L’amore non ha rivali
Di Bella Jewel
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Info su questo ebook
Bella Jewel
è un'autrice bestseller di USA Today. Ha cominciato a pubblicare libri ad alto tasso di romanticismo nel 2013 e da allora non si è più fermata. Vive nel Queensland, in Australia, con il marito e le due figlie.
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Anteprima del libro
L’amore non ha rivali - Bella Jewel
Capitolo 1
Dove tutto ha inizio
«Quelle scarpe ti stanno davvero bene, Tia», sorride la mia migliore amica Autumn, con gli occhi che scintillano di malizia.
Lancio uno sguardo alle mie décolleté rosse. Sono davvero spettacolari. E con il tubino stretto e nero con la schiena nuda e i capelli biondi che mi ritrovo, spero proprio di attirare un bel po’ di attenzioni maschili, stasera. La diga è asciutta, se capite quello che intendo. Sono passati mesi dall’ultima volta in cui mi sono portata a letto un uomo, e la disperazione alla fine ha avuto la meglio su di me, affondandomi dentro i suoi artigli.
È ora di farsi una scopata.
«Andrai alla grande», commenta Autumn, raccogliendosi i lunghi capelli biondi in cima alla testa.
«E anche tu. Dannazione», esclamo, con un fischio. «Chi ti ha dato quelle gambe?».
Lei si gira verso di me, offrendomi il suo migliore sorriso da rimorchio, e comincia a canticchiare: «Le ho avute dalla mamma, le ho avute dalla mamma».
Rido e mi passo le mani sui lisci e folti capelli. Sono biondi: non biondo chiaro, ma neanche biondo scuro. Un po’ color miele. Ho gli occhi nocciola, niente di speciale, ma stanno bene con la mia pelle olivastra. E questi capelli, sebbene li adori, mi causano anche tanti problemi.
Tanto per cominciare, sono troppo lisci. Insomma, avanti, neanche un’onda piccola piccola?
E poi, sono folti. Proprio tanto folti. Di quelli che servono due cerchietti per tenerli a posto.
«Sei pronta?», mi chiede Autumn, facendomi tornare al presente e smettere di imbronciarmi allo specchio.
«Pensi che dovrei lasciarli sciolti?», le domando.
Lei alza gli occhi al cielo. «Certo che sì. I capelli sono la tua carta vincente».
«Ehi», protesto. «Ho anche un bel sedere».
Lei ride e mi prende a braccetto. «Andiamo, Tia, dobbiamo trovarti un partner».
Certo che sì.
«Puttana miseria, ma quello è Reign Braxton».
Mi giro verso l’uomo che ha catturato l’attenzione di Autumn appena pochi minuti dopo essere entrate nel locale e aver preso da bere. Aggrotto le sopracciglia e annuisco, colpita. È il proprietario di un’immensa catena di locali Blue Candy sparsi in tutto lo Stato. È ricchissimo e anche stupendo.
Ho anche sentito dire che sia bravo a letto. Ma bravo sul serio.
«Sì, è proprio lui», esclamo, alzando la voce al di sopra della musica, attenta a non versarmi addosso il mio Martini.
«Dovresti andare a parlarci», commenta Autumn. «Pensa come dev’essere bravo a letto».
Annuisco, imbronciando le labbra e pensandoci su. Poi, stringendomi nelle spalle e pensando un grande al diavolo, punto verso di lui, sentendo alle mie spalle lo strillo deliziato di Autumn.
Se lo chiedete a me, ho fatto la scelta giusta. Reign è seduto al bancone e parla con il barman, che sembra uno a cui abbiano appena ficcato un ananas molto su per il culo.
Uh-oh, qualcuno è nei guai.
Mi fermo accanto a Reign e mi appoggio al bancone. Come avvertendo la mia presenza, lui si gira, e, santo cielo, è come se mi facesse scappare via le mutandine con un solo sguardo. Perché sanno di non essere affatto utili, in questo momento. Schiudo le labbra, sussultando, mentre lo osservo da vicino. Vederlo in televisione già fa effetto, certo, ma così… così vicino… guardandolo dritto in faccia… be’, è tutt’altra storia.
