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Una notte in paradiso
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E-book238 pagine3 ore

Una notte in paradiso

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1575
Alla corte di Elisabetta I intrighi e relazioni illecite sono all'ordine del giorno, e per una dama attraente come Adorna, figlia del Maestro delle feste di corte, saper tenere a distanza i corteggiatori troppo insistenti senza tuttavia urtare la loro suscettibilità è una questione di importanza vitale. Solo un uomo riesce a vincere la sua abituale riservatezza: l'arrogante sir Nicholas Rayne. Ma pur continuando a sognare i suoi baci appassionati e le sue carezze seducenti, Adorna, che ben conosce la sua fama di licenzioso libertino, è ben decisa a non diventare per lui l'ennesima facile conquista...
LinguaItaliano
Data di uscita10 feb 2021
ISBN9788830525542
Una notte in paradiso
Autore

Juliet Landon

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Una notte in paradiso - Juliet Landon

    Immagine di copertina:

    Graziella Reggio Sarno

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    One Night in Paradise

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2003 Juliet Landon

    Traduzione di Gigliola Foglia

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2004 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3052-554-2

    1

    Richmond, Surrey, 23 giugno 1575

    Era cominciato tutto così bene... Il sole di mezza estate prometteva una giornata senza vento, perfetta per l’esercizio della falconeria, uno dei passatempi preferiti della regina Elisabetta, in cui indulgeva sempre quando si trovava a Richmond. Il parco era vasto, ben popolato di cervi e di uccelli acquatici, e una ristretta scelta dei suoi cortigiani prediletti creava una vivida macchia di colore dietro di lei, tacitamente rivaleggiando l’uno contro l’altro nel mettere in mostra la propria compitezza, i propri cavalli, e la propria popolarità. La presenza in tale compagnia di Adorna, in quanto figlia del Maestro delle Feste di Corte, era non solo accettata ma incoraggiata. Vivere a Richmond così vicino al palazzo reale offriva molti vantaggi, come aveva di recente sottolineato suo padre, ancor fresco di nomina.

    Adorna aveva già attirato sorrisi e sguardi ammirati, con la sua folgorante bellezza e i capelli d’oro chiaro che riflettevano l’analogo colore del mantello della sua nuova giumenta dai finimenti blu, donatale la settimana precedente in occasione del suo ventesimo compleanno. Al suo fianco cavalcava mastro Peter Fowler, altro membro del seguito regale, giovanotto di belle speranze segretamente convinto che al proprio futuro avrebbe giovato l’accompagnarsi con qualcuno di rango lievemente superiore al suo. Non che fosse insensibile alle attrattive fisiche di Adorna, ma Peter era più ambizioso che infatuato, e la sua apparizione al fianco della giovane quella mattina non era un caso.

    In un mare di colori rutilanti, ondeggiare di piume e una muta di spaniel che si aggirava tra gli zoccoli dei cavalli, la compagnia attese che la regina e il suo Mastro Falconiere lanciassero i falconi verso il cielo mentre più in basso i battitori scacciavano le anatre dal fiume, facendole alzare in volo. Trovandosi all’esterno del gruppo e non lontano dalla riva, l’ombrosa giovane giumenta di Adorna fu infastidita dallo starnazzare e dal frullare d’ali sopra di sé. Arretrò tremando, e solo a fatica la sua padrona riuscì a impedire che urtasse i cavalli vicini, i cui cavalieri erano distratti a guardare verso il cielo. Poi, pensando di aver superato quella piccola crisi, Adorna rivolse l’attenzione ai falconi che nel riportare giù le anatre ne fecero cadere due nel fiume, in un turbine di piume.

    Ora tutti erano curiosi di vedere chi sarebbe stato il primo a recuperare la svolazzante selvaggina per Sua Maestà, e nessuno notò che la giumenta di Adorna, ancora recalcitrante, aveva deciso di testa sua di unirsi al gruppo da riporto. Indietreggiando anziché avanzare, malgrado tutti gli sforzi della giovane, l’animale stava suonando un deciso assolo con gli zoccoli immersi nell’acqua. Alcuni lanciavano richiami, altri ridevano, inclusa la regina, qualcuno usò la spada come fosse un arpione da pesca, un altro si tuffò di persona per guadagnarsi il favore della sovrana, ma nessuno, neppure Peter, si accorse che Adorna e la sua giumenta dorata stavano ormai sguazzando, coi garretti a mollo, nella corrente.

