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Un dottore ad alta velocità: Harmony Bianca
Un dottore ad alta velocità: Harmony Bianca
Un dottore ad alta velocità: Harmony Bianca
E-book142 pagine2 ore

Un dottore ad alta velocità: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Il dottor Taylor Stiles non crede che potrà mai abituarsi alla vita sedentaria e tranquilla che lo aspetta nella comunità medica di Benton, soprattutto se la paragona a quella che ha appena lasciato, fatta di eccessi e vizi. L'unico risvolto positivo è la compagnia della sexy dottoressa Shelby Wayne.

Non appena il dottor Ribelle ha messo piede in città, per Shelby sono stati solo guai. Come potrà lavorare con un uomo tanto superficiale? E soprattutto affidargli le sorti della clinica nel momento del bisogno? Shelby ne è più che certa: Taylor è l'ultima cosa di cui ha bisogno... ma la prima che desidera!
LinguaItaliano
Data di uscita10 mag 2019
ISBN9788858997451
Un dottore ad alta velocità: Harmony Bianca

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    Anteprima del libro

    Un dottore ad alta velocità - Susan Carlisle

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Hot-Shot Doc Comes to Town

    Harlequin Mills & Boon Medical Romance

    © 2013 Susan Carlisle

    Traduzione di Nicoletta Ingravalle

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A..

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-745-1

    1

    L’attenzione della dottoressa Shelby Wayne fu attirata da un lampo rosso nel parcheggio, proprio di fronte alla porta della Clinica Benton. Perfetto, non poteva che essere il medico di cui le aveva parlato suo zio, con la fama di cattivo ragazzo e arrivato con più di sei ore di ritardo.

    Strizzando gli occhi, osservò l’elegante decappottabile sportiva attraverso la polverosa finestra in lamina di vetro. Per quanto ne sapeva lei, nessuno in quella zona del Tennessee possedeva un’auto tanto pregiata quanto quella che ora stava praticamente bloccando l’entrata. Lì erano abituati ai furgoni, non alle auto sportive.

    Fare da balia all’ultimo progetto di suo zio Gene non era proprio quello che desiderava. Ma la clinica aveva disperatamente bisogno di una mano, quindi non poteva rispedirlo a Nashville. Perciò, se averlo in clinica avesse significato ottenere due settimane di assistenza medica gratuita, si sarebbe fatta in quattro per fare contento suo zio.

    E forse, se si fosse giocata bene le sue carte, sarebbe riuscita a convincere il medico che la sua esperienza sarebbe servita molto più a Benton che dove stava lavorando al momento.

    Se voleva mantenere aperta la clinica, avrebbe dovuto trovare qualcuno che la aiutasse, e al più presto.

    Diede un’occhiata alla cartellina e poi esaminò la sala alla ricerca della prossima paziente, la signora Stewart. Cercare di attirare l’attenzione di quella dolce e anziana signora con problemi all’udito, nella confusione della piccola sala d’aspetto, sarebbe stata solo una perdita di tempo. Mentre si stava incamminando verso la signora Stewart, le persone nella sala si fecero silenziose, gli occhi puntati sulla finestra.

    Shelby osservò, come gli altri, un paio di mocassini dall’aria costosa toccare il pavimento. Un uomo uscì dalla bassa auto sportiva con un unico, agile movimento. I loro sguardi si incrociarono attraverso la finestra, e lei trattenne il respiro. Lo sguardo penetrante di lui sembrava leggerle dentro, rivelare ogni segreto che aveva tenuto nascosto. Le fece un cenno col capo, a mo’ di saluto.

    Lo sguardo di lui vagò sulla serie di negozi che si affacciavano sulla strada, la maggior parte dei quali era abbandonata. Se non fosse stato per il breve lampo di disprezzo che gli attraversò gli occhi, Shelby lo avrebbe etichettato come pericolosamente attraente.

    Come osava comportarsi come se Benton non fosse alla sua altezza? Dopo che suo marito Jim era morto, continuare a vivere e lavorare lì era stata la scelta migliore che avesse mai fatto. I suoi genitori l’avevano incoraggiata a tornare a vivere con loro, ma lei aveva capito di appartenere a quella città. Era lì che lei e Jim avevano deciso di costruirsi una casa. Benton l’aveva sostenuta completamente nel suo dolore. Gli abitanti di lì avevano ognuno le proprie piccole fissazioni, ma tutti avevano un grande cuore. Lì si sentiva al sicuro.