I suoi occhi sono come oro liquido e scintillano di perfezione maschile allo stato puro. Ha la mascella squadrata, il naso appena storto. Deve aver combattuto la sua buona dose di risse, nella vita, ma quel tratto sembra perfetto per i suoi lineamenti duri e maschili. Ha una piccola cicatrice sopra il labbro superiore, ma non fa nulla per rovinare l’aspetto generale. Anzi, lo fa sembrare ancora più pericoloso. Porta i capelli arruffati, come se li avesse pettinati solo con le dita prima di uscire.
Indossa un completo, però si è tolto la giacca e ha arrotolato le maniche della camicia bianca e immacolata. I due bottoni più in alto sono aperti e rivelano la pelle liscia e dorata. Con la mano che trema, mi costringo a scostare gli occhi da lui e faccio scivolare il bicchiere verso il barman, anche lui ancora piuttosto scosso. Lui porta gli occhi azzurri su di me, con un’espressione grata.
«Un altro?», mi chiede.
«Sì, grazie».
Il ragazzo si gira e corre a preparare il cocktail e io mi siedo, fingendo di non avvertire la presenza del signor Sciogli-Mutande accanto a me, che continua a fissare il mio profilo.
«Vieni spesso qui?».
Alzo gli occhi al cielo. Avrà pure una voce sexy come non mai, però quelle parole sono così… banali.
«No», rispondo, senza guardarlo.
«Per caso hai appena alzato gli occhi come se ti avessi esasperato?».
Mi giro a guardarlo. E mi ritrovo di nuovo senza fiato.
«Per caso hai appena usato con me la classica battuta Vieni spesso qui
?».
Lui stringe gli occhi. Gesù, guarda che faccia cupa. Dà l’idea di essere sul punto di stendermi sulle sue ginocchia per sculacciarmi. «Ce l’hai un nome?»
«E tu?», ritorco, con un sorrisetto spavaldo.
Lui non risponde al sorriso. Oh, scusa tanto.
«Te l’ho chiesto prima io».
Che bambino.
«Mi chiamo Candy».
Lui sbuffa. «E il tuo vero nome?»
«Jennifer».
«No, quello vero».
Sposto una ciocca di capelli dietro l’orecchio e gli lancio un’occhiataccia. «E come fai a sapere che non è il mio vero nome?»
«Hai esitato», mi risponde con semplicità.
«Ho bevuto un po’ troppo, forse».
Lui scuote la testa. «Tutti sanno il proprio nome, ubriachi o sobri che siano. Perciò te lo chiedo di nuovo, come ti chiami?»
«Leila».
Lui butta fuori un lungo sospiro esasperato. «Ma hai qualche problema mentale?»
«Cosa?», esclamo, sgranando gli occhi. «No, non ho problemi mentali».
In tono duro, ringhia tra i denti. «E allora dimmi come ti chiami, cazzo».
«Qualcuno qui ha bisogno di scopare», borbotto.
«Prego, il suo drink, signorina», interviene il barman, tornando.
Porta lo sguardo nervoso su Reign, mentre lo pago, poi fugge di nuovo prima che la ramanzina che si stava beccando ricominci.
Lo guardo allontanarsi e poi brontolo: «Sei sempre così cattivo con i tuoi dipendenti?»
«Cosa ti fa pensare che fossi cattivo con lui?», mi domanda, senza guardarmi. Sta fissando il whisky che ha davanti.
«Sembrava sul punto di scoppiare a piangere, quando gli stavi parlando».
«È stato beccato a scopare sul lavoro».
La mia bocca forma una o di stupore. «Sul serio? Scopare?».
I suoi occhi dorati tornano su di me. «Sul serio. E sul mio bancone».
Annuisco, colpita. «Che uomo».
Reign mi lancia un’occhiata di fuoco.
«Che c’è?», domando, alzando le mani.
«Pensi che sia una bella cosa scopare sul posto di lavoro?»
«No», dichiaro, sorseggiando il Martini. «Ma, a mia discolpa, devo dire che mi sembrava molto eccitante, ed è parecchio tempo che non mi capita di essere scopata su un bancone».
Wow, quegli occhi dorati si sono appena riempiti di lussuria.
