Ritorno di fiamma: Harmony Destiny
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Ritorno di fiamma - Sarah M. Anderson
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1
«Posso aiutarla?»
Josh Calhoun si tolse il berretto da baseball e rivolse un sorriso smagliante alla receptionist. «Lo spero proprio» rispose e, senza volerlo, lasciò affiorare il suo accento campagnolo.
Non poteva farci niente. Era la prima volta che tornava a Chicago dopo cinque anni, e tante cose erano cambiate. Un tempo, si era sforzato di nascondere quell'accento nel tentativo di confondersi con gli abitanti di una grande metropoli.
Ora non più.
«Cerco i fratelli Newport» proseguì, chinandosi verso la receptionist. Lei spalancò gli occhi e a Josh parve che un lieve rossore le colorasse le guance. Non stava flirtando, almeno non di proposito. Sydney – pace all'anima sua – sosteneva che, semplicemente, era il suo modo di fare.
Era stato quel fascino spontaneo ad attrarla.
Dannazione. Era a Chicago da poco più di mezz'ora e stava già pensando a Sydney.
Odiava quella città.
«Sono Josh Calhoun. Mi hanno chiesto di passare a trovarli.»
E quella era l'unica ragione per cui si era preso il disturbo di tornare a Chicago.
Brooks, Graham e Carson erano vecchi amici del college, e tutti e tre l'avevano chiamato di recente, in apparenza ognuno all'insaputa degli altri.
Brooks Newport aveva chiesto il suo intervento perché lo aiutasse a chiarire una serie alquanto sbalorditiva di rivelazioni sul conto di Sutton Winchester... Josh aveva ancora difficoltà a metterle in ordine.
A quanto pareva, Sutton Winchester era il padre di Carson e, per un paio di mesi, Brooks e Graham avevano sospettato che il vecchio magnate dell'industria immobiliare fosse anche il loro genitore. Tuttavia, i risultati del test di paternità erano stati negativi: Brooks e Graham non avevano lo stesso padre di Carson.
Da quando era venuta alla luce la relazione di Sutton con la loro madre, Cynthia, i gemelli Newport avevano ingaggiato una dura battaglia con le sue figlie, Eve, Grace e Nora Winchester. Da quello che Josh aveva potuto dedurre leggendo gli articoli di cronaca sul suo cellulare, Sutton era in punto di morte.
Le sorelle Winchester – soprattutto Eve – non erano felici dell'improvvisa comparsa di un fratello, che appariva deciso a far valere i propri diritti sull'eredità.
Su Internet, si alternavano talmente tante voci che Josh aveva difficoltà a distinguere quelle vere da quelle fatte circolare di proposito.
Brooks voleva il consiglio legale di Josh per indurre Sutton a pagare una sorta di risarcimento per aver messo incinta la madre di Carson e per averla piantata in asso. Il suo gemello, Graham, voleva l'aiuto di Josh per scoprire chi fosse il loro vero padre, dal momento che Sutton era escluso. E Carson aveva un bisogno disperato che Josh lo aiutasse a far ragionare Brooks.
Josh non era sicuro di riuscire a soddisfare tutte quelle richieste. Era un ex avvocato societario, attualmente, però, si occupava di... latte e derivati. Trattava con deputati e senatori sulle leggi che regolavano l'industria casearia. Certo, godeva fama di essere spietato dietro quel suo sorriso cordiale, tuttavia non faceva miracoli.
Non gli passava neanche per la mente che chiunque si chiamasse Winchester gli avrebbe concesso un po' del proprio tempo. Cosa importava ai magnati immobiliari di Chicago di quello che pensava uno che si guadagnava da vivere con il latte? Comunque, avrebbe fatto un tentativo. Lo doveva ai Newport.
La receptionist rivolse l'attenzione allo schermo del computer. «Sì, capisco. Purtroppo, nessuno di loro è disponibile.» Alzò lo sguardo su Josh, il quale notò che era dotata di deliziose fossette. «Brooks è in riunione e ha chiesto di non essere disturbato. Graham è fuori sede, come anche Carson.»
«Fuori sede?» Chicago non era esattamente una cittadina di campagna. Fuori sede poteva significare dovunque. «Può dirmi dove si trovano Graham e Carson? Mi stanno aspettando.» L'irritazione gli fece prudere le mani. Dietro loro richiesta era tornato a Chicago per la prima volta dopo il funerale, e loro non erano nemmeno lì per incontrarlo?
La receptionist sembrava contrita. «Non mi è concesso dire dove si trova Graham. Tuttavia, Carson è al cantiere del nuovo ospedale pediatrico che i Newport stanno costruendo. Sarò felice di dirle come arrivarci oppure...» Sbatté le ciglia e le fossette si accentuarono.
Come aveva fatto durante gli ultimi cinque anni quando una bella signora gli faceva gli occhi dolci, Josh controllò se il proprio corpo reagiva. No, nessuna reazione.
