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Sussurri e bugie: Harmony Destiny
Sussurri e bugie: Harmony Destiny
Sussurri e bugie: Harmony Destiny
E-book146 pagine1 ora

Sussurri e bugie: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Michael è stato ingaggiato da Abraham Danforth per scoprire se è proprio Lea, sua figlia illegittima, l'artefice delle minacce che sta ricevendo. Ma se all'inizio lei doveva essere solo lavoro, ora Michael deve ammettere che il loro rapporto è andato oltre, diventando ben più intimo e personale.
LinguaItaliano
Data di uscita9 apr 2021
ISBN9788830527874
Sussurri e bugie: Harmony Destiny
Autore

Sheri Whitefeather

Autrice della novella Sangue Cherokee.

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    Anteprima del libro

    Sussurri e bugie - Sheri Whitefeather

    Copertina. «Sussurri e bugie» di Whitefeather Sheri

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Steamy Savannah Nights

    Silhouette Desire

    © 2004 Harlequin Books S.A.

    Traduzione di Elisabetta Elefante

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3052-787-4

    Frontespizio. «Sussurri e bugie» di Whitefeather Sheri

    1

    Era un sabato pomeriggio come tanti.

    Lea andò ad aprire la porta e fissò sorpresa l’uomo che apparve sull’uscio.

    Michael non era mai venuto a trovarla a quell’ora. In pieno giorno, raramente era libero.

    Lea lo trovò anche più affascinante del solito, con quei capelli folti e scuri, gli occhi nerissimi, il mento squadrato e gli zigomi affilati.

    Si era arrotolato le maniche della camicia sui gomiti, ma la cravatta era ancora annodata intorno al colletto della camicia azzurra e i pantaloni grigio antracite non avevano una grinza.

    Michael Whittaker, titolare della Whittaker e soci, possedeva un fascino particolare, un misto di raffinatezza e di ardore selvaggio.

    La sua voce lenta, appena strascicata, dal forte accento del Sud, era talmente profonda da procurarle i brividi.

    Nervosa, Lea si toccò i capelli, poi si lisciò l’aderente T-shirt di cotone celeste, chiedendosi il motivo di quella visita a sorpresa.

    Michael aveva voglia di fare l’amore? L’avrebbe presa tra le braccia e trascinata in camera da letto?

    «Buongiorno» esordì lui. «Anzi, forse dovrei dire buon pomeriggio.»

    «Ciao» gli rispose lei. Guardando al di là delle spalle poderose di Michael, Lea vide una Mercedes nera parcheggiata lungo il marciapiede. Era quella la sua macchina?

    Andavano a letto insieme da un mese, eppure ancora non sapeva che tipo di macchina guidasse Michael. Un pensiero che la fece sentire come una delle tante ragazze vietnamite che abbordavano i turisti americani nei bar di Saigon.

    Michael l’avrebbe scaricata non appena si fosse stancato di lei?

    Avrebbe mai detto a nessuno che erano stati amanti?

    «Non mi inviti a entrare?» le domandò lui.

    Ridestandosi da quei pensieri cupi, Lea annuì.

    Non si era ancora riavuta del tutto dalla sorpresa di ritrovarselo davanti in pieno giorno. Non lo aveva mai visto alla luce del sole, realizzò d’un tratto. Ma di che cosa si stupiva? Michael non era certo un vampiro, sebbene finora avesse pensato a lui più o meno in quei termini: una fantasia notturna, un amante proibito, il fantasma alto e bruno che rendeva le sue notti memorabili.

    La notte della raccolta di fondi, lei e Michael erano finiti a letto insieme. Ed era stata la fine del mondo. Con sua grande sorpresa, lui era ritornato la sera successiva. E ogni altra sera. Un mese intero di notti infuocate.

    Ora, però, era giorno.

    «Lea?»

    «Cosa? Ah, sì.» Lei si scostò dalla soglia, rendendosi conto che gli bloccava il passaggio.

    Lui entrò, andando a fermarsi al centro del soggiorno.

