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Allenamento al bacio: Harmony Jolly
Allenamento al bacio: Harmony Jolly
Allenamento al bacio: Harmony Jolly
E-book180 pagine2 ore

Allenamento al bacio: Harmony Jolly

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Info su questo ebook

Esiste l'amicizia tra un uomo e una donna? Forse sì e forse no...



Lucy Martin mai avrebbe immaginato di tornare nella sua piccola città natale: troppi ricordi e non tutti felici. Ma non avrebbe mai potuto dire di no a suo fratello e soprattutto al suo dolce nipotino Connor. Proprio il piccolo, infatti, le ha chiesto un grosso favore: trovare un nuovo allenatore per la squadra di calcio in cui gioca. Il compito sembra quasi impossibile, sino a quando in città non arriva il noto e affascinante calciatore Ryland James. Lucy lo conosce molto bene sin da quando erano bambini. Chiedergli un favore in ricordo dei vecchi tempi? Perché no. Oltretutto a lei non dispiacerebbe che Ryland l'aiutasse anche fuori dal campo di calcio!
LinguaItaliano
Data di uscita9 feb 2018
ISBN9788858977835
Allenamento al bacio: Harmony Jolly
Autore

Melissa Mcclone

Laureata alla Stanford University, ha lasciato il lavoro di ingegnere meccanico per scrivere.

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    Anteprima del libro

    Allenamento al bacio - Melissa Mcclone

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    It Started with a Crush...

    Harlequin Mills & Boon Romance

    © 2007 Melissa Martinez McClone

    Traduzione di Anna Sibilia

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5897-783-5

    1

    Erano quattro settimane che ogni santo giorno, il pulmino della scuola di Connor arrivava non più tardi delle tre e mezza.

    Ma quel giorno era in ritardo.

    Lucy Martin diede un’altra occhiata all’orologio del salotto. Le tre e quarantasette.

    Un nodo d’ansia le stringeva lo stomaco. Il nipote avrebbe già dovuto essere a casa.

    Era il caso di chiamare la scuola, per vedere che fine aveva fatto il pulmino, o stava esagerando? Quella maternità surrogata era troppo recente per saperlo.

    Lucy si spostò alla finestra, sperando che il pulmino sarebbe apparso. L’angolo della strada, tuttavia, rimase deserto. Non c’era da stupirsene. Solo i residenti si avventuravano in quel quartiere di periferia.

    Cosa doveva fare?, si chiese Lucy.

    C’erano parecchi numeri di telefono nell’elenco che aveva definito guida di sopravvivenza. Glieli aveva segnati sua cognata Dana, prima di partire. Ma un pulmino in ritardo non rientrava nelle emergenze. Lucy aveva già controllato. Due volte.

    Niente panico.

    Wicksburg era una cittadina con tasso criminale minimo e livello di eccitazione pari a zero, salvo durante il raccolto in estate, le partite di football il venerdì sera in autunno e quelle di basket in inverno. Il pulmino poteva essere in ritardo per svariati motivi. Un ingorgo dovuto a un trattore che rallentava il traffico, lavori di manutenzione alle strade, un incidente...

    Lucy si sentì percorrere da un brivido freddo.

    Non doveva abbandonarsi al panico, si ripeté. D’accordo, era abituata a preoccuparsi soltanto di se stessa. Questo bisogno che sentiva di vedere subito il nipote sano e salvo era qualcosa di assolutamente nuovo per lei. Ma avrebbe fatto meglio ad abituarvisi. Nell’anno a venire, ci sarebbe stata solo lei per Connor, mentre i genitori, entrambi nell’esercito, sarebbero stati di stanza oltreoceano. Suo fratello maggiore, Aaron, contava su di lei. Se fosse successo qualcosa a Connor mentre era affidato alle sue cure...

    I muscoli si tesero.

    «Meow.»

    Il gatto di famiglia, Manny, si stava strofinando contro la porta. I suoi occhi verdi incontrarono quelli di Lucy.

    «Lo so, Manny.» La preoccupazione del gattone era pari alla sua. «Anche io non vedo l’ora che Connor sia a casa.»

    Mentre parlava, con la coda dell’occhio colse un lampo di giallo e subito guardò fuori dalla finestra.

    Il pulmino era fermo all’angolo, con le luci rosse che lampeggiavano.

    Un’ondata di sollievo la sommerse.

    «Oh, grazie a Dio!»

    Lucy corse verso la porta, poi si bloccò. Connor le aveva chiesto di non andargli incontro. Capiva perfettamente il suo bisogno di indipendenza e voleva che il piccino fosse felice. Ma, anche se lo accontentava in ogni sua richiesta, o almeno in quelle ragionevoli, negli ultimi quindici giorni non era riuscita a spazzar via la tristezza dai suoi occhi. I sorrisi erano divenuti un evento raro dacché i genitori se n’erano andati.

