Un salto per Maggie: Harmony Destiny
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Pamela Browning
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Un salto per Maggie - Pamela Browning
successivo.
Prologo
Little Deer River, più di centocinquant'anni fa...
Tsani correva attraverso la foresta, braccato dall'incessante abbaiare dei cani lanciati al suo inseguimento dal vecchio Garvey. Era stato un pazzo a pensare di riuscire a far ragionare l'uomo che voleva Margaret in sposa, la sua Margaret.
I rami degli alberi gli strappavano i vestiti e gli graffiavano il volto. O forse non erano rami, bensì i perfidi Yunwi Tsundsi del Piccolo Popolo dei Cherokee che volevano trattenerlo. Probabilmente, il Piccolo Popolo non desiderava che raggiungesse il fiume dove l'aspettava la sua donna, con cui aveva deciso di fuggire verso una vita migliore.
I cani si avvicinavano sempre più. Tsani cadde, cercò di rialzarsi, ma la caviglia cedette. Perse momenti preziosi nel tentativo di orientarsi nel fitto della foresta. Finalmente udì il rumore sordo delle cascate e comprese che il Lungo Uomo, il nome con cui i Cherokee chiamavano il Little Deer River, era vicino.
Raggiunse più in fretta che poté un promontorio che sovrastava il fiume. Margaret lo attendeva di sotto con la sua canoa lottando contro la corrente.
I cani ormai lo stavano raggiungendo. Tsani chiamò Margaret, ma lei non riuscì a sentirlo. Disperato, comprese che con la sua caviglia slogata non sarebbe mai riuscito a scendere lungo la parete rocciosa senza essere raggiunto dalle bestie inferocite.
Ti amo, Margaret, le gridò in silenzio, quindi avanzò sull'orlo del precipizio e saltò.
1
Little Deer River, oggi...
Se Maggie Macintyre pensò a qualcosa quando l'uomo cadde dal cielo, fu che un uccello molto grosso e probabilmente impazzito si fosse tuffato a bomba dalla rupe sovrastante. Prima che riuscisse a realizzare cosa stesse succedendo, l'essere atterrò sulla poppa della sua canoa riempiendola d'acqua.
«Che dia...» esclamò, mentre veniva catapultata nelle acque agitate del Little Deer River. L'uomo, sorpreso quanto lei, scivolò a sua volta sott'acqua.
Si ritrovarono abbracciati nella corrente e Maggie annaspò cercando disperatamente di raggiungere la superficie. Non appena riprese fiato, fissò la sua attenzione sugli occhi più scuri che avesse mai visto in vita sua e che appartenevano a un uomo dalla pelle color bronzo e dai lunghi capelli neri. Forti braccia la circondarono nel tentativo di tenerla a galla.
«Sai nuotare?» gridò lo sconosciuto. Per tutta risposta, Maggie si liberò dall'abbraccio e nuotò verso riva. Afferrò il ramo di un albero che sporgeva dall'argine ripido e si arrampicò su una roccia. Era senza fiato.
L'uomo, che le era sempre stato accanto, uscì dall'acqua senza sforzo apparente.
«Tutto bene?» domandò.
Lei guardò la sua canoa che veniva trasportata via dalla corrente sbattendo contro i massi. Non avrebbe retto l'impatto con le cascate.
«Ti ho chiesto se stai bene» ripeté lo sconosciuto.
«No» rispose Maggie brusca. «Che cosa diavolo le è venuto in mente di saltare dentro la mia canoa?»
Lui allontanò dagli occhi una ciocca di capelli. «Non mi crederesti se ti dicessi perché l'ho fatto.»
«Vuole forse farmi intendere che è deliberatamente saltato? Che non è caduto? Che nessuno l'ha spinta?»
«Sì, è così. Sono saltato.» Il suo sguardo si soffermò sul seno della donna, messo in risalto dalla maglietta bagnata.
Maggie incrociò le braccia nel tentativo di coprirsi e indietreggiò il più possibile cercando di allontanare da sé lo sguardo insistente dell'uomo.
