Una cicogna per lo zio: Harmony Destiny
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Almeno in apparenza...
Elizabeth Bevarly
Elizabeth Bevarly é nata e cresciuta a Louisville, nel Kentucky e si é laureata con lode in letteratura inglese all'università di Louisville nel 1983. Nonostante abbia sempre desiderato diventare una scrittrice, prima di riuscire a coronare il suo sogno, ha lavorato con contratti a termine in sale cinematografiche, ristoranti, boutiques e grandi magazzini.
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Anteprima del libro
Una cicogna per lo zio - Elizabeth Bevarly
successivo.
Prologo
«Non può essere tanto terribile, Zoey.»
Zoey Holland alzò lo sguardo dalla bambina che teneva in braccio e annuì con forza. Nel fare questo avvertì uno strappo e si rese conto che la piccola aveva afferrato una ciocca dei suoi capelli ramati. Liberò gentilmente la ciocca dalla manina della bimba e la fece volare sopra una spalla.
«Oh, sì. È proprio tanto terribile, Sylvie» ribatté. «Quel tipo è un vero e proprio orco e non sarà contento fino a che non avrà la mia testa. Chiedi a Livy.»
Sylvie Buchanan si voltò verso la sorella per avere una conferma sollevando una delle sopracciglia bionde. Olivia Mc Guane annuì convinta, esprimendo il suo totale accordo con Zoey.
«Sembra proprio che per qualche ragione ce l'abbia con Zoey» confermò, cercando di non perdere di vista il suo bambino che trotterellava nella grande e ultramoderna cucina di Sylvie. Le tre donne si erano incontrate per il loro tradizionale brunch mensile per la prima volta da quando Sylvie aveva portato a casa Genevieve dall'o spedale, tre mesi prima. «Stai attento, Simon» ammonì il suo vivacissimo bambino di quasi due anni. «Stai lontano dalle piante. La zia Sylvie e lo zio Chase non sono certo disordinati come mamma e papà. Non saranno tanto comprensivi se ne combini una delle tue.»
Sylvie gemette. «Vuoi dire che lo zio Chase non è disordinato. Non è ancora riuscito a rassegnarsi al disordine provocato dall'arrivo di un bambino, ed è convinto che esista un sistema per tenere la casa perfettamente in ordine in ogni singolo istante della giornata. Io e Gennie lo stiamo facendo diventare matto.» Si chinò verso la figlia che era in braccio a Zoey e le solleticò il mento. «Non è vero, piccolina?»
La piccola rise.
«Sembra che abbia preso gli occhi verdi di Chase e i tuoi capelli biondi» notò Zoey. «Una combinazione molto affascinante.»
«Stiamo uscendo dal seminato» osservò Sylvie. «Stavi parlando di quel medico al Seton General Hospital, il dottor Fate.»
Zoey sospirò, mentre metteva Genevieve nel suo seggiolino posto sul tavolo. «Si parlava del dottor Tate, non Fate» corresse. «Non vorrei farla troppo lunga, e nemmeno dare alla cosa troppa importanza.»
Il dottor Jonas Tate era arrivato sei mesi prima, quando sia Zoey che Olivia lavoravano come infermiere al reparto maternità, Zoey nella nursery e Olivia in ostetricia. Proveniva da un ospedale prestigioso sulla costa occidentale, dove era stato primario di cardiologia. Tutti al Seton sapevano che si era laureato a pieni voti ad Harvard.
Era, come Zoey aveva sentito dalle innumerevoli voci di corridoio, un medico estremamente dotato. Ora faceva anche parte del consiglio di amministrazione dell'ospedale e sembrava essersi guadagnato un'ottima reputazione per la sua grande abilità. Era amato e rispettato da tutti.
Tutti tranne Zoey Holland.
Certo, lei rispettava la sua preparazione e la sua posizione. E le era anche piaciuto quando lo aveva incontrato la prima volta; le erano piaciuti la sua gentilezza e i sorrisi che sembrava avere per tutti. Col passare del tempo, però, lui era in un certo senso cambiato. Ultimamente avevano avuto non poche divergenze sugli argomenti più disparati e lei aveva sempre dovuto cedere. Perché, dopotutto, lui era il suo superiore.
