona Cau (Cargeghe, Editoriale Documenta, 2019, Isbn 978-88-6454-413-7), ad esclusione del repertorio fotografico.
Il volume raccoglie una selezione di testimonianze orali di abitanti di Lunamatrona. I testi, trascrizione di interviste realizzate sul campo nell’arco temporale intercorrente tra i mesi di febbraio e agosto 2019, riportano il contenuto dei documenti orali originali con larga fedeltà alle forme sintattiche e semantiche adottate dagli informatori.
Lunamatrona di un tempo
Tanti anni fa, negli anni Cinquanta circa, la vita a Lunamatrona era molto diversa rispetto a quella odierna: non c’erano certo tutte le comodità che abbiamo ora!
Ricordo che la corrente elettrica non c’era e quando faceva buio si utilizzavano le lampade a olio e le candele per fare un po’ di luce.
D’estate, di sera, ci riunivamo a parlare con i vicini al fresco nel nostro vicolo, alcuni di loro erano Franceschino Ibba, Erminio Cadeddu, Filippo Tuveri, zio Francesco Mancosu e tziu Arduinu Cauli con sua madre. Solitamente gli adulti raccontavano delle storielle e noi bambini li ascoltavamo incantati mangiando semi di melone.
A quei tempi anche le case erano diverse, avevano il solaio fatto con tavole di legno, e le strade erano tutte sterrate. Per la spazzatura non c’era nessun servizio quindi buttavamo tutto nel letamaio, su muntronaxiu, che ognuno aveva a casa propria.
Quando dovevamo andare dal dottore ci rivolgevamo al dottor Atzei che abitava prima sopra i mercatini comunali poi in zona Funtana Manna. Di solito pagavamo il suo servizio una volta all’anno con il grano.
La farmacia in paese non c’era quindi andavamo a Turri a comprare le medicine fino a quando poi il dottor Bianchini non aprì la farmacia in Via Sassari.
In quel periodo i negozi aprivano anche la domenica per tutta la mattina: alcuni che ricordo erano il negozio di generi alimentari di tzia Giulietta Malloci, quello di tziu Peppinu Cau e tzia Agnese Secchi, poi quello di tzia Adelaide che vendeva il pane, di tzia Margherita Maccioni e anche quello di mio padre e zia Minetta dove andai a lavorare anche io dopo aver compiuto quindici anni.
Il bar in paese invece ce l’avevano mio zio Giovanni Coni, tziu Giuanni Mocci e tzia Adelina Musiu. Il telefono si trovava dal signor Sanna che era l’unico ad averlo in paese. Le Poste erano in Corso Italia in affitto nella casa del nonno di Vindice Serra; l’impiegata che lavorava lì a quei tempi era signora Concetta. In quegli anni c’era già il tabacchino vicino alla chiesa parrocchiale, in Via Vittorio Emanuele II, gestito da Maria Rita Cauli, la zia di mio marito: all’epoca si chiamava Sale e Tabacchi
ma si vendevano anche generi alimentari.
Come sindaci del paese ricordo tziu Angelinu Malloci e Domenico Zecchina.
In paese c’erano la chiesa di San Giovanni Battista, quella intitolata a San Sebastiano, la chiesa di Santa Maria che all’epoca era diroccata, la chiesa di Santa Greca, che era di proprietà privata, e la cappella del Cottolengo. Nella cappella dell’asilo andavo a messa la domenica mattina alle sei e mezza perché era vicino a casa, invece nei giorni di festa andavo in Parrocchia.
Il campo sportivo si trovava nel terreno dei Mancosu. Ricordo che oltre al gioco del calcio, gli altri giochi più diffusi erano su giogu ’e sa campana, il salto con la fune, il gioco con le biglie, su tirallàsticu e le bamboline di stoffa.
Tante cose sono cambiate ma la comunità di Lunamatrona era ed è rimasta molto attiva.
Giannetta Cau
Su bixinau di Via San Giovanni
Quando ero piccola abitavo con i miei genitori, Giorgio Malloci e Giovanna Setzu, e le mie sorelle Angelina, Lucia, Maria e Francesca in una casa sita in Via San Giovanni, vicino alla chiesa parrocchiale di Lunamatrona.
Nel mio vicinato ricordo che abitavano tzia Peppina Cadau, che aggiustava strexius ’e fenu, utensili in giunco e fieno intrecciato, e si occupava anche di tessitura, tzia Rosina, che andava a cercare le uova per rivenderle all’ospedale di Cagliari, tzia Monica che aggiustava sedatzus, il setaccio per la farina, e tzia Antonica che faceva l’uncinetto.
