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Passione à la carte: Harmony Destiny
Passione à la carte: Harmony Destiny
Passione à la carte: Harmony Destiny
E-book177 pagine2 ore

Passione à la carte: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Hogan Dempsey è il semplice proprietario di un'autorimessa che scopre di essere l'erede perduto di un'ingente fortuna. Finalmente, potrà corteggiare l'ereditiera di Park Avenue fino ad allora fuori dalla sua portata. Per attirare la sua attenzione assume Cloe Merlin, chef dell'alta società, affinché la tenti con le sue specialità. Ma l'unico a essere tentato, e non dal cibo, è proprio Hogan...
Il desiderio che esplode in lui per Cloe fa passare in secondo piano i suoi iniziali piani di conquista, ma la chef pare aver deciso di chiudere con gli uomini per sempre. Almeno fino a quando il rude fascino di Hogan non stuzzica di nuovo il suo appetito.
LinguaItaliano
Data di uscita20 set 2019
ISBN9788830503779
Passione à la carte: Harmony Destiny
Autore

Elizabeth Bevarly

Elizabeth Bevarly é nata e cresciuta a Louisville, nel Kentucky e si é laureata con lode in letteratura inglese all'università di Louisville nel 1983. Nonostante abbia sempre desiderato diventare una scrittrice, prima di riuscire a coronare il suo sogno, ha lavorato con contratti a termine in sale cinematografiche, ristoranti, boutiques e grandi magazzini.

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    Anteprima del libro

    Passione à la carte - Elizabeth Bevarly

    successivo.

    Prologo

    Non c'era niente che Hogan Dempsey amasse di più dell'odore di metallo e dei rumori dell'officina del padre. Be', della sua officina, da quando, tre anni prima, il vecchio era morto, anche se per lui restava ancora l'officina di suo padre, e probabilmente sarebbe continuata a esserlo perfino dopo averla venduta a qualcun altro. Non che sarebbe successo a breve termine, dal momento che aveva solo trentatré anni e non aveva nessuno al quale lasciarla... sua madre se n'era andata ancor prima del padre, e nella sua vita non c'era stata una donna con la quale avesse mai pensato di metter su famiglia da... da sempre. La Dempsey's Parts & Service era un'officina fantastica. Di sicuro, la migliore del Queens e, probabilmente, di tutto lo Stato di New York. La gente arrivava fin da Buffalo per farvi riparare le auto.

    In quel momento, stava lavorando proprio a una vettura di Buffalo, un'elegante Trans Am nera del '76... un eccellente esemplare della maestria americana. Se avesse passato il resto della vita in tute sporche di grasso, con mani e braccia macchiate e graffiate dagli ingranaggi dei motori, sdraiato sotto un'auto come in quel momento, sarebbe morto felice.

    «Signor Dempsey?» udì una voce chiamarlo da sopra la vettura.

    Era una voce maschile, una che non riconobbe. Guardò alla sua destra e vide un paio di gambe che dovevano appartenere alla voce, gambe in tessuto gessato, che terminavano in scarpe che dovevano costare più di quanto lui guadagnasse in un mese.

    «Sono io» rispose, continuando a lavorare.

    «Mi chiamo Gus Fiver» disse il gessato. «Sono un avvocato dello studio Tarrant, Fiver & Twigg. C'è un posto dove potremmo parlare in privato?»

    Un avvocato?, si chiese Hogan. Cosa poteva volere un avvocato da lui? Tutti i suoi affari erano in ordine, e la sua attività era legale. «Possiamo parlare qui» rispose. «Avvicini un carrellino.»

    Rimase sorpreso quando Gus Fiver di Tarrant, Fiver & Twigg obbedì. La maggior parte della gente ignorava perfino cosa fosse un carrellino, invece quel tipo agganciò con un piede il più vicino - un aggeggio geniale, tipo skateboard, che i meccanici usavano per infilarsi sotto le auto - e vi si sdraiò sopra, gessato compreso. Quindi si infilò sotto la vettura accanto a Hogan. Dal collo in su non sembrava per niente tipo da gessato. Aveva l'aria di uno con il quale berresti una birra in Astoria Boulevard dopo il lavoro. Biondo e di aspetto attraente, aveva comunque quell'aria da classe operaia che era impossibile nascondere del tutto.

