Un chirurgo milionario: Harmony Bianca
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Alison Roberts
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Anteprima del libro
Un chirurgo milionario - Alison Roberts
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Falling for Her Impossible Boss
Harlequin Mills & Boon Medical Romance
© 2012 Alison Roberts
Traduzione di Daniela De Renzi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3050-638-1
1
«Oh, no... È proprio lei, vero?»
Annabelle Graham girò la testa quel poco che bastava a vedere chi avesse parlato e provò un tuffo al cuore. Più tardi si rese conto di aver saputo di chi si trattava, anche prima di averlo visto in faccia. Quelle vocali arrotondate, tipiche di chi ha frequentato una scuola privata, riuscivano ad annientare la bellezza di quella voce e a renderla assolutamente inconfondibile.
L’esclamazione così istintiva non corrispondeva però al personaggio. Doveva essere rimasto davvero sconvolto per reagire in quel modo... Bella trattenne il respiro, mentre terminava di girarsi verso di lui.
Oliver Dawson, eminente neurochirurgo del St Patrick Hospital, sembrava essersi immobilizzato nella sala di soggiorno del reparto.
Bella emise un sospiro.
Uno dei pochi vantaggi dell’aver terminato il tirocinio in sala operatoria, per iniziare il periodo di apprendistato al Reparto Geriatrico, era proprio il non doversi più sentire un’idiota di fronte a quell’uomo.
Urtare le cose. Non indossare la mascherina nel modo corretto. Non essere mai nel posto giusto al momento giusto... Semplicemente con lui non si sentiva mai abbastanza brava.
Avrebbe dovuto immaginare che frequentasse quel reparto. Le persone anziane avevano ictus, tumori al cervello, cadevano e battevano la testa... Quello era probabilmente uno dei posti dove il dottor Dawson veniva più spesso.
Le aveva lanciato uno sguardo sprezzante, nient’affatto ammorbidito dalla tonalità color cioccolata dei suoi begli occhi scuri. E l’abito gessato lo rendeva perfino più austero del camice da chirurgo.
Quel tono irritato le era spiacevolmente familiare. Essere rimproverata da lui non era affatto un’esperienza nuova. E Bella emise un altro sospiro.
«Sì» dovette ammettere. «Sono proprio io.» Si sforzò di sorridere. «Come sta, dottor Dawson?»
Lui la guardò incredulo e Bella si rese conto che era la prima volta che lo vedeva senza il cappellino da chirurgo. I capelli erano ancora più scuri degli occhi e tagliati alla perfezione, proprio come il vestito. Tutto in Oliver Dawson comunicava precisione e controllo.
Sicuramente una risorsa per un chirurgo. Ma come uomo Dawson apparteneva per Bella a un altro pianeta. Il suo sorriso sembrò urtare contro una sorta di campo di forze e le rimbalzò contro.
Non solo Oliver aveva ignorato la sua domanda, ma sembrava considerarla completamente trasparente. «Che cosa sta facendo qui?» le chiese in tono asciutto.
«Ho appena iniziato il tirocinio in Geriatria.» Dopo tre mesi tra gli anziani si sarebbe spostata nel Reparto Pediatrico, di gran lunga il suo preferito.
Ma anche i bambini avevano bisogno del neurochirurgo... Dove avrebbe potuto essere al sicuro dallo sguardo di rimprovero del dottor Dawson?
Da un leggero movimento nella testa di Oliver, Bella comprese di aver risposto in modo sbagliato alla domanda. Del resto non c’era da meravigliarsi...
«Non mi stavo riferendo al suo tirocinio...» sbottò lui leggermente seccato. «Volevo sapere che cosa sta facendo con i pazienti in questo momento.»
«Oh...» Bella si voltò e vide che cinque paia di occhi la osservavano con simpatia da dietro le lenti degli occhiali. Fu solo in quel momento che si ricordò della musica che proveniva a tutto volume dall’altoparlante del suo iPod. Vecchia musica country. Riusciva a capire che potesse sembrare inappropriata. E decisamente troppo forte.
