Scandalo piccante: Harmony Destiny
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Sheri Whitefeather
Autrice della novella Sangue Cherokee.
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Scandalo piccante - Sheri Whitefeather
successivo.
1
Gina Barone non era in vena di festeggiamenti, ma sorseggiò ugualmente un bicchiere di chardonnay, sperando che non le procurasse bruciore di stomaco, e si fece strada fra tutta quella gente, ostentando un sorriso sicuro.
Sapeva che era importante farsi vedere e tenere la testa alta, specie in un momento come quello.
Gina era vicepresidente dell'ufficio marketing e responsabile delle pubbliche relazioni della Baronessa, l'impero del gelato di proprietà della sua famiglia, i Barone, di origine italiana.
La compagnia era appena stata fatta a pezzi dai mass media, cosa di cui Gina si sentiva responsabile.
Muovendosi tra la folla, accennò un saluto col capo alle facce familiari. Sebbene si fosse recata a quel ricevimento di beneficenza con il preciso intento di mostrarsi in pubblico, aveva evitato di intrattenersi in lunghe conversazioni con chicchessia. Un cordiale e breve saluto era il massimo che riusciva a fronteggiare. E, con quello spirito, avrebbe assaggiato le varie pietanze, sorseggiato del vino e atteso che trascorresse un adeguato lasso di tempo prima di congedarsi.
Si fermò per salutare Morgan Chancellor, una collega che si muoveva in quel contesto mondano leggiadra come una farfalla, svolazzando disinvolta da un invitato all'altro.
«Ciao, Morgan. Come sei bella. Ti sta benissimo quel vestito.»
«Davvero? Grazie.» L'altra donna batté le palpebre, poi si protese verso Gina e le sussurrò: «Indovina chi ha chiesto di te?».
Gina immaginava che quasi tutte le persone presenti al party stessero spettegolando sul clamoroso insuccesso della serata che lei aveva organizzato il mese precedente, l'evento pubblicitario che si era concluso in un vero e proprio disastro.
La Baronessa aveva voluto inaugurare un nuovo gusto di gelato, chiamato frutto della passione, offrendo proprio nel giorno di San Valentino una degustazione gratuita presso la sede della società. Ma era scoppiato il finimondo non appena gli invitati avevano assaggiato il gelato.
Qualcuno aveva messo nel composto una spezie molto piccante, che poi avevano scoperto trattarsi della varietà di pepe più piccante in assoluto.
Per giunta, un amico di Gina che aveva accettato il suo invito e si era fermato lì, quella sera, aveva avuto una grave reazione allergica al pepe, un vero e proprio shock anafilattico.
Aveva quasi ucciso una persona.
Non intenzionalmente, certo, tuttavia la colpa, oltre che l'onta, era ricaduta su di lei.
Gina guardò Morgan, sforzandosi di sorridere. «E allora, chi è che ha chiesto di me?»
«Flint Kingman.»
Il suo sorriso si incrinò e scomparve. «È qui?»
«Sì. Mi ha chiesto di indicargli chi fossi.»
«Davvero?» Gina si guardò intorno. La buona società di Boston era radunata lì, quella sera, e da qualche parte, intrufolato in mezzo a donne in eleganti vestiti da cocktail e uomini in impeccabili abiti sartoriali, c'era il suo nuovo rivale.
Con ansia crescente, si sfiorò il collarino di perle e diamanti che, all'improvviso, le parve stringerle il collo come un cappio.
Flint Kingman, il ragazzo prodigio. Il principe delle pubbliche relazioni. Il rinomato portavoce di questa o quell'azienda, il grande esperto nel trattare con la stampa.
La sua famiglia glielo aveva affiancato in quel momento di crisi affinché l'aiutasse a salvare la faccia dell'azienda di fronte ai media, e ora tutti si aspettavano che lei accettasse i suoi consigli.