«Sei sempre così diretta?».
Mi stringo nelle spalle. «Non è la mia migliore qualità».
«Ma neanche la peggiore, direi», mormora lui.
Oh, cielo.
«Quindi», continua Reign, in tono basso e roco, «vuoi dirmi il tuo nome, alla fine?»
«Tiani», riesco a rispondere, prendendo un altro sorso di Martini.
Questa volta non mette in dubbio che sia il mio vero nome. Accidenti a lui.
«Come hai capito che stavolta non era finto?», gli domando, girandomi verso di lui e accavallando le gambe.
Lui fa scivolare lo sguardo lungo il mio vestito, sulle gambe e fino alle scarpe.
«Non hai esitato», dichiara. «Belle scarpe».
Mantieni la calma, Tiani.
«Allora, che ci fa un uomo come te seduto qui tutto solo?».
I suoi occhi tornano infine a cercare i miei. «La stessa cosa che fai tu, suppongo».
«Cerchi qualcuno da portarti a letto?».
Ancora gli occhi carichi di lussuria.
«Esatto», risponde, a denti stretti.
«Be’, non mi sembra che tu ci stia provando molto, però, o sbaglio?».
Reign si stringe nelle spalle. «Non sono mai stato molto bravo a rimorchiare».
«Come mai?», indago.
«Perché sono stato con una donna per sette anni».
Oh, e così Reign è il tipo da storie serie. Interessante.
«E ora…?», domando, lasciando a metà la frase.
«E ora si scopa l’assistente personale del sottoscritto».
«È lesbica?», esclamo. «Cavolo. Che troia».
Lui sbuffa. «Il mio assistente personale era un uomo».
Ohhhhh.
Poveretto: la moglie è scappata con il suo assistente personale. Che colpo basso.
«Be’, brutta storia. E quando dici era, intendi…». Non termino la frase, guardandolo.
«Intendo che l’ho licenziato, e l’ho privato della sua virilità».
Sgrano gli occhi, con un sorrisetto cattivo. «Gli hai tagliato via il pene?».
Lui inarca un sopracciglio. «Sto mettendo di nuovo in dubbio la tua sanità mentale».
«Be’», controbatto, incrociando le braccia sul petto, «come altro puoi privare un uomo della sua virilità, scusa?»
«L’ho picchiato brutalmente davanti alla stampa».
Cavolo, e questa come ho fatto a perdermela? Dovrei guardare più televisione.
«E poi ho detto a tutti che si era scopato la mia fidanzata».
Ahi.
«L’hai bruciato anche a livello professionale, insomma».
«Qualcosa del genere».
«Quindi…». Lascio la frase in sospeso.
«Hmmmm».
«Sai», comincio, per poi prendere un respiro profondo. «Potrei aiutarti, ora come ora. Potrei farti avere una donna nel giro di… dieci minuti».
Mi lancia un’occhiata. «Non ti porto a letto, sappilo. Non sono ancora convinto che tu non abbia qualche strano disordine mentale».
«Ehi», sbotto, incrociando le braccia. «Per tua norma e regola, sono perfettamente sana. E comunque non avevo alcuna intenzione di andare a letto con te. Non sei il mio tipo».
«E qual è il tuo tipo?», mi domanda, stringendo entrambe le grandi mani intorno al bicchiere e tornando a fissarlo.
«Be’, di certo non è un uomo cupo e incapace di rimorchiare».
«Mi hai forse appena insultato?», ringhia lui.
«Oh, sì. Fattene una ragione», ribatto, guardandomi intorno. Di donne sexy non ne mancano di certo. «E ora, vuoi che ti procuri una donna oppure no?».
Lui si stringe nelle spalle. «Provaci. Non riesco a immaginare come farai a trovarmi una donna».
«Cos’è, una sfida?», domando, tenendo le braccia incrociate.
Lui fa di nuovo spallucce e riporta l’attenzione sul whisky. Che stronzo triste. Adesso gliela faccio vedere io.
