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Due corpi, un unico letto: Harmony Destiny
Due corpi, un unico letto: Harmony Destiny
Due corpi, un unico letto: Harmony Destiny
E-book147 pagine1 ora

Due corpi, un unico letto: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Sono diversi come il giorno e la notte, ma quando la chimica si mette in moto niente e nessuno può fermarla e ci si ritrova con un corpo solo e un'anima sola.
L'orologio biologico di Joyce Riggs corre veloce ed è come una bomba pronta a esplodere. Il desiderio di diventare madre diventa irrefrenabile, ma lei non vuole cedere. Decide, così, di chiedere aiuto a Kyle Prescott, affascinante istruttore di difesa personale. Forse sfogando i muscoli riuscirà a rilassare anche il cervello. Kyle però non sa se aiutare o meno la bella Joyce, in fondo lui ha dei segreti da tutelare e una battaglia personale da condurre nel bene e nel male per salvaguardare la sua gente. Alla fine, però, si convince sapendo che non sarà facile gestire il rapporto quotidiano con una donna come quella.
LinguaItaliano
Data di uscita10 gen 2020
ISBN9788830507197
Due corpi, un unico letto: Harmony Destiny
Autore

Sheri Whitefeather

Autrice della novella Sangue Cherokee.

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    Anteprima del libro

    Due corpi, un unico letto - Sheri Whitefeather

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Apache Nights

    Silhouette Desire

    © 2005 Sheree Henry-WhiteFeather

    Traduzione di Lucia Panelli

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2006 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3050-719-7

    1

    Dove diavolo era quell’uomo?

    Joyce Riggs aspettava davanti al cancello che la separava dalla proprietà di sette acri di Kyle Prescott. Dall’altra parte della recinzione, un collerico rottweiler ringhiava mostrandole i denti aguzzi.

    Il cane da guardia rispecchiava in tutto e per tutto il suo padrone, così come il suo amico, un minuscolo bassotto che gli saltellava intorno.

    A chi altro sarebbe venuto in mente di fare vivere un aggressivo rottweiler e un pacifico cagnetto nello stesso cortile?

    E che cortile...

    Ricambi d’auto usate. Vecchi mobili. Giochi da giardino. Ruote di carri. Una stufa in ghisa.

    Distolse lo sguardo. Dopo tutto, Kyle era un rigattiere. O per lo meno quella era la professione ufficiale, la sua copertura, il lavoro che denunciava sulla dichiarazione dei redditi.

    Ma Joyce sapeva che era un militante che addestrava combattenti, un attivista indiano che si muoveva sempre sul filo del rasoio. Ma il peggio era che lei si era presa una cotta proprio per quell’uomo, un’irritante attrazione che la solleticava da quando, otto mesi prima, avevano deciso di disprezzarsi a vicenda.

    Sbuffò, seccata, cercando di ignorare la belva ringhiante. Ma non era facile. Il cane sembrava davvero arrabbiato. Il bassotto, invece, scodinzolava allegro.

    Un colpo risuonò nell’aria. Una porta sbatté. Entrambi i cani si girarono e, come un inaspettato miraggio, Kyle apparve in lontananza e scese le scale della vecchia casa.

    Viveva in una zona isolata del deserto, dove il cittadino medio raramente si avventurava.

    Joyce lo guardò avvicinarsi, irritata con se stessa per quell’improvviso batticuore.

    Senza fretta, con passi lunghi e cadenzati, Kyle finalmente raggiunse il cancello e le rivolse un sorriso compiaciuto, alla Clark Gable. Il rottweiler continuò a mostrare i denti, ringhiando in nome dell’affascinante padrone. Joyce non aveva dubbi sul fatto che anche il cane fosse un maschio: mostrava la stessa aggressività.

    E probabilmente come il suo padrone si credeva un grande amatore. In giro si diceva che Kyle fosse un super dotato.Non che la cosa le interessasse.

    «Detective Riggs» la salutò l’uomo. «Che sorpresa.»

    «Non si ricorda che l’ho chiamata per dirle di aspettarsi una mia visita?»

    «E non si ricorda che le ho risposto di non disturbarsi?»

    «Ma non è curioso di sapere perché sono qui?» ribatté Joyce.