    Che cosa voleva dirle? Che cosa era venuto a fare? Impossibile capirlo. Dal suo viso non trapelava niente, nessuna emozione. Come al solito, d’altronde.

    Doveva offrirgli da bere, farlo accomodare in soggiorno? Lea non sapeva come comportarsi. Quando Michael arrivava di sera, si ripeteva ogni volta la stessa scena. Lei apriva la porta e lui passava subito all’azione: senza preamboli, senza inutili giri di parole, dava inizio a una fantasia erotica, sorprendendola con la sua fervida immaginazione.

    A volte la portava in camera da letto. Altre volte la spogliava lì, nell’ingresso, e si distendeva con lei per terra...

    «Lea?»

    Lei batté le palpebre e arrossì, come se Michael le avesse letto nel pensiero.

    «Ti senti bene?»

    «Benissimo. Ti ascolto.»

    «Abbiamo avuto i risultati del test del DNA» le rivelò lui.

    A quelle parole, il cuore di Lea mancò un battito. «Così, adesso sai per certo che Abraham Danforth è mio padre.»

    «Sì.»

    «Per questo sei qui? Per convincermi a parlare con lui?» Dopo la raccolta di fondi del Quattro luglio, Lea aveva accettato di sottoporsi al test del DNA che gli avvocati dei Danforth avevano suggerito di eseguire. Ma si era rifiutata categoricamente di avere altri incontri con l’ex agente speciale dei marine che l’aveva concepita.

    Non aveva voluto spiegarne la ragione a nessuno, nemmeno a Michael.

    «No, non sono qui perché mi ha mandato il signor Danforth.» Michael sollevò un’enorme conchiglia che lei teneva sul tavolino del soggiorno e se la rigirò in mano. Poi lasciò scorrere lo sguardo sui quadri appesi al muro, schizzi di artisti di strada comprati a River Street. Tutta la casa di Lea era arredata con mobili e suppellettili che riflettevano la cultura locale, non si era portata niente dal Vietnam.

    «Vuoi venire a stare da me, Lea?» le chiese d’un tratto.

    «Da te?» ripeté lei, attonita.

    «Per qualche settimana. A casa mia.»

    «Perché, Michael? Perché dovrei venire a stare da te?»

    «Per avere la possibilità di conoscerci meglio.» Lui le si avvicinò, ma ancora non la toccava. «Per passare un po’ più di tempo insieme.»

    Era una proposta allettante. Sarebbe stato facile dirgli di sì, ma molto più saggio rifiutare. Lea prese ad arrotolarsi su un dito una lunga ciocca di capelli. «E il mio lavoro? Non sono in ferie.»

    «Be’, nemmeno io, però passeremmo insieme tutto il tempo libero. Potremmo andare a cena fuori, fare qualche passeggiata... diventare amici.»

    Lea vacillò. Desiderava il rispetto di Michael tanto quanto la sua amicizia.

    Ma se li meritava?

    «Allora?» la incalzò lui.

    Il desiderio di stargli vicino ebbe la meglio. «D’accordo, accetto il tuo invito.»

    «Bene.» Michael le sorrise, le spiegò come arrivare a casa sua e le diede appuntamento per le cinque.

    Andò via senza aggiungere altro.

    Dalla porta d’ingresso, Lea lo vide raggiungere la Mercedes nera, azionare il dispositivo di apertura centralizzata, poi mettersi al volante e partire.

    Almeno ora sapeva che macchina guidava, disse a se stessa.

    Tornò dentro e cominciò a preparare la valigia.

    Michael andò dritto a Crofthaven, la sontuosa residenza dei Danforth.

    Percorse l’interminabile viale fiancheggiato da magnifici alberi secolari in preda a un senso di colpa che lo opprimeva come un macigno.

    Stava ingannando Lea. E ora avrebbe ingannato anche Abraham Danforth.

    Aveva altra scelta?

    Al suo arrivo, un anziano domestico lo fece accomodare nell’ampio ingresso, dove Michael attese di essere ricevuto dal suo cliente.

