Conquistata da uno sconosciuto (eLit): eLit
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Info su questo ebook
Nikki Morrissy finalmente ha trovato il luogo ideale dove vivere tranquilla, senza uomini insistenti che le ronzano intorno. Ma non ha fatto i conti con il nuovo padrone di casa, l’affascinante Gabe Carver che, con la scusa di aiutare un cane abbandonato, non le dà tregua. Infastidita? Neanche un po’!
Marion Lennox
Marion Lennox is a country girl, born on an Australian dairy farm. She moved on, because the cows just weren't interested in her stories! Married to a `very special doctor', she has also written under the name Trisha David. She’s now stepped back from her `other’ career teaching statistics. Finally, she’s figured what's important and discovered the joys of baths, romance and chocolate. Preferably all at the same time! Marion is an international award winning author.
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Anteprima del libro
Conquistata da uno sconosciuto (eLit) - Marion Lennox
1
Un lupo ululava alla sua porta.
Forse non era esattamente la sua porta, considerò Nikki, ma era vicino. Si sentiva i capelli ritti in testa, ma ne aveva motivo.
Era il suono più sconvolgente e triste che potesse immaginare, ma lo stava sentendo davvero.
Appoggiò la tazza da tè di ceramica sul tavolino, provando un’inspiegabile gioia per non averne rovesciato il contenuto. Era una ragazza di campagna, ormai, e le ragazze di campagna non hanno paura dei lupi.
O forse sì. Cercò di ragionare. Nessun lupo viveva nei dintorni di Banksia Bay. Era la costa settentrionale del nuovo Galles del Sud.
Magari un dingo? Il suo padrone di casa non gliene aveva parlato, ma non significava niente. Gabe Carver era uno degli uomini più taciturni che avesse mai incontrato. Si esprimeva quasi a versi. «Firmi qui. Pagamenti il primo martedì del mese. Se ci sono problemi, si rivolga a Joe alla banchina. È il tuttofare. Benvenuta a Banksia Bay.»
Anche quando le aveva dato il benvenuto era sembrato riluttante.
Chissà se era a casa? Guardò fuori dalla finestra e si sentì sollevata nel vedere che il suo vicino aveva le luci accese. In realtà abitavano nella stessa casa, una vecchia costruzione sul promontorio alla periferia della città, ma il padrone di casa aveva diviso sei stanze dal resto dell’edificio e aveva aggiunto una cucina per creare l’appartamento di Nikki.
Il suo locatore era solo al di là di un muro, e condividevano la veranda all’ingresso. Il pensiero la rassicurò. Lui sembrava capace, forte e duro, quasi spaventoso. Se il lupo avesse cercato di entrare...
Ma era una follia. Niente avrebbe cercato di entrare a casa sua. La porta era chiusa. E non poteva essere un lupo.
Un nuovo ululato, pieno di disperazione, squarciò la notte e interruppe i suoi pensieri.
Come faceva a essere sicura che fosse disperato? Era solo un cane che ululava alla luna.
Eppure sembrava essere qualcosa di più.
Rischiò un’altra occhiata dalla finestra e poi chiuse anche le tende. Non era sicura di averne motivo, ma era spaventata. L’unica cosa sensata da fare era barricare la porta e andare a letto.
Un altro ululato, carico di dolore e disperazione.
Allontanati dalla finestra, Nikkita, si disse. Questa storia non ha niente a che fare con te. È una follia di campagna.
«Sono una ragazza di campagna, ormai» disse ad alta voce.
«No, invece» si rispose. «Sei una ragazza di città che abita a Banksia Bay dalla bellezza di tre settimane. Sei scappata qui perché quel bastardo del tuo capo ti ha spezzato il cuore. È stata una mossa stupida e irrazionale, non sai nulla della vita di campagna.»
Ma il suo padrone di casa abitava proprio di fianco a lei. Di qualunque cosa si trattasse, l’avrebbe sentita e se ne sarebbe occupato o avrebbe chiamato Joe.
Lei sarebbe semplicemente andata a dormire.
L’ululato riempiva la notte, rimbalzando tra le mura della casa vuota.
C’era un cane in difficoltà, ma non era un problema di Gabe. Assolutamente no.
Il lamento ritornò, ancora più doloroso. Se Jem fosse stata lì, di sicuro sarebbe andata a vedere cosa stava succedendo.
Gli mancava così tanto che era come se avesse perso una parte di sé.