    E Hogan doveva saperlo. Da adolescente, aveva passato gran parte di un anno a tentare di nascondere la sua condizione di operaio, solo per sentirsi ricordare più di una volta che non c'era modo di sfuggire alle proprie radici.

    «Motore favoloso. La Trans Am del Settantasei è la vettura migliore che la Pontiac abbia mai prodotto.»

    «Tranne la GTO del Sessantaquattro» precisò Hogan.

    «Già, d'accordo, glielo concedo.»

    I due uomini osservarono un momento di silenzio per la terra sacra di Detroit, quindi Fiver disse: «Signor Dempsey, il nome Philip Amherst le è familiare?».

    Hogan si rimise all'opera sulla vettura. «Mi chiami Hogan. E no. Dovrebbe?»

    «È il nome di suo nonno» rispose Fiver in tono sbrigativo.

    D'accordo, era evidente che Gus Fiver si era rivolto all'Hogan Dempsey sbagliato. Aveva solo un vago ricordo dei nonni, dal momento che il cancro aveva imperversato su entrambi i rami della sua famiglia, ma nessuno dei due nonni si chiamava Philip Amherst. Fortunatamente, lui non condivideva la storia clinica della famiglia perché era stato adottato quando era ancora un neonato e...

    A quel punto, gli si bloccò il cervello. Come tutti i bambini adottati, si era chiesto chi fossero le due persone che l'avevano generato. D'altronde, non avrebbe potuto pretendere due genitori migliori di Bobby e Carl Dempsey, e il pensiero di qualcun altro in quel ruolo gli era sempre sembrato sbagliato. Non aveva mai provato il desiderio di rintracciare parenti consanguinei, anche dopo aver perso la famiglia adottiva. Al mondo non c'era nessuno che avrebbe potuto sostituirla.

    Fissò l'avvocato in silenzio. Philip Amherst doveva essere uno dei nonni biologici. E se Gus Fiver era venuto a cercarlo, poteva essere solo perché quel nonno voleva trovarlo. Hogan non avrebbe saputo dire quali sentimenti gli suscitasse quella storia. Aveva bisogno di un minuto per...

    «Temo che sia deceduto di recente» proseguì Fiver. «Sua moglie, Irene, e la figlia, Susan, figlia unica nonché sua madre biologica, erano morte prima di lui. Susan non si è mai sposata e non ha avuto altri figli, così lui non aveva eredi diretti. Dopo la morte della figlia, l'anno scorso in un incidente in barca, ha cambiato il testamento, lasciando a lei l'intero patrimonio.»

    Nemmeno un minuto. Hogan non aveva avuto nemmeno un minuto di tempo per prendere in considerazione una seconda famiglia che avrebbe potuto conoscere, perché anche loro se n'erano andati. Quale altra sorpresa Gus Fiver aveva in serbo per lui?

    La risposta non si fece attendere. «Il patrimonio del signor Amherst è alquanto consistente» proseguì Fiver. «Di solito, è a questo punto che io invito l'erede a sedersi ma, date le circostanze, lei vorrebbe forse alzarsi in piedi?»

    Fiver non ebbe bisogno di chiederglielo due volte. Il sangue di Hogan era in ebollizione. Con un'unica spinta, scivolò fuori da sotto l'auto e prese a camminare avanti e indietro. Alquanto consistente. Era così che Fiver aveva definito il patrimonio di suo nonno. Alquanto consistente, però, era una di quelle frasi che potevano significare parecchie cose. Alquanto consistente potevano essere centomila dollari. Oppure, porca miseria, perfino un milione di dollari.

    Anche Fiver si era alzato e stava aprendo una borsa per estrarne una manciata di documenti. «Suo nonno era un banchiere e un esperto di finanza che investiva con molta saggezza. Se n'è andato senza debiti e lasciando decine di beni. La sua residenza principale era qui a New York, nell'Upper East Side, ma possedeva case a Santa Fe, Palm Beach e Parigi.»

