Un cavaliere tutto suo: Inganni d’amore, #1
Di Jill Barnett
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Info su questo ebook
Nel tentativo disperato di evitare un matrimonio imposto con il Barone di Warbrooke, il cavaliere più temuto d’Inghilterra, Lady Linnet di Ardenwood assolda il pericoloso mercenario William de Ros perché l’aiuti a fuggire in convento.
A sua insaputa, de Ros in realtà è proprio il nuovo Barone di Warbrooke e d’accordo con il protettivo nonno di Linnet ha solo una settimana per farle la corte e conquistarla. Se solo sapesse come fare a corteggiare una dama…
Dall’autrice Jill Barnett, più volte in vetta alle classifiche del New York Times e già pubblicata in precedenza da Mondadori, ecco un racconto incantevole ancora inedito in Italia.
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Anteprima del libro
Un cavaliere tutto suo - Jill Barnett
Un cavaliere tutto suo
di Jill Barnett
Traduzione di Isabella Nanni
La dama e il cavaliere
Oh, cosa può affliggerti, cavaliere in armi,
che vaghi solo e pallido?
Ho incontrato una dama nei prati,
bellissima, una figlia delle fate,
i suoi capelli erano lunghi, leggero il suo piede,
e selvaggi i suoi occhi.
La bella dama senza pietà, John Keats
Capitolo Uno
La vista di lei gli tolse il respiro. Lui, un cavaliere fiero e valente, era rimasto paralizzato in groppa al suo destriero a guardare dal limitare della radura la giovane donna che per un istante senza tempo vi sembrava cristallizzata in prismi di bianca luce velata che filtrava nella foresta.
Se non fosse stato solo, avrebbe chiesto ai suoi compagni d’armi se la giovane fosse una visione - un sogno nato dalla debolezza di un uomo che aveva combattuto troppe battaglie, bevuto troppo e dormito troppo poco. Perché solo una visione poteva avere capelli che le cadevano ondulati fino quasi al ginocchio. Capelli dell’intenso colore di un tramonto infuocato. Solo una visione poteva avere un aspetto così innocente. Solo una visione poteva cantare come gli angeli.
La sua voce saliva fino alle cime degli alberi mentre cantava, un suono che lui poteva associare solo alla musica del paradiso – chiara e fresca e impeccabile. Scese da cavallo e si avvicinò, improvvisamente dimentico del fatto che stava cercando dell’acqua. In quel momento importava poco che avesse ancora in bocca il sapore polveroso della strada, tanto era preso da questa giovane donna.
Lei si chinò e raccolse da terra un altro fiore di un colore giallo vivo, intrecciandolo in una ghirlanda di fiori selvatici ed edera rigogliosa che le pendeva dal braccio. Si girò in quel momento, piroettando su un piede scalzo mentre i capelli le volarono intorno e la sua tunica marrone scampanò leggermente. Stava cantando un motivetto allegro e vivace, una canzone per i gattini che le si affollavano ai piedi.
Bramavo un tempo di essere una fata
E alla pallida luce della luna volare
Di essere di ali leggere dotata
E così una notte di mezza estate sognare
Una canzone sciocca piena di stravaganze, che tuttavia in qualche modo lo affascinò più di quanto lo avesse ammaliato qualsiasi altra cosa da più tempo di quanto riuscisse a ricordare. Continuò a guardarla.
Ben presto uno scoiattolo scese dalla cima di un albero, seguito da altri due. Si tenevano in piedi puntellandosi sulle zampine e alzavano la loro testolina curiosa mentre lei cantava. Tre conigli arrivarono saltellando dal folto delle felci, torcendo il nasino e la coda invece di saltare via dandosi la spinta con le zampe posteriori. E gli uccelli – passerotti, pettirossi e colibrì – fluttuavano sopra di lei.
Strano, pensò lui, quanti animali non avessero paura di lei. Era come se fossero attirati come lui dal dolce canto di una sirena.