«L’abbasso subito...» si affrettò ad affermare, diminuendo il volume. «Wally è sordo e non riusciva a sentire bene il ritmo.»
«Sì...» annuì l’uomo anziano, che se ne stava vicino a Bella. «Sordo come una campana.»
Ma Wally venne completamente ignorato e Bella si sentì decisamente irritata dall’atteggiamento di Dawson. Tipico dei chirurghi pensare di essere talmente importanti, da non dover nemmeno rispettare le più elementari regole di cortesia.
Ma quando Oliver ignorò anche gli altri quattro pazienti, rimasti imbarazzati in silenzio, l’irritazione di Bella si trasformò in antipatia. Forse quell’uomo aveva scelto di fare il chirurgo, perché preferiva avere a che fare con persone in stato d’incoscienza... Era chiaro che non gli importasse un fico secco di come faceva sentire la gente.
«Non ha ancora risposto alla mia domanda.» Dawson usò un tono che sembrava sottintendere che l’intelletto di Bella era sotto la media. Come quando le aveva detto che, se avesse continuato a portare la mascherina come un bavaglino, avrebbe fatto meglio ad andare all’asilo...
Il senso di ribellione crebbe dentro di lei. «Stiamo facendo lezione di balli di gruppo» lo informò con decisione. Poi sorrise ai pazienti, per rassicurarli. Quando la settimana precedente aveva iniziato a lavorare in quel posto, li aveva trovati a ciondolare annoiati nella sala soggiorno.
Non li aveva certamente spinti a fare qualcosa contro la loro volontà. E in quel momento lei era in pausa. Quindi non stava facendo niente di male e si stavano tutti divertendo, finché quel chirurgo così presuntuoso era venuto a interromperli.
Dopo aver spostato lo sguardo da Bella al dottor Dawson e poi ancora verso Bella, Wally cominciò ad ansimare. Aveva bisogno del suo inalatore.
«Siamo diventati piuttosto bravi, vero?» domandò lei per tranquillizzare gli anziani. «Per oggi basta, però. Ci riproveremo domani. Sono sicura che impareremo a battere i piedi e le mani tutti insieme a ritmo di musica.»
Verity, che coraggiosamente aveva affrontato le danze con l’aiuto del bastone, fu l’unica a rispondere alle parole di Bella. «Sarebbe fantastico, cara. Ma ricordati di non venire a chiamarmi, prima che abbia dato da mangiare alle galline...»
Oliver scosse la testa. Poi si voltò e vide che l’infermiera stava aiutando i pazienti a sedersi di fronte al televisore, che in quel momento trasmetteva una soap opera.
La sentì perfino dissertare sui vari tipi di mangime per le galline con quella donna un po’ fuori di testa. Ma non prima di aver invitato l’uomo in sovrappeso a cercare l’inalatore nella tasca della sua vestaglia.
Balli di gruppo? Con pazienti deboli e anziani che potevano cadere e farsi male, anche svolgendo le più elementari attività quotidiane?
Ridicolo. Quella ragazza era una testa vuota. Ma era esattamente quello che ci si poteva aspettare da quell’infermiera irresponsabile, di cui non ricordava neppure il nome.
Però di lei si ricordava. Anche con indosso il camice della sala operatoria era riuscita a distrarlo con i suoi enormi occhi azzurri e i riccioli biondi, che sembravano incapaci di rimanersene sotto l’elastico della cuffietta. E la sua bocca poi... era sempre atteggiata al sorriso. Assolutamente fuori luogo in quell’ambiente serio.
L’aveva già notato, quando lei aveva avuto la sfacciataggine di entrare nella sua sala operatoria con la mascherina penzolante intorno al collo, come fosse un bavaglino.
Mentre si allontanava, Oliver passò accanto alla stanza delle infermiere e si rivolse alla collega seduta in uniforme dietro al bancone. «Sally?»
La caposala alzò lo sguardo dallo schermo del computer. «Oliver! Sei arrivato presto oggi.»
«Avevo uno spazio libero in ambulatorio e ho pensato di fare un salto qui.» Si schiarì la gola. «Sai quello che sta succedendo nella sala soggiorno?»
