Prove di fascino: Harmony Destiny
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Kate Hoffmann
Dopo aver lavorato come redattrice di testi pubblicitari, ha intrapreso la difficile strada del romanzo e ha dovuto superare difficili momenti prima di approdare al successo. Ora finalmente può permettersi di dedicarsi alla scrittura a tempo pieno.
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Prove di fascino - Kate Hoffmann
vita.
1
Erano le tre e un quarto quando suonò l'allarme. Dylan Quinn stava lucidando le rifiniture cromate del camion dei pompieri mentre i colleghi si rilassavano al piano superiore dopo la pausa per il pranzo. Senza perdere un attimo, si precipitò a indossare stivali, giacca e casco.
La voce dell'operatore ripeté per tre volte all'altoparlante l'indirizzo dove si era sviluppato l'incendio. Dylan trattenne il fiato. Diavolo, era soltanto a pochi isolati di distanza dalla centrale!
Mentre gli altri si preparavano in fretta, uscì dalla rimessa e guardò lungo Boylston Street. Non si vedeva fumo. Forse sarebbero riusciti ad arrivare prima che l'incendio divampasse oltre ogni controllo.
In quel momento il camion uscì dalla rimessa. Dylan fece un cenno di intesa a Ken Carmichael, l'autista, e mentre l'altro rallentava balzò a bordo e si afferrò alla barra posteriore.
Mentre procedevano attraverso il traffico di Boylston Street, ripensò al momento in cui aveva deciso di diventare pompiere. Da bambino avrebbe voluto fare il brigante o il cavaliere della Tavola Rotonda, ma al termine degli studi aveva dovuto rivedere le proprie preferenze. Non voleva andare all'università, il fratello Conor si era appena arruolato in polizia, così aveva optato per il corpo dei vigili del fuoco. E aveva capito di avere fatto la scelta giusta nel momento stesso in cui aveva varcato la soglia della centrale.
Durante il tirocinio si era impegnato con tutte le proprie forze per essere l'allievo più in gamba e ci era riuscito. Nel corpo dei pompieri, soltanto altri due colleghi erano stati promossi al rango di tenente più in fretta di lui. In capo a pochi anni, Dylan avrebbe potuto aspirare al grado di capitano: gli bastava soltanto prendere la laurea con i corsi serali.
La vita del pompiere gli era sempre piaciuta, e non per la fama e per le belle donne che sembravano sempre pronte a gettarsi tra le sue braccia, quanto piuttosto per l'opportunità di salvare delle vite umane.
Il camion si fermò lentamente in mezzo al traffico. Dylan afferrò l'ascia e balzò a terra. Controllò l'indirizzo, e soltanto allora si accorse del filo di fumo grigio che usciva dalla porta aperta di un bar. Un attimo più tardi, una donna minuta con il viso coperto di fuliggine uscì correndo dalla porta.
«Grazie al cielo siete qui!» esclamò. «Fate presto! Fate presto!»
Nel dire questo, tornò all'interno e Dylan le corse dietro. «Signora, si fermi!» Non voleva che quella donna corresse dei rischi. Anche se a prima vista l'incendio non sembrava pericoloso, l'esperienza gli aveva insegnato a diffidare delle prime impressioni. Le fiamme avrebbero potuto raggiungere del materiale infiammabile, causare un'esplosione.
L'odore che gli colpì le narici non appena ebbe varcato la soglia fu quello di gomma bruciata.
La donna era dietro un bancone e cercava disperatamente di spegnere un piccolo focolaio battendoci sopra uno strofinaccio bruciacchiato.
Dylan la afferrò per un braccio. «Deve andarsene da qui, signora, prima di farsi male.»
«No!» gridò lei cercando di divincolarsi dalla sua stretta. «Dobbiamo spegnere l'incendio prima che faccia danni.»
Altri due pompieri, intanto, stavano entrando nel bar portando un estintore. «Mi pare che sia partito tutto da questa macchina» disse loro Dylan. «Apritela e trovate il focolaio.» Detto questo, sospinse la donna verso la porta.
«Aprirla?» Lei puntò i piedi e rifiutò di muovere un altro passo.
Nonostante il velo di fuliggine che le copriva il volto, Dylan si accorse che era molto bella. I capelli color mogano le ricadevano in morbide onde sopra le spalle, aveva un profilo perfetto, e ogni tratto del suo volto, dagli occhi verdi al naso dritto alle labbra carnose, era in perfetta armonia con tutti gli altri. Dylan dovette darsi una vigorosa scrollata mentale per tornare a concentrarsi sul lavoro.