    A Hogan girava la testa. Anche se le parole di Fiver si stavano facendo strada nel suo cervello, era come se si volatilizzassero all'istante e si disperdessero in direzioni diverse.

    «Per favore, mi dica che intende Parigi in Texas.»

    Fiver sorrise. «No. Parigi in Francia. Al Trocadéro, per essere precisi, nel Sedicesimo Arrondissement.»

    «Non so cosa significhi.» Diamine, non capiva cosa significasse l'intera faccenda.

    «Significa che suo nonno era un uomo molto ricco, signor Dempsey. E adesso lo è anche lei, sia per lascito sia per lignaggio.»

    Quindi menzionò una quantità di denaro così colossale che Hogan indietreggiò di un passo, come se, così facendo, potesse respingerla. Nessuno poteva possedere tutto quel denaro. Soprattutto non uno come Hogan Dempsey.

    Tranne che lui aveva tutto quel denaro. Gus Fiver lo spiegò in modo esplicito durante la mezz'ora successiva. E mentre stavano giungendo alla conclusione di quello che, come gli spiegò l'avvocato, era solo il primo di numerosi incontri che avrebbero avuto nelle settimane successive, Fiver aggiunse: «Signor Dempsey, sono sicuro che ha udito storie di persone che avevano vinto la lotteria, solo per vedere la loro vita andare in rovina perché non sapevano come affrontare la responsabilità di gestire somme così ingenti. Le consiglierei di concedersi un po' di tempo per riflettere prima di prendere decisioni importanti».

    «Lo farò» lo rassicurò Hogan. «La cosa buffa è che ho già riflettuto molto su cosa farei se dovessi vincere alla lotteria. Perché ci gioco scrupolosamente da quando ero al liceo.»

    Fiver sembrò sorpreso. «A me lei non sembra tipo da lotteria.»

    «Ho i miei motivi.»

    «Quindi, cosa diceva che avrebbe comprato se avesse vinto alla lotteria?»

    «Tre cose, fin da quando avevo diciotto anni.» Hogan sollevò la mano sinistra con l'indice teso. «Prima, una Shelby Daytona Cobra del 1965.» Il medio si unì all'indice. «Secondo, una casa a Ocean City, in New Jersey.» Alle due dita aggiunse l'anulare... maledettamente significativo, adesso che ci pensava. «Terzo, Anabel Carlisle. Dei Carlisle di Park Avenue.»

    1

    «Lei è il mio nuovo chef?»

    Hogan osservò con sospetto la giovane nella sua cucina, un'imponente cucina dalle piastrelle di maiolica italiana bianche e blu, grande due volte l'officina. Chloe Merlin non aveva l'aria di essere in grado di maneggiare un paio di forbici spuntate, tanto meno un coltello da macellaio. Non poteva essere più alta di un metro e sessanta con gli zoccoli di plastica rossa - Hogan era in grado di dirlo perché era di una trentina di centimetri più bassa di lui - e scompariva nella giacca bianca da chef fuori misura e nei larghi pantaloni.

    Decise che era per via di un paio di occhiali giganteschi. Dalla montatura nera e di stile ovviamente maschile, inghiottivano i suoi lineamenti, facendo apparire enormi gli occhi verdi. Oppure dipendeva dal modo in cui i capelli biondo cenere erano raccolti a casaccio in cima alla testa, come se li avesse legati senza nemmeno guardarsi allo specchio. O forse per via del rossetto. Era l'unico trucco che indossasse, come se l'avesse rubato dalla borsa della madre per provarlo. Aveva un'aria così... così maledettamente...

    Ah, accidenti. Adorabile. Aveva un aspetto adorabile. E Hogan detestava perfino pensare a quell'aggettivo nella propria testa.