«Allora qual è il problema?» chiese Sylvie.
«E va bene» sospirò Zoey. «Sembra proprio che non gli vada bene niente di quello che faccio. Mi sta sempre con il fiato sul collo.»
Olivia ridacchiò. «A dire il vero, ci sono un sacco di infermiere che sarebbero ben felici di avere il fiato del dottor Tate sul collo... E non solo sul collo!»
Zoey sbuffò. «Be', non certo io. Quel tipo è arrogante, maleducato, egocentrico, misogino...»
«E ha il più bel paio di occhi che si è mai visto» terminò Olivia con un sospiro. «Per non parlare di quei riccioli bruni. Adoro gli uomini con i capelli ricci e scuri... Sono tutti dei tesori!»
«Anche a me piacciono» annuì Sylvie.
Zoey guardò Olivia come se fosse un UFO. «Starai scherzando, Livy! Jonas Tate adorabile?»
«Guarda che con me è sempre perfettamente gentile. A volte forse un po' troppo distante e freddino per i miei gusti.»
Zoey non riusciva a credere alle sue orecchie. «Stai insinuando che è colpa mia se non sono proprio in cima alla sua lista di simpatie?»
«Non proprio. Ma forse le vostre due personalità non sono... come dire... affini.»
Sylvie annuì alle parole della sorella. «Ho capito quello che vuoi dire. È successo anche a me e a Chase, qualche tempo fa. Sembrava non avessimo più niente in comune, a parte Gennie, naturalmente. Poi, però, ci abbiamo lavorato su e adesso va tutto liscio come l'olio» concluse con un sorriso sereno.
«Be', niente potrà mai andare liscio come l'olio tra me e il dottor Tate» dichiarò Zoey. «C'è qualcosa in lui...»
«Lascia che ti dia un consiglio, Zoey» disse Sylvie. «Rilassati e lascia che la natura faccia il suo corso. Alla fine anche voi due andrete d'accordo.»
1
Quella non era certo una buona giornata per Jonas Tate. Ed era tutta colpa di Juliana. Era la femmina più petulante che lui avesse mai avuto la sfortuna di conoscere, un mostro nascosto dietro a grandi occhi blu, morbidi capelli biondi e labbra delicate. E come aveva praticamente fatto ogni notte da quando aveva invaso la sua casa due mesi prima, lo aveva svegliato nel bel mezzo della notte. Aveva dovuto soddisfare tutte le sue necessità, cosa che avrebbe sfinito un esercito di uomini ben più valenti di lui. Poi aveva preteso storie e musica e conversazione brillante.
Era un tipo tremendo: un momento affascinante, un momento dopo aggressiva e scostante. Senza dubbio di lì a qualche anno sarebbe diventata la maledizione di qualche altro tapino.
E aveva solo tre mesi.
Jonas aprì il cassetto della scrivania e rovistò tra carte e matite fino a trovare una confezione di antidolorifici. Inghiottì tre capsule e si diresse verso il distributore automatico dell'acqua che si trovava all'altro lato del suo studio. Diede una veloce occhiata allo specchio sulla parete e si pentì subito di averlo fatto.
Aveva un aspetto terribile. I suoi riccioli scuri erano arruffati e avevano bisogno di un bel taglio, cosa che, vista l'assoluta mancanza di tempo libero, era fuori discussione. Non aveva avuto nemmeno il tempo di rasarsi quella mattina. Gli occhi erano segnati da profonde occhiaie, dovute alla mancanza di sonno. Più che un primario sembrava il paziente di qualche istituto psichiatrico.
Qualcuno bussò alla porta del suo studio e Jonas sobbalzò.
«Avanti!» gridò secco.
La porta si aprì adagio e una delle interne fece capolino. «Dottor Tate?» chiese.
«Sì?» Non si ricordava il nome della ragazza.
«La vogliono in maternità.»
«Perché?»
«Non lo so. Mi hanno solo detto di venirla a chiamare.»