«Signora, se non esce immediatamente, sarò costretto a trasportarla fuori io stesso» la mise in guardia. Indossava un maglioncino striminzito, una minigonna assolutamente insufficiente a coprire gambe chilometriche e stivaloni con il tacco alto. «E considerando le dimensioni della sua gonna, non credo che le farebbe piacere se me la issassi in spalla.»
Lei lo fulminò con un'occhiata incandescente. Era indignata, stava facendo del proprio meglio per controllarsi. «Questo è il mio bar!» sbottò innervosita. «E non ho nessuna intenzione di lasciarglielo distruggere a colpi d'ascia.»
Soffocando un'imprecazione, Dylan fece ciò che aveva già fatto centinaia di volte. Si piegò, le cinse le gambe con le braccia, poi se la issò in spalla. «Torno tra un istante» gridò ai suoi uomini.
La donna incominciò a urlare e a tirare calci, ma lui non se ne accorse neppure. La sua attenzione era tutta concentrata sul fondoschiena appoggiato al suo orecchio.
Quando finalmente uscì, la depose con gentilezza sull'asfalto accanto a uno dei camion, poi le sistemò la minigonna per restituirle un briciolo di dignità. Lei gli schiaffeggiò la mano, come se quello fosse stato un gesto di deliberata molestia.
Dylan incominciava a perdere la pazienza. «Resti qui» le ingiunse a denti stretti.
«No» protestò lei avviandosi decisa verso la porta del bar.
E ancora una volta lui dovette correrle dietro. La raggiunse che era già entrata, la afferrò per la vita e la trascinò via con sé, le spalle di lei strette contro il suo petto. Quel contatto intimo gli fece di colpo passare dalla mente l'incendio con tutti i rischi connessi, spostando la sua attenzione piuttosto sui pericoli nascosti in quel corpo femminile tanto seducente.
Nello stesso momento, Artie Winton afferrò l'ascia e la fece cadere pesantemente sull'apparecchiatura in fiamme. Subito dopo, Jeff Reilly la coprì con uno strato di schiuma dall'estintore.
«Ecco il focolaio» annunciò Jeff. «A quanto pare non si è diffuso ulteriormente.»
«Che cos'è?» domandò Dylan.
Reilly adocchiò i resti del macchinario. «Una macchina per preparare lo yogurt?»
«È una macchina per il caffè» commentò Winton.
«Per l'esattezza, una Espresso Master 8000 Deluxe.»
Dylan guardò la donna e le vide scivolare una lacrima lungo la guancia. Represse un'imprecazione. Detestava le lacrime. Non sapeva come reagire, non era capace di pronunciare parole di conforto.
Si schiarì la voce. «Controllate il resto del locale» ordinò ai suoi uomini mentre batteva una pacca amichevole sulla spalla della donna. «Assicuratevi che non ci sia un altro corto circuito e controllate il contatore.»
Detto questo, si tolse i guantoni e prese per mano la giovane per condurla di nuovo verso la porta. Avrebbe dovuto pensare a qualcosa da dirle, invece si lasciò affascinare dalla sensazione di delicatezza che provò nello stringerle le dita tra le proprie. «Non c'è niente che possa fare qui dentro» le disse. «Controlleremo tutto noi. Lei potrà tornare nel bar soltanto quando ci saremo assicurati che sia tutto a posto.»
Detto questo, la accompagnò fuori e la scortò verso il camion, dove la costrinse a sedersi sul predellino.
Un infermiere corse verso di loro, ma lui lo allontanò con un gesto della mano. Adesso la ragazza piangeva a dirotto. Dylan si sentiva stringere il cuore e dovette resistere alla tentazione di prenderla tra le braccia per confortarla. Non aveva ragione per piangere. In fondo aveva perso soltanto una macchina per il caffè.
«Va tutto bene» cercò di rincuorarla. «So che è spaventata, ma almeno sta bene. E il bar non ha riportato gravi danni.»
A quelle parole lei sollevò di scatto la testa e lo incenerì con un'occhiataccia. «Quella macchina costa quindicimila dollari. È la migliore sul mercato, è in grado di preparare quattro tazze di caffè in quindici secondi. E lei e i suoi barbari armati di ascia l'avete ridotta in mille pezzi.»