    «Peter! Aiutatemi!» gridò Adorna, ma l’attenzione del giovane era rivolta alle anatre, come quella di tutti, e lei fu costretta a usare il frustino per imporre alla cavalla di avanzare, mentre l’acqua le copriva il piede e l’orlo della lunga gonna le si avvolgeva bagnato attorno a un ginocchio. Ma era troppo tardi: il frustino colpì l’acqua anziché l’animale, che rifiutava ancora di rispondere ai suoi comandi. L’aiuto giunse inaspettatamente sotto forma di una grande mano che afferrò senza cerimonie le briglie appena un istante prima che la corrente raggiungesse la sella.

    Preoccupata solo di guadagnare la riva insieme alla giumenta, Adorna non prestò attenzione all’aspetto dell’uomo, notando soltanto che il cavallo era molto grosso e che lui stesso era abbastanza robusto da toglierle le redini di mano, farle passare sopra la testa della cavalla e trascinare l’animale quasi di peso per l’acqua fangosa fino al terreno asciutto.

    Distante dalla folla che applaudiva, Adorna ritrovò la voce. «Grazie, oh, grazie» disse, aggrappandosi al pomo della sella mentre la giumenta balzava in avanti. «Grazie al cielo, qualcuno infine mi ha notato.»

    «Se credete che questo sia il modo più efficace per farvi notare, signora, ripensateci» scattò l’uomo, per nulla comprensivo. «L’applauso che udite è per Sua Maestà, non per le vostre stramberie. Lasciate ai cani il recupero della selvaggina, in futuro.»

    Non era da lei restare a lungo senza parole, ma quell’esempio di calcolata scortesia lasciò Adorna senza fiato. E ancor peggio, l’uomo smontò più rapidamente di lei e, prima che potesse ribattere, fu tirata giù di sella da due forti braccia e posata a terra con la parte inferiore dell’abito e della sottoveste orribilmente aderente alle gambe.

    «Mi riferivo, signore, alla mia situazione» ribatté piccata, liberandosi della mano che la sosteneva. «Se avessi progettato di farmi notare, come sembrate pensare, non avrei scelto di piombare all’indietro nel fiume davanti a tutta la corte, credetemi. E neppure ero in lizza per recuperare un’anatra. Orbene, posso liberarvi di altre fantasie prima che ve ne andiate?» Sempre senza guardarlo, Adorna scosse l’ampia gonna dell’abito azzurro. Con la coda dell’occhio scorse Peter che smontava. E si inginocchiava. «Peter, tiratevi su... Oh!» Il suo salvatore stava facendo lo stesso.

    La folla aveva fatto ala e, mentre Adorna si piegava in una profonda e bagnata riverenza, la regina avanzò su un magnifico leardo pomellato. «I castrati sono cavalcature migliori in queste occasioni, madama, mi dicono» disse la regina. «La vostra cavalcatura è una bellezza, ma un poco bizzosa forse?» Incarnazione stessa della cortesia, Elisabetta esprimeva per la situazione di Adorna una simpatia in stridente contrasto con la rudezza del suo salvatore.

    Sempre sprofondata in un inchino, Adorna lanciò all’uomo un’occhiata altezzosa. «Vostra Maestà è molto gentile. La mia giumenta è ancora giovane, mentre è difficile trovare una scusante altrettanto valida per la scortesia di altri.» Non ci si poteva sbagliare sul bersaglio dell’osservazione, poiché l’uomo in questione la fissava torvo come se lei fosse uno sparviero disobbediente posato sul suo polso, mentre le risa della regina e della sua corte tintinnavano attorno a loro come schegge di ghiaccio che si spezzava.

    Ma l’occhiata aveva confermato ad Adorna ciò che già sospettava dai modi imperiosi e dalla voce impostata: era uno sputasentenze pieno di sé, anche se decisamente di bell’aspetto, della statura imponente che alla regina piaceva avere attorno. Le persone brutte erano un anatema per lei, soprattutto gli uomini. Costui aveva occhi neri e viso altero, dalla mascella quadrata e ben rasata, e il capo ora scoperto mostrava folti capelli scuri e ondulati pettinati all’indietro, che conservavano l’impronta dove prima posava il berretto di velluto blu. Aveva spalle abbastanza larghe da sopportare i suoi insulti e, quando la regina fece loro cenno di alzarsi, Adorna vide che le gambe erano lunghe e muscolose, messe in risalto dalle brache aderenti fino alla parte superiore delle cosce, dove cominciavano i calzoncini a pannelli verticali. Il velluto blu scuro si intonava alla perfezione con quello più chiaro dell’abito di Adorna, ma questo le parve l’unico punto di compatibilità con quell’uomo.

