Intesa milionaria: Harmony Destiny
Di Anna DePalo
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Anna DePalo
Dopo aver vissuto in Inghilterra e in Italia, si è stabilita a New York dove, quando non scrive, esercita la professione di avvocato.
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Anteprima del libro
Intesa milionaria - Anna DePalo
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
CEO’s Marriage Seduction
Silhouette Desire
© 2008 Anna DePalo
Traduzione di Roberta Canovi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-804-6
1
«Mi sposo.»
Con l’uomo sbagliato.
No, con l’uomo giusto, si corresse Eva, risentita per aver assunto, anche solo per un istante, l’atteggiamento negativo del padre.
Vero, non aveva la sensazione che si stesse per compiere il suo destino... ma doveva smetterla di essere illogica.
Quante volte, nella sua carriera di party planner, aveva avuto la sensazione che qualcosa sarebbe andato storto, mentre alla fine era filato tutto liscio come l’olio? E allo stesso modo aveva visto feste che avrebbero dovuto essere perfette trasformarsi in disastri di proporzioni catastrofiche.
No, non c’era modo di predire il futuro, stabilì mentre incrociava lo sguardo incredulo del padre.
Marcus Tremont si alzò e sbatté la mano sull’imponente scrivania di rovere. «Dannazione, Eva! Sei impazzita? Carter Newell è un arrampicatore sociale. Non avrai un soldo da me!»
Lei serrò le labbra, ma si rifiutò di mostrare quanto quelle parole la ferivano. Finito il lavoro, si era recata nella residenza dei genitori nell’esclusiva Mill Valley per incontrare il padre nella sontuosa biblioteca privata. Si era preparata per quella battaglia.
«Per fortuna» rispose quindi, «non abbiamo bisogno di un soldo da te. Occasions by Design se la sta cavando bene.»
Negli ultimi anni, l’azienda si era fatta un nome nell’area della baia di San Francisco. Riceveva regolarmente richieste e prenotazioni sia da membri dell’alta società che intendevano organizzare una festa privata, sia da rinomate organizzazioni filantropiche.
Il padre si passò nervosamente una mano tra i capelli grigi. «Che cosa ci vedi, in quel Carter Newell, non riuscirò mai a capirlo.»
Ci erano già passati, e ogni volta il risultato era lo stesso. Ora che il fidanzamento era realtà, però, Eva aveva sperato di incontrare una reazione un po’ più favorevole.
A differenza del padre e dei suoi consimili, Carter non metteva il lavoro al primo posto: per lui, Eva era la priorità.
«Carter mi ama» replicò semplicemente.
Le sopracciglia del padre scattarono all’insù. «Oppure ama il tuo conto in banca.»
Lei digrignò i denti. Il padre era sempre stato circospetto, sospettoso, addirittura, riguardo i suoi fidanzati, probabilmente perché Eva era l’erede del patrimonio di famiglia, e figlia unica. Ma con Carter, l’atteggiamento non si era mai attenuato, anzi. Certo, con nessuno degli altri era mai arrivata a un passo dall’altare...
«Almeno Newell ha un lavoro?» riprese Tremont. «Rinfrescami la memoria, Evangeline: che mestiere fa?»
Sapeva benissimo che mestiere faceva, ma Eva decise di assecondarlo. «È un consulente finanziario indipendente.»
Sulle prime, quando l’aveva menzionato qualche mese prima, aveva pensato che la professione di Carter per lo meno avrebbe incontrato l’approvazione del padre. Marcus Tremont apprezzava avere un ritorno sui propri investimenti.
Invece la risposta del padre era stata tiepida. E quando lei aveva cominciato a indicare che avrebbe potuto sposare Carter, l’atteggiamento del padre era precipitato.
«Sciocchezze» dichiarò infatti, riecheggiando lo scetticismo delle occasioni precedenti. «Un titolo pomposo per nascondere la vera professione di cacciatore di ereditiere.»
«La famiglia di Carter è possidente!» Nonostante le sue migliori intenzioni, stavano ricadendo nelle solite argomentazioni trite e ritrite, che non portavano a niente. Sentiva già affiorarle il mal di testa.
«Era possidente» la corresse il padre. «Si dà tanto da fare a gestire i soldi altrui perché non ne ha di suoi.»
La proverbiale goccia che fa traboccare il vaso. «Sei impossibile! Solo perché i Newell non sono più ricchi come un tempo, pensi che Carter sia a caccia di fortuna!»
Ogni volta che aveva a che fare col padre finiva col sembrare un’adolescente, non riusciva proprio a impedirselo.
«Credimi, Eva. Non c’è persona più tenace di chi si aggrappa con le unghie e coi denti al proprio posto nella scala sociale, per evitare una brutta caduta.»
Avevano entrambi alzato la voce, ed Eva rinunciò all’idea di rendere l’annuncio del fidanzamento ufficiale un avvenimento gioioso.
«Dov’è l’anello?» le domandò di botto il padre, studiandole la mano. «Non te lo vedo al dito.»
«Non ce l’ho ancora.»
L’espressione di Tremont era più che eloquente: vedi? Di quali altre prove hai bisogno?
«Oh, no, non ci pensare nemmeno» lo bloccò però lei prima che potesse anche solo dar voce a quei pensieri. «Lo scegliamo insieme.»
«Con che cosa?» sottolineò il padre. «Un prestito della banca?»