Si chiese se fosse stato in guerra troppo a lungo. Aveva visto così tanto spargimento di sangue, era rimasto lontano dalla sua patria così a lungo che la semplice visione di una bellezza inglese gli giocava dei brutti scherzi? La foresta era un luogo oscuro, l’ambientazione ideale per la parte malvagia del racconto di un bardo, e ospitava troll e streghe, se si doveva credere alle favole.
Ma le favole non erano fatte per dei guerrieri più di quanto una giovane donna potesse trasformarsi in una fata. No, nell’immaginario di un guerriero la foresta era un posto per ladri e perdigiorno, e il miglior posto possibile per un’imboscata.
Il suo sesto senso gli diceva che non c’era nessun pericolo qui. Come incantata, questa foresta sembrava prendere vita nell’aura gioiosa di questa piccola, bellissima creatura. E lo percepiva anche lui, quel sentimento intenso di vita che pensava fosse andato perso da tempo. O forse non c’era mai stato.
La giovane andò a passo di danza verso un piccolo ruscello gorgogliante dove sollevò la tunica e saltò di roccia in roccia, ridendo quando gli uccelli la seguirono mentre gli scoiattoli, i conigli e i gattini restarono a guardarla dalla riva.
Sorrise. Dio santo. Si chiese quanto tempo fosse passato da quando qualsiasi cosa lo avesse toccato così profondamente. Conosceva la risposta – troppo tempo.
La giovane tornò alla radura, e ancora cantava e danzava. Al suo pubblico si erano aggiunte delle farfalle lucenti che svolazzavano nella foschia scintillante e un’anatra bianca e grassoccia con uno stuolo di soffici anatroccoli color burro che venivano su dal ruscello dondolando.
Non aveva mai visto niente del genere prima di allora. La ragazza raccolse la sua ghirlanda di fiori e se la mise al collo, poi piroettò di nuovo a braccia aperte e la ghirlanda si sollevò seguendo i suoi movimenti. La canzone ormai al termine prese un tono più alto, così tornò dove le felci erano fitte e gli alberi della foresta e il resto della vegetazione nascondevano alla vista lui e il suo destriero.
Canticchiando, la ragazza si avvicinò un po’ di più a passo di danza, fermandosi da una roccia dove raccolse un paio di scarpette rosse di pelle. Chiacchierò con gli animali mentre si toglieva le foglie dal pallido piede e si infilava la scarpa, poi appoggiò il piede sulla roccia per poter legare i lacci attorno alla caviglia più sottile che avesse visto da mesi.
Finì con l’altra scarpa e mise tutti i gattini in un cestino di vimini prima di raccogliere la ghirlanda, infilandosela al polso questa volta. Sollevò un lato del coperchio del cesto e parlò ai gattini chiamandoli per nome, nomi sciocchi e fantasiosi che lo fecero sorridere di nuovo. Si avvicinò a dove stava e quando si trovò a pochi metri da lui, appoggiò a terra il cesto, poi raccolse un mantello di lana scuro e se lo mise addosso, legandolo saldamente sotto il suo piccolo mento risoluto.
Si passò le dita tra i capelli fiammeggianti con un gesto che per poco non lo fece gemere ad alta voce, poi contemporaneamente sollevò lo sguardo. Era in piedi davanti a lui, completamente ignara della sua esistenza, cosa che lo fece sorridere perché in quel momento lui era ignaro di tutto tranne che di lei.
Il suo volto era prova della perfezione celeste – un naso piccolo, labbra di rosa e pelle del color crema pallido e scintillante che avevano le dune nel deserto. Ma furono i suoi occhi a colpirlo, gli tolsero il respiro come se fosse stato colpito da una lancia turca. Non erano gli occhi marrone scuro tipici del Medio Oriente, né erano occhi blu caratteristici degli Inglesi, o verdi come i Celti.
Erano lo stesso colore dorato e brillante dei fiori selvatici che aveva raccolto. Occhi gialli. Occhi selvaggi, pensò mentre la osservava girarsi e andare all’estremità opposta della radura.
Attese alcuni secondi, poi la seguì lentamente, usando il fitto boschetto di frassini e la pesante foschia come scudo. Arrivò presto al limitare della foresta e si trovò su un prato che profumava dolcemente di erba appena tagliata e si allargava in un campo di grano