Una moglie a Londra (eLit): eLit
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Charlotte Lamb
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Una moglie a Londra (eLit) - Charlotte Lamb
successivo.
1
Quando il telefono iniziò a squillare nell'altro ufficio, James lo ignorò aspettandosi che rispondesse la sua segretaria, oppure che lo facesse la sua assistente, una giovane dai capelli di un improbabile colore giallo. Quella mattina, tuttavia, nessuna delle due donne aveva intenzione di sollevare il ricevitore e il suono incessante dell'apparecchio gli impediva di concentrarsi sul complesso diagramma finanziario con cui era alle prese.
Alla fine, non sopportando più quel rumore, James si alzò, uscì dal proprio ufficio e spalancò irritato la porta di quello della segretaria. «Perché nessuno risponde al telefono?»
La stanza però era vuota sebbene i computer fossero accesi, il fax stesse sputando fogli e una pila di lettere giacesse abbandonata sulla scrivania in attesa di essere firmata.
«Ma dove diavolo si sono cacciate?» borbottò chinandosi ad afferrare la cornetta affinché quegli squilli martellanti cessassero di perforargli il cervello. Si passò una mano tra i capelli biondi.
«Pronto?»
Dall'altra parte ci fu un attimo di silenzio, poi una voce roca femminile disse: «Vorrei parlare con il signor James Ormond, per favore».
«Chi lo desidera?» chiese lui gelido.
«Mi chiamo Patience Kirby» rispose la donna. «Il signor Ormond non mi conosce ma...»
Quel nome infatti non gli diceva proprio niente e se quella sconosciuta avesse telefonato per conto di qualche società lo avrebbe specificato. Dal momento che non era così, non voleva perdere il suo tempo prezioso con lei. Era per quello che pagava la signorina Roper, per filtrare le telefonate. La sua segretaria si sarebbe occupata della questione con la solita efficienza.
«Richiami più tardi» tagliò corto James abbassando il ricevitore.
Tuttavia, prima che potesse farlo, una voce gentile lo implorò: «Oh, la prego! È... è lei il signor Ormond?».
«Richiami più tardi» ripeté lui mentre fissava con i suoi freddi occhi grigi la segretaria che si affrettava lungo il corridoio seguita dall'assistente. «Perché diavolo devo essere io a rispondere al telefono?» le apostrofò furioso. «Dov'eravate finite?»
La giovane bionda lo guardò terrorizzata e si eclissò nella sua stanza con un'espressione vacua che lui ormai conosceva molto bene. Chissà per quale recondito motivo la signorina Roper aveva deciso di assumerla.
James aveva lasciato alla propria assistente praticamente carta bianca riguardo all'organizzazione dello staff della segreteria, ma ancora non riusciva a capire perché avesse inserito nel gruppo un'oca del genere. Doveva licenziarla. Non sopportava più di vederla sbiancare in volto impaurita ogni volta che le rivolgeva la parola.
«Sono molto dispiaciuta, signor Ormond» disse la signorina Roper. «Le ragazze dell'Amministrazione hanno organizzato un party per Theresa e siamo andate a portarle un regalo. Se ne va oggi come lei ben sa e...»
«No, non lo sapevo e non so neppure chi sia questa Theresa.»
«Theresa Worth, una ragazza con i capelli corti neri e gli occhiali.»
James iniziò a ricordare. «Ah, sì. Perché se ne va? Ha trovato un lavoro migliore oppure è stata licenziata?»
«È incinta.»
Lui alzò un sopracciglio. «È sposata?»
La segretaria lo fissò con disappunto. «Si è sposata l'anno scorso e abbiamo preparato una festicciola per lei in mensa.»
«Ha ragione» ribatté James rammentando la baraonda che avevano fatto nel locale suscitando le lamentele degli addetti alla pulizia il giorno seguente. «Questa Theresa se ne andrà per sempre oppure entra in congedo maternità?»
