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Il silenzio della morte
Il silenzio della morte
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E-book228 pagine3 ore

Il silenzio della morte

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Info su questo ebook

«Un thriller di cui diventerete ostaggi.»
Sarah Stevens

Nel parco giochi del complesso di case popolari di Hobfield, nel nord dell’Inghilterra, viene fatta una macabra scoperta: un sacchetto con delle dita mozzate, roba da impressionare anche il più navigato tra gli investigatori. Ma i due detective a cui è stato affidato il caso, l’ispettore Tom Calladine e il sergente Ruth Bayliss, non hanno tempo per la paura, e devono mettersi sulle tracce dell’assassino prima che tutto il quartiere venga sopraffatto dalla violenza. Potrebbe trattarsi di un regolamento di conti inscenato dal boss della droga Ray Fallon, ma l’istinto suggerisce a Calladine che il caso che ha per le mani è qualcosa di molto peggio, qualcosa che non ha ancora un nome. Riusciranno i due detective a rintracciare l’assassino prima che qualcun altro venga ucciso e che la stampa dia notizia di altri crimini dai contorni raccapriccianti? Calladine, Bayliss e il resto della loro squadra battono con perizia tutte le piste, in una continua corsa contro il tempo, fino a ritrovarsi su un sentiero che passa pericolosamente vicino a casa…

Il thriller poliziesco che ha conquistato l’Inghilterra

«Una lettura obbligata, una serie di cui diventerete ostaggi. I personaggi, l’ambientazione e la trama sono dettagliati e incredibili. Non vedo l’ora di leggere il prossimo.» 
Sarah Stevens

«Un detective-thriller che mi ha completamente affascinato. Calladine e Bayliss sono due partner davvero affiatati e il finale è sorprendente.» 
Beth Boyd
Helen H. Durrant
Ambienta i suoi libri nella zona in cui vive e lavora, il nordovest dell’Inghilterra, un luogo che la scrittrice conosce bene, e che si trova tra due contee, tra la città e le colline. Questo posto ricco di insediamenti industriali e scorci di lussureggiante campagna, è pieno di ispirazione per lei, tanto che è proprio qui che si muovono Calladine e Bayliss, i due detective protagonisti della serie thriller di successo.
LinguaItaliano
Data di uscita13 gen 2017
ISBN9788822704856
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    Anteprima del libro

    Il silenzio della morte - Helen H. Durrant

    1471

    Titolo originale: Dead Wrong

    Copyright © H.Durrant 2015

    Traduzione dall’inglese di Clara Serretta e Marta Lanfranco

    Prima edizione ebook: marzo 2017

    © 2017 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-227-0485-6

    Realizzazione a cura di The Bookmakers Studio editoriale, Roma

    www.newtoncompton.com

    Helen H. Durrant

    Il silenzio della morte

    Newton Compton editori

    Prologo

    Il fiume di ragazzi scalpitava, si riversava e si faceva largo sulla scalinata della scuola: l’aria era satura delle loro parolacce.

    «Ian! Bastardo che non sei altro!», gemette Gavin Hurst. «Mi hai azzoppato con quei tuoi maledetti stivali».

    Ian Callum Edwards diede all’amico una piccola spinta, mentre questi si chinava a massaggiarsi la gamba.

    «Eccolo», indicò allegramente, ignorando le lamentele di Gavin. «Andiamo a prenderlo».

    Il ragazzo in questione si era bloccato a metà della scalinata e li stava fissando, trepidante. Gavin Hurst e Ian erano due bulli, le cui attenzioni non erano affatto gradite, e lui era entrato nel loro mirino.

    «Che me ne frega di lui! Mi fa malissimo la caviglia», protestò Gavin, restituendo il favore all’amico e spingendolo contro il muro.

    «Fanculo il tuo piede! Andiamo da quel coglione e divertiamoci un po’». Ian lo guardò in cagnesco. «È stato per tutta l’ora in classe a scaccolarsi e mi ha fatto quasi venire da vomitare, quello schifoso di un ritardato!».

    David Morphet strinse nervoso i pugni e scese le scale, dirigendosi verso di loro, la faccia tutta rossa per lo sforzo.

