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La guerra dei Narcos
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E-book144 pagine2 ore

La guerra dei Narcos

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Ascesa e caduta di Pablo Escobar e del cartello di Cali

Negli anni Ottanta la Colombia è stata attraversata da una spirale di violenza mai vista prima. Una guerra tra potenti organizzazioni criminali, grandi cartelli della droga raccolti intorno ai loro capi indiscussi. Da una parte il famigerato Pablo Escobar, boss del cartello di Medellín, operante anche in altri Paesi, e dall’altra i fratelli Gilberto e Miguel Rodríguez Orejuela, del cartello di Cali. Gli appartenenti alle due fazioni si resero protagonisti di sequestri di persona, estorsioni, traffico di droga e di armi, sfruttamento della prostituzione. Escobar e i suoi uomini, in particolare, riuscirono a creare una rete che dall’America Latina arrivava all’Europa, passando per il Canada e gli Stati Uniti. Lo Stato in quegli anni era in ginocchio e incapace di reagire. Con un’analisi puntuale e ricca di documenti inediti, Ron Chepesiuk racconta il dietro le quinte di una guerra spietata, un conflitto epocale che ha lasciato una tragica scia di morte.

La storia della più sanguinosa guerra tra cartelli della droga

Dal cartello di Medellín a quello di Cali, una rete mondiale di crimini, droga, intrighi politici e sangue

«Se pensate di sapere tutto su Escobar e la sua organizzazione leggete questo libro. Vi ricrederete.»

«Un libro che racconta nei dettagli, anche crudi e violenti, cosa è realmente accaduto in Colombia in quegli anni.»
Ron Chepesiuk
è scrittore, giornalista, sceneggiatore e produttore di documentari. È stato ricercatore in Bangladesh e in Indonesia e come reporter ha viaggiato in oltre 35 Paesi, intervistando importanti personalità. È stato consulente per una serie TV andata in onda su History Channel. Dal 2011 è conduttore del popolare show radiofonico Crime Beat.
LinguaItaliano
Data di uscita23 giu 2017
ISBN9788822712448
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    Anteprima del libro

    La guerra dei Narcos - Ron Chepesiuk

    Prologo

    La faida tra i due cartelli della droga più potenti della storia crebbe nel corso del tempo. A far esplodere la miccia fu l’odio reciproco tra i boss della droga Pablo Escobar e Helmer Pacho Herrera. Nel gennaio del 1988, Pablo Escobar controllava saldamente il cartello di Medellín ed era ancora considerato il criminale più pericoloso al mondo. Due anni prima il presidente colombiano, Virgilio Barco, aveva applicato il trattato di estradizione tra Colombia e Stati Uniti, dopo le feroci e violente campagne lanciate dallo spietato Escobar che avevano portato alla morte di centinaia di funzionari governativi e innocenti cittadini colombiani.

    Pacho Herrera era uno dei quattro fondatori del cartello di Cali, rivale del cartello di Medellín, la cui ricchezza e forza era cresciuta costantemente mentre Escobar sfidava il governo. Dopo un breve periodo trascorso in carcere negli Stati Uniti, nel 1983 Herrera tornò a Cali, in Colombia, e negoziò un accordo con i cofondatori del cartello di Cali (i fratelli Gilberto e Miguel Rodríguez Orejuela e José Chepe Santacruz Londoño) per i diritti di fornitura e distribuzione, che gli consentì di fondare una base a New York. In riconoscimento della sua importanza per il cartello di Cali, Herrera divenne membro del suo consiglio di amministrazione, e si dimostrò ai soci di inestimabile valore quando, grazie ai suoi contatti, il cartello si aprì al Messico.

    Pablo Escobar era arrogante e prepotente, mentre Herrera era testardo e tenace. Arrivarono a odiarsi per ciò che potrebbe sembrare una questione di poco conto: una disputa per un uomo che lavorava per uno dei fornitori di Escobar a New York. Nel periodo trascorso in carcere all’inizio degli anni ’80, Herrera fece amicizia con un colombiano, Piña, che lavorava per Jaime Pabón, uno dei maggiori fornitori di cocaina per conto di Escobar. Piña fece però arrabbiare Pabón quando ebbe una storia con un membro della sua famiglia. Costretto a fuggire, Piña cercò la protezione dell’organizzazione di Herrera.

    All’inizio Pacho Herrera era titubante all’idea di assumere Piña, perché sapeva che Pabón era un collaboratore stretto del potente e violento Escobar. Non sentiva il bisogno di infastidire El Patrón, Il Boss, come veniva chiamato Escobar.

