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L odioso duca
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E-book250 pagine5 ore

L odioso duca

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1824 - Theron Royd, Duca di Selchester, è il nobile per eccellenza, con la sua eleganza innata e il suo aspetto regale e senza rivali. Ora ha bisogno di una moglie perfetta, che non gli dia problemi, per procreare un erede a cui lasciare la sua fortuna. In tutto questo però i sentimenti sono banditi, lui ha intenzione di non avere problemi tanto che, una volta raggiunto lo scopo, obbligherà la prescelta ad andare per la propria strada senza creare scandali. Ma un incontro casuale con la giovane e bella Verena Wichcombe gli farà cambiare completamente i piani. Lei si è permessa di definirlo "odioso", ma questo non l'ha resa meno attraente agli occhi di lui. Oltre a ciò, Verena l'ha coinvolto in un losco intrigo che deve essere svelato e che li unirà ancora di più.
LinguaItaliano
Data di uscita19 set 2016
ISBN9788858954928
L odioso duca
Autore

Barbara Cartland

Nata a Edgbaston, nei pressi di Birmingham, il 9 luglio 1901, negli anni Venti e Trenta fu una delle personalità più celebri dell'alta società londinese, acclamata oltre che per la bellezza e il fascino anche per gli audaci ricevimenti che organizzava e per la sua innata capacità di "fare tendenza" nel campo della moda. Nel corso della sua lunghissima vita ha dato il proprio sostegno a numerose cause umanitarie e caritatevoli, e nel 1981 è stata nominata dalla Regina Elisabetta Dama dell'Ordine dell'Impero britannico proprio per il suo impegno in ambito letterario, politico e sociale. Autrice di numerosi romanzi storici, biografie, commedie e persino saggi, è diventata famosa in tutto il mondo per aver scritto più di 700 romanzi rosa, impresa per la quale nel 1983 ha meritato un posto d'onore nel Guinness dei primati. Si è spenta alla veneranda età di 99 anni il 21 maggio del 2000.

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    L odioso duca - Barbara Cartland

    successivo.

    1

    Con abilità consumata, il Duca di Selchester guidò il suo tiro composto da due sauri perfettamente abbinati attorno all'angolo che portava da Alford Street a Park Lane. Dovette poi percorrere solo una breve distanza prima di fermare gli animali, con stile inimitabile, davanti all'imponente entrata di Selchester House. Fatto questo, estrasse l'orologio dalla tasca del panciotto ed esclamò: «Abbiamo battuto il primato per cinque minuti e trentacinque secondi, Fowler!».

    «Ero sicuro che Vostra Grazia potesse farcela» ribatté il suo stalliere. «Un'eccezionale esibizione di guida, se permettete.»

    «Grazie, Fowler.»

    Il duca scese con agilità dal phaeton. I domestici che lo osservavano ammirati erano consapevoli che, nel suo cappotto a più mantelline, con l'alto cappello messo di sbieco sui capelli scuri, gli stivali assiani scintillanti per le applicazioni quotidiane di champagne, rappresentasse la vera incarnazione del corinthian. Ineguagliabile, era l'espressione usata per descriverlo dai più giovani membri di White's, che copiavano fedelmente il suo modo di annodarsi le cravatte, il taglio delle giacche che Weston cuciva appositamente per lui e le innumerevoli, piccole manie che il duca aveva reso di moda.

    Nessuno dei suoi imitatori, comunque, poteva emularlo nel portamento e nel modo in cui riusciva a tacitare un'impertinenza o il sospetto di una presunzione con un semplice sguardo e un infinitesimale inarcarsi delle sopracciglia.

    Molto più alto di sei piedi, con un portamento superbo, nel superare la soglia di Selchester House il duca sembrò torreggiare sul gruppo di domestici in livrea. Tese il suo cappello a uno di questi, i guanti a un altro e permise al maggiordomo, un uomo anziano con la faccia da arcivescovo, di togliergli il cappotto, rivelando così una delle sue famose, semplici giacche di cotone ritorto, che gli aderiva senza una piega alle spalle larghe e su cui il suo sarto aveva passato parecchie notti insonni, prima di elevarla alla perfezione richiesta.

    Soltanto Mr. Weston sapeva che il duca era un gentiluomo alquanto difficile da vestire. Essendo molto abile nel pugilato e nella spada, oltre a passare parecchie ore in sella, aveva i muscoli guizzanti di un atleta, il che rendeva difficile ottenere l'effetto languido richiesto dalla moda.

    Anche in quel momento il duca, benché avesse guidato a grande velocità per quasi tre ore, non era per niente affaticato. Vigile e con aria soddisfatta, attraversò la hall con i grandi ritratti di famiglia e i mobili francesi intagliati, diretto al salone del giardino.

