Affare seducente: Harmony Destiny
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Bronwyn Jameson
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Affare seducente - Bronwyn Jameson
successivo.
1
Jack si era perso l'entrata, ma era sicuro che ne avesse fatta una delle sue. Era sempre stata una maestra, nelle entrate a effetto. Sarebbe stato così anche senza arrivare in ritardo e al braccio di suo padre, Kevin K.G. Grantham, costruttore multimilionario e ospite di quella riunione assai incasinata.
In effetti si poteva dire che l'arrivo di Paris Grantham faceva sempre scalpore, non fosse altro che per il suo fisico spettacolare.
Jack si sgranchì le spalle, bloccate dalla tensione, si umettò le labbra aride e maledì l'improvvisa scarsità di camerieri e di bevande superalcoliche. Si guardò intorno per vedere se riusciva a scorgere una qualche giacca bianca o un vassoio all'orizzonte e invece vide lei. Di nuovo. Era vestita con qualcosa color bronzo e con del pizzo, e brillava come oro antico, tutta gambe e curve, aggraziata e raffinata come una top model.
Ma con il fisico che aveva non avrebbe mai potuto fare la modella, a meno di non dire addio a quelle fantastiche curve.
Jack si passò un dito all'interno del colletto della camicia, che cominciava ad andargli stretto, e notò con dispiacere che non poteva fare altrettanto per alleviare il senso di calda pressione che sentiva nei pantaloni. Accolse con una muta benedizione l'arrivo di un cameriere e afferrò un bicchiere dal vassoio. Forse un po' di champagne avrebbe raffreddato i suoi bollenti spiriti.
Giusto! Forse avrei fatto meglio a non venire a questa stupida festa!
I dirigenti della Grantham non mancavano mai a quel tipo di riunioni, ma Jack di solito ignorava quella regola non scritta. Disprezzava i tipi in smoking tanto quanto odiava le chiacchiere inutili e la passione che tutti manifestavano per i buffet luculliani che venivano serviti. Ingoiò un lungo sorso di champagne e osservò da sopra il flûte l'unica ragione per cui era intervenuto quella sera. Obiettivamente. Con la mente, invece che con il corpo.
I capelli, che in passato era solita portare sciolti, erano raccolti in un'acconciatura alquanto elaborata che accentuava il portamento regale della sua testa, l'angolo alto del mento, il modo in cui guardava con quei suoi occhi luminosi come stelle.
Sì, sbuffò, il vecchio avrebbe dovuto esibire lei al posto del plastico del nuovo complesso immobiliare della Grantham. Il progetto Acacia non era certo la stella di quello show.
Gli occhi di Jack si fissarono sul viso di lei, cercando qualche segnale in quell'espressione leggermente annoiata, tipica delle persone nate ricche, qualcosa che dimostrasse che aveva adottato quel look per adattarsi al tono della serata, non perché fosse effettivamente cambiata. Ma non vide nulla. Non un leggero movimento delle sopracciglia accuratamente delineate, non un tentennamento nel suo mezzo sorriso patinato.
E Jack si rese conto di esserne contrariato. No. Era molto più che contrariato.
Ma cosa si era aspettato di trovare?
Semplice.
Si era aspettato una versione adulta della Paris che ricordava, quella il cui sorriso era in grado di illuminare tutta la stanza, i cui grandi occhi rispecchiavano ogni singola emozione. Quella che osava indossare una minuscola minigonna di pelle alla festa di Natale della Grantham e che beveva lo champagne direttamente dalla bottiglia e ballava come se insieme allo champagne avesse bevuto anche la musica.
La ragazza che prima gli aveva fatto perdere la testa e che poi, senza che lui potesse afferrare il concetto che la figlia del capo era cresciuta e lo desiderava, era scappata a Londra a vivere con la propria madre.
Si era aspettato di vedere quella Paris e di poter dichiarare, senza dubbi o riserve, che i pettegolezzi erano tutti falsi.
Ma questa Paris sembrava proprio il tipo di donna che avrebbe lasciato il fidanzato una volta finiti i soldi. Sembrava proprio il tipo di donna che sarebbe tornata di corsa a cercare conforto tra le braccia dei milioni di papà.
Jack prosciugò il proprio bicchiere e desiderò che lo champagne si tramutasse in qualcosa di ben più forte, come per esempio tequila, per poter far fronte al proprio umore decisamente nero. Lottò contro il desiderio di farsi largo in quel mare di abiti da sera, di afferrarla per le spalle e scuoterla come un fuscello. Ricordarle che le aveva detto di crescere, non di diventare una Grantham!
Allentò la mano stretta convulsamente intorno al fragile calice di cristallo. E comunque, cosa mai sapeva di Paris Grantham? Per anni lei era stata la ragazzina simpatica che era stata obbligata a presenziare ai party che il padre dava nei fine settimana, party che non erano niente più di riunioni di lavoro. Jack l'aveva notata, si era sentito spiacente per lei e l'aveva incoraggiata a parlare. Poi lei era partita per il college e lui non l'aveva più vista per ben due anni, fino a quella notte di sei anni prima quando lei gli aveva manifestato, in maniera decisamente stravagante anche se chiara, i sentimenti che provava per lui.
Sentimenti o intenzioni?
Non importava. A ventisei anni il suo traguardo di arrivare alla dirigenza nella progettazione era talmente vicino che riusciva quasi ad assaporarlo. A diciotto anni lei era stata troppo giovane e troppo selvaggia, senza contare che, essendo la figlia del capo, significava solo guai.