«Quella canoa aveva solo due giorni di vita!» protestò, senza riuscire a reprimere i brividi.
«Tu hai freddo» notò lui fissandola con i suoi occhi neri come l'ebano.
Maggie cercò di rilassarsi e di fingere che non fosse successo nulla. Quel giorno aveva programmato una piacevole escursione sul fiume per avere l'opportunità di pensare tranquillamente al suo futuro, e maledire Kip Baker, colui che l'aveva piantata in asso. Aveva pensato di riuscire a lasciarsi andare a un lungo pianto liberatorio. Invece, in quel preciso momento, sentiva il bisogno di piangere non a causa di Kip, bensì per essere stata gettata in acqua da quel tipo in perizoma.
Perizoma? Davvero quell'individuo indossava soltanto un perizoma? Sì, ed era tutto.
«È meglio che ti riporti a casa. Non puoi rimanere con quei vestiti bagnati addosso.»
«Almeno, io indosso dei vestiti!» ribatté Maggie cercando di guardare altrove.
Lui ignorò l'osservazione, la prese per mano e la fece alzare. «Andiamo. Dobbiamo muoverci prima che tramonti il sole.»
Lei si liberò dalla sua stretta, indignata dal fatto che quello sconosciuto non si fosse neppure scusato per la perdita della sua canoa. «Non vengo da nessuna parte con lei. Non so chi sia e perché se ne vada in giro mezzo nudo per la foresta. Non capisco cosa l'abbia spinta a saltare e per quale motivo mi trovi qui a conversare con lei, signor...?»
«Jennings. Tate Jennings» rispose lui dall'alto del suo metro e ottantacinque.
Maggie dovette ammettere di trovarsi di fronte a un corpo perfetto sebbene preferisse uomini più civilizzati e cortesi. Più vestiti. Non trovava nulla di attraente in quell'individuo. Non i suoi capelli bagnati e neppure gli occhi d'ebano che la stavano studiando, indugiando sulle sue labbra e scandagliando il suo sguardo come se fossero...
Come se fossero amanti! Per un momento, Maggie ebbe la sensazione di conoscere quell'uomo. Di conoscere il suo corpo, la sua anima, il suo cuore. Ridicolo! Non l'aveva mai visto prima.
«E il tuo nome?»
«Maggie Macintyre.»
«Margaret» disse lui, profondamente stupito.
«Sì, ma nessuno mi chiama così.»
«Forse io lo farò. Ti dona.» Questo implicava un qualche tipo di contatto tra loro. Impossibile, visto che lei non voleva avere nulla a che fare con lui. Eppure, Tate la stava fissando in modo talmente familiare che si chiese se per caso non lo avesse già incontrato da qualche parte. Forse durante uno dei party a cui aveva partecipato ad Atlanta.
Si sentì arrossire a quell'esame tanto scrupoloso. Il cuore prese a batterle velocemente, e la cosa la infastidì. Stava reagendo in modo assurdo di fronte a quello sconosciuto.
Era giunto il momento di porre termine a quella situazione allucinante. «Bene, signor Jennings. Decisamente, non è stato un piacere conoscerla.» Quindi si girò, affondò le mani nelle tasche bagnate dei jeans e si incamminò sul sentiero roccioso.
«Non posso lasciarti tornare da sola» dichiarò una voce alle sue spalle. Tate l'aveva raggiunta in silenzio senza che lei si fosse accorta di essere seguita.
«Signor Jennings...»
«Tate.»
«Va bene. Tate. Non ti sembra di avermi procurato abbastanza guai per oggi? Che cosa hai intenzione di fare adesso, farmi sbagliare strada nella foresta e lasciarmi in pasto agli orsi? Per favore, stammi alla larga. Troverò la direzione da sola.» Riprese il cammino, ma ben presto inciampò in un rampicante e finì per terra.
«Gli Tsagasi sono in circolazione» la informò lui fermandolesi davanti per aiutarla a rialzarsi.
