Resa incondizionata: Harmony Destiny
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Info su questo ebook
Kimberley Blackstone è stata la sua amante per dieci mesi, sua moglie per dieci giorni e la sua ex per dieci anni. Adesso Ric Perrini, lo scapolo più ambito e più sexy di tutta Sidney, ha due obiettivi da raggiungere. Il primo, quello più semplice, è riportarla in Australia, in seno all'azienda di famiglia. Il secondo, quello decisamente più piacevole - e il più difficile - è riportarla nel suo letto, tra le sue braccia e convincerla di non averle mai mentito. Ci aveva già provato una volta. Ma ora Ric non accetterà altro che una resa incondizionata.
Bronwyn Jameson
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Resa incondizionata - Bronwyn Jameson
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1
Trascinandosi dietro una valigia Louis Vuitton, Kimberley Blackstone accelerò il passo mentre lasciava la dogana dell'aeroporto internazionale di Auckland e si dirigeva all'uscita. Benché ostacolata da otto centimetri di tacchi, raggiunse l'atrio degli Arrivi quasi a passo di marcia, mirando ad accaparrarsi il primo dei taxi in fila all'esterno. Nel contempo, la sua mente si adattava al passaggio repentino dalla vacanza rilassata alle beghe che l'attendevano alla House of Hammond, il primo giorno lavorativo dopo il periodo natalizio.
Soltanto quando fu troppo tardi si accorse della folla di reporter e cameramen. Accolta da un'esplosione di flash, si arrestò così bruscamente che la valigia che trainava le andò a sbattere contro le gambe.
L'avevano sicuramente scambiata per un'altra. Kimberley non era più nel mirino dei paparazzi da circa una decina d'anni, e cioè da quando aveva preso le distanze dal padre miliardario, sempre affamato di titoli da prima pagina.
Ma no, era proprio il suo nome quello che gridavano, ed era suo il volto preso di mira dagli obiettivi che la circondavano come uno sciame di avide vespe. Il cuore prese a martellarle nel petto per l'afflusso improvviso di adrenalina causato dalla paura e dall'ansia.
Che cosa volevano?
Che cosa diamine stava succedendo?
Con un crescente senso di stupore, scrutò la folla alla ricerca di una spiegazione, e il suo sguardo si arrestò sulla figura maschile, alta e prestante, che si stava aprendo un varco. Una figura familiare. La riconobbe, e i loro sguardi si scontrarono attraverso il mare di teste prima che ci fosse un'altra esplosione di flash.
Accecata dai lampi, e dallo shock per quell'incontro inaspettato, Kimberley capì quali erano le sue intenzioni soltanto quando lui le fu al fianco, dopo essersi fatto largo grazie, probabilmente, al suo magnetismo regale. Sentì che le metteva un braccio sulle spalle, attirandola nell'ombra protettiva del proprio corpo, senza lasciarle il tempo di protestare.
In men che non si dica, si trovò incollata dalle ginocchia al naso a un metro e ottantacinque di muscoloso corpo maschile.
Ric Perrini.
Suo amante per dieci torride settimane, suo marito per dieci tempestose giornate.
Suo ex da dieci anni di serenità.
Santo cielo, dopo tutto quel tempo, non avrebbe dovuto sembrarle così familiare, come invece sembrava. Conosceva il profumo e la forza di quello scattante corpo scolpito. Ne conosceva il calore, l'energia e tutte le reazione che riusciva a strapparle.
Riconobbe anche la disinvoltura con cui aveva assunto il controllo della situazione e il tono deciso della sua voce quando le risuonò all'orecchio. «C'è un'auto che ci aspetta fuori. È tutto qui il tuo bagaglio?»
Kimberley annuì. Una settimana in un paradiso tropicale non richiedeva un gran guardaroba. Indossava infatti il suo unico completo dal taglio elegante e l'unico paio di scarpe che aveva messo in valigia. Quando lui le tolse il braccio dalle spalle per impadronirsi del trolley, provò il desiderio di puntare i tacchi e di dirgli chiaro e tondo che cosa poteva farsene della sua auto e del suo atteggiamento da supereroe.
Ma non era stupida. Aveva visto Perrini in azione abbastanza spesso da sapere che la sua tattica dava sempre risultati. L'espressione truce e i modi da re della giungla, in cui era un maestro, avrebbero tenuto a bada quella folla di fotoreporter assetati di scoop.
Non che si sarebbe lasciata rimorchiare con la stessa docilità del suo trolley.
«Suppongo che mi spiegherai il motivo di questo comitato di benvenuto» disse, in tono sostenuto.
«Non finché si trova a portata d'orecchio.»