    La regina era ancora divertita. «Orbene, sir Nicholas» commentò sorridendo, «a quanto pare non conta ciò che si fa, ma come lo si fa. Mi aspetto di meglio da voi, dovessi avere la disgrazia di cadere nel fiume.»

    Sir Nicholas ebbe la buona grazia di ridere mentre si inchinava. «Divina Maestà» rispose, «Madama Luna cadrà nel fiume, prima che capiti a voi.»

    «Spero che abbiate ragione.» Elisabetta accettò il complimento e si rivolse ad Adorna. «Madama Pickering, poche donne avrebbero un così bell’aspetto dopo un tale spavento. Spero che non ci lascerete.»

    Adorna sapeva riconoscere un ordine. «Ringrazio Vostra Maestà. Non chiedo che di rimanere.»

    «Allora restateci vicino, madama, e lasciate che l’uomo di Leicester insegni alla vostra bella giumenta un paio di cosette sull’obbedienza. Sir Nicholas, assistete questa dama.»

    Sir Nicholas si inchinò di nuovo mentre la regina si allontanava tra l’ennesimo scroscio di applausi per la sua cortesia, ma Adorna non aveva intenzione di farsi assistere da una persona così villana, malgrado il desiderio della regina. Si voltò verso Fowler, ma la voce alle sue spalle richiamò la sua attenzione.

    «Madama Pickering. La figlia di sir Thomas. Bene, bene.»

    Adorna parlò da sopra la spalla. «E voi siete uno degli uomini del Mastro Stalliere, ho inteso. Questo spiega perché siate più cortese con i cavalli che verso i loro cavalieri. Per fortuna non si può dire altrettanto del vostro signore.» Era cosa nota che il bel conte, il Mastro Stalliere di Sua Maestà, fosse disperatamente innamorato della regina.

    «Il mio signore, madama, non ha ancora dovuto trascinare Sua Maestà fuori da un fiume davanti ai suoi cortigiani. Non è la vostra bella giumenta ad aver bisogno di una lezione di buone maniere, quanto chi la cavalca a dover imparare a controllarla.» In quel momento la cavalla dorata stava mangiando qualcosa di dolce dalla mano di sir Nicholas, docile come un agnellino. «Ci crediate o no, è questo che Sua Grazia vi stava dicendo.»

    Furiosa, Adorna si voltò verso di lui mentre Peter e due suoi amici le venivano in aiuto, strizzandole l’orlo della gonna. «Sciocchezze! Nessuno parla più schiettamente della regina. Se avesse inteso questo, l’avrebbe detto. Sua Grazia mi ordina di restarle vicino ed è ciò che devo fare. Vi ho ringraziato per la vostra assistenza, sir Nicholas, ma ora siete sollevato da ogni ulteriore responsabilità nei miei confronti. Andate a esercitare sui cavalli la vostra cortesia.»

    «Madama!» L’esclamazione di Peter l’avvertì che la sua cortesia stava venendo meno. «Questo gentiluomo è sir Nicholas Rayne, Luogotenente del Mastro Stalliere di Sua Maestà.»

    Prima che Adorna potesse escogitare un’altra risposta tagliente, sir Nicholas fece un inchino a Peter, sorridendo. «E voi, mastro Fowler, siete il gentiluomo con il titolo più lungo, tra quelli al servizio di Sua Maestà: Nobile Controllore di ogni e qualsiasi Intrapresa di Sua Altezza. Ho detto giusto?» Stava ancora sorridendo.

    «Alla lettera» rispose Peter. «In altre parole, Capo della Sicurezza.»

    Ma Adorna non era in vena di tali segni di amicizia. Ringraziò i due amici e si indirizzò a Peter perché l’aiutasse a montare, ma questi era distratto e fu prevenuto da sir Nicholas che, con un’unica falcata, afferrò Adorna per la vita e la issò in sella come fosse una bambina.

