Chiodi rossi
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Anteprima del libro
Chiodi rossi - Robert E. Howard
99
Robert E. Howard
Chiodi rossi
Edizione integrale
Titolo originale: Red Nailsl
Traduzione di Gianni Pilo
Prima edizione ebook: settembre 2012
© 1995 Finedim s.r.l., Compagnia del Fantastico
© 2012 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 9788854147225
www.newtoncompton.com
Progetto grafico: Sebastiano Barcaroli
Immagine di copertina: © Andrejs Pidjass /iStockphoto
1. Il teschio sulla roccia
La donna a cavallo tirò le redini del suo stanco destriero. L’animale rimase a zampe larghe, la testa ciondoloni, come se trovasse troppo pesante perfino il peso delle briglie di cuoio rosso dai finimenti d’oro. La donna sfilò uno stivale dalla staffa d’argento e saltò giù dalla sella ricamata d’oro. Legò in fretta le redini a un alberello e si girò, con le mani ai fianchi, a esaminare la zona.
Non era invitante. Alberi giganteschi circondavano uno stagno dove il suo cavallo si era appena abbeverato. I cespugli cresciuti intorno limitavano la visuale che si apriva all’ombra fonda dei rami intrecciati in alto. La donna ebbe un tremito alle magnifiche spalle, e poi imprecò.
Era alta, con il seno pieno, le gambe ben piantate e le spalle solide. Tutto il suo corpo emanava una forza non comune, senza nulla togliere alla sua femminilità; era decisamente una donna, malgrado il contegno e gli abiti.
Quest’ultimi erano molto succinti, adatti all’ambiente. Al posto della gonna portava un paio di pantaloni corti e larghi di seta che terminavano a un palmo sotto il ginocchio e venivano sorretti da una fascia di seta arrotolata in vita a mo’ di cintura. Gli stivaloni di pelle morbida dalla punta luccicante che le arrivavano quasi al ginocchio, e una camicia scollata a maniche larghe, completavano l’abbigliamento. Su un fianco ben tornito le pendeva una spada a doppio taglio, e sull’altro un lungo pugnale. I capelli d’oro ribelli, tagliati all’altezza delle spalle, erano trattenuti da una fascia di satin rosso.
Contro lo sfondo cupo di quella foresta primitiva, ella assumeva un pittoricismo inconsapevole, bizzarro e fuori posto. Avrebbe potuto stare in posa contro uno sfondo di nuvole marine, pennoni colorati, gabbiani in volo. C’era il colore del mare in quegli occhi grandi, ed era così che doveva essere, perché quella era Valeria della Confraternita Rossa, le cui imprese venivano celebrate nelle canzoni e nelle ballate in ogni luogo in cui i naviganti facevano festa.
La ragazza cercò di penetrare con lo sguardo nel tetto di foglie verdi della foresta per vedere il cielo, e invece vi dovette rinunciare, soffocando un’imprecazione.
Lasciando legato il cavallo, camminò velocemente in direzione Est, girandosi ogni tanto a guardare verso lo stagno per fissarsi bene in mente la strada. Il silenzio della foresta la deprimeva. Non si sentiva canto d’uccelli tra i rami alti, né frusciava foglia che indicasse la presenza di qualche bestiola. Aveva percorso intere leghe in un regno di silenzio, rotto soltanto dai rumori della sua fuga.
Aveva placato la sete allo stagno, ma adesso sentiva i morsi della fame, e cominciò a guardarsi intorno alla ricerca di un po’ di frutta che la sostenesse adesso che aveva esaurito la scorta di cibo delle bisacce.
Dopo un po’ si ritrovò davanti un agglomerato di rocce scure, probabilmente silice, tra le quali si ergeva verso l’alto, affiorando tra gli alberi, una specie di roccia frastagliata. La sommità era coperta da una nube di foglie. Forse superava la cima degli alberi, e da lì avrebbe potuto vedere cosa c’era oltre… se c’era davvero qualcosa in quella foresta apparentemente sconfinata nella quale cavalcava da giorni.
Uno stretto costone creava una scala naturale che portava sulla liscia parete frontale della rupe. Dopo essere salita per una cinquantina di piedi, Valeria arrivò alla cintura di foglie che circondava la sommità. I tronchi degli alberi non erano fitti, ma i loro rami si stendevano tutt’intorno, velando la vetta con il fogliame.
Valeria cercò di vedere meglio arrampicandosi in mezzo a quella massa verde, e finalmente scorse il cielo azzurro: un secondo dopo si ritrovò nella piena luce del sole, e vide il tetto della foresta che si stendeva sotto di lei.
Era in piedi su una sporgenza della roccia sita all’altezza delle cime degli alberi, e da lì si innalzava uno sperone che costituiva la vetta del picco da lei scalato. Ma, in quel momento, qualche altra cosa attirò la sua attenzione, perché aveva messo un piede su un oggetto nascosto sotto le foglie morte che ricoprivano la cengia.
