Sulle tracce della preistoria: Harmony Destiny
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Anteprima del libro
Sulle tracce della preistoria - Melanie Craft
successivo.
1
Alle dieci il calore africano era ormai già al suo massimo. Era come sospeso a mezz'aria, preso tra il sole del mattino e il cemento rovente dell'aeroporto internazionale di Nairobi.
Se anche c'era una leggera brezza, la dottoressa Lilah Evans non riusciva a sentirla. La massa di corpi urlanti e sudati che cercava di farsi strada in tutte le direzioni la spingeva contro il telefono appeso al muro nel salone degli arrivi. Non era quasi possibile respirare e Lilah cercò almeno di restare in piedi.
I clacson dei taxi risuonavano dal piazzale antistante l'aeroporto e si sentiva una voce provenire dall'altoparlante. Lilah si coprì un orecchio con una mano, strinse convulsamente la cornetta e cercò di afferrare quello che stava dicendo la voce dall'altra parte del filo.
«Mi dispiace, ma non ho sentito. Qui c'è un baccano infernale. Che cosa ha detto? Hugh Bradford cosa?» chiese incerta, cercando allo stesso tempo di non farsi schiacciare da quella folla impazzita.
«È morto» annunciò la voce in tono neutro. Nonostante il caldo, Lilah sentì una morsa di ghiaccio che le stringeva il cuore. Non aveva capito male, allora. Quella voce estranea sembrava quasi irreale nel frastuono che la circondava. Cercò di riportare un po' di chiarezza nei suoi pensieri e prese un lungo respiro.
«È morto, la settimana scorsa, d'infarto. Lei è una sua amica?» Il tono dell'uomo tradiva un certo senso d'irritazione. Aveva equivocato il silenzio di Lilah e aveva creduto che ancora non avesse capito.
«Avevamo solo rapporti di lavoro. Dovevamo incontrarci oggi per la prima volta. Sono la dottoressa Evans.»
«Mi dispiace, non l'ho mai sentita nominare. Che tipo di affari aveva con Hugh?»
Quell'uomo lavorava nell'ufficio di Bradford e non conosceva il suo nome? Lilah aggrottò le sopracciglia. «Sono l'archeologa del Wisconsin, quella che si occupa degli scavi al ranch di Hugh. E lei sarebbe...?»
«Sono Ross Bradford, il figlio di Hugh.»
«Suo figlio?» La voce di Lilah si fece acuta per la sorpresa. Aveva passato un anno a discutere degli scavi con Hugh, e lui non aveva mai menzionato l'esistenza di un figlio. Anzi, aveva avuto la netta sensazione che di figli non ne avesse proprio. «Non ricordo di avere mai sentito che...»
Si interruppe, rendendosi conto di essere sgarbata. «Signor Bradford, mi dispiace molto per suo padre. Non avevo idea...»
«Si capisce» replicò asciutto Ross Bradford. «In ogni caso, la ringrazio. È arrivata oggi dagli Stati Uniti?»
«Sì, sono all'aeroporto. Gli scavi dovrebbero iniziare tra qualche giorno e io sono venuta prima per definire gli ultimi dettagli con Hugh.»
«Capisco. Se lo avessi saputo, l'avrei avvisata prima della sua partenza. Ho passato l'ultima settimana a cercare di mettere a posto le carte di mio padre, ma lui aveva un'idea molto personale dell'ordine e di come catalogare i propri documenti.»
«Oh, allora forse potrei spiegarle...»
«Non stia a perdere tempo.» Il tono di Ross Bradford era piuttosto secco. «Mi dispiace che il suo viaggio in Kenya sia andato così. Potrebbe forse andare a fare un safari fotografico, visto che è venuta fin qui. È la stagione giusta, e almeno non avrebbe perso tutto questo tempo inutilmente.»
Lilah si sentì improvvisamente troppo allarmata per offendersi di essere stata così bruscamente interrotta. Cosa intendeva quell'uomo con: perso tempo inutilmente?
«Signor Bradford» ribadì, «sarebbe meglio che la mettessi a parte dei miei accordi con suo padre. La mia squadra arriva domani, e in questo modo potremo iniziare i lavori senza doverla disturbare nuovamente.»
«Lei non capisce, dottoressa Evans. Non si può effettuare nessun genere di scavo su quei terreni, al momento. Li sto vendendo tutti al governo keniota perché diventino parte della Riserva Naturale di Nairobi» precisò seccato.
«Lei sta facendo... cosa?» Lilah si aggrappò al telefono. Le gambe sembravano non reggerla e le orecchie avevano cominciato a ronzare.
«Li sto vendendo al governo per la realizzazione di un Parco Nazionale.»
«Quando?»
«Proprio in questi giorni.»
«Ma non può farlo!»
«No?» La voce dell'uomo era fredda. «Non sono d'accordo con lei, visto che in pratica è già tutto fatto. I documenti preliminari sono stati firmati la settimana scorsa e ora non resta che definire gli ultimi dettagli. È questione di pochissimi giorni.»
«Ma suo padre e io abbiamo discusso di questo progetto per mesi!»
«Mi dispiace, non so cosa farci. Dovrà trovarsi un altro progetto.»