Ordinando ai cameramen di farsi da parte, Perrini la prese per mano e la trascinò con sé, obbligandola ad adeguarsi al suo passo di carica. Pur maledicendo la sua arroganza legata in qualche modo alle sue origini mediterranee, Kimberley gli lasciò fare. Malgrado la rapidità con cui riuscì a farle attraversare il terminal, lei poteva quasi avvertire sulla schiena il respiro affannoso dell'orda dei fotoreporter.
Non era né il momento né il luogo giusto per le spiegazioni. Tuttavia, una volta sull'auto, avrebbe preteso delle risposte.
Lo shock iniziale era stato spazzato via dalla loro precipitosa ritirata, dal ribollire della sua indignazione, dall'afflusso di adrenalina alimentato dalla presenza di Perrini e dall'imminente battaglia verbale che l'attendeva. Il suo cervello aveva ripreso a funzionare. In tutto quello doveva esserci lo zampino di suo padre. E se si trattava di una tattica pubblicitaria di Howard Blackstone, allora doveva esserci sotto la Blackstone Diamonds, la società alla quale dedicava tutta la sua vita.
Si sentì stringere il petto da un familiare senso di delusione.
Sapeva che, quel giorno, suo padre sarebbe arrivato in aereo da Sydney per l'inaugurazione dell'ennesima boutique della sua catena di gioiellerie di lusso, situata proprio accanto a un negozio della società rivale, dove Kimberley lavorava. Non era una coincidenza, pensò con amarezza, come non lo era la presenza ad Auckland di Ric Perrini.
Perrini era il braccio destro di Howard Blackstone, e capo del settore minerario, posizione di prestigio ottenuta grazie al breve matrimonio con la figlia del boss. Non c'erano dubbi che fosse stato suo padre a mandarlo a prenderla. La domanda era: perché?
In occasione della sua ultima visita a Auckland, Howard aveva tentato di nuovo di riportala con le lusinghe alla Blackstone, e al posto di lavoro che aveva lasciato il giorno in cui aveva piantato in asso il marito. Quell'incontro si era trasformato in uno sgradevole litigio e si era concluso con Howard che aveva giurato di escluderla dal proprio testamento se lei non avesse cambiato idea.
Due mesi dopo, Kimberley si trovava ancora a Auckland, dove lavorava alle dipendenze del nemico giurato del padre alla House of Hammond. Da allora non si erano più parlati, e lei non si era aspettata altri sviluppi. Quando il padre aveva minacciato di lavarsene le mani di lei, l'aveva preso in parola.
Eppure, eccola lì, mentre veniva trascinata verso una scintillante limousine nera dal suo tirapiedi numero uno. Non aveva idea del perché suo padre avesse cambiato idea o che cosa significasse la presenza della stampa, a parte altri titoli in prima pagina per la Blackstone e la certezza di essere usata per l'ennesima volta. Mandare Perrini era stata solo l'ultima crudele improvvisata.
Quando arrivarono alla vettura, le ribolliva il sangue al ricordo di quel vecchio dolore e del rancore mai sopito. L'autista caricò la sua valigia, mentre Perrini caricava lei. Scivolò sul sedile di pelle e la portiera si chiuse alle sue spalle, isolandola dalle telecamere che sembravano aumentare di minuto in minuto.
Perrini rimase sul marciapiede, con le mani sollevate in un gesto di preghiera mentre parlava. Qualunque cosa stesse dicendo, non faceva altro che provocare altre domande e altri flash, e Kimberley fremeva dalla voglia di sapere che cosa stesse succedendo. Mise la mano sulla maniglia e, quando la portiera non si aprì, intercettò lo sguardo dell'autista nel retrovisore. «Le dispiace aprirmi? Devo scendere.»
L'autista distolse lo sguardo, e non sbloccò la chiusura centralizzata.
La temperatura del sangue di Kimberley salì di svariati gradi. «Mi trovo qui contro la mia volontà. Apra, altrimenti le giuro che...»
Prima che potesse completare la minaccia, la portiera si aprì dall'esterno e Perrini salì al suo fianco. Nel terminal, si erano trovati a più stretto contatto quando lui le aveva fatto scudo con la sua mole, ma allora era troppo intontita dallo stupore per reagire. Adesso si rifugiò nell'angolo più lontano dei sedili e, mentre agganciava la cintura, l'auto si allontanò dal marciapiede a tutta velocità.
Pronta a dar battaglia, si voltò verso il suo sequestratore. «Mi hai rinchiusa in questa auto in modo che non potessi ascoltare mentre tu parlavi con la stampa? Mi auguro che tu abbia una spiegazione convincente, Perrini.»