    Per un istante, la sua visione del mondo si capovolse quando la sua testa venne in contatto con il collo e la spalla dell’uomo, e sentì sulla guancia arricciarsi dolcemente le piegoline del piccolo collare bianco che stava rigido sul farsetto blu. Colse l’aroma muschiato della sua pelle e avvertì la saldezza delle sue mani sotto le spalle, poi il mondo si raddrizzò e lei si trovò a guardarlo in viso, negli scuri occhi seri che fissarono i suoi, fieramente, per un istante più del necessario. Confusa, Adorna batté le palpebre, gli prese le redini e attese che lui e Peter liberassero la stoffa che le aderiva alle gambe sistemandogliela attorno in umide pieghe. Il corteo regale cominciava a muoversi.

    «Grazie, sir Nicholas» disse lei freddamente alla cima del suo berretto di velluto blu, osservando le piume bianche e oro sollevarsi e posarsi di nuovo. «Penso che ora possiate andare.»

    Nicholas non replicò. Prese il proprio cavallo da un valletto e balzò in sella con un volteggio, spronando il cavallo con tocco esperto per cavalcarle a fianco, con un cenno a Peter dall’altro lato. Il viso di Adorna era di pietra. Ma quando raggiunsero i campi aperti, lontano dal fiume, la sua espressione si stava rilassando in un atteggiamento che persuase chi le stava accanto che lei fosse a proprio agio. Era ben lungi dall’essere così, ma dimostrava il livello di autocontrollo di cui era capace. Dall’elegante gonna azzurra l’umidità le era risalita fino alla sella, calda, appiccicosa, a irritarle le cosce; i garretti posteriori della giumenta bionda erano incrostati di fango e i lucenti campanellini dei finimenti chioccolavano invece di tintinnare.

    Ancor più disturbante era la presenza di colui che l’aveva salvata da un bagno completo, la cui espressione imperscrutabile non le lasciava intendere il reale motivo per cui le restava accanto, perché lo voleva o perché gli era stato ordinato. Adorna poteva ancora sentire il tocco delle sue mani, ma non gliel’avrebbe mai lasciato capire.

    Come la regina aveva ordinato, sir Nicholas la condusse verso il centro del corteo, e ciò la fece sentire ancor più a disagio. Cambiato il suo falcone pellegrino con un raro girifalco bianco, la regina lo reggeva incappucciato sul polso, mentre un airone roteava alto nel cielo. Il girifalco fu liberato perché lo inseguisse, salendo ancor più in alto per poi lanciarsi in picchiata e spingere il bellissimo uccello giù verso i cani da riporto, la cui rapidità evitò danni al prezioso rapace. Ci fu un nuovo applauso, poi l’annuncio che si sarebbe pranzato.

    Senza dare nell’occhio, Adorna si ritirò dietro i suoi amici un po’ discosta dalla compagnia, accettando qualsiasi cibo portassero i giovani paggi. Fece uno sforzo per scordare l’incidente nel fiume e mostrarsi affabile con Peter, ma i suoi occhi sembravano avere una volontà propria, indugiando disobbedienti verso l’alta e ben fatta figura in blu scuro trapunto d’oro, il cui riso aperto era scherzosamente rivolto a un gruppo di dame della regina. Abbigliate interamente in bianco, le giovani Damigelle d’Onore facevano risaltare l’abbigliamento della regina, in quel ruggine e oro che tanto le donava. Come Adorna, Elisabetta indossava un cappello alto con uno svolazzo di piume, un farsetto di foggia maschile abbottonato fino al collo e una gonna ampia. Ma mentre l’abito di Adorna era relativamente semplice, la regina non si era risparmiata nel caricarsi di passamanerie e catenelle che si intrecciavano sul petto appesantito da pendenti, e ovunque scintillavano gioielli, perfino sul candido collare del più fine merletto.

    L’abito di Adorna aveva cominciato ad asciugarsi. Presto sarebbero ripartiti a caccia di aironi, gru, e magari allodole per chi aveva rapaci più piccoli.

    Andò dalla sua giumenta, legata a un albero, il muso gocciolante d’acqua mentre beveva da un secchiello. «Le tue zampe sono a posto, mia bellezza?» le sussurrò, con uno sguardo ai posteriori coperti di fango. «Per poco non ci siamo messe in un guaio tu e io, vero? Allora, hai intenzione di stare buona, oggi pomeriggio?»