    «Troppo faticoso per te, eh, ciccione?», lo provocò Gavin Hurst, mettendoglisi muso a muso, mentre lui cercava di svicolare. «Dov’è la tua guardia del corpo oggi? Finalmente si è stufata di starti appresso?»

    «Lasciatemi… in pace». A Morphet tremò la voce. «Perché se non lo fate, finirete in guai seri».

    «Sembra che il ciccione stia cercando di spaventarci», disse Ian a Gavin, che continuava a bloccare la strada a David. «Hai paura, Gav? Perché io no. Anzi, credo proprio che dovremmo dare a questo sfigato arrogante una bella lezione di buone maniere, che ne dici?».

    David chiuse gli occhi e chinò il capo. Stava sforzandosi di pensare. Suo fratello, Michael, gli aveva detto cosa dire a quei due, ma lui se l’era dimenticato.

    «Ti piacciono i miei stivali nuovi?», chiese Ian, alzando un ginocchio e schiacciandoglielo praticamente in faccia. «Li ho pagati poco. Economici e cattivi, ecco come sono». Gli mollò un calcio secco sugli stinchi.

    David Morphet gridò, aggrappandosi alla ringhiera della scala.

    «Non sei più così coraggioso, eh, ciccione? Se non c’è il fratellone a tenerti per mano».

    Un altro calcio, seguito da un paio di ceffoni.

    «Peccato che non abbiamo altra vernice; avremmo potuto fare un ottimo lavoro stavolta. Kelly non c’è, quindi non ci sarebbe stato nessuno a ripulirti. Che dici, ciccione, vuoi venire nel capanno del custode, così ne cerchiamo un po’? Possiamo colorarti di una sfumatura diversa… credo che staresti bene in verde». Scoppiò a ridere. «Verde cacca».

    David stava tremando. Spostò lo sguardo dall’uno all’altro. Dicevano sul serio? L’avrebbero davvero fatto di nuovo? Volevano ricoprirlo ancora con quell’orrenda vernice?

    «Se non mi lasciate in pace lo dirò a Sir». Si era finalmente ricordato la frase che suo fratello maggiore gli aveva insegnato.

    Ma quelle parole non ebbero l’effetto desiderato. I due scoppiarono a ridere ancor più sguaiatamente, poi cominciarono a tirargli i vestiti, facendogli uscire la camicia dalla cintura dei pantaloni e strappandogli i bottoni della giacca.

    «Quale Sir e Sir! Quel coglione che dice di essere il preside?», ruggì Ian, scuotendo il capo. «Una spremuta di sangue, quasi tutti. Non hanno palle. Credimi, ciccione, non ci faranno un cazzo, soprattutto non per parare il culo a un perdente come te!».

    Ian lo prese per la cravatta e cercò di farlo girare su se stesso. David tenne gli occhi incollati per terra per tentare di evitare i suoi stivali. Stava ansimando e aveva il respiro pesante. L’inizio di un attacco di asma. Aveva bisogno del suo inalatore, e presto.

    Non aveva abbastanza fiato per parlare, o per gridare, e si sentiva frastornato. Si guardò disperatamente attorno, in cerca di aiuto. Ma non c’era nessuno nei paraggi. Gli altri ragazzi tenevano Ian e Gavin a debita distanza. Non volevano avere a che fare con loro. Meglio rivolgere altrove lo sguardo.

    Gavin spinse David verso Ian, che lo fece girare di nuovo e lo rispinse all’amico. Erano tutti e tre in bilico su un paio di gradini. David Morphet era goffo di natura e nel giro di pochi minuti sarebbe di certo caduto.

    Tuttavia trasse un profondo respiro e cercò di scappare. Aveva intenzione di fare di corsa il resto della scalinata e di sfuggire così ai loro maltrattamenti, ma Gavin Hurst era troppo veloce per lui. Lo afferrò per un lembo della giacca e lo spinse di nuovo verso Ian. Questi però, invece di acchiapparlo, allungò un piede calzato dallo stivale e gli sferrò un calcio che lo fece volare di sotto, mandandolo a sbattere contro i restanti gradini.

