Il capo e l'assistente: Harmony Collezione
Di Maya Blake
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Il capo e l'assistente - Maya Blake
successivo.
1
Saffron Everhart vide l'enorme mazzo di fiori sulla sua scrivania e sospirò sconsolata. Sarebbe stato molto più difficile di quanto avesse immaginato.
Negli anni aveva imparato a capire quanto infernale sarebbe stata la sua giornata in base ai regali che trovava sulla sua scrivania la mattina.
Un mazzo di fiori significava che non avrebbe chiuso occhio per le successive settantadue ore. I fiori e un buono regalo per il più esclusivo centro benessere svizzero erano un invito a preparare una borsa da viaggio per una settimana. La combinazione peggiore però erano fiori e gioielli. Il solo vedere delle pietre preziose, ultimamente, la faceva rabbrividire. Possedeva tre bracciali di diamanti, un collier di rubini con un paio di orecchini abbinati e una spilla ornata di zaffiri che odiava profondamente, per il sangue, il sudore e le lacrime che le erano costati.
In un certo senso quindi un semplice mazzo di fiori, per quanto esagerato, era una benedizione.
In ogni caso...
Spostò il vaso di cristallo nell'angolo più lontano della scrivania, si alzò ignorando la vista sensazionale di Londra immersa in una rara giornata di sole e si voltò verso le doppie porte dell'ufficio accanto al suo.
Prese un respiro tremante e raddrizzò la schiena, asciugando i palmi sudati sulla gonna stretta. Non poteva certo permettersi di apparire debole e nervosa. Così come non poteva permettersi di ritardare ancora, per quanto quelle porte sembrassero invalicabili.
Aveva temporeggiato abbastanza. Due mesi interi, per la precisione. Era ora di compiere il passo finale. Di lasciarsi alle spalle il ricordo di quella sera e del pericoloso cedimento che le serrava la bocca dello stomaco ogni volta che ci ripensava.
Era ora di riprendere il controllo della sua vita, prima che fosse troppo tardi.
Un colpo alla porta esterna dell'ufficio la fermò prima che riuscisse a compiere il primo passo. Si voltò e il cuore le sprofondò nel petto alla vista del corriere dalla divisa elegante diretto verso di lei. Normalmente, a fattorini e corrieri non era consentito andare oltre il quindicesimo piano, figurarsi poi raggiungere il quarantanovesimo, a un passo dall'ufficio dell'uomo più ricco del mondo. Ma l'uomo che si avvicinava deciso stringendo con mani riverenti una valigetta di velluto nero sulla quale spiccava il logo del gioielliere della regina non aveva affatto l'aria di un fattorino qualunque.
«No.» La parola le sfuggì dalla gola in un rantolo, accompagnata da diversi passi all'indietro, perché quella consegna non aveva nulla a che fare con i bracciali e i regali preziosi che aveva ricevuto fino a quel momento. La posta in gioco si era improvvisamente fatta molto più alta. Le mani sudate e la difficoltà a respirare normalmente sarebbero state l'ultimo dei suoi problemi, se avesse accettato senza reagire quel che stava accadendo.
«No, no, no.»
Il corriere si fermò a metà strada mentre era diretto verso la sua scrivania, l'espressione confusa. «Chiedo scusa, signorina. Sono forse al piano sbagliato? Ho una consegna per una certa signorina Everhart. Potrebbe indicarmi dove si trova il suo ufficio? Avrei bisogno di una sua firma.»
Lei scosse la testa. «No. Voglio dire, è nel posto giusto ma non avrà nessuna firma, perché non effettuerà alcuna consegna.» Sapeva di suonare isterica, ma non poteva evitarlo. «Intendo rispedire il regalo al mittente» aggiunse con enfasi.
L'uomo rispose esitante: «Temo non sia possibile. Il regalo non è restituibile né rimborsabile».
«Si sbaglia» affermò lei. «Sono la signorina Everhart, ho spesso avuto a che fare con i suoi datori di lavoro e so per certo che è sempre possibile.»
Il sudore gli imperlò la fronte e Saffron provò dispiacere per lui. «Ecco... sì, signorina, nella maggior parte dei casi lo è. Ma non questa volta.»
«Perché no?» chiese lei, pur immaginando già la risposta.
«Perché l'acquirente lo ha richiesto espressamente.»