    Sbirciando da dietro le tende poteva vedere sia il pulmino che il marciapiede e il breve percorso sino alla casa. In quel modo Connor si sarebbe sentito indipendente mentre lei vegliava sulla sua sicurezza.

    Le straziava il cuore vederlo ciondolare in giro come un cucciolo abbandonato, ma era comprensibile. Gli mancavano il papà e la mamma. Lei aveva cercato di fare del suo meglio per farlo sentire a proprio agio. Ma niente, nemmeno i suoi dolci preferiti o i videogiochi, erano serviti allo scopo. Ora che la sua squadra di calcio era rimasta senza allenatore, poi, le cose andavano di male in peggio.

    Le porte del pulmino si aprirono. Le gemelle Bowman scesero. Le due bimbette di sette anni erano vestite nello stesso modo: abitini rosa a pois, scarpe bianche e zaini viola.

    Connor era fermo sul gradino del mezzo con un largo sorriso sulle labbra. Non appena la strada fu libera, saltò giù dal pulmino e schizzò via.

    Lucy ebbe un moto di gioia. Doveva esser successo qualcosa di bello a scuola, pensò.

    Mentre il nipote si avvicinava alla casa, si scostò dalla finestra. Voleva che quel sorriso non svanisse.

    Manny le si strusciò contro la gamba. Un suono simile a un cinguettio gli uscì di bocca. Strano, ma non così inatteso da un gatto che quando era arrabbiato latrava.

    «Stai tranquillo, Manny» gli disse, accarezzandolo sulla schiena. «Connor sarà a casa fra tre... due... uno...»

    La porta si spalancò. Manny fece per uscire, ma Connor richiuse in fretta, per impedire che scappasse.

    «Zia Lucy.» Il bambino aveva gli occhi che scintillavano. Erano blu, come quelli di Aaron. Stessi occhi, stessi capelli, stesse lentiggini. «Ho trovato uno che può allenare i Defeeter.»

    Avrebbe dovuto immaginarlo che il cambiamento di umore di Connor era in qualche modo legato al calcio. Suo nipote lo adorava. Aaron aveva allenato la sua squadra, i Defeeter, sin da quando lui aveva iniziato a giocare, a cinque anni. Uno degli altri papà si era offerto di prendere il posto di Aaron ma poi, per motivi di lavoro, aveva dovuto rinunciare. Per una ragione o per l’altra, non c’era nessun altro che fosse disponibile, così la squadra era rimasta senza allenatore.

    L’idea di chiedere una mano al suo ex marito l’aveva sfiorata per un nano secondo prima che la ricacciasse in un remoto recesso della sua mente, insieme a tutte le altre pessime idee. Essere tornata nella stessa città dove stava Jeff era già abbastanza duro con tutti i ricordi legati a lui che riaffioravano. Non lo aveva ancora visto, né aveva voglia di vederlo.

    «Fantastico» disse. «Chi è?»

    Il sorriso di Connor si allargò. «Ryland James» rispose, togliendosi lo zaino di spalla.

    Il cuore le andò sotto i tacchi. «Quel Ryland James?»

    Il piccino annuì con entusiasmo. «Non è solo il miglior giocatore della MSL, ma è anche il mio preferito. Sarà perfetto. Ha giocato nella stessa squadra con il mio papà. Hanno vinto un sacco di tornei. Ryland è un bravo ragazzo. Il mio papà lo dice sempre.»

    Ryland in effetti era un bravo ragazzo ed era stato uno dei più grandi amici di Aaron, ma Lucy non lo vedeva da quando aveva lasciato le superiori per andare a giocare con la U.S Soccer, in Florida. Stando a quanto le aveva raccontato suo fratello, Ryland si era fatto notare mentre giocava oltreoceano e andava alla grande anche ora che stava con la Phoenix Fuego, una Major League Soccer (MLS) degli Stati Uniti. Le pareva difficile che uno come lui avesse in programma di allenare una squadra di ragazzini tra gli otto e i dieci anni.

    Lucy si mordicchiò il labbro, cercando di non lasciar trapelare ciò che pensava. Non voleva veder scomparire il sorriso di Connor. «Wow» disse infine. «Ryland James sarebbe il massimo, ma non credi che debba prepararsi agli allenamenti per il campionato?»

    «Le squadre della MLS si stanno allenando in Florida e in Arizona da gennaio» ribatté Connor. «Il campionato inizia ad aprile.» Parlava come se lei dovesse essere perfettamente a conoscenza di quelle cose. E, dato che il calcio in casa Martin era da sempre lo sport per eccellenza, probabilmente aveva ragione. «Ma Ryland James si è fatto male giocando in una partita amichevole con il Messico. Per un po’ è fuori.»