Sally accennò un sorriso. «Ti riferisci ai balli di gruppo?»
Oliver non restituì il sorriso. «Sì.»
«Fantastico, non credi? Quella ragazza è qui da pochi giorni e ha già instaurato un magnifico rapporto con i pazienti.»
«Immagino.»
Sally non fece caso al tono sarcastico di quel commento. «Li fa muovere molto più dei nostri fisioterapisti, riuscendo anche a farli divertire. Daniel pensa d’inserire i balli di gruppo nei futuri programmi di fisioterapia. Non ci aveva mai pensato, perché è abituato a lavorare con le persone individualmente. Si tende ad associare il concetto di animazione alle case di riposo, più che agli ospedali...» Sally scosse la testa e sorrise. «Chi lo avrebbe mai detto? Una giovane infermiera può dare inizio a una rivoluzione.»
Oliver strinse le labbra. Non avrebbe manifestato il proprio dissenso, se i fisioterapisti e gli altri operatori si mostravano soddisfatti. Ma dovevano aspettare che i pazienti inciampassero e si rompessero qualcosa, per interrompere un’attività così poco opportuna?
Non stava a lui decidere. Avrebbe potuto parlarne con i geriatri... Sì, era la cosa migliore da fare. Quel pensiero avrebbe dovuto lasciarlo soddisfatto, ma al contrario si sentiva inquieto.
«Lady Dorothy?» domandò semplicemente. Di sicuro sua madre non si era messa in ridicolo, né aveva messo a repentaglio la propria salute, andando a ballare con quell’oca giuliva dell’infermiera bionda.
L’espressione di Sally si addolcì immediatamente. «È in camera sua» rispose piano. «Mi dispiace, Oliver, ma rifiuta ancora la riabilitazione e le attività ricreative.»
Con un cenno del capo Oliver si avviò verso la camera privata, posta alla fine del corridoio. Che sua madre rifiutasse di partecipare alle attività ricreative in quell’ambiente estraneo era perfettamente comprensibile. Ma la riabilitazione era importante, se voleva mantenere un certo livello di qualità della vita.
Prima di entrare, Oliver si fermò un momento davanti alla porta chiusa. Quanta gente passava di lì ogni giorno, senza sapere che dentro quella stanza era ricoverata una delle più rispettabili signore di Auckland?
Lady Dorothy se ne stava sdraiata sul letto. Stava riposando appoggiata a una montagna di cuscini, con una sciarpa di seta sulle spalle e i capelli d’argento lucenti e ben pettinati. Ma era pallida e aveva l’aria infelice.
Quando il figlio si avvicinò, sembrò rianimarsi. «Oliver! Che bella sorpresa!»
Chinandosi a baciarle la guancia, Oliver si rese conto che il pallore era dovuto alla mancanza di trucco. Probabilmente sua madre aveva permesso che la pettinassero, ma truccarsi era qualcosa di troppo personale per lasciar fare a un’estranea... Soprattutto per una donna come lei, che era sempre stata orgogliosa e indipendente.
«Come stai, mamma?»
«Bene, caro. Ma vorrei tanto andare a casa.»
«Succederà presto.» Oliver diede un’occhiata alla stanza. Era diventato abilissimo ad assimilare in un attimo le informazioni che gli interessavano.
Le mani della madre erano ancora gonfie a causa dell’artrite. Sembrava dimagrita, probabilmente perché rifiutava di farsi aiutare a mangiare. Prendeva solo frappè o minestre che sorseggiava con una cannuccia.
Ma la perdita di peso non era la preoccupazione maggiore di Oliver. Piuttosto il fatto che la scarsa alimentazione e la malattia stavano rendendo difficile il controllo del diabete. «Come va il dolore?»
Lady Dorothy si limitò a guardarlo e Oliver accennò un sorriso. Era il tipo di sguardo che ricordava da quand’era bambino e che in passato lo aveva fatto soffrire. Uno sguardo che significava fattene una ragione e vai avanti. Perché il dolore era solo un inconveniente e non doveva interferire con la vita di ogni giorno.
Non ci si poteva sottrarre ai