    Due domestici nelle livree Selchester blu e gialle spalancarono le doppie porte di mogano, e Sua Grazia entrò in una deliziosa stanza che correva per l'intera larghezza della casa. Non meno di cinque finestre si aprivano sull'ampio giardino che si stendeva dietro l'enorme magione di pietra grigia, arricchita da torrette che erano state fatte costruire dal nonno del duca.

    Il giardino, bagnato dal sole primaverile, era acceso dai colori dei crochi e dei narcisi. I sentieri formali, come la terrazza lastricata, erano bordati da giacinti e tulipani che, tutti della stessa identica altezza e grandezza, davano loro uniformità e sembravano soldati a una parata.

    Era stato il re, al tempo in cui era ancora reggente, a prendere in giro il duca chiamandolo sua nobile perfezione, e la battuta era diventata un fatto piuttosto che uno scherzo. Quasi inconsapevolmente, il duca aveva iniziato a pretendere la perfezione attorno a sé, cosicché adesso tutti, in quella casa, si sforzavano non solo di servirlo al meglio delle loro capacità, ma anche di cercare di compiere quasi dei miracoli, perché lui se li aspettava.

    Sua Grazia sedette alla scrivania per esaminare l'alta pila di biglietti d'invito e parecchie lettere chiuse, la cui grafia o la lieve fragranza ne rivelavano la natura intima. Le scorse senza particolare interesse, poi, mentre con aria annoiata ne afferrava una per aprirla con un tagliacarte tempestato di smeraldi, il suo segretario, Mr. Graystone, entrò nella stanza e si inchinò rispettosamente.

    Di mezza età, con i capelli grigi, Mr. Graystone reggeva sulle spalle la responsabilità del tranquillo scorrere della vita nelle residenze di Sua Grazia. Prime tra tutte c'erano Selchester Castle nel Kent, Selchester House a Londra, un casino di caccia nel Leicestershire e un'enorme magione nel Northumberland.

    L'assunzione del personale più importante, il pagamento dei salari − sia nelle case sia nelle tenute − erano sotto la sua giurisdizione. Aveva al suo servizio avvocati e ragionieri, maggiordomi e sottosegretari, con lo scopo di aiutarlo, ma era la sua mano a gestire la conduzione dei possedimenti ducali.

    Tuttavia, neppure per un istante Mr. Graystone si sarebbe avvicinato al suo padrone con un atteggiamento che non fosse di umile servilismo: abitudine encomiabile, che l'altro accettava senza discussioni.

    «Buonasera, Graystone» lo apostrofò il duca. «Avete qualcosa di importante per me? E cercate di non annoiarmi con i problemi della campagna, perché non sono nello spirito giusto, al momento.»

    «No, Vostra Grazia, nessun problema. Sono solo venuto a informarvi che è stato fatto tutto quanto richiesto per la vostra partenza di domani. I cavalli sono stati spediti avanti e tutti e tre i vostri anfitrioni hanno manifestato la loro gioia a essere onorati della visita di Vostra Grazia. Ho lasciato di proposito nel vago il tempo reale del vostro arrivo in ogni residenza.»

    «Perfetto» approvò il duca. «Non mi piace sentirmi costretto.»

    «Vostra Grazia richiede altro?»

    «No, Graystone. Vi sono grato per le vostre attenzioni.»

    Le gentili parole di condiscendenza parvero illuminare l'espressione preoccupata dell'uomo. «Vostra Grazia è molto gentile» mormorò e, inchinandosi, uscì dalla stanza.

    Il duca restò per un momento con il tagliacarte in una mano e la lettera, da cui esalava uno stucchevole profumo di gardenia, nell'altra. Poi, d'impulso, lanciò entrambi sullo scrittoio. Si alzò in piedi e andò al piano di sopra a cambiarsi per la cena.

    Due valletti erano in attesa del suo arrivo: un uomo anziano che aveva servito sotto suo padre e che lo conosceva fin da bambino, e uno più giovane, che era al suo servizio solo da dieci anni.

    Gli tolsero gli stivali, lo aiutarono a uscire dai suoi abiti e, dopo che si fu fatto il bagno davanti al fuoco nella sua camera da letto, lo avvolsero in un ampio lenzuolo profumato di lavanda.

    Era un rituale troppo familiare perché il duca ne prendesse nota. Fu aiutato a infilarsi gli aderenti pantaloni da sera. L'anziano valletto gli rase le guance con mano esperta. Una camicia del tessuto più fine fu abbottonata sul suo torace muscoloso dal valletto più giovane. Poi, i tre uomini vagliarono la seria questione di quale stile di cravatta il duca dovesse indossare per tenere alte le punte del suo colletto inamidato.

    «Sua Maestà ha una preferenza per il nodo matematico, Vostra Grazia» suggerì il valletto anziano.