    Dovette aspettare poco più di un minuto per vederlo scendere dalla scalinata.

    Affacciatosi da pochi mesi nel mondo della politica, Abraham Danforth possedeva quel genere di carisma che rendeva irresistibile e accattivante la sua immagine di uomo pulito e retto. Non per niente, lo slogan della sua campagna elettorale era: Abraham, un uomo onesto.

    Danforth gli propose di spostarsi in giardino, dove avrebbero potuto parlare tranquilli. Si sedettero entrambi su una panchina di pietra. Intorno, era un tripudio di aiuole fiorite e un cinguettio festoso, ma neppure quello scenario rassicurante riuscì a placare i nervi tesi di Michael.

    Non sapeva da dove cominciare.

    «Volevi dirmi qualcosa?» esordì Danforth. Sebbene la temperatura sfiorasse i trentasette gradi all’ombra, aveva un’aria fredda e composta. Indossava una polo firmata verde chiaro su pantaloni grigi.

    Michael non era altrettanto a suo agio. Sentiva un rivoletto di sudore scorrergli nel solco della schiena, sotto la camicia azzurra. Quella calda giornata di agosto si sarebbe tramutata in una serata afosa, infuocata. E le notti infuocate erano diventate la sua ossessione, ormai.

    Tutta colpa di Lea.

    «C’è... una cosa che devo spiegarle.» Incrociò lo sguardo dell’uomo più maturo, sentendosi un traditore. In qualunque modo tentasse di giustificarsi, andare a letto con la figlia di Danforth era stata comunque una grossa scorrettezza. «Io e Lea siamo...»

    «Siete cosa?»

    Amanti. Una sola parola che spiegava tutto, ma a Michael parve troppo cruda. «Ecco, volevo dirle che ci frequentiamo da qualche tempo.»

    Abraham sollevò un sopracciglio. «Vi frequentate in che senso?»

    «Nel senso che andiamo a letto insieme.» Ecco. Lo aveva detto. E senza girarci intorno. «Volevo anche dirle che Lea verrà a vivere da me per qualche settimana, perciò dovrò alleggerire i miei turni. I ragazzi della scorta continueranno a tenerla d’occhio ventiquattro ore al giorno, ma io non sarò sempre disponibile.»

    Gli occhi di Danforth si socchiusero. «Quando è successo, esattamente?»

    Non era difficile capire a che cosa Abraham si riferisse. «È cominciato tutto quella prima notte. Non è stata una cosa premeditata da parte mia, mi creda. Ci siamo sentiti subito attratti l’uno dall’altro, e poi...» Michael si interruppe, a disagio. Continuare significava ammettere che il sesso era l’unica cosa che lui e Lea avevano in comune.

    In quell’ultimo mese, non si erano mai fatti una bella chiacchierata, non avevano mai davvero instaurato un dialogo. Avevano comunicato sempre e solo a un livello istintivo, primordiale, con i loro corpi accesi di passione.

    «Quella prima sera?» ripeté Danforth con voce tesa. «Ti avevo chiesto di accompagnarla a casa e tu te la sei portata a letto? Io mi ero fidato di te, Michael.»

    «Lo so. Mi spiace. Ma... Lea aveva bisogno di me, e io di lei. Sono cose che capitano così, senza una spiegazione.»

    «Sì. Suppongo di sì» mormorò Abraham.

    Per l’uomo, la questione si chiudeva lì, comprese Michael. D’altronde, perché avrebbe dovuto fargli una scenata?

    Vedovo da anni, Abraham non aveva il diritto di fare prediche a nessuno, specie di quel genere: era ancora sposato quando aveva avuto una storia con la madre di Lea. Ci era andato a letto dopo aver perso temporaneamente la memoria a seguito di una ferita riportata durante una missione, in guerra, ma aveva comunque tradito sua moglie.

    La notizia non era ancora trapelata alla stampa, ma Danforth era pronto ad ammettere tutto: avrebbe tenuto una conferenza stampa e presentato Lea al mondo intero.

    Il problema era che Lea non voleva

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