    Il nuovo medico attirava ancora l’attenzione della sala mentre raggiungeva la porta e la tirava per entrare. Ma aveva parcheggiato occupando così tanto il marciapiede, che ora la porta non riusciva ad aprirsi abbastanza da farlo passare.

    Shelby non riuscì a impedirsi di sorridere e soffocò una risata. Stava dando una notevole prima impressione di sé ai cittadini presenti nella sala d’aspetto. Tutti in città avrebbero ascoltato quella storia prima ancora che facesse buio. Era uno dei pregi delle piccole città, nonostante potesse diventare anche uno svantaggio. Tutti sapevano tutto. Se fosse successo qualcosa di brutto, gli amici e i vicini sarebbero corsi in aiuto, ma se ci fosse stata una storia succosa da raccontare, l’avrebbero fatto.

    L’uomo ruggì, imprecando tra sé e sé. Si voltò, raggiunse con tre lunghi passi lo sportello del guidatore, lo aprì e scivolò al volante con la stessa grazia di quando era uscito dall’auto. Lasciando una gamba penzoloni, diede gas. La finestra della clinica vibrò leggermente, e lui spostò l’auto indietro finché l’intero marciapiede non tornò visibile. Con la stessa velocità con cui aveva avviato l’auto, spense il motore, scese e sbatté lo sportello.

    Con lunghe falcate tornò alla porta della clinica. L’unica cosa che poteva palesare la sua irritazione fu lo strattone che diede alla porta.

    Shelby sorrise, ma non troppo sfacciatamente, per non fargli pensare che avesse riso di lui.

    «Lei è la dottoressa Wayne?»

    Gli porse la mano. «Sono la dottoressa Shelby Wayne.»

    Lui gliela strinse. «Dal nome mi ero aspettato un uomo. Taylor Stiles.»

    La sua stretta era decisa. Calda e asciutta. Non era certamente la mano morta che si era aspettata da quel medico di città, ben vestito e dall’auto appariscente.

    «Mi spiace deluderla» disse Shelby, con una nota di sarcasmo nella voce.

    «Se voi due giovanotti avete finito lo spettacolo...» disse la signora Stewart, guardando Taylor Stiles dritto negli occhi, «... e di fare i carini, vi dispiacerebbe dare un’occhiata alla mia sciatica?»

    Taylor sbatté gli occhi, sorpreso. Come se fosse stato lanciato un segnale, la sala si riempì nuovamente di frastuono: il sipario si era chiuso e lo spettacolo era finito.

    Shelby si schiarì la voce. Amava quella donna così schietta e pragmatica. «Ehm, certo, signora Stewart. È la prossima.» Passò la cartellina al dottor Styles. «Chiami il prossimo paziente e lo mandi nella stanza numero due.» Indicò la fine del piccolo corridoio. «Arriverò non appena avrò finito con la signora Stewart.»

    Il dottor Stiles sollevò impercettibilmente l’elegante sopracciglio, ma accettò la cartellina. A quanto pareva, non era abituato a ricevere ordini. Chiamò il nome del piccolo Greg Hankins con voce profonda, mentre Shelby guidava la signora Stewart alla stanza uno.

    «Piuttosto altezzoso, ma è comunque molto bello» disse la signora Stewart, prendendo posto in una delle sedie nella stanza.

    «Sì, credo di sì» rispose Shelby, sfogliando la cartellina dell’anziana signora.

    «Dalla tua espressione, ho capito che l’hai notato anche tu. Dottoressa, devi iniziare a vivere di nuovo. Sono passati tre anni. È morto il tuo Jim, non tu.»