    Chloe Merlin doveva essere la sua arma segreta per conquistare Anabel Carlisle dei Carlisle di Park Avenue. Però, vedendola adesso, si chiedeva se non potesse perfino aiutarlo a vincere al bingo al Queensboro Elks Lodge. In una mano stringeva il manico di una sacca e con l'altra reggeva quello che sembrava un logoro materassino da campeggio... tranne che era troppo striminzito per essere un materassino. Accanto a lei, sull'isola, c'era una gigantesca scatola di legno colma di piante di varie forme e dimensioni che lui, sbilanciandosi, avrebbe definito come erbe aromatiche o qualcosa del genere. Tutti quegli oggetti erano fuori proporzione con il resto di lei. Che sembrava semplicemente... fuori luogo. Come se fosse stata trascinata lì da un'altra dimensione e stesse ancora cercando di adeguarsi ad alcune nuove leggi della fisica.

    «Quanti anni ha?» le chiese, prima di riuscire a trattenersi.

    «Perché lo vuole sapere?» ribatté lei. «È contro la legge che lei consideri la mia età come un requisito indispensabile per un lavoro. Potrei denunciarla al sindacato. Non è il modo migliore per iniziare il mio primo giorno di lavoro.»

    Hogan stava per dirle che poteva essere anche il suo ultimo giorno di lavoro, se intendeva comportarsi in quel modo, se non che lei doveva aver intuito cosa stava pensando e lo anticipò.

    «Se mi licenzia adesso, dopo avermi fatto una domanda del genere, potrei farle causa. Non avrebbe scuse che tengano.»

    Wow. La ragazza aveva voglia di attaccar briga.

    «Sono curioso» si giustificò, rendendosi conto che era vero. C'era qualcosa in lei che lo intrigava.

    Gli enormi occhiali le erano scesi lungo il naso, perciò li rimise a posto con il dorso della mano. «Ho ventotto anni. Non che la cosa la riguardi.»

    Chloe Merlin doveva essere una cuoca fantastica. Perché era escluso che fosse diventata lo chef più ricercato di Park Avenue solo grazie alla sua affascinante personalità. Tuttavia, per la nuova cerchia mondana di Hogan, lei rappresentava l'ultimo e più esclusivo degli status symbol.

    Dopo aver rivelato a Gus Fiver i suoi motivi per voler comprare Anabel quel primo giorno nella sua officina - diamine, era successo tre settimane prima? - l'avvocato gli aveva fornito alcune utili informazioni. Gus conosceva i Carlisle e sapeva che Anabel era l'attuale datrice di lavoro di una certa Chloe Merlin, personal chef per gente ricca e famosa. Anzi, era così brava come chef che, dal suo arrivo a New York cinque anni prima, era stata assunta da un ricco datore di lavoro dopo l'altro, ottenendo sempre sostanziali aumenti della sua paga. Accaparrarsi Chloe soffiandola a chiunque l'avesse assunta al momento era uno dei passatempi preferiti degli abitanti di Park Avenue, aveva detto Gus, e Anabel Carlisle era, da cinque mesi, la più recente vincitrice di quel gioco. Se Hogan era alla ricerca di qualcuno che cucinasse per lui - e chi non lo era? - allora assumere Chloe, portandola via ad Anabel, ne avrebbe attirato l'attenzione e gli avrebbe fornito un motivo per rientrare nella sua vita.

    Tuttavia, guardando adesso Chloe, Hogan cominciava a chiedersi se il vero passatempo di Park Avenue non fosse quello di fare infuriare l'ultimo che se l'era accaparrata, e se fosse Gus Fiver l'attuale vincitore di quel gioco. Assumere Chloe gli era costata una fortuna, e alcune delle condizioni erano ridicole. Per non parlare del fatto che era un po'... eccentrica. Hogan detestava gli eccentrici.

    «Se stasera vuole mangiare, dovrebbe mostrarmi la mia camera» disse lei con lo stesso tono indisponente. «La sua cucina è adeguata alle mie esigenze, ma devo mettermi al lavoro. Il croque monsieur non si prepara da solo.»

    Croque monsieur, ripeté Hogan tra sé. Anche se non con lo stesso impeccabile accento francese. Cosa diamine era un croque monsieur? L'avrebbe pagata una barca di soldi per cucinargli piatti che non gli piacevano nemmeno? Perché a lui andava bene un panino al prosciutto e formaggio.

    In quel momento, gli affiorò

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