    Lui inclinò il capo. Come sempre, i lunghi capelli dritti erano tenuti a bada con una fascia legata sulla fronte, forse in onore del mitico Geronimo. Alto più di un metro e ottanta, Kyle era un mezzosangue che ostentava con orgoglio le proprie origini.

    Indossava una T-shirt blu, jeans e mocassini sfoderati. Come Joyce, aveva trentasei anni, ma l’età anagrafica era l’unica cosa che avessero in comune, a parte un’attrazione impossibile.

    Kyle cambiò posizione, spostando il peso sull’altra gamba. «Se è una visita ufficiale, voglio vedere il mandato.»

    «Perché?» Il vento di ottobre le sferzava il viso, pungendole le guance come spilli. «Ha ucciso qualcuno?»

    Il sorriso dell’uomo svanì. Kyle era un soldato pluridecorato della divisione Desert Storm, un eroe di guerra in piena regola. Non prendeva la morte alla leggera. Ma nemmeno lei. Joyce era una detective della omicidi.

    Per alcuni istanti restarono a fissarsi immobili, prigionieri di una sfida silenziosa. Infine Joyce guardò il rottweiler, che continuava a digrignare i denti. «Vuole richiamare quel dannato cane?»

    Il sorriso riapparve. «Non ama gli sbirri.»

    «Dubito che gli piaccia qualcosa.»

    «Gli piace Olivia.»

    Era tipico di Kyle tirare fuori la sua ex. Olivia era un’amica comune, una sensitiva che collaborava con il LAPD, l’FBI e tutte le altre agenzie governative che Kyle disprezzava tanto.

    Ma Olivia era anche una donna determinata che si allenava con Kyle nella sua palestra, qualcosa che anche Joyce sperava di riuscire a fare.

    E mai come in quei giorni desiderava che quella speranza diventasse realtà; era infatti convinta che solo così sarebbe riuscita a tenere sotto controllo le emozioni che la dilaniavano.

    «Sono pronta a pagarti» disse passando con disinvoltura al tu.

    Finalmente aveva destato l’attenzione dell’uomo. Kyle mormorò un comando e subito il cane smise di ringhiare. Sembrava avesse parlato in una lingua straniera, una lingua che Joyce non conosceva. Probabilmente Kyle aveva addestrato il cane a ubbidire alla lingua dei suoi antenati.

    «Pagarmi per che cosa?» domandò.

    «Per le tue lezioni. Combattimento a mani nude. Giochi di guerra. Tutto quello che offri.»

    «Non addestro sbirri.»

    «C’è sempre una prima volta.»

    La fissò, guardingo. «Perché dovrei farlo?»

    «Perché sto attraversando un brutto periodo a causa di problemi personali che sembra non sia capace di risolvere.» Non intendeva rivelargli tutta la verità, ma non voleva nemmeno nascondergliela completamente. Il suo orologio biologico era pronto a esplodere e lei si sentiva frastornata, incapace di controllare la situazione. «Ho bisogno di scaricarmi, di distrarmi, di buttarmi sul fisico.»

    «E allora vai al poligono e spara, come fanno tutti quelli della tua risma.»

    «Della mia risma?» Avrebbe voluto mollargli un poderoso calcio attraverso la cancellata, ma sapeva che il rottweiler sarebbe scattato come una molla se solo avesse osato fare l’atto di attaccare. «Piantala di nasconderti dietro al cane e fammi entrare.»

    «Ci hai tentato, detective. Ma non sono così macho da cascarci.»

    Così pareva. «Olivia mi ha detto tutto di te.»

    Lui ridacchiò, divertito. «Così sai che sono bravo a letto. E allora?» Si fermò e la spogliò con lo sguardo. «È per questo che sei qui, detective? Per farmi girare la testa?»

    Fu il turno di Joyce di spogliarlo con gli occhi, dandogli un assaggio della sua stessa medicina sciovinistica. «Quale testa?»

    Mancò poco che lui scoppiasse a ridere. Ma si trattenne.

    Per quanto riguardava Joyce, lei era abituata a battibeccare con uomini spigolosi, con criminali, con altri detective. Essere una donna in un ambiente dominato da uomini la rendeva più forte.

    Ma anche più sola.

    Un attimo dopo, Kyle la sorprese aprendo il cancello. «Entra pure se vuoi.»

    Lei indicò il rottweiler. «E lui?»