«No, signore, lei e suo marito si trasferiranno nello Yorkshire, per cui non tornerà più.»
«Meglio così, dato che è in grado di creare parecchia confusione.»
«Tutti vogliono bene a Theresa» replicò la signorina Roper indignata, «e le assicuro, signor Ormond, che ci siamo allontanate per pochi minuti e ho lasciato detto al centralino di non passare telefonate finché non fossimo tornate. Mi dispiace molto che sia stato disturbato. Farò delle indagini e chiederò al responsabile di venire a scusarsi di persona.»
«Lasci stare, ho già perso troppo tempo. Si assicuri solo che non accada più una cosa del genere in futuro.»
La segretaria promise, arrossendo in volto.
James non ricordava di averla mai vista tanto turbata. Brenda Roper era sempre calma, precisa e controllata. Aveva i capelli e gli occhi castani e amava vestirsi con abiti color marrone, che indossava sia d'estate che d'inverno. Brenda era più anziana di lui e gli era stata assegnata dal padre quattordici anni prima quando, terminata l'università, era entrato a lavorare in banca. Da allora avevano collaborato costantemente insieme.
All'inizio, mentre muoveva i primi passi al'interno dell'attività di famiglia, l'efficienza di Brenda Roper lo aveva intimidito e per questo motivo non si era mai rivolto a lei chiamandola con il suo nome di battesimo. Ancora oggi si parlavano l'un l'altro usando i rispettivi cognomi.
«Perché non mi ha avvertito che lasciava l'ufficio? Chiunque sarebbe potuto entrare e rubare dei soldi o prendere informazioni riservate dai computer insinuandosi nei nostri progetti.»
«Non senza il codice d'accesso, signor Ormond» gli ricordò calma la segretaria. «Nessuno lo può fare e solo noi due conosciamo la parola d'ordine. Comunque non le ho comunicato che ci assentavamo per non disturbarla.»
«Poteva restare almeno la sua assistente» sottolineò James, «e rispondere alle telefonate, anche se non è capace di riferire un messaggio come si deve.»
La signorina Roper lo guardò con aria di rimprovero. «Lisa fa del suo meglio.»
«Non è abbastanza.»
«Non è carino da parte sua. Mi creda, è una ragazza capace e una grande lavoratrice. È lei che la rende nervosa.»
«Non capisco perché.»
La donna emise un sospiro di frustrazione, aprì la bocca per dire qualcosa ma il telefono iniziò a squillare per cui si affrettò a sollevare il ricevitore, tutto sommato felice di quella interruzione.
James tornò nel proprio ufficio e sbatté la porta dietro di sé. Aveva l'impressione che entrambi fossero scampati a un momento critico. Si sedette dietro l'ampia scrivania e si dedicò nuovamente al rapporto che doveva finire di studiare prima di pranzo.
Per fortuna aveva un'ottima capacità di concentrazione, non si faceva distrarre da niente ed era una persona molto puntuale. Avrebbe smesso di lavorare giusto in tempo per non arrivare in ritardo alla sua colazione con sir Charles Standish, uno dei suoi direttori, con cui aveva bisogno di discutere su alcuni dati relativi a una compagnia dove l'uomo aveva lavorato anni addietro. Sperava che potesse fornirgli informazioni che il documento non conteneva.
James amava conoscere ogni dettaglio possibile su un affare da concludere e uno dei clienti più importanti della banca aveva chiesto la sua opinione sull'opportunità di acquistare quella particolare azienda. Non poteva permettersi di sbagliare.
La signorina Roper entrò nel suo ufficio cinque minuti dopo con un vassoio d'argento e si scusò per l'ennesima volta dell'increscioso incidente mentre gli versava il caffè nella delicata tazzina di porcellana utilizzata precedentemente dal padre di James.
«Sono davvero mortificata che l'abbiano disturbata. So che ha davanti una settimana difficile e...»