    Capitolo 1

    Sentiva freddo, freddo fin nelle ossa, e dolore. Delle fitte acute che gli attraversavano il braccio. E poi aveva le dita intorpidite. Lì non sentiva alcun dolore. Girò il capo, solo un po’, e cercò di mettere a fuoco. Doveva darci un taglio e risolvere il problema che aveva alla mano.

    Sbatté le palpebre; impossibile che stesse accadendo davvero. Era nudo, in piedi, in quello che sembrava un seminterrato dalle pareti di pietra. Com’era finito lì? Aveva un vuoto. Scansionò i propri ricordi, ma niente. Era legato a qualcosa di freddo e duro attaccato alla parete. Prese a strattonare qualsiasi cosa fosse quella che lo stava tenendo bloccato, cercando di urlare. Non funzionò: aveva la bocca tappata con un pezzo di tessuto dal sapore rancido.

    Chinò il capo, portando il mento verso il petto per qualche secondo. Aveva bisogno di capirci qualcosa, ma la testa gli girava. Forse stava sognando. Forse si era preso della robaccia e adesso aveva le allucinazioni. Al suo migliore amico succedeva abbastanza spesso. Quello stupido coglione era sempre fuori di testa, e ora toccava a lui. Doveva essere così. Fece un respiro profondo e si girò di nuovo per guardare la fonte di quel dolore. Questa volta fu più facile e riuscì a vederla con chiarezza. Non era un sogno, niente affatto.

    Strabuzzò gli occhi, incredulo. Era un incubo. Tutte le dita della mano destra erano sparite.

    Il movimento distrasse l’uomo con la tuta di velina bianca, che alzò lo sguardo. Il tizio trasalì e i loro occhi si incrociarono. Chi era e da dove sbucava? Perché era vestito in quel modo e perché gli stava facendo questo? L’uomo era in piedi al centro del seminterrato e sembrava stesse leggendo un giornale – il quotidiano locale? Sfogliava rapidamente le pagine, sempre più arrabbiato. Perché? Che cosa si aspettava di trovarci scritto?

    «Non c’è niente», gridò l’uomo. «Sono dei maledetti incapaci… ancora non si parla di nessuni di voi due». Gettò il giornale per terra, osservando la carta di infima qualità inzupparsi dell’urina che si era raccolta in una fetida pozza sotto i piedi del giovane. «Lo sai che cosa significa?», incrociò le braccia al petto. «Significa che non è servito a niente. E che la situazione rimarrà la stessa, a meno che non cambi tattica».

    Quell’uomo doveva essere un pazzo, ma un pazzo intelligente, perché ci voleva qualcuno con un insolito talento per metterlo all’angolo. Doveva uscire di lì… e in fretta.

    «Stai fermo, idiota! Ho bisogno di pensare», abbaiò l’uomo alla figura nuda, che cercava di divincolarsi. «La stampa non può ignorarlo. Non glielo permetterò», assicurò. «E per quanto riguarda i tuoi familiari», lo derise, «sembra incredibile, ma ancora nessuno sente la tua mancanza». Portò le mani ai fianchi e si avvicinò al prigioniero. «Triste, eh? Nemmeno quella bionda tinta dalle labbra sottili che sostiene di essere tua madre si è preoccupata di andare a cercarti».

    Per chi l’aveva scambiato quel pazzo? Di solito la gente non si comportava così con lui e la cosa stava cominciando a farlo arrabbiare. Voleva urlargli una risposta, gridargli contro, prenderlo a pugni e scaraventare quel bastardo al suolo. Nessuno poteva rivolgersi a lui in quel tono, nessuno avrebbe osato farlo. Ma non ci riusciva… era inerme.

    «Di certo qualcuno là fuori si starà chiedendo che cosa ti è successo», lo provocò. «Non c’è qualcuno che si domandi come mai non sei più in quei vicoli a vendere erba?».

    Che stupidaggine… come aveva fatto a cacciarsi in un simile casino? Il tizio chiuse gli occhi, aveva bisogno di pensare. Lui cercò di rassicurarsi, di pensare che andava tutto bene. Ma andava davvero tutto bene? No, se nessuno sapeva che era lì non andava affatto bene.