Gina era rimasta profondamente offesa da quella mancanza di fiducia nei suoi confronti e aveva cominciato a detestare Kingman ancor prima di conoscerlo. Lui, tra l'altro, le aveva lasciato tutta una serie di messaggi in ufficio, insistendo perché lo richiamasse. Ma quando lo aveva fatto, la loro conversazione di lavoro si era subito accesa e Gina aveva finito col mandarlo al diavolo.
E, ora, quell'uomo era lì.
«Ti dispiacerebbe indicarmelo?» chiese a Morgan.
«Certo.» La rossa si voltò per guardarsi alle spalle, poi corrugò la fronte. «Era lì un istante fa, con quel gruppetto di uomini, ma se n'è andato.»
Gina fece spallucce, sperando di apparire tranquilla e compassata, nonostante il tumulto interiore.
«Sono sicura che mi troverà lui più tardi» disse, chiedendosi se quell'uomo non avesse deciso di presentarsi a quel ricevimento con il solo scopo di innervosirla.
Se non usciva allo scoperto e non si presentava al più presto, allora significava che avrebbe continuato a spiarla in disparte, con gravi conseguenze per la sua ulcera. Malessere di natura nervosa che lei teneva ben nascosto alla propria famiglia.
«Se non ti dispiace, Morgan, io farei un salto al buffet.»
«Va' pure avanti. Se vedo Flint, ti avverto.»
«Grazie.» Gina si diresse verso il tavolo del rinfresco e si soffermò a contemplare la sfilza di antipasti, a spizzicare qua e là, fingendosi così sicura di sé da mangiare disinvoltamente in pubblico. Per nulla al mondo si sarebbe fatta mettere in fuga da Flint, anche se la tentazione era quella di infilare la porta d'uscita e sparire.
Mentre esaminava la sublime sfilata di prelibatezze, sentì chiudersi lo stomaco. Quella non era certo la dieta leggera che le aveva raccomandato il medico, ma non aveva alternativa.
Le frittelle di gamberetti avrebbero probabilmente aggredito il suo apparato digerente come proiettili, ciononostante le adagiò sul piatto accanto a una cucchiaiata di funghetti in crosta e a un assaggino di purea di carciofi.
Con il piatto in una mano e un bicchiere di vino nell'altra, scrutò la sala alla ricerca di un posticino in disparte dove mangiare.
La sontuosa sala ricevimenti dell'albergo era stata allestita per il cocktail con piccoli gruppi di tavoli per chi preferiva mangiare seduto e abbondante spazio libero per chi sceglieva di sbocconcellare il cibo in piedi, tra una chiacchiera e l'altra.
Gina si accostò a un'enorme finestra, alta da pavimento a soffitto, appoggiò il vino sul davanzale e osservò la città.
Una pioggia fitta veniva giù dal cielo e le luci occhieggiavano come girandole luminose che spruzzavano scintille nella frizzante aria di marzo.
Mentre contemplava la pioggia, si sentì chiamare alle spalle.
Una voce maschile, dal timbro profondo, ruvido, che le si insinuò lungo la schiena e le procurò un sussulto al cuore.
Aveva riconosciuto subito la bella voce di Flint Kingman.
Preparandosi ad affrontarlo, si girò lentamente.
Lui la guardò dritta negli occhi e Gina fece di tutto per mantenere un certo contegno.
Si aspettava un tipo alto e attraente, ma non a quei livelli!
In abito firmato e scarpe italiane, era di un'eleganza impeccabile, con un'aria fiera, spavalda, così come si diceva in giro. Eppure, sotto la patina del tipico bostoniano ricercato, si intravedeva un qualcosa di affilato e pericoloso come la punta di una freccia avvelenata.
Trasudava sensualità da tutti i pori. E un calore puro, intenso, selvaggio.
Gina sorresse il piatto con entrambe le mani per paura che il cibo le scivolasse per terra. Di solito, gli uomini non la rendevano così nervosa. Quello, però, sì. E molto.
Non parlava. Si limitava a fissarla attraverso un paio di occhi nocciola con pagliuzze dorate.