    «E ne fa un disastro!» ritorse il duca. «Il collo del re è troppo grosso e il mento troppo pesante per qualcosa di diverso da un semplice nodo singolo.»

    «Possiamo essere grati che passeranno molti anni prima che si dica lo stesso di Vostra Grazia» commentò il domestico con un sorriso di ammirazione.

    «Ho la sensazione, Jenkins, che non procurerò mai un mal di schiena ai miei cavalli!»

    «No, infatti, Vostra Grazia, questo è sicuro. Perché il fisico di Vostra Grazia è ammirevole! Giorni addietro, stavo giusto dicendo a Mr. Weston che non c'è un'oncia di grasso di troppo sul corpo di Vostra Grazia.»

    «Penso che stasera proverò il Waterfall» affermò il duca speculativamente.

    «Stavo giusto per offrire questo suggerimento alla considerazione di Vostra Grazia» replicò con entusiasmo il valletto. «Soltanto qualcuno con un collo alto come quello di Vostra Grazia e con la presenza di Vostra Grazia potrebbe tentare le pieghe intricate che sono, mi è stato detto, la disperazione del valletto di Lord Fleetwood. Infatti, si dice che dopo aver gettato a terra due dozzine di cravatte sia Sua Signoria sia il suo valletto siano scoppiati in lacrime.»

    «Non mi sorprenderebbe» commentò laconico il duca. «Se mai è esistita una creatura maldestra, quella è Fleetwood.»

    «Proprio così, Vostra Grazia. E ho sentito che Vostra Grazia ha infranto il primato, oggi. Posso offrire le mie più umili congratulazioni per una prodezza che avrebbe dato estrema soddisfazione al padre di Vostra Grazia, se fosse stato vivo?»

    «Eccellente guidatore anche lui, vero, Jenkins?»

    «Infatti. Il vecchio duca non aveva rivali, ai suoi giorni, e tuttavia talvolta penso che Vostra Grazia sia in qualche modo superiore.»

    «Mi piacerebbe poterlo credere» affermò il duca, di buonumore.

    Essendosi infilato con qualche difficoltà nella giacca da sera, così aderente da aver bisogno dell'assistenza di entrambi i valletti per essere sistemata con soddisfazione, scese lentamente la scalinata di legno dorato.

    Un domestico si affrettò ad aprire la porta e Sua Grazia entrò nell'anticamera adiacente alla lunga sala da pranzo, che con le sue colonne di marmo e le cornici dorate era considerata uno dei capolavori dell'architetto che l'aveva progettata. Due lacchè offrirono a Sua Grazia un bicchiere di vino. Uno reggeva il vassoio d'argento su cui erano posati i bicchieri di cristallo con inciso lo stemma dei Selchester e l'altro versò il vino da un pesante decanter dal beccuccio d'argento.

    Il duca accettò un bicchiere di Madeira invecchiato e lo stava sorseggiando con piacere quando il maggiordomo annunciò: «Il capitano Harry Sheraton, Vostra Grazia».

    Un gentiluomo dai lineamenti gradevoli, vestito elegantemente quanto Sua Grazia, ma senza la sua distinzione e aria di importanza, entrò nella sala.

    «Buonasera, Harry!» lo salutò il duca. «Sei in ritardo. Cominciavo a pensare che avessi dimenticato il nostro impegno di stasera.»

    «Non sono così smemorato! Sono tre giorni che non penso ad altro che vedere le nuove Cyprians che la Badessa ha portato dalla Francia. Mi scuso per averti fatto aspettare.»

    «Ti stavo prendendo in giro» rispose il duca. «Sono tornato da Epson solo un'ora fa. Ho infranto il primato!»

    «L'hai fatto! Congratulazioni» esclamò Sheraton. «Speravo che ci saresti riuscito. Lumley non faceva che vantarsi per tutte le sale di White's che ci sarebbe riuscito lui, con quei roani che ha comprato il mese scorso a Tattersall's. Sono solo gonfiati, ma niente convincerà Lumley che non sono dei purosangue!»

    «Non accetterei l'opinione di Lumley neppure se stessi comprando un mulo per l'esercito!» ribatté il duca.

    «Neppure io. Dio, Theron, ricordi quelle dannate bestie con cui avemmo a che fare in Portogallo? Mai dimenticato il modo in cui loro e i cavalli si sono dati alla fuga sotto quella colossale tempesta, prima della battaglia di Salamanca.»

    «I fulmini che si riflettevano sulle canne dei moschetti quasi mi accecarono» rammentò il duca. «Ricordi quanti ufficiali furono sommersi dalle pieghe delle tende, quando i cavalli e i muli rimasero intrappolati nelle funi? Posso ancora vedere il maggiore Dulbiac salvare la vita di sua moglie depositandola sul carro da cannoni più vicino!»