Ricordo che nonostante a quei tempi avessimo poche cose eravamo sempre contente. Quando c’era bel tempo, soprattutto d’estate, di notte ci riunivamo in su bixinau e ci sedevamo a chiacchierare tutti insieme: raccontavamo storie, barzellette e ci divertivamo molto. Uno dei vicini di casa che raccontava storie molto divertenti era tziu Mundicu Collu.
Alcune volte andavo con mia madre a raccogliere su matutzu, il crescione, una pianta che si mangiava come insalata. Quando ne raccoglievamo molto, per pranzo mamma offriva il crescione raccolto ai vicini, portava un piatto d’olio e un bottiglione di vino e tutto il vicinato mangiava insieme a noi.
Durante il periodo della guerra la mia famiglia non soffrì la fame perché essendo contadini ci servivamo dei prodotti della terra, soprattutto il grano che serviva per fare il pane.
Ricordo che durante la notte nel vicinato facevano dei buchi nell’orto per nascondere il grano perché in quel periodo era razionato e se qualcuno lo avesse trovato lo avrebbero sequestrato.
Mia madre faceva sempre molto pane e qualche volta ne dava anche ai soldati tedeschi che erano accampati in paese. Anche se avevamo poco era un piacere condividerlo con gli altri!
Elvira Malloci
La chiesa parrocchiale
Ricordo che intorno agli anni Cinquanta ci fu la ristrutturazione della chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista. Anche mio fratello, don Tonino Meloni, ricorda molto bene quel periodo.
Solitamente le chiese erano tinteggiate con il colore bianco e decorate con rombi di color celeste con al centro un bottone dorato. In seguito vennero completamente dipinte con il bianco o il giallo.
Don Dessì fece fare la ristrutturazione e decorazione della chiesa di Lunamatrona ad artisti che nel 1945 aggiunsero vari quadri ed affreschi sulla volta e sulle pareti della chiesa. Il pittore principale che eseguì il lavoro era il cagliaritano Giovanni Battista Scano. Era un signore molto robusto che si muoveva un po’ a rilento ma una volta salito sull’impalcatura era veloce a fare gli affreschi e rimaneva lì per ore a dipingere.
Io e mio fratello, che all’epoca eravamo dei ragazzini, quando eravamo chierichetti in chiesa lo osservavamo sempre molto affascinati mentre faceva gli affreschi. Sceglieva i disegni da fare nei libri di arte, andava sopra l’impalcatura, con un gessetto squadrava il dipinto e velocemente faceva il disegno con il carboncino. Dopo di che usava i colori ad olio per dipingere il quadro. Rimanevamo affascinati dal miscuglio di colori che riusciva a fare. Uno in particolare che ricordiamo era il dipinto della morte di San Giovanni Battista dove il pittore utilizzò tanti tipi di colori per dipingere il flusso di sangue.
Oltre a lui lavoravano lì anche altri due operai che facevano le cornici, i disegni di contorno e i rombi nella parete. Loro vivevano in una casetta in paese e don Dessì si preoccupava sempre di procurargli il cibo e anche i soldi per pagare il lavoro che facevano. Le decorazioni della chiesa furono fatte con il contributo di tutti i compaesani. Il parroco domandò un uovo alla settimana ad ogni famiglia che poi Bonaria Desogus e altre signore portavano all’ospedale di Cagliari per la vendita che consentiva di racimolare i soldi per la chiesa. Poi, nel periodo della raccolta, faceva altrettanto con il grano chiedendone un po’ ad ogni compaesano per poter retribuire il pittore e gli altri operai.
Francesco Meloni
Sereni nonostante le difficoltà
Quando ero piccola abitavo in Via Giovanni Battista Tuveri nella casa di fronte alla fontana con i miei genitori Fortunato Piras e Francesca Farci, mio fratello Sebastiano e le mie sorelle Mariuccia, Immacolata, Augusta e Clotilde.
Eravamo una famiglia povera ma nonostante le difficoltà eravamo sempre sereni e ci accontentavamo delle poche cose che avevamo.
Mio padre faceva il contadino e andava sempre a zappare nei campi dei proprietari terrieri perché lui non aveva terreni di sua proprietà; mia madre, invece, stava a casa a occuparsi dei figli e delle faccende domestiche.
Qualche volta andai anch’io a lavorare in campagna con mio padre: raccoglievo le spighe di grano, altre volte le fave.
Di solito facevamo il pane in casa ma alcune famiglie non avevano nemmeno il grano per poterlo preparare così dovevano arrangiarsi e mangiare il poco cibo che avevano. Spesso si mangiava minestra, pastasciutta, la carne raramente perché non sempre si avevano i soldi per comprarla. Chi invece aveva animali in casa o faceva il pastore di professione, la mangiava più spesso, di solito almeno una volta a settimana.
Allora avevamo pochi vestiti, di solito li faceva in casa la mamma o una sarta, e quando si