Era seduto nella sua poltrona accanto al fuoco. Era tutto come al solito, tranne che il posto ai suoi piedi era vuoto.
Aveva trovato Jem sedici anni prima, una cucciola pelle e ossa di collie che stava mangiando un pesce marcio sulla spiaggia.
L’aveva presa in braccio, aspettandosi che ringhiasse o cercasse di morderlo, invece gli aveva leccato la faccia, e così era nata la loro amicizia.
Era morta tre mesi prima, nel sonno. Ancora dopo tutto quel tempo, Gabe allungava la mano aspettandosi che fosse lì con lui.
Ma era impossibile ignorare l’ululato.
Imprecò. Non voleva farsi coinvolgere, non lo aveva mai voluto, ma non poteva sopportare quella tortura. Il rumore veniva dalla spiaggia, e la marea stava salendo.
Perché un cane sarebbe dovuto essere intrappolato sulla spiaggia?
Perché un cane sarebbe dovuto essere sulla spiaggia, soprattutto?
Sospirò e appoggiò il suo libro su un mobile. Indossò il suo vecchio impermeabile e gli stivali e uscì di casa.
Restare a fissare il fuoco non lo avrebbe aiutato. Quando sua moglie lo aveva abbandonato, aveva deciso che non avrebbe mai più avuto legami emotivi. Portavano solo dolore.
Ma non voleva dire che la sua vita solitaria dovesse piacergli. Con Jem era stato bene, ma quei tempi erano passati.
Il suo pigiama di seta era steso sul piumino rosa, pronto per essere indossato, ma non poteva ignorare gli ululati.
Anche se non era una ragazza di campagna, aveva capito che qualunque animale si trovasse là fuori era in difficoltà, non era pericoloso.
Avrebbe potuto occuparsene il suo padrone di casa, ma non era sicura che l’avrebbe fatto.
Il primo giorno nella sua nuova casa, era stata preoccupata per il rumore emesso dalle tubature dell’acqua in bagno. La stanza era ampia, la vasca enorme, e le tubature sembravano provenire da un castello medievale. I rumori le avevano fatto pensare che non lo avrebbe mai usato il bagno.
Gabe stava tagliando la legna, e lei era stata restia a disturbarlo, intimidita dalla sua presenza fisica, dall’impressione di potenza e mascolinità che trasudava. Era stato uno spettacolo abbastanza gradevole.
In realtà, senza maglietta Gabe era stato un vero spettacolo.
Nikki si era sentita stupida e ormonale. Aveva preso il coraggio a due mani e si era avvicinata, sentendosi come una mendicante. «Scusi se la disturbo, ma potrebbe sistemare le tubature del mio bagno?»
«Chieda a Joe» aveva mormorato lui per tutta risposta.
L’aveva lasciata sconcertata per giorni. All’inizio era stata infuriata, aveva cercato di ignorare i rumori mentre si faceva la doccia, ma alla fine era andata a cercare Joe.
Joe era un vecchio pescatore in pensione che abitava in un vecchio schooner che sembrava non vedere il mare da anni. Le aveva promesso che avrebbe risolto il problema quello stesso pomeriggio, e in qualche modo lo aveva fatto, battendo sulle tubature con una chiave inglese. Mentre stava cercando di spiegargli quale fosse il problema, una grande barca da pesca verniciata di fresco l’aveva interrotta. Il ponte era pieno di trappole per granchi e il castello era coperto da lanterne che, le aveva spiegato Joe, servivano ad attirare i calamari.
Alla guida c’era il suo padrone di casa, sempre in grado di innervosirla. In grado di mettere in subbuglio i suoi ormoni solo con la sua presenza.
«Si occupa un po’ di tutto, lui» le disse Joe mentre guardavano passare Gabe. «Alcuni qui pescano solo calamari, o granchi, o tonni. Se il numero si riduce troppo, o crollano i prezzi, sono rovinati. Ne ho visti tanti ridursi così, ma Gabe rileva le loro attività e continua a farli lavorare. Se n’è andato per un po’, ma è tornato quando le cose hanno iniziato ad andar male. Ci ha salvati. Sei di queste barche sono sue.»
Al timone della sua imbarcazione, Gabe era una figura imponente. Il suo impermeabile poteva essere stato giallo, in origine, ma quei tempi erano lontani. Indossava pantaloni impermeabili di una taglia più grande, con bretelle, stivali di plastica e una maglietta a scacchi scolorita con le maniche arrotolate. Lo sguardo fisso sul mare gli donava un’espressione tetra.