Resistette a stento all'impulso di chiudere gli occhi in preda all'esasperazione. Poteva aspettarsi qualcosa di diverso da un uomo abituato a prevedere qualsiasi possibile reazione anche da parte dei clienti più difficili?
Abbassò lo sguardo sulla valigetta, lo stomaco serrato in un nodo sempre più stretto. Avrebbe ricevuto più volentieri un enorme scorpione velenoso.
Il corriere si schiarì la gola. «Se posso permettermi, signorina Everhart, questo non è un pezzo qualsiasi. Credo che la regina in persona abbia dato l'autorizzazione a replicare la sua collana. È uno dei pezzi più raffinati che il nostro laboratorio abbia mai avuto il privilegio di creare.» Il suo tono rasentava la riverenza, lo stupore davanti alla sua reazione.
Non dubitava delle sue parole. Ma non poteva ignorare il fatto che se non avesse rifiutato quell'oggetto magnifico, se avesse ritardato ulteriormente prima di assumere il controllo della situazione, si sarebbe persa per sempre. Aveva già dato quattro anni della sua vita. Cercato di annullare tutte le sue emozioni. Non poteva resistere un solo giorno di più. Un solo minuto.
Il problema però non era l'uomo che aveva di fronte, ma quello seduto dietro le porte massicce a pochi passi da lei.
Cercando di nascondere il mix di panico e terrore che l'attanagliava, firmò il documento di consegna e prese possesso del pacchetto, consapevole nel profondo di aver commesso un grosso errore.
La porta si chiuse dietro il corriere. Saffron rimase immobile, il pacchetto tra le mani che diventava ogni secondo più pesante. Quando quella sensazione si fece insopportabile, tornò alla scrivania, si sedette e l'aprì.
La collana a file alternate di diamanti e rubini era stupenda. Represse una risata isterica e fissò, incantata nonostante tutto, il gioiello più sorprendente che avesse mai visto. Richiuse la scatola di scatto, prima che la tentazione di toccare quelle fredde, magnifiche pietre prendesse il sopravvento e, proprio come con i fiori, la mise da parte.
Non poteva... non si sarebbe lasciata influenzare.
Mai più.
Stringendo i denti nell'inutile tentativo di arrestare la scarica di adrenalina che la attraversava ogni volta che ricordava quella fatidica notte in Marocco, lesse il documento che aveva riscritto almeno una dozzina di volte e avviò la stampa.
Il suono monotono della stampante in azione ebbe su di lei un effetto al contempo rassicurante e terrificante. Stava finalmente per compiere l'ultimo passo. Presto avrebbe riavuto il controllo sulla sua vita. Ma prima doveva riuscire a superare l'ultimo ostacolo.
Sapeva bene che sarebbe stata una battaglia epica. Prese il foglio, lo piegò in due e si alzò. Entrò nell'ufficio con passo deciso. Giusto in tempo per sentire squillare il telefono riservato ai clienti più importanti.
Si arrestò sulla soglia, il respiro affannoso mentre posava lo sguardo sull'uomo che stava sollevando la cornetta argentata.
Joao Oliviera.
Il suo capo.
L'uomo più ricco del mondo e, senza dubbio, il più affascinante.
Nonostante fosse entrata nel suo ufficio innumerevoli volte, Saffron non era mai riuscita a superare del tutto il senso di soggezione che la coglieva in sua presenza. Aveva però imparato a mascherarlo al punto giusto per apparire quasi indifferente davanti al potente magnetismo che trasudava, all'imponenza mozzafiato della sua forma fisica, alla sua innata capacità di far sentire insignificanti e sciocchi anche i più potenti leader mondiali con poche parole pronunciate al momento giusto.
E la rovente passionalità del suo tocco.
Joao Oliviera era una sorta di divinità che aveva deciso di onorare il pianeta con la sua presenza.
I folti capelli castano scuro, più lunghi di quanto convenzionalmente accettabile e striati d'oro, brillavano alla luce del sole di maggio che filtrava attraverso la finestra alle sue spalle.
Gli zigomi cesellati attiravano l'attenzione sulla vitalità del viso dalla pelle olivastra, sulla linea intransigente del labbro superiore ben bilanciata dalla curva sensuale di quello inferiore e sul profilo regolare della mascella leggermente ombreggiata, che nemmeno la rasatura più accurata riusciva a lasciare liscia del tutto. A completare il quadro, due magnifici occhi ambrati brillavano incorniciati da lunghe ciglia folte.