«Signor Bradford, lei non capisce. Quel luogo è un sito cruciale per lo studio della preistoria africana, non è un posto qualunque! Ho operai e attrezzature che arriveranno qui per lavorare almeno per un anno!»
«Li porti da qualche altra parte. L'Africa è grande. Sono sicuro che troverà qualche altro posto adatto per i suoi scavi.»
«Ma lei...»
«Ascolti, sarò molto chiaro. Non potrei cambiare la situazione nemmeno se lo volessi. E, comunque, non voglio.»
Non poteva essere vero. Quella telefonata sembrava un incubo: Ross Bradford non aveva aspettato nemmeno un giorno dalla morte di suo padre per vendere il ranch. Doveva essere davvero molto avido di guadagni, anche se si trincerava dietro al falso interesse per la natura e l'ambiente. Era una situazione assurda, che aveva dell'irreale.
«Questo progetto era molto importante per suo padre. Ho alcune lettere che potrei mostrarle. Non posso credere che non gliene abbia mai nemmeno parlato.»
«Visti i miei rapporti con mio padre, mi stupirei invece se me ne avesse messo a conoscenza. Ora, se non c'è nient'altro, avrei del lavoro da sbrigare. La saluto.»
«Aspetti, la prego. Mi lasci spiegare quanto fosse importante...»
«Non ho tempo da perdere. Dia retta a me, vada a fare quel safari fotografico di cui le ho parlato prima. Buona giornata.»
Riagganciò, lasciando Lilah a guardare la cornetta come una stupida, con le tempie che pulsavano furiosamente e il respiro affannoso.
Non era possibile!
Si accorse che stava tremando e chiuse gli occhi, cercando di non lasciarsi andare a una crisi di panico. Cosa stava accadendo? Chi era quell'uomo? Non una sola volta Hugh aveva nominato suo figlio, eppure ecco che all'improvviso quel tipo sbucava dal nulla e la informava che stava vendendo il terreno dove lei avrebbe dato vita al suo più grande sogno, il lavoro di tre anni grandiosi.
Per di più, non aveva nemmeno avuto la decenza di dirglielo a quattr'occhi, ma in quel modo squallido e frettoloso da un telefono dell'aeroporto, come se lei fosse una postulante in cerca di carità e non una scienziata seria e coscienziosa.
Quel... quel maleducato l'aveva liquidata con due frasi di convenienza e le aveva praticamente agganciato il telefono in faccia!
Con dita tremanti, Lilah cercò in tasca un'altra moneta keniota e la inserì nel telefono. Era arrivata fino lì e non avrebbe permesso a quel villano di sconvolgere i suoi piani. Avrebbe lottato con le unghie e con i denti per difendere il suo progetto. Troppe energie erano state investite in quel sogno, troppe notti passate in laboratorio e in biblioteca, troppi giorni a cercare il senso di tutti i suoi anni di studio.
Ross Bradford rispose al primo squillo, la voce imperturbabile e secca. «Sì?»
«Sono Lilah Evans.»
«Lo immaginavo. Guardi, dottoressa Evans, non abbiamo più niente da dirci. Mi creda. Poteva anche fare a meno di richiamare.»
«Non ci credo» ribatté Lilah testarda. Era una delle qualità che le avevano permesso di intraprendere quella difficile carriera. «Suo padre e io avevamo un accordo, e credo che lei mi debba almeno dare la possibilità di fare la mia parte.»
«Sta perdendo il suo tempo. Venderò il ranch, e questo è tutto.»
«Ma suo padre mi aveva detto che quella terra apparteneva alla vostra famiglia da più di ottanta anni! Ne era così orgoglioso. Non può venderla!»
«Signora, lei non sa niente della mia famiglia» rispose lui con una punta di emozione che Lilah non aveva avvertito fino a quel momento. «E non m'interessa discutere gli accordi di mio padre con lei. Se vuole effettuare degli scavi, parli con il governo e chieda un permesso federale.»
«Ma c'è una lista di attesa di quattro anni per i permessi federali!» Lilah respirava a fatica e si chiese se il terrore nella sua voce fosse tanto evidente. Quattro anni di attesa potevano anche essere accettabili per qualcuno che avesse già tutti i contatti giusti, non per lei che mancava della necessaria esperienza. Se il ranch fosse diventato proprietà del governo, gli scavi sarebbero andati a monte. E con essi tutta la sua vita.
«Allora le consiglio di presentare la domanda il più presto possibile» rispose Ross Bradford in tono impassibile, poi, di nuovo, riappese.
Lilah si sentì sospingere dalla folla e rischiò di perdere i suoi bagagli nella confusione. Solo il suo carattere saldo le evitò di scoppiare a piangere e a urlare in mezzo a tutta quella gente, e un facchino che si offrì di portarle la valigia e di procurarle un buon taxi le apparve come una sorta di salvatore. Si affidò a lui, lasciandosi pilotare fuori dal terminal, fingendo di ignorare i suoi intrallazzi con i quali sicuramente stava cercando di procurarsi una buona percentuale sul prezzo della corsa.
Lilah lo lasciò confabulare e respirò di sollievo quando vide la Peugeot vecchia ma ancora in buono stato che si fermava a pochi passi da lei. I suoi bagagli furono caricati in modo precario sul portapacchi e lei si accomodò sul sedile rivestito di pelliccia sintetica,