    Pabón non era però soddisfatto e non lo sarebbe stato fin quando non avesse ucciso Piña per aver disonorato la sua famiglia. Chiese aiuto a Escobar. Nessun problema. Escobar immaginò che chiamare Chepe Santacruz e lamentarsi per la protezione offerta da Pacho Herrera a Piña sarebbe bastato a persuadere lui e gli altri capi del cartello di Cali a ricorrere al loro ascendente su Herrera, inducendolo a consegnare Piña a Pabón.

    I fratelli Rodríguez, Pacho Herrera e Santacruz si incontrarono. Sapevano a cosa andavano incontro sfidando Pablo, ma decisero che fare fronte comune era la miglior reazione alle sue minacce. «Noi non abbiamo niente contro Piña», fu la loro risposta concisa a Escobar.

    Piña però non lasciò perdere e mentì a Escobar, dicendogli: «Il cartello di Cali vuole sequestrarti». Escobar, furioso, chiamò Herrera e pretese che Piña si arrendesse a Pabón entro ventiquattro ore, altrimenti avrebbe ucciso l’intera famiglia di Herrera. Invece di sentirsi minacciato, Herrera considerò la richiesta di Escobar come un’offesa al proprio onore. Ci sono volte, nel sanguinario mondo del narcotraffico, in cui l’onore ha la precedenza sugli affari. Herrera chiamò suo fratello Ramón, che gestiva la sua cellula di spaccio a New York, e gli ordinò di assumere Piña immediatamente.

    Gilberto Rodríguez Orejuela provò a calmare gli animi contattando personalmente Escobar e cercando di convincerlo del fatto che le loro rispettive organizzazioni non sarebbero dovute entrare in guerra per una questione da nulla come la sorte di un lavoratore di basso livello del Queens. Ma nessuna delle due parti voleva arretrare.

    Le città di Cali e Medellín distano poco più di 400 chilometri e per i narcotrafficanti sembrava impensabile – persino imprudente – sfidare Escobar, indipendentemente dalla loro forza. Il Boss si sentiva al sicuro nel suo magnifico palazzo di otto piani a Medellín. Conosciuto come Edificio Mónaco, al suo interno vi erano dipinti di Botero, Picasso e altri maestri, dal valore milionario. Si distingue per i pavimenti in marmi di importazione, per la struttura in cemento armato e per esser stato il primo edificio in Colombia a dotarsi di un sistema di videosorveglianza. Vi era inoltre un bunker sotterraneo e un’elisuperficie sul tetto sorvegliata da guardie armate, pronte a portar via Escobar in tutta fretta in caso di attacco da parte delle autorità o dei suoi nemici.

    I capi del cartello di Cali tentarono di uccidere El Patrón inviando a Medellín uno dei loro tirapiedi più leali, Andrés Freckles Vélez, con un’autobomba piena di dinamite. Si diceva che Vélez avesse ucciso uno dei suoi fratelli per aver tradito il cartello di Cali. Vélez parcheggiò la sua auto sotto l’edificio Mónaco, credendo che Escobar e la sua famiglia stessero dormendo nell’attico. Ma proprio quella sera, dopo aver cenato con la famiglia, Escobar decise di raggiungere la sua villa, a poco più di quindici chilometri da Medellín. La città venne scossa da una forte esplosione. La bomba fu così potente che la maggior parte dei cittadini la udì deflagrare.

    L’esplosione uccise due guardie della sicurezza, ferì diverse persone e lasciò un cratere di quattro metri di profondità e sei di larghezza fuori dall’edificio. María, la moglie di Escobar, e i loro due figli sopravvissero per miracolo, ma l’esplosione rese parzialmente sorda Manuela, la figlioletta più piccola che dormiva in una culla.

    Due gruppi di destra rivendicarono all’istante la responsabilità dell’attacco, dichiarando che era loro intenzione liberare Medellín da criminali e narcotrafficanti. Ma il Patrón non aveva dubbi su chi vi fosse davvero dietro l’attacco. Gilberto Rodríguez Orejuela chiamò Escobar circa mezz’ora dopo l’esplosione.

    «Ho saputo dell’esplosione, Pablo», disse Gilberto. «Va tutto bene?».

    Escobar fece finta di niente, ma già pensava a come ottenere vendetta. Sospettava da tempo che dei suoi rivali non ci si potesse fidare.

    Sulla scia dell’attacco, Escobar inviò a Cali dei sicari per scovare e uccidere i suoi nemici. Ritenendo che la miglior difesa fosse l’attacco, i capi del cartello di Cali inviarono sicari a Medellín.

    La guerra dei cartelli era iniziata.