Immaginava che il fidanzamento non sarebbe stato davvero ufficiale finché non avesse avuto l’anello, ma non intendeva lasciare che la discussione col padre vertesse sul mero simbolismo.
Furono interrotti quando qualcuno bussò alla porta ed entrambi si voltarono.
«Entra» abbaiò il padre.
La porta si aprì, e ne entrò Griffin Slater.
Eva strinse gli occhi.
Griffin Slater. Il braccio destro del padre.
Se qualcuno aveva le credenziali del marito perfetto agli occhi di Tremont, quello era Griffin.
E lei lo detestava intensamente, da quando l’aveva conosciuto una decina d’anni prima, dopo che aveva cominciato a lavorare alla Tremont Real Estate Holdings.
Sulle prime, era stata appena consapevole della sua esistenza, dato che non si trattava di altro che dell’ultimo prodotto del Master in Business Administration di Stanford, che voleva imparare i trucchi del mestiere e aprirsi la strada nel mercato immobiliare.
A trentacinque anni, però, era ormai più capo che impiegato, soprattutto dato che Marcus Tremont di certo non stava ringiovanendo, e l’età gli stava facendo allentare la presa sulle redini dell’impero di famiglia.
Inoltre Griffin non faceva che ricordarle le proprie mancanze come unica erede del padre. Eva non aveva mostrato alcun interesse nell’azienda di famiglia, e invece si era imbarcata nella propria impresa non appena uscita dall’università di Berkeley.
Era consapevole del fatto che quel genere di mestiere fosse considerato dai più frivolo, poco più di un passatempo per una ragazzina che non aveva bisogno di lavorare. E non aveva alcun dubbio che Griffin Slater condividesse quell’opinione.
Ma per lo meno aveva avuto il fegato di costruire la propria impresa, invece che usurpare quella di qualcun altro.
In quel momento, osservandolo in faccia, notò che la sua espressione non rivelava nulla. Era un maestro nel nascondere le proprie emozioni, quando non la stava stuzzicando, ovviamente.
Alto più di uno e ottantacinque, aveva dei lineamenti profondamente marcati più adatti a un pugile che a un modello; eppure, il suo effetto sulle donne era notevole. Ne era stata testimone più di una volta nel corso degli anni.
Probabilmente aveva qualcosa a che fare con quegli occhi scuri e penetranti. O forse con quei capelli corvini che si intestardivano ad arricciarsi nonostante il taglio quasi militare. E di certo non guastava un corpo che era tutta potenza maschile sguinzagliata. In più di un’occasione persino lei gli aveva rivolto un’occhiata prolungata, prima di mettere le briglie alla propria mente vagabonda.
«Sei arrivato giusto in tempo per lo spettacolo, Griffin» esordì Eva.
Griffin sollevò le sopracciglia con scarso interesse mentre si richiudeva la porta alle spalle.
Il fatto che il padre sembrasse sollevato al vederlo, poi, le era a dir poco odioso.
Griffin avrebbe assistito a un’altra epica battaglia della famiglia Tremont. A fagiolo, rifletté lei, dato che sembrava avere un istinto particolare per arrivare proprio nei momenti chiave.
«Quale spettacolo? Devo ammettere di essere curioso» rispose Griffin, con quel tono sempre moderato e divertito che le dava sui nervi.
Il padre sbatté di nuovo la mano sulla scrivania. «Mia figlia ha deciso di sposare l’uomo più inutile che conosca.»
«Papà!» lo rimproverò lei indignata.
Lo sguardo di Griffin scattò su di lei, ed Eva sentì la tensione nella stanza schizzare alle stelle.
«Chi è il fortunato?»
Come se già non lo sapessi. Griffin aveva incontrato Carter in un paio di occasioni, una volta a una festa in casa dei genitori, un’altra per caso all’inaugurazione di una galleria d’arte.
In entrambi i casi, Griffin era stato solo, ma Eva non si era lasciata trarre in inganno. Aveva visto molte donne andare e venire. Soprattutto andare, dato che Griffin non sembrava incline a elargire la propria grandezza alla stessa donna per troppo tempo.
Sollevando il mento, incrociò il suo sguardo e lo sostenne. Nonostante l’offensiva introduzione del padre, non aveva ragione di stare sulla difensiva, era assolutamente convinta della propria decisione.
«Carter Newell» enunciò con fierezza.
Griffin avanzò nella stanza. «Quindi le congratulazioni sono dovute.»
Notò che comunque non gliele stava offrendo, pur sapendo che sarebbe stata la cosa educata da fare, se avesse voluto essere educato.
Il suo sguardo la percorse da cima a fondo e, nonostante indossasse un vintage Diane Von Furstenberg, Eva si sentì esposta.
Le si alzò la pressione sanguigna, come sempre quando interagiva con Griffin. Le loro conversazioni nascondevano sempre dei messaggi subliminali di cui il padre non aveva alcuna percezione.
«Congratulati con lei, ma a me devi fare le condoglianze» borbottò Tremont.
Gli occhi di Griffin si focalizzarono sulla sua mano. «Dov’è l’anello?»
Le sue parole erano l’eco perfetta di quelle di Marcus, tanto da farle digrignare i denti. «Sei proprio come mio padre.»
«E non c’è niente di male in questo!» protestò il termine di paragone in persona.
Eva tenne gli occhi fissi su Griffin, sfidandolo a fare qualche altro commento.
Torcendo le labbra, lui parve quasi disposto a non raccogliere il guanto. «Hai l’aria di una che vuole lanciarmi addosso un vassoio di