«È un'emergenza?»
La giovane donna strinse gli occhi. «Non credo. Me lo avrebbero detto, non le pare?»
«Sì, certo.»
«Oppure l'avrebbero chiamata con il cercapersone.»
Jonas studiò il viso della donna per qualche istante. «Come si chiama?» chiese infine.
«Mills, signore. Dottoressa Claudia Mills.»
«Mills» ripeté lui, cercando di non mostrare la sua esasperazione. «Dottoressa Mills» si corresse ponendo una nota sarcastica sul titolo. «Da quanto tempo lavora in questo ospedale?»
«Da circa due settimane, signore.»
«Da due settimane, ho capito. E in questo breve lasso di tempo è già riuscita a dimenticare i principi base della sua formazione?»
La giovane spalancò gli occhi, poi chinò la testa per evitare di incrociare lo sguardo del dottore. «No, signore. Io...»
Jonas andò alla porta e la spalancò. Prima di andarsene si voltò e le disse secco: «La prossima volta che qualcuno le chiede di fare qualcosa, si accerti di conoscere tutti i dettagli. E un'altra cosa» aggiunse quando vide le lacrime negli occhi della ragazza. «Se vuole continuare in questa professione cerchi di essere meno suscettibile. Non sarò certo l'ultimo dottore che le farà un'osservazione per qualche stupido errore. Veda solo di commetterne il meno possibile.»
Quando la porta si chiuse sentì la giovane che tirava su con il naso e aggrottò le sopracciglia. Gli interni!, pensò scuotendo la testa.
Quando arrivò in maternità era ancora arrabbiato e la sua testa pulsava dolorosamente. Il reparto era stranamente tranquillo per essere l'ora del cambio di turno. C'era solo un'infermiera al bancone e stava scrivendo qualcosa sulla cartella di un paziente.
«Cosa c'è?» le chiese.
«Ah, dottor Tate. La dottoressa Forrest vuole vederla nella sala travaglio C.»
Jonas era sconcertato. «Ha detto per quale motivo?»
L'infermiera scrollò le spalle. «No, mi dispiace. Ha solo detto di riferirle il messaggio.»
Jonas si avviò verso la sala travaglio sfregandosi la fronte con una mano. Quelle dannate pastiglie non avevano avuto alcun effetto sull'emicrania. Quando aprì la porta non si accorse nemmeno che la stanza era piena di gente.
«Sorpresa!»
Jonas si trovò circondato da dottori, infermiere, interni, portantini e altri dipendenti dei reparti dell'ala est dell'ospedale. E c'erano dozzine di palloncini colorati e un'enorme torta piena di candeline accese.
«Non avrai creduto di tenerci nascosto il tuo quarantesimo compleanno, vero, Jonas?» gli chiese Lily Forrest, che era a capo del reparto di terapia intensiva neonatale.
Jonas non aveva idea di come Lily avesse scoperto la data del suo compleanno. Di certo lui non ne aveva parlato con nessuno.
Ma ora, guardando tutti quei visi sorridenti e la torta con le candeline, sentì un sorriso affiorargli sulle labbra. Fino a che il suo sguardo si posò su una donna in particolare.
Un'infermiera con i capelli rossi era in piedi da sola in un angolo della stanza. Era l'immagine dell'efficienza e della calma. Jonas, però, sapeva che non era affatto calma. E sapeva anche che lei lo odiava.
Forse a ragione. Lui non le aveva certo reso la vita facile in quegli ultimi tempi. Non sapeva per quale motivo, ma lei aveva la capacità di fargli saltare i nervi. Dal primo momento erano stati come cane e gatto.
«Be', non hai niente da dire?» gli chiese Lily, mettendogli un braccio intorno alle spalle e abbracciandolo con affetto.
«Francamente, Lily, non so cosa dire» rispose. «Chi è rimasto in servizio? Ci saranno dozzine di donne in travaglio che si staranno chiedendo cosa è accaduto allo staff.»
«Sono state tutte tanto gentili da programmare le loro contrazioni in modo da permetterci questo piccolo party. Inoltre c'è appena stato il cambio