    1. L’ascesa di El Patrón

    A metà degli anni ’70 nessuno, in Colombia, avrebbe potuto immaginare una guerra tra bande rivali che arrivasse a minacciare la sicurezza dello Stato e a terrorizzare i suoi abitanti. A quel tempo i narcotrafficanti trasportavano poche centinaia di chili di cocaina alla volta, non le tonnellate che sarebbero divenute la normalità negli anni ’80. I boss della cocaina della metà degli anni ’70 non si affidavano a navi, barche e tir, bensì ai corrieri – individui che trasportavano la droga negli Stati Uniti nascondendola nella suola delle scarpe, in valigie a doppio fondo, nei peluche o in altri contenitori. La cocaina veniva sigillata ermeticamente in buste di plastica e impacchettata, in genere, in unità da mezzo chilo. Di solito i corrieri erano dei colombiani reclutati mentre richiedevano il visto per entrare negli Stati Uniti. Si ritiene che alcuni dei futuri baroni della droga, come Pablo Escobar e José Santacruz, abbiano iniziato come corrieri. I pochi contrabbandieri catturati dalle autorità statunitensi venivano semplicemente estradati in Colombia, dove di rado erano perseguiti dalla legge.

    A metà degli anni ’70 era l’eroina, non la cocaina, la principale droga illegale sui radar della dea. Tuttavia, i tempi stavano cambiando. Per gran parte del xx secolo, la cocaina era stata soprattutto la droga delle élite, della scena jazz e di quella hollywoodiana: per effetto del suo costo elevato era conosciuta come lo champagne delle droghe. La cosiddetta rivoluzione psichedelica di quegli anni ravvivò l’interesse verso le droghe di qualsiasi tipo e la cocaina iniziò a essere considerata uno sballo relativamente sicuro. Allo stesso tempo, la mancanza di interesse della dea rifletteva l’atteggiamento del governo statunitense a tutti i livelli verso la cocaina. Nel settembre del 1975, per esempio, una task force antidroga voluta dal presidente Gerald Ford presentò un rapporto in cui si affermava che «la cocaina non crea dipendenza fisica e in genere non dà origine a conseguenze sociali di rilievo, quali criminalità, ospedalizzazione o entrambe». La task force consigliò alle forze dell’ordine di concentrare i propri sforzi su droghe che si riteneva esponessero a maggiori rischi, quali l’eroina, le anfetamine e i barbiturici.

    Il quadro offerto dalle statistiche ufficiali era però diverso. Nel 1974, 5,4 milioni di statunitensi ammetteva di aver fatto uso di cocaina almeno una volta. Mentre le forze dell’ordine continuavano a concentrarsi sull’eroina, si ebbe alla fine degli anni ’70 un’impennata nelle statistiche di uso della cocaina. Secondo una stima, nel 1979 almeno il 20% degli statunitensi aveva assunto cocaina nell’anno precedente e il 7,3% ne aveva fatto uso nel mese precedente.

    Nemmeno il governo di Jimmy Carter, dopo che questi assunse la carica di presidente nel 1976, prese sul serio l’uso e l’abuso di cocaina. «La cocaina […] È la più innocua delle droghe attualmente in circolazione», scriveva il dottor Peter Bourne, consulente del presidente Carter sull’abuso di droghe e suo assistente speciale in materia di salute. «Essendo una droga a breve durata d’azione, che non crea dipendenza fisica e provoca un piacere intenso, la cocaina sta diventando sempre più popolare a qualsiasi livello socioeconomico». L’atteggiamento benevolo del governo dettò legge.

    «Quando l’opinione pubblica vide funzionari governativi come Bourne minimizzare i rischi della cocaina, pensò: Ehi, la cocaina è una droga a uso ricreativo. Non ho nulla di cui preoccuparmi», raccontò Michael Kuhlman, agente in pensione della dea, in cui era entrato nel 1970.

    Se, da una parte, lo Zio Sam non capì che una nuova tendenza sociale si andava diffondendo negli Stati Uniti, dall’altra la Colombia divenne rapidamente il fulcro del narcotraffico in America Latina e la cocaina prese il posto dell’eroina come droga preferita negli Stati Uniti. I criminali colombiani, di stanza principalmente a Medellín e Cali, si trasformarono ben presto da anonimi trafficanti in potenziali boss della droga. Alla fine degli anni ’70 il narcotraffico esplose e la cocaina, dati gli alti margini di profitto, iniziò a superare la marijuana nelle preferenze dei contrabbandieri.

    Gli enormi profitti realizzabili con la cocaina incoraggiarono la crescita di reti di trafficanti ben organizzate e dinamiche. Se prima ricorrevano ai corrieri per introdurre illegalmente i propri prodotti nel mercato, successivamente, per soddisfare la richiesta sempre maggiore, iniziarono a

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