Sbatto giù il bicchiere, facendolo sussultare e voltare nella mia direzione, poi scosto i capelli e strillo: «Non fare l’idiota! Te l’avevo detto cosa sarebbe successo se ti fossi innamorato di me! Pensi forse che il tuo cazzo gigante, i tuoi soldi e la tua macchina di lusso mi avrebbero impedito di andare a soddisfare le mie voglie altrove?». Scoppio a ridere con amarezza. «Davvero, sei troppo dolce per il tuo bene. Ben ti sta, così la prossima volta impari a innamorarti di una troia».
Un gruppo di ragazze ci sta guardando: proprio come speravo. Sogghignando, procedo: «Non è colpa tua. Hai fatto tutto come dovevi. Ma io non li volevo tutti quei fiori, quei gioielli e quei cioccolatini. Insomma, era come se volessi comprarmi».
Le labbra del signor Triste si sono appena arricciate? Impossibile. Questo significherebbe che è capace di sorridere.
Oh, cavolo.
Tiro fuori il biglietto da visita, fingendo che sia una carta di credito. «Ecco, puoi riprenderti la tua carta di credito illimitata. Mi ha stancato».
Poi mi scosto di nuovo i capelli e gli do le spalle, allontanandomi. Mentre le oltrepasso, sento alcune donne che bisbigliano. Ho vinto.
Torno da Autumn, che mi fissa con gli occhi spalancati e confusi. «Ma che diavolo hai fatto, laggiù?»
«Guarda e impara, tesoro».
Osservo con un sorriso una bionda alta e dalle gambe chilometriche avvicinarsi a Reign. Parlano un po’, lui le offre da bere e so già che ha vinto. Torno a rivolgermi ad Autumn, che mi guarda a bocca aperta, per poi fissare la bionda e di nuovo me.
«Ma sei impazzita? Hai perso qualche neurone andando verso di lui? Perché non ti stai portando a letto Mr Riccone come dovresti?».
Mi stringo nelle spalle. «Non era il mio tipo».
«Cosa?», sbotta lei. «È il tipo di chiunque!».
Rido e mi giro a guardare Reign, in piedi con la bionda accanto. Si girano e si dirigono verso l’uscita del locale. Lui si guarda alle spalle, prima di andarsene, e io gli soffio un bacio.
Uno a zero per me.
Non mi sono portata a letto nessuno.
No, mi sono ubriacata, invece, sono tornata a casa e sono svenuta sul letto, e ora mi ritrovo con il mal di testa e la nausea.
Ecco cosa succede a lasciare gli uomini migliori alle imitazioni di Barbie. Scivolo fuori dal letto, mugolando, mentre la testa mi pulsa. Perché la gente beve? No, davvero, ma a che serve? Ci fa impazzire, facciamo cose stupide e poi ci svegliamo il giorno dopo con l’emicrania, lo stomaco a pezzi e, con tutta probabilità, una malattia sessualmente trasmessa in circolo.
Entro nella mia piccola ma moderna cucina e mi chiedo se Autumn abbia avuto fortuna, ieri sera. Dopo avermi lasciato a casa, si è diretta verso un locale in fondo alla strada con un suo amico. Ha una cotta per lui da un paio di anni, ormai, ma quello non sembra neanche accorgersene. Idiota. Non la capisce, non vuole neanche provarci, a capirla.
Autumn ha avuto un’infanzia difficile e fa molta fatica a uscire dal suo guscio. L’ho conosciuta circa tre anni fa, e in questo periodo l’ho vista trasferirsi quattro volte. È come una gatta su un tetto rovente, per la maggior parte del tempo. È tornata a vivere qui da sette mesi, e finora sembra reggere. Mi ha sempre detto che alla fine si annoia e deve cambiare, ma secondo me c’è altro.
Ohhhh, chissà, forse ha uno stalker che la segue.
Avvio la macchina del caffè, settandola sulla versione più forte. Ho bisogno di una buona dose di caffeina per svegliarmi. Mentre aspetto, do un’occhiata ai documenti posati sul bancone, cercando di ritrovare il cellulare. Non lo vedo da nessuna parte e mi guardo intorno nel tentativo di localizzarlo. Alla fine, lo trovo a faccia in giù sul divano.
Può anche rimanere lì.