Senza sollevare lo sguardo James fece un gesto di congedo con la mano. «Vorrei solo che non accadesse un'altra volta. In futuro dovrà sempre esserci qualcuno di là. Non la pago perché risponda io alle telefonate. Di questo passo fra poco dovrò battermi anche le lettere.»
«Lei non sa battere, signor Ormond.»
James la fissò con i suoi occhi gelidi. «Cos'è tutto questo sarcasmo?»
«È semplicemente un dato di fatto» ribatté la donna, per niente contrita restando in piedi davanti alla scrivania come se avesse altro da aggiungere.
«Be'?» le chiese lui irritato.
«C'è una certa signorina Kirby al telefono che vuole parlare con lei.»
Lui aggrottò la fronte. «Kirby?» Quel nome gli era familiare anche se non riuscì subito a collocarlo nella sua mente finché non si ricordò della telefonata precedente. «Patience Kirby?»
La segretaria sorrise quasi furtiva. «Sì, signore. Patience Kirby. Gliela devo passare?»
«La conosce?»
«Io!?» esclamò la donna indietreggiando. «No, non la conosco ma credevo che lei...»
«No. Chi è?»
«Non ne ho idea e non ho domandato. Pensavo si trattasse di una chiamata personale.»
«Perché ha avuto questa impressione?»
«È stata la signorina Kirby che...»
«Oh, davvero? La cosa non mi impressiona. Mentre era via ho risposto a una sua telefonata ed era la prima volta che sentivo quel nome.»
«Allora che devo fare?»
«Scopra cosa vuole e se la sbrighi da sola.»
«Sì, signore» rispose la segretaria, dopodiché uscì e si richiuse silenziosamente la porta alle spalle.
James bevve un sorso di caffè senza smettere di lavorare. Era proprio come lo voleva lui, forte e aromatico. Ormai era diventata una consuetudine quella del caffè servito sempre alla stessa ora nella tazzina di porcellana con il bordo d'oro che era appartenuta a suo padre.
Di solito ne beveva due tazze accompagnate da qualche biscotto sistemato su un vassoio d'argento a parte. James era una persona decisamente abitudinaria. Era stato educato a una ferrea disciplina dal genitore in modo che un giorno fosse pronto a prendere in mano le redini della banca di famiglia, la Ormond & Sons, secondo le direttive da lui imposte parecchi anni prima. Certo, adesso erano state installate tutte le nuove tecnologie che servivano a rendere più agevole il lavoro, ma a parte quello, poco era cambiato.
Gli uffici si trovavano nella City, il quartiere degli affari, non molto distante dalle mura massicce della Torre di Londra. Dalle finestre del suo studio James godeva di una splendida vista del Tamigi e di gran parte della città, compreso il monumento commemorativo per l'incendio che aveva distrutto la capitale durante il regno di Carlo II. Più lontano era possibile scorgere l'imponente cupola della cattedrale di St. Paul e poi le altre numerose chiese del XVIII secolo, sparse tra gli alti grattacieli della fine del Novecento che si ergevano su entrambe le sponde del fiume.
James Ormond di rado prestava attenzione al panorama. Era costantemente concentrato sul suo lavoro. Arrivava in ufficio alle otto e gli sarebbe piaciuto che anche le segretarie fossero lì per quell'ora, ma la signorina Roper aveva una madre da accudire, per cui prima di uscire doveva prepararle la colazione, sistemarla sulla poltrona accanto alla finestra e accenderle la televisione. Pagava una vicina che andasse a darle un'occhiata durante la settimana finché lei non tornava a casa. Anche questa però doveva organizzarsi con i bambini e aspettare che andassero a scuola prima di essere libera.
Non c'era stato modo di convincere la segretaria a modificare quella routine domestica e lui aveva dovuto fare buon viso a cattivo gioco. Il telefono sulla scrivania suonò e James sollevò la cornetta in un gesto automatico. «Sì?»
«La signorina Willis, signore» annunciò Brenda Roper con il tono di voce distaccato