«Gli Tsagasi? E chi diavolo sono?»
«Una delle tribù del Piccolo Popolo. Quando qualcuno inciampa e cade, noi diciamo che è colpa degli Tsagasi.»
Maggie accettò l'aiuto di Tate cercando di guardare altrove per evitare di fissare proprio il suo succinto perizoma. Provava un grande imbarazzo, anche perché si sentiva inspiegabilmente attratta da quell'individuo praticamente nudo.
«Il Piccolo Popolo sono degli spiritelli indiani che amano molto scherzare e divertirsi. Soprattutto gli Tsagasi e gli Yunwi Tsundsi» spiegò ancora Tate.
«Sono in parte irlandese. Ho già sentito parlare del Piccolo Popolo» chiarì Maggie.
«Perfetto, allora saprai anche che devi stare molto attenta se sono di cattivo umore e decidono di darti fastidio. Per questo è meglio che ti porti a casa io. Sai... in caso decidano di farti qualche scherzo.»
«Va bene, accetto. Mi sembra di averne passate già abbastanza per oggi» si arrese Maggie, che cominciava a sentirsi addosso tutta la stanchezza della giornata.
La strada da percorrere era lunga e bisognava attraversare il fiume. Già, ma dove?
«Credo che sia meglio guadare il fiume nel punto più largo. Ci sarà meno corrente» argomentò Tate alle sue spalle.
Maggie si arrestò di colpo. «Io non ho parlato di attraversare il fiume. Come fai a sapere che casa mia si trova dall'altra parte? Sai per caso dove abito?»
«Forse.»
«Non mi avrai per caso spiata! Si può sapere chi accidenti sei?» domandò lei, nervosa.
«Non ti ho spiato. Però vivo nel bosco e conosco bene il fiume. Sono per metà Cherokee ed è per questo che mi trovo qui. Adesso è meglio affrettarci altrimenti diventerà buio.»
Maggie riprese il cammino sul sentiero accidentato. Non aveva altra scelta. A ogni modo, quell'uomo mezzo nudo le ispirava fiducia. Forse erano le sue spalle ampie a infonderle questo sentimento, oppure il modo responsabile con cui stava affrontando la situazione.
Quando finalmente raggiunsero un terreno pianeggiante, presero a camminare uno accanto all'altro. Un debole raggio di sole riuscì a penetrare attraverso la foschia, illuminandoli. Maggie guardò Tate e ancora una volta pensò di averlo già conosciuto.
«Da quanto tempo vivi nella foresta?» gli chiese con una certa curiosità.
«Da oltre cinque mesi. Voglio recuperare la mia identità Cherokee» spiegò Tate con un filo di ironia.
«Lo dici come se ti stessi prendendo in giro.»
«Sì e no. Ho deciso di vivere nel bosco per un periodo di sei mesi. Per questo ho chiesto e ottenuto un permesso dal lavoro. Mi occupo di pubbliche relazioni.»
Maggie rimase colpita da quella rivelazione. «Non è pericoloso?»
«Qui in mezzo alla natura impari a conoscere i pericoli e ad affrontarli.»
«Immagino che tu viva in una specie di casa con qualche comodità» si azzardò a chiedergli lei, curiosa di saperne di più.
Tate rise. «Le stelle sono il mio tetto e la foresta e il fiume mi forniscono il cibo di cui ho bisogno.»
«Tutto questo mi sembra pura follia. Non ti manca la televisione, il caffè alla mattina...?» lo interrogò Maggie sconcertata.
«Mentirei se ti dicessi di no. Soprattutto all'inizio. Ho un appartamento in città dove vado di tanto in tanto, però non ne sento la mancanza.»
«Come mai la tua scelta è caduta proprio sulla foresta?»
«Motivi personali.»
«Che risposta!»
«Va bene» si decise alla fine Tate. «Sono il responsabile delle pubbliche relazioni della Consolidated Development Corporation. Mio