Sbigottito dall'intensità di quello sfogo, Dylan arretrò di un passo, come scottato da quelle parole. Quella donna gli doveva almeno un minimo di gratitudine. «Stia a sentire, signora, io...»
«Non mi chiamo signora» lo interruppe lei.
«Comunque si chiami, dovrebbe essere felice» proseguì lui irritato. «Anzi, no. Dovrebbe essere estatica. Non si è ferita, non ha perso una persona cara, non ha perso il suo cucciolo preferito, né nessun ricordo di famiglia. Ha perso soltanto una macchina per il caffè, e per di più difettosa.»
Lei tacque di colpo e un altro lacrimone le rotolò lungo il viso. Dylan dovette resistere alla tentazione di asciugarglielo con un dito.
«Non era una macchina per il caffè qualsiasi.»
«Lo so. Era una Espresso Master 8000 Deluxe. Un mucchio di acciaio e di tubi. Mi dia retta, signora, io...»
«Le ho già detto che non mi chiamo signora» insistette lei e si scostò i capelli dal viso con un gesto irritato. «Mi chiamo Meggie Flanagan.»
Fino a quel momento, Dylan non l'aveva riconosciuta. Poi lei gli disse il suo nome e fu come se all'improvviso lo avesse colpito un fulmine. Era cambiata, e anche tanto, eppure conservava ancora qualche traccia della ragazzina che era stata un tempo. «Meggie Flanagan?» ripeté esterrefatto. «Mary Margaret Flanagan? La sorellina di Tommy?»
Lei lo guardò torva. «Forse.»
Per tutta risposta, Dylan si tolse il casco e si passò una mano tra i capelli, scoppiando a ridere. «La piccola Meggie Flanagan. Come sta tuo fratello? Non lo vedo da una vita!»
Lei lo guardò sospettosa, poi lesse il nome scritto sulla giacca. «Quinn?» mormorò infine incredula. «Oh, Dio!» Si appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si prese il viso tra le mani. «Sapevo che saresti tornato a rovinarmi di nuovo la vita.»
«Rovinarti la vita?» ripeté lui sconcertato. «Guarda che io ti ho salvato la vita!»
Meggie balzò in piedi. «Non è affatto vero! Sarei stata perfettamente in grado di spegnere l'incendio da sola.»
Lui si incrociò le braccia sul petto. «Allora perché hai chiamato i pompieri?»
«Non sono stata io a farlo. È stata la compagnia assicurativa.»
Per tutta risposta, lui le strappò di mano lo strofinaccio bruciacchiato che ancora brandiva. «E contavi di estinguere le fiamme con questo?» la sfidò agitandoglielo sotto il naso. «Scommetto che non hai nemmeno un estintore, vero? Dio, se solo immaginassi quanti incendi si potrebbero estinguere con un estintore.»
Lei sollevò la testa con aria di sfida e a Dylan morirono le parole sulle labbra.
Meggie Flanagan. Ci mancò poco che si sentisse in imbarazzo per l'attrazione che aveva provato prima per lei. In fondo era la sorellina di uno dei suoi amici. C'erano regole precise tra gli uomini, e una delle principali era che nessuno si sarebbe mai dovuto permettere di infastidire la sorella di un amico. Ciononostante, Meggie non era più la ragazzina occhialuta di un tempo e Tommy non si faceva vedere da anni.
«Sai che potrei multarti per infrazione?»
«Ma certo, fa' pure. A giudicare da ciò che hai fatto in passato, ne saresti anche capace.»
«Meggie Flanagan!» esclamò Dylan incredulo.
Ancora ricordava le interminabili giornate che aveva trascorso a casa dei Flanagan quando era al liceo, e non tanto perché Tommy aveva mille videogame, ma soprattutto perché la madre era una donna allegra e amorevole che spesso lo invitava a cena.
Dylan accettava sempre volentieri quegli inviti. Ricordava che a tavola Meggie sedeva di fronte a lui. Ogniqualvolta lui sollevava gli occhi, la scopriva a fissarlo intenta. Aveva due anni meno di lui, quindi a scuola non frequentavano la stessa classe. Ciononostante, non passava giorno senza che Dylan la incontrasse nei corridoi, magari ferma vicino al suo armadietto. Gli altri compagni la prendevano sempre in giro e lui non si era mai lasciato sfuggire l'occasione di difenderla.
I sentimenti protettivi di una volta riaffiorarono all'improvviso. La vide che passeggiava nervosa davanti al bar, strofinandosi infreddolita le braccia