Al suo ingresso alzò il capo di scatto, la studiò per un secondo, poi le indicò di avvicinarsi con un cenno delle lunghe dita eleganti.
Come d'abitudine, si era tolto la giacca poco dopo essere entrato in ufficio, lasciando in bella mostra la camicia candida e aderente che enfatizzava il suo fisico asciutto.
Erano da poco passate le otto, perciò non aveva ancora arrotolato le maniche della camicia a rivelare gli avambracci muscolosi e lei tirò un sospiro di sollievo.
«Lavinia, aspettavo una tua chiamata» disse lui portandosi la cornetta all'orecchio.
Saffron fu percorsa da un fremito. Aveva imparato a ignorare gli effetti devastanti che l'aspetto fisico e il carisma di Joao esercitavano su di lei. C'era solo un elemento cui non aveva mai imparato a resistere. La sua voce profonda, sensuale e dall'accento marcato.
La tormentava durante il giorno con lingue di lussuria infuocata, e ultimamente con frequenza allarmante invadeva i suoi sogni. Ormai aveva quasi paura di entrare nel suo ufficio.
Con un pizzico di fortuna non avrebbe dovuto sopportare quella situazione ancora a lungo.
Si chiuse la porta alle spalle e si mise in ascolto della conversazione.
Indipendentemente dal motivo per cui era entrata in quell'ufficio, aveva un lavoro da svolgere. Quella mattina e, sospettava, innumerevoli altre a venire, quel lavoro avrebbe avuto a che fare con Lavinia Archer.
A settant'anni la dirigente del gruppo Archer, un impero che comprendeva hotel, un birrificio, una linea di navi da crociera, una compagnia aerea e diversi altri rami, era al comando di quella sorta d'impero economico da più di tre decenni.
Quando avevano iniziato a circolare voci secondo cui Lavinia intendeva vendere la compagnia prima del suo settantacinquesimo compleanno, Saffron aveva capito che il suo capo si sarebbe tuffato a capofitto su quell'occasione. Non si era sbagliata.
Negli ultimi mesi i due avevano dato vita a una complessa partita di scacchi dalla quale la donna, pur avendo ricevuto diverse offerte, non si era ancora tirata indietro.
«So che ti diverte lasciarmi in attesa, Lavinia» continuò Joao. Ogni parola trasudava carisma, mentre il suo sguardo dorato seguiva Saffron attraverso l'ufficio. «Spero che, al momento giusto, mi dimostrerai che è valsa la pena aspettare.»
Saffron barcollò, afferrò rapidamente il bordo del divano per sostenersi e distolse lo sguardo da quello beffardo di lui, prima di peggiorare la situazione arrossendo.
Una risata sensuale fluì dal telefono. Saffron frenò l'irrazionale gelosia che si stava risvegliando in lei e cercò di mantenere la compostezza.
Anche se gli aveva dedicato quattro anni della sua vita, sapeva di non avere alcun diritto su Joao. L'unico interesse che lui provava nei suoi confronti riguardava le sue eccellenti capacità organizzative.
Non le aveva mai chiesto che interessi avesse al di fuori dell'ufficio, non che avesse molto tempo per coltivarli. I suoi ultimi due compleanni erano trascorsi senza che se ne accorgesse, mentre era impegnata a rendere il più possibile senza pensieri la vita di Joao Oliviera.
E, forse ancor più doloroso del non avere nessuno che si ricordasse di lei, né famiglia né amici, era stato il fatto che il suo capo non avesse trattato quei giorni in modo diverso da qualsiasi altra giornata di duro lavoro.
No, non avrebbe sprecato nemmeno un secondo in gelosia. E una volta portati a termine i suoi compiti, se ne sarebbe andata lasciando a qualcun altro il compito di organizzare i suoi innumerevoli appuntamenti con la modella o la ricca ereditiera di turno.
Fortunatamente non le era toccato più farlo dopo il Marocco. Il che non significava che lui non avesse...
Basta!
Interruppe quei pensieri sconfortanti e tornò alla realtà, trovando lo sguardo di Joao che percorreva lentamente il suo corpo, indugiando per un momento sul documento che aveva in mano prima di sollevarsi a incontrare il suo.
Provò una fitta al cuore.
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