Dopo giorni passati in mare, gli era cresciuta la barba, e i capelli erano irrigiditi dal sale.
La sua barca passò a pochi metri da quella di Joe, e Gabe lo salutò senza sorridere. Sembrava che non sorridesse mai.
Rilevava le attività dei pescatori in fallimento e guadagnava sulle disgrazie altrui? I suoi ormoni dovevano trovare qualcun altro su cui concentrarsi. In fretta.
«Immagino che non sia popolare» aveva azzardato Nikki, ma Joe l’aveva guardata come se fosse pazza.
«Sta scherzando? Senza Gabe, qui non lavorerebbe più nessuno. Rileva le attività fallite a un prezzo decente, e poi riassume tutto l’equipaggio. Adesso impiega una trentina di marinai, tra uomini e donne, e sono tutti in condizioni migliori di quando lavoravano in proprio. Ognuno di loro darebbe la sua vita per lui. Non che Gabe lo chiederebbe. Non chiede mai niente a nessuno. E non permette a nessuno di avvicinarsi. Quando qualcuno è in difficoltà, è il primo ad aiutare, a qualunque costo, ma non vuole gratitudine. Quando qualcuno prova a ringraziarlo, si chiude in se stesso. È un solitario, il nostro Gabe. A parte un matrimonio disastroso, lo è sempre stato e sempre lo sarà. La città lo rispetta. Saremmo matti a non farlo.»
Fece una pausa mentre osservava Gabe manovrare per fermare facilmente la barca in uno spazio che sembrava troppo piccolo per contenerla. «Ma adesso che gli è morto il cane» proseguì Joe con tono riflessivo, «non so... Non lo abbiamo mai visto senza di lei, non da quando era un ragazzo, e come l’ha presa...» Si interruppe e scosse la testa. «Riguardo alle tubature...»
Erano passate due settimane.
Un ululato la riportò al presente. Un cane era in difficoltà, e lei doveva fare qualcosa.
Ma non c’era niente che potesse fare. Doveva occuparsene il suo padrone di casa.
Un altro ululato, lungo, basso e terrificante.
Si era già messa la maglietta del pigiama, con un senso quasi di sfida.
Ancora.
I dubbi la assalirono. E se lui non fosse stato a casa? Se avesse lasciato la luce accesa e se ne fosse andato?
C’era un cane in difficoltà, ma non era un suo problema. Non era un suo problema.
Chiuse gli occhi, ma un nuovo ululo la convinse a rimettersi i suoi jeans firmati. Doveva proprio comprare qualcosa di più adatto alla campagna.
E doveva fare qualcosa per quel cane.
Dove aveva lasciato la torcia elettrica?
E se fosse stato un dingo?
Prese il cellulare, controllò di avere segnale e di avere i numeri d’emergenza salvati in chiamata rapida.
Di fianco al camino c’era un pesante attizzatoio di metallo. Per ora non aveva ancora acceso il fuoco, o meglio, ci aveva provato, ma aveva riempito di fumo la stanza, e qual era la soluzione? Comprare un caminetto elettrico.
Gli ululati ormai si erano fatti quasi ininterrotti.
Ne aveva abbastanza. Con l’attizzatoio in una mano e la torcia nell’altra, Nikki, una ragazza di campagna come un’altra, in parte, uscì per controllare.
La spiaggia era ricoperta di arbusti fin quasi al mare. Gabe s’incamminò con sicurezza lungo il vecchio sentiero. Aveva vissuto lì quasi tutta la sua vita, e conosceva ogni meandro della zona. Non gli serviva una pila. La luna gli forniva abbastanza luce, e la torcia gli avrebbe impedito di vedere il quadro della situazione.
Raggiunse la spiaggia e si mise a cercare nella direzione del gemito. Era un cane grosso ma pelle e ossa, che ululava la sua disperazione con le zampe nell’acqua bassa.
Gabe gli si avvicinò lentamente, per non spaventarlo, facendo finta di stare passeggiando sulla spiaggia e di non averlo neanche notato.
L’animale lo notò e smise di ululare, spingendosi più lontano in mare, chiaramente spaventato.
Un levriero irlandese? Probabilmente incrociato con qualcos’altro.
«Va tutto bene» cercò di rassicurarlo quando era ancora a venti metri