    Quella frase così franca su suo marito le procurò una fitta di dolore. Non aveva potuto fare niente quando aveva raggiunto il luogo dell’incidente. Nonostante non fosse molto indietro rispetto a Jim, nella sua auto, quando era arrivata sulla scena il furgone di lui era come un tutt’uno con l’albero contro cui si era schiantato. Nulla di quello che aveva fatto era servito a fermare il sangue di Jim, colante sul metallo accartocciato. La vista, l’odore... Le avevano fatto venire conati di vomito. Tre anni dopo doveva almeno fare tutto quello che era in suo potere per onorare la sua memoria, tenendo aperta la clinica a qualunque costo. Gli abitanti di Benton, che lei amava così tanto, avevano bisogno di assistenza medica e lei aveva bisogno della sicurezza che le dava sapere di servire a qualcuno.

    «Ora, signora Stewart...» disse Shelby, sorridendo, «... dovrei essere io a prendermi cura di lei, non viceversa.»

    «Bè, signorina, credo che tu non voglia prenderti cura di te stessa, quindi dovrò farlo io.»

    Shelby fece un profondo respiro, gettando fuori l’aria lentamente. «Perché non mi permette di visitarla, e poi potremo lavorare su di me?» Dopo essersi sistemata lo stetoscopio rosa brillante nelle orecchie, appoggiò il dischetto sul petto della donna.

    «Pensi solo alla clinica. Forse ora che è arrivato il dottor Kildare potrai divertirti un po’, tanto per fare qualcosa di nuovo» borbottò l’anziana signora.

    «Il dottor Kildare?»

    «Sì, era uno di quei meravigliosi medici della televisione, uno dei miei tempi. Questo dottore nuovo mi fa pensare a lui. Così alto, moro e bello.»

    Shelby rise. «Signora Stewart, è incorreggibile.» Il figlio più giovane della donna doveva comunque essere più grande del dottor Stiles. «Non lo conosce nemmeno, e neanche io, d’altronde. E comunque ci aiuterà solo per un paio di settimane.»

    «Sì, ma potresti divertirti un po’ nel frattempo. Non sei morta. Smettila di comportarti come se lo fossi.»

    Shelby le diede una leggera pacca sul braccio. «Per lei ci proverò, lo prometto.»

    Aveva decisamente sbagliato stavolta. Non c’era stato verso di far cambiare idea al giudice. Lavori socialmente utili in un’area rurale. Il suo avvocato gli aveva sconsigliato di discutere con il giudice, ma Taylor aveva tentato comunque. Se non avesse la tendenza a correre così tanto in auto, sarebbe ancora a Nashville, nel suo moderno reparto di traumatologia, invece che in una cittadina come Benton. Era fuggito da un luogo simile a quello, anni prima, e non vi era mai più tornato.

    Taylor sollevò il bambino di due anni, molto grande per la sua età, sul lettino di metallo. Dove diavolo l’avete pescato questo reperto degli anni cinquanta?

    Tump, tump, il bambino sbatté i talloni sul lato del lettino.

    Era resistente, questo doveva concederglielo.

    La madre del bambino, fragile e minuta, appoggiò attentamente a terra la borsa marrone che portava. Gli ricordava sua madre quando era bambino, sfinita dal lavoro e triste.

    «Allora, cos’ha Greg che non va?» Taylor guardò la donna, tenendo una mano ferma sul bimbo irrequieto.

    Un tempo era stato come quel bambino, sporco e dai vestiti di seconda mano forniti dalla chiesa. Si immobilizzò un istante al ricordo, ma lo cacciò subito via dalla mente. Erano anni che non faceva i conti con la sua infanzia difficile, e non aveva intenzione di ricominciare quel giorno.

    «Credo abbia qualcosa nel naso. Aspetteremo la dottoressa Wayne per tirarglielo fuori.»

    La madre non si fida di me. A Taylor questo non piaceva. Era lui l’esperto che lavorava in un ospedale rispettato, che era riuscito a fuggire da una cittadina come quella, e quella donna metteva in dubbio le sue capacità. Si voltò, come per prendere qualcosa, e si armò di pazienza.

    Poi si rivolse nuovamente alla donna. «Bè, perché non mi fa dare un’occhiata veloce.» Taylor si sforzò di sfoggiare il suo sorriso migliore, poi cercò l’otoscopio, che avrebbe dovuto essere appeso al muro. «Ehm, mi scusi, devo cercare qualcosa per fare luce.»

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