Prendo il caffè appena è pronto e porto la tazza alle labbra. Oh, Dio, il paradiso. Il vero paradiso. Il liquido caldo mi placa il bruciore che sento in gola mentre scende nell’esofago, e mi lascio andare a un sospiro profondo e soddisfatto. Poi la suoneria acuta del cellulare riempie la stanza. Perché diavolo ho deciso di mettere quell’imitazione orrenda della Crazy Frog?
Corro al divano, sollevandolo e girandolo. Numero sconosciuto. Potrebbe essere Autumn che usa il cellulare del suo amico. Si dimentica sempre di caricare il suo. Rispondo e lo porto all’orecchio, tenendo la tazza di caffè nella mano li-
bera.
«Sì?»
«Tiani?».
Una voce maschile, calda e sensuale. Di certo non è Autumn.
Sono certa di non essere riuscita nel mio intento, ieri sera. Frenetica, cerco di ricontrollare i ricordi annebbiati. Oh, Dio, invece mi sono portata a letto qualcuno e non me lo ricordo? C’era quel tizio pelosissimo che mi faceva delle avances… non posso essere stata così disperata, giusto? Ugh.
«Pronto?».
Merda, il telefono. «Sì, pronto?»
«Sono Reign».
Reign. Reign Occhi d’Oro?
Con un sorriso sollevato, rispondo: «Lo ammetto, Reign, mi inquieta sapere che hai il mio numero e non sia stata io a dartelo. Dovrei iniziare a preoccuparmi?». Mi lascio cadere sul divano e prendo un altro sorso di caffè.
«Sei stata tu a darmi il tuo biglietto da visita mentre facevi quel piccolo… spettacolo».
Già, è vero.
«Oh, giusto. Quindi», lo incoraggio, «come è andata?»
«Se ho scopato ieri sera, intendi?»
«Sì, certo che è quello che intendo», ribatto, alzando gli occhi al soffitto. «Non mi interessa di certo sapere se voi due abbiate passato la notte a chiacchierare e poi tu l’abbia salutata con un casto bacio sulla fronte».
Lui sbuffa. «È andata bene. È stata una bella scopata».
«Oh, che frase da porco».
Lui ridacchia.
Oh, wow. Che suono meraviglioso.
«Non ho mai detto di non esserlo».
«Hai ragione. Allora, come mai questa telefonata? Oh, aspetta, lo so. Mi volevi ringraziare. Non c’è problema, Reign, è stato un piacere».
Lui mugugna: «Parli sempre così tanto? Mi stai facendo venire il mal di testa».
«Sei stato tu a chiamarmi, bello», gli faccio notare.
«Ti ho chiamato perché sono rimasto colpito da ciò che hai fatto ieri sera e mi hai fatto pensare a diverse cose. E ho pensato che vorrei offrirti un lavoro».
«Stavo scherzando, quando ho detto di essere una troia», mi affretto a puntualizzare.
«Non ti sto chiedendo di fare sesso con me, Tiani».
«Tia», lo correggo. «E cosa mi stai chiedendo, allora? Ho un’attività, non ho bisogno di un lavoro».
«Sei una contabile, e il tuo capo ti permette di lavorare da casa. Non hai un’attività tua, e quello che ti voglio chiedere non interferirà con il tuo lavoro».
«Come lo sai?», borbotto. «Sei uno stalker, Reign?»
«Non è difficile da scoprire. Ma comunque, non ha importanza, ora. Ho una proposta da farti».
«E c’entra il sesso?», gli domando.
Lui sospira. «Se stai zitta per un attimo, te lo spiego».
«D’accordo».
«Vorrei pagarti per… be’… in pratica, rimorchiare per me. Oltre ad altre cose».
«Scusa? Vuoi che io sia il tuo gregario? La tua spalla?».
Lui resta in silenzio per qualche istante. «Non l’avrei messa giù in questo modo».
«Be’», rido io, «come l’avresti messa?».
Reign sospira. «Non ti sto chiedendo solo di procurarmi delle donne, ma di accompagnarmi anche a serate di beneficenza, cene e altri eventi di questo tipo. A me non piace andarci, ma ci vado sempre perché c’è Selena».
«E Selena sarebbe…?»
«La mia ex».
«Ohhhh», esclamo. «Capisco. Vuoi