Le tolse con lo stivale e le apparve il teschio di un uomo. Esaminò con occhio esperto quella bianca reliquia, ma non vide ossa rotte né altri segni di violenza. Quell’uomo doveva essere morto di morte naturale, anche se non riusciva a immaginare perché mai avesse scalato quella roccia.
Si arrampicò sullo spuntone e scrutò l’orizzonte. Il tetto della foresta, che dal suo punto di osservazione pareva un tappeto, era impenetrabile esattamente come appariva dal basso. Valeria non riusciva neanche a vedere lo stagno presso il quale aveva lasciato il cavallo. Guardò verso Nord, nella direzione dalla quale era venuta. Vide soltanto il verde oceano che si perdeva lontano, con una sottile linea azzurra costituita dalla catena montuosa che aveva attraversato qualche giorno prima per poi perdersi in quella distesa sterminata di foglie.
A Ovest e a Est il panorama era sempre lo stesso, anche se la linea azzurra dei monti cominciava a scomparire. Ma quando spostò lo sguardo a Sud, rimase col fiato sospeso: a un miglio di distanza, la foresta si assottigliava e poi si interrompeva bruscamente, cedendo il posto a una pianura di cactus e, in mezzo a tale pianura, sorgevano le mura e le torri di una città.
Valeria imprecò, in preda allo sbalordimento. Incredibile! Vedere delle abitazioni umane, come le casupole ad alveare dei negri o le abitazioni rupestri della misteriosa razza dalla pelle bronzea che, stando alle leggende, abitava in una terra di quella regione inesplorata, non l’avrebbe sorpresa. Ma trovare una città con tanto di mura, a settimane intere di marcia dal più vicino avamposto della civiltà, era un’esperienza sconvolgente.
Staccando le mani stanche dal pinnacolo, si lasciò cadere sulla sporgenza, aggrottando la fronte indecisa. Si era spinta lontano: dal campo dei mercenari vicino alla cittadella di confine di Sukhmet era arrivata alle praterie, dove avventurieri senza scrupoli appartenenti a tutte le razze difendevano la frontiera stigia dai razziatori che arrivavano a ondate rosse da Darfar.
La sua era stata una fuga alla cieca, in un paese completamente sconosciuto. E adesso era combattuta tra il desiderio di dirigersi immediatamente alla città della pianura e la cautela che le suggeriva l’istinto, dicendole di passare alla larga e continuare la sua fuga solitaria.
I suoi pensieri vennero interrotti da un frusciare di foglie sotto la roccia. Si girò lesta come un gatto e impugnò la spada… poi si immobilizzò, fissando a bocca aperta l’uomo che le stava davanti.
Era quasi un gigante, con i muscoli rigonfi sotto la pelle liscia brunita dal sole. Aveva un abbigliamento simile al suo, a eccezione di un cinturone di pelle che portava al posto della fusciacca, e dal quale pendevano una spada a lama larga e un pugnale.
«Conan il Cimmero!», gridò la donna. «Che diavolo fai sulla mia strada?»
L’uomo aveva un sorriso truce, e nei suoi fieri occhi azzurri brillava una luce inequivocabile per qualunque donna, mentre li posava sul suo corpo magnifico, indugiando sul turgore degli splendidi seni che trasparivano dalla camicia leggera, e sulla pelle bianca e liscia che si vedeva tra i calzoni e gli stivali.
«Non lo sai?», rise. «Non ho reso la mia ammirazione per te sufficientemente chiara dalla prima volta che ti ho vista?»
«Uno stallone non avrebbe potuto essere più chiaro!», rispose lei con disprezzo. «Ma non avrei mai creduto di incontrarti tanto lontano dalle taverne e dalle cucine di Sukhmet. Davvero mi hai seguita dal campo di Zarallo, o ti hanno scacciato come una canaglia?»
Conan rise di quell’insolenza, e piegò i possenti bicipedi.
«Sai? Zarallo non aveva abbastanza sgherri per farmi buttare fuori dal campo», sghignazzò. «Ovviamente ti ho seguita. Ed è stata una fortuna, per te, donna! Quando hai accoltellato quell’ufficiale stigio, ti sei giocata il favore e la protezione di Zarallo, e sei diventata una fuorilegge per tutti gli Stigi.»
«Lo so», ribatté lei, cupa. «Ma che altro potevo fare? Lo sai come mi ha provocato.»
«Certo!», riconobbe lui. «Se mi fossi trovato lì, l’avrei accoltellato io stesso. Ma se una donna vuole vivere in un accampamento di soli uomini, deve aspettarsi certe cose.»
Valeria batté il piede per terra e imprecò.
«Perché gli uomini non mi lasciano vivere come un uomo?»
«È ovvio!» I suoi occhi avidi la divorarono nuovamente. «Ma sei stata saggia a scappare. Gli Stigi ti avrebbero fatto la pelle. Il fratello di quell’ufficiale ti ha seguita, e più in fretta di quanto pensi, stanne certa. Non era molto lontano da te quando l’ho incontrato. Il suo cavallo era più veloce