Dopo sei anni, invece, era ancora la figlia del capo, sebbene tutto il resto fosse decisamente cambiato. E Jack doveva ammettere, se pur a denti stretti, che quei cambiamenti gli piacevano molto.
Ma il piacere non era l'unica emozione che gli stava attanagliando lo stomaco. Jack riconobbe il disappunto, un senso di perdita e, a voler guardare bene, anche una certa irritazione, molto, molto vicina alla rabbia. E capì che non sarebbe riuscito ad avere pace. Doveva assolutamente sapere perché se n'era andata così all'improvviso e perché ora era tornata.
Paris scosse leggermente la testa per impedire ai suoi occhi di incrociarsi per la noia e per la mancanza di sonno. Se solo avesse potuto ritrovare un po' di quell'entusiasmo che l'aveva tenuta sveglia per la maggior parte del giorno precedente. Un volo di ventiquattr'ore. Tutte passate con la testa e l'anima e il cuore tra le nuvole. Una sensazione che era durata per un bel po' anche dopo l'atterraggio.
Aveva appoggiato la testa sul cuscino da meno di un minuto, o almeno così le era sembrato, quando suo padre aveva riaperto le tende su una serena mattina di ottobre. Caroline, la sua ultima futura matrigna, non vedeva l'ora di incontrarla. Poi la stessa Caroline aveva deciso che sarebbero dovute andare a fare shopping e a pranzo insieme, e che Paris non poteva certo mettersi a dormire nel pomeriggio, o il suo orologio biologico non si sarebbe mai regolato sul nuovo fuso orario.
In quel momento Paris sentiva solo il desiderio di chiudere gli occhi e partire per il mondo di sogni. Chissà, se avesse appoggiato la testa sulla spalla del sindaco, magari avrebbe potuto schiacciare un veloce pisolino. Il pensiero della reazione di sua madre a una tale mancanza di etichetta, la fece sorridere.
Lady Pamela non avrebbe certo approvato!
Il comportamento di Paris fino a quel momento era stato però irreprensibile. L'abbigliamento, l'acconciatura, gli accessori, tutto era stato studiato secondo i rigidi insegnamenti di sua madre. I capelli, ad esempio, Paris non vedeva l'ora di scioglierli, ma anche così acconciati servivano a qualcosa. La obbligavano a tenere la testa diritta. E ogni volta che le veniva la tentazione di scappare via o di cancellare quel sorriso patinato dal suo viso, Paris richiamava alla mente la ragione per cui era lì.
Perché farai presto parte dello staff della Gran tham.
Aveva quasi rinunciato a convincere suo padre di essere qualcosa in più di un semplice oggetto ornamentale, quando all'improvviso K.G. le aveva chiesto di tornare a casa per partecipare a un progetto speciale.
Il padre la stava presentando a un altro gruppo di amici, e Paris sorrise graziosamente. Quante persone ancora avrebbe dovuto salutare? E a quel punto, per tutta risposta, la folla si aprì e lei si ritrovò a guardare un paio di occhi profondi, scuri e pieni di rabbia.
Naturalmente Paris sapeva che lui era lì, da qualche parte in mezzo a tutta quella folla.
Appena una frazione di secondo dopo il suo arrivo, come se fosse stata inesorabilmente attratta da Jack Manning, i suoi occhi avevano cercato tra la folla e si erano posati sulle sue spalle larghe, sul collo abbronzato. Era cambiato, aveva i capelli corti, indossava un abito elegante
In quel momento, invece, poteva vedere che era cambiato anche da un altro punto di vista. Non le aveva sorriso, né aveva sollevato il bicchiere in segno di saluto. Anzi. Aveva dato il proprio bicchiere a qualcuno alla sua sinistra e le si era avvicinato con sguardo determinato e decisamente furioso.
Aiuto!
Perché, nonostante si fosse acconciata e agghindata proprio per lui, Paris non era ancora pronta per affrontarlo, non in quel momento, non così stanca e con la testa confusa.
Si voltò e si fece largo tra la folla, ma la sua gonna era troppo stretta e i tacchi troppo alti per una fuga rapida. Finalmente poté uscire dalla sala e si ritrovò nell'androne fresco e silenzioso. Si diresse senza indugio verso la toilette delle signore. Quando finalmente entrò nell'antibagno, non poté a fare a meno di tirare un grosso sospiro di sollievo.
Si accomodò in una poltrona in pelle scamosciata, tolse le scarpe, appoggiò i piedi nudi su un tavolino basso e chiuse gli occhi.
«Giochiamo a nascondino, principessa?» Paris si drizzò a sedere e spalancò gli occhi. Solo una persona pronunciava la parola principessa con tanta divertita ironia... e quella persona si stava accomodando proprio di fronte a lei. Davvero aveva pensato che una stanza riservata alle signore lo avrebbe fermato?
«Non mi sto nascondendo, mi sto riposando» corresse. «Mi fanno male i piedi.»
Lo sguardo di lui si posò sui suoi piedi e lei lo guardò esterrefatta mentre le sue dita cominciavano ad accarezzare una delle caviglie. Le si fermò il respiro quando il pollice dell'uomo tracciò una linea che partiva dalla caviglia e saliva su, su, oltre il ginocchio, lungo la coscia
«Non mi meraviglia che ti facciano male i piedi» mormorò Jack. «Le tue scarpe sono troppo alte e troppo strette.»
Di colpo la lasciò andare e in qualche modo Paris riuscì a togliere i piedi dal tavolino e a posarli saldamente sul pavimento. Lontano dai pericoli.
«I miei piedi