    «Clyde non ti farà niente. A meno che non glielo ordini io.»

    Clyde. Joyce osservò il massiccio cane nero con focature marrone-rossiccio. L’animale era immobile, seduto come una statua ai piedi del suo padrone. Joyce si guardò intorno alla ricerca del bassotto e non trattenne un sorriso. Il cagnolino scodinzolava a velocità supersonica.

    «E quello come si chiama?» domandò.

    «Bonnie» rispose Kyle.

    Joyce aggrottò la fronte. Bonnie e Clyde. L’indiano aveva dato ai cani i nomi dei famosi rapinatori.

    Kyle spalancò il cancello. «Allora, entri o no?»

    A un tratto una vocina le sussurrò di ritornare a casa, di stare alla larga da Kyle Prescott. Ma il bisogno di sconfiggere ciò che l’assillava, di allenarsi con lui, la tennero inchiodata dov’era.

    In fondo, lui non aveva la fedina penale sporca. E nonostante le sue attività spesso fossero al limite del legale, Joyce voleva credere di potersi fidare di lui. Il giorno in cui si erano conosciuti, Kyle stava aiutando il LAPD a risolvere un caso di assassinio legato alla magia indiana. Certo, lo aveva fatto solo per Olivia, una donna che in seguito lo aveva mollato per un altro. Non che Olivia non fosse mai stata attratta da lui, ma alla fine era giunta alla conclusione che Kyle era troppo stravagante per offrirle la sicurezza di cui lei aveva bisogno.

    Ciononostante, Joyce decise di correre il rischio ed entrò nella proprietà dell’uomo. Quest’ultimo si affrettò a chiudere il cancello, intrappolandola nel suo regno e dicendole, senza parlare, che ormai era troppo tardi per girare sui tacchi e scappare.

    Comunque lui non sarebbe riuscito a spaventarla. Non si sarebbe mai sognata di tirarsi indietro, anche se la vocina dentro di lei non faceva che ripeterle che era un’idiota.

    Quando Kyle le voltò le spalle, Joyce notò la fondina agganciata alla cintura dell’uomo. Fissò la SIG semiautomatica chiedendosi se lui la portasse ogni giorno. Sapeva benissimo che Kyle non aveva il porto d’armi, ma lei si trovava sulla sua proprietà e per questo l’uomo non era perseguibile dalla legge.

    «Aspetti la visita di un cattivo?» gli domandò.

    «Solo di una ragazza cattiva.» Anche a lui non era sfuggita la fondina di Joyce. «Ma lei è già qua.»

    «Touché.»

    «Sei stata tu a voler invadere il mio mondo.» Si avviò verso casa. «Vuoi un caffè?»

    «Se non l’hai avvelenato...»

    «Il mio caffè è veleno.»

    E così erano i suoi feromoni, pensò Joyce. Quell’uomo sprizzava scintille ed energia sessuale.

    S’incamminò accanto a lui e Clyde le fu subito dietro. Era chiaro che all’animale non sfuggiva nulla e nemmeno al suo padrone.

    Non volendo dedicare troppa attenzione ai suoi accompagnatori maschi, Joyce decise di concentrarsi su Bonnie. La piccolina zampettava felice insieme a loro, la lunga pancia che quasi strisciava per terra.

    Mentre avanzavano, Joyce osservò gli edifici disseminati nella proprietà.

    «È lì che tieni il resto della tua mercanzia?» domandò.

    Lui seguì lo sguardo della donna e annuì. «Mobili, oggetti da collezionismo, cimeli. Articoli che troveresti anche in negozi di antiquariato. In vendita ho anche alcuni pezzi di pregio.» Si fermò. «Ti piace il Vintage?»

    «Sì.» Joyce adorava bighellonare fra vecchi e affascinanti negozi alla ricerca di pezzi rari. «Ma anche l’atmosfera ha la sua importanza.»

    Con un ampio gesto del braccio Kyle indicò ciò che li circondava. «E vorresti dire che qui non c’è atmosfera?»

    Scherzava? Joyce non ne era tanto sicura. «Il tuo hangar ha un certo fascino.» L’enorme struttura s’innalzava dietro tutte le altre, andando a occupare diecimila metri quadrati. Lei sapeva che l’edificio era stato modificato per ospitare un sofisticato centro di addestramento ed era ansiosa

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