    «Non doveva andare così», disse a bassa voce il suo aguzzino. «Vedi, mi aspettavo un po’ di pubblicità. Anzi un bel po’ di pubblicità. Mi aspettavo che il giornale locale cominciasse subito a farsi delle domande. La gente non sparisce tutti i giorni, nemmeno in questo complesso di case popolari dimenticato da Dio. Quindi, dimmi, dove cazzo sono i titoli in prima pagina, ragazzaccio?».

    Con quella pezza in bocca, ovviamente non poteva rispondergli, così si limitò a gorgogliare qualcosa e a strattonare di nuovo i legacci.

    «Non avevo mai fatto niente del genere prima», gli confidò il suo aguzzino, avvicinandosi ancor di più all’altro tizio. «Quindi sono destinato a fare degli errori. In fatto di omicidi, sono solo un dilettante. Che ne pensi? Forse devo solo provare ad andarci pesante?».

    Il dolore, la rabbia e quella filippica erano davvero troppo, così scivolò di nuovo in uno stato di semincoscienza.

    «Mi sveglierei se fossi in te», furono le parole che lo riscossero. La testa del ragazzo ciondolò di nuovo, e l’altro ghignò: «Svegliati, oppure ti perderai tutto il divertimento».

    Il ragazzo si sforzò di rimanere cosciente. Cazzo, aveva proprio bisogno di restare lucido, solo che il dolore era straziante.

    «Vabbè, mi sa che dovrò cominciare senza di te».

    Ancora qualche ghigno da parte del pazzo, poi sentì il fiato di quel bastardo sulla mano ferita.

    «Non importa, ancora non mi sono occupato dell’altra». E la sghignazzata si trasformò in una risata demoniaca.

    Il suono arrivò fin nelle viscere del ragazzo.

    «Temo che sia necessario farlo, e poi te lo meriti. Tu e gli altri dovete essere puniti».

    Puniti… ma che stava succedendo? Ma per che cosa? Non aveva mai fatto niente di simile a nessuno, non ci era andato nemmeno vicino. Se avesse potuto, avrebbe fatto parlare quel bastardo, ma per come stavano le cose, probabilmente non avrebbe mai saputo.

    Il tizio era in piedi, legato a delle travi, imbavagliato e quasi del tutto incosciente. Un altro debole gemito oltrepassò la lurida pezza che gli copriva la bocca. Cercò di muovere gli arti strattonando i duri cavi che li tenevano legati, ma il movimento glieli fece penetrare più a fondo nella carne, acuendo il dolore.

    «Sono giunto alla conclusione, verme che non sei altro, che a questo punto occora qualcosa di più eclatante», disse la voce in tono strascicato. «Devo fare qualcosa che di sicuro attirerà l’attenzione». Le sue parole erano dirette a quella massa floscia e tremante, come se si aspettasse un suggerimento. «Tenerti qui non è abbastanza».

    Il ragazzo sentì improvvisamente caldo, la febbre forse? La voce del suo aguzzino sembrava lontana e tutt’a un tratto più lieve. Per caso si era reso conto che era tutto un errore? Lo avrebbe lasciato andare?

    «Sai che c’è? Hai già causato molti guai quando eri libero e quindi nessuno ti rivuole indietro. O almeno, se così non è, non hanno intenzione di farne parola né con la polizia né con nessun altro».

    Il ragazzo avrebbe voluto spegnerlo, come se fosse un fastidioso insetto che gli ronzava nelle orecchie. Ovviamente si era aspettato molto di più di quel silenzio. Doveva essersi aspettato che tutto quel maledetto complesso popolare si sarebbe sollevato per mettersi a cercarlo. Di sicuro faceva affidamento sul fatto che sarebbe stata coinvolta la stampa. Eppure non era accaduto niente di tutto ciò. Se la situazione non fosse stata così raccapricciante, gli sarebbe scoppiato a ridere in faccia.

    Guardò l’uomo con la tuta bianca strofinarsi la testa come se stesse cercando di dar forma a un’idea, di far uscire il genio dalla lampada. Sarebbe stato doppiamente pericoloso a quel punto. Voleva dei risultati e stava perdendo la pazienza. Lo sguardo, il linguaggio del corpo, il ragazzo li aveva riconosciuti. Il suo aguzzino stava sobbollendo, pronto a esplodere. Pochi secondi dopo le sue deduzioni trovarono conferma: l’uomo afferrò un martello dalla panca di metallo e ve lo abbatté con violenza inaudita. Si udì un suono rimbombante e il ragazzo trasalì per il terrore. La volta successiva si sarebbe potuto abbattere sulla sua testa.