Quando lui alzò la testa dopo aver agganciato la cintura, i loro sguardi si incontrarono. Per la prima volta non c'era niente tra loro due - nessun diversivo, nessuna interruzione - e per una frazione di secondo lei si smarrì in quegli occhi di un blu sorprendente, nell'involontaria ondata di ricordi che minacciò di soffocarla.
«Non sarei qui» rispose lui a voce bassa e burbera, «se non fosse importante.»
L'insinuazione che avrebbe preferito trovarsi in qualsiasi altro posto che lì con lei, serrò il cuore di Kimberley in una morsa. Tuttavia, sollevò il mento e lo fissò finché lui abbassò gli occhi. «Importante per chi? Per mio padre?»
Una sua risposta era superflua. Lei lo notò nel modo in cui socchiuse gli occhi, come se il suo commento l'avesse irritato. Bene, era proprio quello che voleva.
«Credeva che mandandoti sarebbe riuscito a farmi cambiare idea?» proseguì con freddezza, malgrado la collera che le ribolliva nello stomaco. «Perché avrebbe potuto risparmiarsi...»
«Non è stato lui a mandarmi, Kim.»
Qualcosa in quella semplice dichiarazione mise in allerta i suoi sensi. Alla fine, si concesse di guardarlo con maggiore attenzione. Il suo non era il consueto atteggiamento indolente e arrogante, anzi, se ne stava seduto rigido e immobile. I raggi del sole entravano dal finestrino laterale ponendo in risalto i lineamenti marcati del suo volto, la linea diritta del naso e la profonda fossetta nel mento.
E il muscolo che gli guizzava nella mascella.
Adesso Kimberley avvertiva tensione. Riusciva perfino a vederla nella linea severa della bocca e nell'intensità dei suoi occhi blu cobalto.
Nonostante l'umida e afosa mattinata estiva, sentì un brivido gelido correrle lungo la schiena. C'era qualcosa che non andava, qualcosa di molto brutto.
«Di che cosa si tratta?» Serrò forte tra le dita la tracolla della borsetta, come se fosse un'ancora di salvezza alla quale aggrapparsi con tutta se stessa. «Se non è stato mio padre a mandarti, allora perché sei qui?»
«Howard è partito da Sydney ieri sera. Tuo fratello ha ricevuto una telefonata alle prime ore di stamattina, quando l'aereo non è arrivato a Auckland.»
«Non è arrivato?» Kimberley scosse la testa, incapace di accettare quello che lui le stava dicendo. «Se un aereo non arriva, ci deve essere un motivo. Che cosa è successo?»
«Non lo sappiamo. Venti minuti dopo essere decollato da Sydney, è scomparso dai radar.» I suoi occhi la fissarono, e lei lesse tutto quello che c'era da sapere nelle loro profondità, come anche nel modo in cui chinò il capo. «Mi dispiace, Kim.»
No. Lei scosse di nuovo la testa. Era assurdo. Come era possibile che il suo potentissimo padre fosse morto? Alla vigilia del momento più importante della sua vita?
«Stava venendo qui per l'inaugurazione del negozio di Queen Street» disse lei sottovoce.
«Sì. Sarebbe dovuto partire alle sette e mezzo, ma c'è stato un contrattempo. Alcuni contratti da firmare.»
Ce n'erano sempre. In ogni ricordo della sua infanzia, il padre era sempre impegnato a combinare affari, a trattare nuove acquisizioni nel favoloso mondo dei diamanti. Quella era la sua vita.
Oltre ad apparire sulle prime pagine dei giornali.
«Quando ti ho visto all'aeroporto, con quella folla di giornalisti, ho pensato che c'entrasse l'inaugurazione. Una sua tattica per attirare l'attenzione sul nuovo negozio.» La terribile realtà dei titoli di testa che sarebbero apparsi l'indomani le serrò il petto in una morsa dolorosa. «Loro si trovavano là perché sapevano.»
Mentre lei stava godendosi l'ultima passeggiata sulla spiaggia, l'ultima colazione a base di papaia e mango, mentre rideva con il personale del resort e flirtava con il seduttore seduto accanto a lei sul volo di ritorno...
«Non sapevo» mormorò, con una voce che era poco più di un bisbiglio. Benché si fossero allontanati negli ultimi dieci anni e malgrado tutte le colpe che gli attribuiva, lei era cresciuta adorando suo padre e facendo a gara con il fratello per conquistarne l'approvazione. Per ventun'anni lui aveva plasmato le sue decisioni, la sua carriera, le sue convinzioni. Negli ultimi dieci