    Quella notizia la sorprese. Aaron in genere la teneva aggiornata su Ryland. Non le permetteva di dimenticare la cotta che aveva preso per il ragazzo della zona sbagliata della città che adesso era una stella del calcio. «Si è fatto molto male?»

    «È stato operato tre settimane fa e deve stare a riposo per un mese. Sta dai suoi per la convalescenza.» Gli occhi di Connor si fecero ancora più luminosi. «Non è grandioso?»

    «Non definirei grandioso farsi male ed essere operati.»

    «Non quello, ma il fatto che sia qui e possa allenarci» dichiarò lui con sicurezza, come fosse cosa fatta. «Scommetto che sarà bravo quanto il mio papà.»

    «Qualcuno ha chiesto a Ryland se è disposto ad allenare i Defeeter?»

    «No» ammise Connor, come nulla fosse. «L’idea mi è venuta a ricreazione, quando Luke mi ha detto che Ryland James era alla stazione dei vigili del fuoco e firmava autografi nella sala dove servivano gli spaghetti. Anche gli altri pensano sia un’idea eccezionale. Se solo fossi stato lì...»

    La spaghettata dei vigili del fuoco era uno dei più importanti eventi di Wicksburg. Lei e Connor avevano deciso di non andare alla raccolta fondi perché aspettavano una telefonata da Dana. «Dovevi parlare con la mamma, no?»

    «Lo so. Ma mi piacerebbe avere un autografo di Ryland James. Se ci allena, mi farò firmare il pallone.»

    «Tesoro, Ryland potrebbe non avere tempo per...» cercò di farlo ragionare Lucy.

    «Glielo chiedi tu se ci allena, zia? A te dirà di sì.»

    Era così eccitato e pieno di anticipazione che le si strinse il cuore. Avrebbe fatto qualunque cosa per il nipote. Era tornata nella città dove viveva il suo ex, ora sposato con la sua migliore amica, per occuparsi di lui, ma rivedere Ryland...

    «Potrebbe dire di no» insistette.

    L’ultima volta che lo aveva visto era stato prima del trapianto di fegato. Frequentava la prima superiore ed era pallida, sfinita e gonfia di liquidi. Per via della malattia era costretta a letto per gran parte del tempo e la stella nascente del calcio aveva infiammato le sue fantasie di adolescente. Aveva sognato che le facesse indossare la sua felpa, che la invitasse ad andare al cinema con lui, che le chiedesse di diventare la sua ragazza.

    Ovviamente, non era successo nulla di tutto ciò. Odiava esser conosciuta come la ragazzina malata e non aveva mai trovato il coraggio di rivolgere la parola a Ryland James. E poi...

    La squadra di calcio della scuola aveva organizzato un paio di raccolte fondi per aiutarla ad affrontare le spese mediche del trapianto. Ricordava perfettamente il momento in cui Ryland le aveva consegnato l’assegno. Aveva cercato di nascondere l’imbarazzo sorridendo e guardandolo negli occhi.

    Lui l’aveva lasciata di stucco rispondendo al sorriso e il cuore si era messo a galopparle in petto. Non avrebbe mai scordato la sua gentilezza, né il suo sguardo pieno di pietà. Ne era rimasta devastata.

    Le si chiuse lo stomaco al ricordo. Non era più la stessa ragazzina. Tuttavia, non voleva rivedere Ryland.

    «Ryland è più vecchio di me» osservò. Nessuno poteva immaginare cosa aveva passato e quanto era stato brutto sentirsi così malata e stanca. O quanto era stato orribile desiderare di essere normale, sana, e non esserlo. «Era amico del tuo papà, non mio. In realtà, non lo conosco.»

    «Ma lo hai incontrato.»

    «Veniva a casa nostra, ma non credo proprio che si ricordi me...»

    «Ti prego, zia Lucy» la implorò Connor. «Non lo sapremo mai, se non glielo chiedi.»

    Dannazione. Sembrava Aaron. Non mollava, a qualunque costo. E non aveva permesso a lei di farlo. Né quando le avevano spiegato che senza un trapianto sarebbe morta, né quando Jeff le aveva spezzato il cuore.

    Lucy provò un empito d’affetto per il fratello. L’avrebbe fatto per lui, oltre che per Connor. Ma non aveva idea di come avvicinare una persona così ricca e famosa come Ryland James.

    Il nipote la fissava con i grandi occhioni blu sgranati.

    Le venne un nodo in gola. Che avesse voglia o meno di rivedere Ryland non aveva importanza. «D’accordo» accondiscese. «Glielo chiederò.»

    Connor la abbracciò. «Lo sapevo che potevo contare su di te.»

    Lucy lo strinse forte. «Puoi sempre contare su di me, campione.» Anche se era consapevole che le cose potevano non andare come voleva lui. Ma il suo sorriso sarebbe durato ancora un po’. Almeno

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