«Non si presenta?» esordì lei, la postura rigida, le dita delle mani intorpidite.
Un sorrisetto cinico gli incurvò gli angoli della bocca e una ciocca ribelle di capelli castano scuro gli cadde sulla fronte.
«Sa benissimo chi sono.»
Gina inarcò un sopracciglio, con aria di sufficienza, mentre lui si rimetteva a posto i capelli, conservando il suo ghigno sardonico.
Avanzò di qualche passo, con movenze feline, da vero predatore sicuro di sé.
Lei trasse un respiro profondo e il fastidio allo stomaco si tramutò in acceso bruciore.
«Sarò nel suo ufficio martedì» le annunciò Flint. «Alle due in punto.»
«Controllerò l'agenda e le farò sapere» ribatté lei, desiderando poter infilare la mano nella borsetta per prendere un antiacido.
Kingman scosse la testa. «Martedì alle due. Non si discute.»
Gina montò su tutte le furie, provando un odio feroce nei confronti di quell'uomo e di tutto ciò che lui rappresentava. Lo stress avrebbe mai avuto fine? Il senso di colpa? L'umiliazione? «Lei è sempre così prepotente?» sbottò.
«Sono aggressivo, non prepotente.»
«Non l'avrei mai detto.»
Lei sollevò il mento e Flint studiò quel piglio ostinato. Gina Barone era una forza della natura, difficile da governare, una creatura dal corpo slanciato ed elegante, con una massa di capelli castani ondulati raccolti in un perfetto chignon e straordinari occhi violetti.
Una donna tutta d'un pezzo, dal temperamento impetuoso. Aveva sentito dire che era una persona glaciale, sempre sulla difensiva. Una che si metteva in competizione con gli uomini e li sfidava continuamente.
E ora si sarebbe messa in competizione con lui.
Gina gli indirizzò un'occhiata infastidita e lui posò lo sguardo sugli antipasti nel suo piatto. «Non le piacciono?» le domandò.
«Non avevo ancora avuto modo di cominciare» replicò aspra.
«Come mai? L'ho interrotta io, per caso?» Lui allungò un braccio, le rubò un fungo dal piatto e se lo ficcò in bocca, ben sapendo, con quel gesto eclatante, che l'avrebbe mandata su tutte le furie.
Quei suoi occhi violetti si accesero di una luce violenta e, per un attimo, Flint temette che lei stesse contemplando l'idea di compiere un gesto infantile, come gettargli addosso il resto dei funghi. «L'avviso, signorina Barone, che sono sprovvisto di ricambio.»
«E anche di buone maniere.»
«Non è vero.» Stavolta, lui le sottrasse una frittella di gamberetti, la gustò lentamente, poi estrasse dalla tasca interna della giacca un fazzoletto candido e si tamponò le mani con elegante disinvoltura.
Tutto, a quella festa, era talmente falso e affettato, pensò tra sé. Così come Gina Barone. Flint era arcistufo della superficialità della società nella quale viveva. Aveva fatto fortuna in quel mondo, ma ora non ne poteva più. Gli sembrava tutto così finto.
Dopotutto, come poteva stupirsi? Aveva appena scoperto un segreto di famiglia, uno scheletro nell'armadio che faceva della sua stessa vita tutta una finzione.
Continuando a fissarlo con sdegno, Gina appoggiò il piatto sul davanzale. «Grazie a lei, ho perso l'appetito.»
Non che ne avesse avuto neppure prima, pensò. La tensione le aveva chiuso lo stomaco. Il problema era che si era trovata a dover fronteggiare una situazione più grande di lei. Non si era mai confrontata con uno scandalo pubblico, specialmente non uno di quella portata.
Lui invece sì, naturalmente. Gli scandali erano la sua specialità, il suo pane quotidiano. Ma non i segreti di famiglia. E ora non riusciva a digerire la menzogna nella quale era cresciuto.
Si passò una mano fra i capelli e si accorse di aver divagato troppo con