    Non aveva importanza che fosse fissato saldamente ai legacci: tremava dalla paura. Tuttavia, l’acuto stridio del metallo contro il metallo servì a schiarirgli la mente. Provò a mormorare qualcosa, qualche parola che potesse fare appello all’indole migliore di quel bastardo, ma la pezza trasformava tutto in un indistinto mugugno.

    «Nessuno si è ancora accorto della sua scomparsa». Il rapitore lanciò un’occhiata al mucchio accasciato in un angolo del seminterrato. «Non posso aspettare per sempre che si accorgano anche della tua sparizione».

    Quindi aveva preso anche il suo amico. Cercò di spingere la pezza fuori dalla bocca con la lingua e mormorò a voce più alta. Tossì. Non mangiava né beveva da giorni, gli sembrava. Aveva la bocca così asciutta che la pezza gli si attaccava ai denti, ormai quasi solida e rancida. Voleva spiegare che si sarebbero accorti della sua sparizione, sia gli altri suoi amici che Kelly, si sarebbero preoccupati per lui.

    «Nessuno pensa a voi due. Non trovi che sia abbastanza triste?».

    Stava disperatamente cercando di liberarsi, strattonando i legacci con sempre maggior forza. La sua ultima speranza era Kelly. Sapeva che sarebbe stata in pensiero. Andava sempre a cercarlo quando spariva. Ma avrebbe fatto in tempo?

    Aveva paura, ma non era quella l’unica ragione per la quale stava tremando. Il suo corpo a quel punto stava facendo i conti con l’astinenza da eroina. Perché quel maledetto bastardo non lo lasciava andare? Lui non c’entrava niente. Qualsiasi cosa avesse fatto, di certo non si meritava un trattamento del genere.

    Aveva cominciato a tremare e la situazione non poteva far altro che peggiorare. Di solito niente lo spaventava, ma adesso era terrorizzato. Non sapeva per quanto tempo sarebbe rimasto lì; non era rimasto sempre cosciente, ma era certo che non sarebbe uscito vivo di lì, non senza un cazzo di miracolo.

    Osservò l’uomo con la tuta bianca intento a studiare una sfilza di oggetti posati sulla panca di metallo. Strabuzzò gli occhi e riuscì a identificare molta della roba che c’era lì sopra: il contenuto di una qualsiasi cassetta degli attrezzi, più alcuni altri arnesi che lui di solito usava in giardino. Con un po’ di sollievo, notò che non c’erano pistole. Peccato, sarebbe stato tutto più rapido.

    Ebbe una stretta allo stomaco quando l’uomo afferrò delle robuste cesoie e con le mani guantate di lattice prese a sfiorarle. Dovevano essere affilate, ragionò il ragazzo con un brivido. Erano quelle che aveva usato per tagliargli le dita della mano destra? Osservò il suo aguzzino prendere un panno e ripulire con meticolosa cura le cesoie. Forse, e aveva la netta sensazione che presto le avrebbe di nuovo usate.

    «Mi lascerai presto», furono le successive parole che il giovane udì. Ad accompagnarle il rumore secco delle cesoie che tagliavano un piccolo cilindro di legno. Evidentemente soddisfatto, si avvicinò al suo prigioniero.

    «Non fingerò che non sia così, di certo farà male. Ma ho bisogno delle tue dita per il mio piccolo piano. Tu vuoi uscire da questo posto e liberarti di me, giusto?».

    Sì, ma non così. Il ragazzo scosse il capo in maniera convulsa. Si dimenò più che poté nel tentativo di divincolarsi. Riuscì a stringere un debole pugno la mano buona, strattonando forte le travi a cui era legato. Fu solo in grado di gemere attraverso la pezza, mentre i legacci gli si conficcavano ancor più a fondo nelle braccia sottili. Sentì qualche goccia di sangue caldo sui polsi e

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