    «Dipenderà soprattutto» disse una voce dietro di lei, «da chi la cavalca.»

    Rifiutando di lasciarsi trascinare in un’altra discussione, Adorna strinse i denti e passò una mano sulla groppa infangata, preparandosi a esaminare le zampe. Sir Nicholas le si pose davanti e continuò l’esame con la sicurezza di un cavaliere provetto. Le sue mani erano forti e abbronzate, con una fine peluria scura sul dorso, le unghie corte di un uomo che lavora ma pulite, e Adorna osservò con riluttante ammirazione come i polpastrelli premessero e tastassero quasi con tenerezza. Riportò lo sguardo sul suo viso come si rialzò, e scoprì che lui la stava già guardando con un certo divertimento, sapendo che il procedere delle proprie mani era stato seguito con un interesse non del tutto oggettivo. E Adorna si trovò, suo malgrado, con gli occhi incatenati ai suoi.

    «Ebbene?» disse lui, piano. «È sana e salva dopo il tuffo nel fiume, e nel suo temperamento non c’è niente che un poco di gentile addestramento non possa curare. Mostratele chi comanda, dunque.» Mentre parlava, le sue mani carezzavano i fianchi setosi della giumenta, che si contraevano al contatto, e Adorna seppe che quelle parole si riferivano tanto a lei quanto alla cavalla. «È un animale superbo» aggiunse Nicholas, «ma non per dilettanti.» Sull’ultima frase i suoi occhi lasciarono quelli di Adorna per arrestarsi su Peter Fowler, che era appena fuori portata d’orecchio, e tornare poi su di lei in tempo per vedere l’ira arrossarle le guance.

    Se gli piaceva credere che Peter fosse il suo amante, a lei stava bene, perché ciò le avrebbe offerto una sorta di protezione: impossibile fraintendere l’allusione. Adorna era furiosa tanto per il proprio incontrollabile brivido di eccitazione, quanto per il palese tentativo di Nicholas di corteggiarla dopo la primitiva ostilità, così la battuta pungente scattò come una stoccata. «Non datevi pena delle necessità della mia giumenta, sir. Né delle mie. Siamo state benissimo entrambe finora senza il vostro consiglio, dunque non credo che quell’unica vostra smargiassata vi renda a noi indispensabile. Penso dovreste tornare dal vostro signore e rendervi davvero utile. Vi auguro una buona giornata.»

    Sull’ultima parola avrebbe voluto allontanarsi, ma il braccio di sir Nicholas si posò sulla sella, e Adorna si trovò imprigionata tra lui e il cavallo. «Ah, no, madama» replicò lui, senza alzare la voce. «Questa è la terza volta che mi ordinate di andarmene, mi pare. Vi è solo un ristretto numero di persone che possono darmi ordini, e voi non sarete mai tra queste. Inoltre, quando la regina mi ordina di assistere una dama, l’assisto finché Sua Maestà non mi dà licenza di lasciarla. Se l’idea vi dispiace tanto, allora vi suggerisco di esporle le vostre obiezioni. E ora preparatevi a montare.» E senz’altro avvertimento la sollevò tra le braccia.

    Adorna si scoprì momentaneamente sopraffatta dalla sua vicinanza, dal suo rifiuto di lasciarsi comandare, dalla sua fierezza. Ora il viso di Nicholas era pericolosamente vicino al suo e invece di metterla in sella lui la stava deliberatamente stringendo tra le braccia, impedendole di lottare.

    «Siete un estraneo, sir» sussurrò Adorna, «e mi state offendendo. Mio padre ne sarà informato.» Ma dicendolo, già sapeva che suo padre non l’avrebbe appreso dalle sue labbra e che questo estraneo le stava anche facendo battere il cuore in modo strano, mescolando timore, eccitazione, e un senso di abbandono che la fece sentire colpevole per il piacere che le ispirava. O era rabbia? Chiunque altro, pensò, avrebbe reagito con timore a quella minaccia, poiché suo padre era sir Thomas Pickering, Maestro delle Feste di Corte e pertanto superiore a quell’individuo.

    Ma l’espressione di sir Nicholas non mostrò tale inquietudine. «No, madama» rispose. «Non credo.» Adorna poté sentire il suo respiro sul

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