A parte rendersi conto che era una ragazza carina quella che stava flirtando con lui, non provava la benché minima attrazione, nessun desiderio. Non c'era ombra di interesse.
Ignorò la cupa solitudine che aveva preso il posto della tentazione e sfoggiò uno dei suoi sorrisi migliori.
«Devo parlare con Carson» ribadì con aria dispiaciuta. Non era colpa della receptionist se lui era incapace di provare qualsiasi cosa.
La delusione che le passò sul volto fu fugace.
«Lasci che le procuri quelle indicazioni» dichiarò in tono molto più professionale.
«Grazie mille.»
Josh era fuori dal proprio ambiente, e lo sapeva.
Aveva giurato che non sarebbe mai più tornato a Chicago, invece, eccolo lì. I Newport erano le uniche persone al mondo che avrebbero potuto indurlo a farlo. Gli erano stati vicini in ospedale e al funerale. Era molto probabile che gli avessero salvato la vita. Non che Josh l'avrebbe mai rivelato a qualcuno, d'altra parte quando le persone care continuano a morirti intorno, è difficile mostrarsi coraggiosi e andare avanti.
Lui era Josh Calhoun, erede della Calhoun Creamery e suo attuale amministratore delegato. Per il resto del mondo, il fatto che avesse seppellito i genitori e, in seguito, sua moglie non aveva importanza quanto essere uno dei più grandi proprietari di caseifici del paese.
Be', aveva importanza per lui. Sydney era importante per lui. E quando il destino gliel'aveva portata via, i Newport gli erano stati vicini.
Brooks, Graham e Carson erano come dei fratelli. Era quello l'unico motivo per cui si trovava lì. Se fosse successo qualcosa a uno di loro... be', poteva essere la fine del mondo. Del suo mondo.
«Ecco» annunciò la receptionist porgendogli l'indirizzo con un sorriso. Era un peccato non provare attrazione per lei, ma Josh non ci riusciva. «Devo informare Carson che sta arrivando?»
«Le sarei molto grato. È da un po' che non guido in città... secondo lei quanto tempo mi ci vorrà per arrivarci?»
La receptionist batté alcuni tasti sul computer. «A quest'ora del giorno, dovrebbe impiegarci più di quaranta minuti.»
Josh non cercò di nascondere il disappunto.
Le fossette erano riapparse sul volto della giovane donna. «Potrebbe andarle peggio... sono solo le due del pomeriggio.»
«Lo so.» Josh si toccò la visiera del cappello e si girò per tornare al suo furgone che spiccava come un pinguino all'equatore. Intorno al malandato mezzo c'erano, infatti, solo auto lussuose.
Possedeva quel furgone dai tempi del liceo. Era sopravvissuto al college, al matrimonio e alla morte di sua moglie. Non aveva intenzione di procurarsi un veicolo nuovo per compiacere la gente sul tipo di vettura che il proprietario multimilionario di un'azienda avrebbe dovuto guidare.
Perché per la maggior parte dei giorni Josh non si sentiva il proprietario multimilionario di un'azienda.
La maggior parte dei giorni era in piedi alle quattro per presenziare alla mungitura del bestiame. Le sue uniche pause erano momenti come l'attuale.
Come proprietario di uno dei più grandi caseifici del paese, la sua voce aveva un certo peso e, in effetti, stava tornando da Washington, dopo aver avuto un incontro con un lobbista del National Dairy Council riguardo alle norme da includere nei nuovi standard della FDA.
Erano quelle le uniche volte che si allontanava dalla fattoria.
Con un sospiro, Josh avviò il vecchio furgone e tornò a immettersi nel traffico infernale di Chicago. Si augurava che i Newport apprezzassero il sacrificio che stava facendo. Ed era grato che il traffico fosse così caotico da richiedere tutta la sua attenzione.
Nello Iowa, la gente non superava i semafori come accadeva a Chicago. Laggiù, quando il semaforo diventava rosso, la gente si fermava. A Chicago, invece, acceleravano. Rischiò di essere tamponato almeno tre volte perché, d'istinto, se il semaforo diventava rosso, si arrestava.
Finalmente, arrivò in vista del cantiere del nuovo ospedale pediatrico.
Josh studiò le indicazioni ricevute e vide che doveva imboccare una strada laterale e parcheggiare sul retro.
Perlomeno, in quella zona il suo furgone si mimetizzava meglio. Si ripromise di rimanere a Chicago solo il tempo necessario per aiutare i Newport a risolvere alcuni dei loro problemi.
Si era impegnato duramente per recuperare un equilibrio dopo la morte di Sydney. Non era così sciocco da tentare di nuovo il destino, e gli mancava l'energia mentale per cadere di nuovo in depressione.
Nessuno tranne i Newport sarebbe riuscito a farlo tornare in quella città.
E adesso che c'era, meglio concludere al più presto.
«Lo capite che non è ancora morto» disse la dottoressa Lucinda Wilde, facendo del suo meglio per controllare la collera. Le capitava di rado di arrabbiarsi con i pazienti... era uno spreco di tempo e di energia emotiva. «Posso prolungargli la vita solo se resta in ospedale.»
Carson Newport era alla sua sinistra, con le mani sui fianchi e un'espressione determinata sul volto. Sulla sua destra, Eve Winchester la fissava con aria truce, a braccia conserte e la fronte aggrottata. Intorno a loro, l'aria risuonava del baccano del cantiere, ed era satura di polvere.
Lucinda avrebbe dovuto farsi una doccia prima di riprendere il giro di visite. Doveva sperare, inoltre, che i materiali da costruzione impiegati per il nuovo ospedale non fossero cancerogeni. Preferiva di gran lunga il suo ospedale, dove tutto era sterile. E non era felice di aver dovuto lasciare i pazienti e attraversare mezza città, per fare da mediatrice nell'ennesima discussione tra i Newport e le Winchester a proposito del suo paziente, Sutton Winchester.
Sospirando, Lucinda spinse gli occhiali sul naso. Avrebbe avuto più probabilità di convincere un branco di cani randagi che i figli di Sutton Winchester sulla necessità di trattenerlo in ospedale.
Mai, nei suoi nove anni come oncologa, si era imbattuta in un gruppo di parenti così testardi.
Adorava il proprio lavoro e Chicago, tuttavia in giorni come quelli aveva nostalgia degli spazi aperti di Cedar Point, Iowa.
Anche le mucche erano più ragionevoli.
«Deduco che non è interessata a svolgere il suo lavoro» osservò Eve Winchester in tono aspro.
«Non è necessario essere scortesi» intervenne Carson Newport. «La dottoressa sta facendo il suo lavoro. Nessuno vive per sempre... soprattutto non i vecchi rancorosi.»
Eve si girò di scatto verso Carson, ed era probabile che l'avrebbe demolito a parole se non fossero stati interrotti da una voce. «Quale sarebbe il problema?»
Lucinda si impietrì. Si impietrì alla lettera quando una voce del suo passato fluttuò dal nulla, incendiandole e gelandole il sangue al tempo stesso.
Non era possibile che avesse udito la sua voce. Non dopo tutto quel tempo. Non in quel momento, quando faticava a concentrarsi trovandosi alle prese con il più impegnativo dei suoi casi.
Poi, Carson si voltò ed esclamò: «Josh!».
E Lucinda morì un po' perché quello che stava accadendo non era frutto della sua immaginazione.
Josh Calhoun in carne e ossa era uscito dai suoi incubi per entrare nel suo campo visivo.
Oh, Dio. Le si bloccò il respiro in gola mentre lui si avvicinava. Aveva lo stesso aspetto dell'ultima volta che l'aveva visto. Indossava jeans e una camicia a quadri rossa. Ciocche di capelli castani spuntavano dalla base del logoro berretto da baseball che assomigliava a quello che aveva indossato tutti i giorni ai tempi della scuola.
No, no, no. Non era possibile che stesse succedendo.
Josh Calhoun, un fantasma del suo passato che non voleva affrontare mai più, stava sorridendo.
Fino al momento in cui il suo sguardo si posò su di lei.
Lucinda non rimase sorpresa quando lui smise di colpo di sorridere. Dopotutto, non si erano lasciati in modo amichevole dopo che lei aveva fatto la figura della sciocca e Josh l'aveva respinta seccamente.
Rimasero a fissarsi, e Lucinda fu sollevata nel constatare che lui era altrettanto sorpreso di vederla.
Poi, la situazione peggiorò. Perché Josh Calhoun, il ragazzo che aveva distrutto il suo cuore, sollevò un angolo della bocca in quello che sapeva anche troppo bene essere il suo autentico sorriso.
Oh. Oh, accidenti.
Qualcosa era cambiato in lui.
Era un po' più alto e le spalle erano molto, ma molto più larghe. La linea del mento era più decisa e i suoi occhi...
Josh Calhoun era cresciuto.
Lucinda non si permise di provare un'attrazione istantanea. La libido non aveva posto nella sua vita. Nel migliore dei casi era una sensazione inopportuna, e a lei restava ben poca energia dopo aver trascorso i suoi giorni a capo del reparto di oncologia al Midwest Regional Center. Non poteva sprecarne neanche un po', di sicuro non per tipi come Josh Calhoun, l'ultima persona sulla quale si era concessa di avere fantasie erotiche.
Tuttavia, osservando le sue labbra curvarsi in quello che era il suo sorriso autentico e non quello con il quale si faceva amica ogni singola persona presente nella stanza, il desiderio fisico la colpì a tradimento, e lei non era pronta.
Non in quel momento.
Anzi, mai.
Comunque, si rifiutò di lasciar trapelare qualsiasi cosa. Non inspirò nemmeno l'aria, anche se