    «Dio, sì!» Sheraton rise. «E rammenti la furia di Wellington quando fu costretto a mandare le truppe a caccia dei muli? Pensava che potesse ritardare l'avanzata.»

    «Sarebbe stato più furioso se non ci fossero stati animali per trasportare le armi» rimarcò asciutto il duca.

    «Sai una cosa, Theron?» Sheraton si fece serio. «A volte vorrei che la guerra non fosse finita. Sono annoiato a morte di essere un soldato da Hyde Park

    «Dunque hai scoperto che è così che ti chiamano, al circolo?» chiese il duca con uno scintillio negli occhi.

    «Dannati impertinenti! Vorrei sapere quanto si divertirebbero, questi damerini, se fossero spediti da un momento all'altro a sedare rivolte a Hyde Park. A disperdere una folla che urla e lancia pietre davanti al Parlamento.»

    «La vita di un soldato è dura» convenne il duca in tono ironico.

    «Dannatamente dura, quando deve fare questo tipo di cose» confermò Harry. «Ho sentito parlare di forze speciali, per questi compiti. Com'è il nome di quel tipo che sta sempre a blaterare alla Camera dei Comuni?»

    «Sir Robert Peel.»

    «Proprio lui! Prima introdurrà delle forze di polizia, o comunque le voglia chiamare, e più sarò felice. Altri fastidi, oggi. Ecco perché sono in ritardo.»

    «Cos'era stavolta?»

    Il capitano Sheraton non rispose subito. Prese un bicchiere di Madeira dal vassoio e lo sollevò alle labbra. «Dannazione, Theron, è proprio vero che offri ai tuoi ospiti il miglior Madeira dell'intero Paese! Chi è il tuo fornitore? Potrei prenderne un paio di bottiglie di questo nettare.»

    «Non puoi comprarlo, caro ragazzo» replicò il duca. «Io l'ho messo in cantina sei anni fa e solo adesso il mio capo cantiniere mi ha permesso di berlo.»

    «Ne prenderei un altro bicchiere. Spero che tu ne abbia abbastanza.»

    «Abbastanza da farti bere per un anno, comunque.» Il duca sorrise. «Mi stavi dicendo cosa ti ha fatto tardare.»

    «Il colonnello ha convocato un'assemblea di ufficiali per informarci che il primo ministro sta esaminando attentamente i furti al Tesoro d'Inghilterra.»

    «Di che si tratta?»

    «Non leggi mai i giornali? Sono stati sui titoli di testa per settimane!»

    «Oh, adesso ricordo. Intendi gli assalti alle carrozze che portavano l'oro dalla Banca d'Inghilterra alle banche periferiche?»

    «Proprio quelli!» esclamò Sheraton. «Penso che l'intera operazione sia stata dannatamente ben pianificata, se me lo chiedi. Ci deve essere un tipo geniale, dietro i furti! Non è un lavoro da ordinari briganti di strada.»

    «Temo di non aver rivolto la debita attenzione alla faccenda.»

    «Il governo ci si sta scervellando sopra. Due grosse rapine, l'ultima settimana. In entrambi i casi, le guardie sono state uccise, i cocchieri legati e lasciati sul pavimento della carrozza. Gli ultimi due, poveri diavoli, sono rimasti lì per cinque ore prima che qualcuno li trovasse. Una volta interrogati non hanno saputo rispondere a nessuna domanda.»

    «Eppure devono aver visto chi li ha legati» obiettò pigramente il duca, senza mostrare molto interesse.

    «I ladri indossavano delle maschere, e i cocchieri sono stati colpiti sulla testa con dei randelli e hanno perso i sensi in pochi secondi.»

    «Bene, cosa ha intenzione di fare il prode soldato?» chiese il duca.

    «I comandanti non riescono a pensare ad altro che a raddoppiare le guardie alla Banca d'Inghilterra! Nessun idiota oserebbe attaccare quella fortezza.» Harry Sheraton pareva disgustato. «Sarebbe meglio intensificare la sorveglianza alle carrozze.»

    «In tal caso, indosserò la mia uniforme e verrò ad aiutarti» commentò il duca con un sorriso, mentre la porta si apriva e il maggiordomo annunciava la cena.

    Il tavolo non aveva tovaglia, secondo la moda introdotta dal re. Sulla sua superficie lucida erano disposte stoviglie d'oro che erano appartenute alla famiglia dal regno di Carlo II. Tra di esse erano sistemate ghirlande di orchidee verdi, che circondavano la base dei pesanti candelabri d'oro che reggevano ognuno sei candele.

    I due gentiluomini si disposero a un lungo ed elaborato pasto. Lo chef di Sua Grazia era considerato il migliore, nel beau ton, e il vino era superlativo. Soltanto quando la terza portata lasciò il tavolo Sheraton si appoggiò indietro nella sua sedia, fece cenno di portar via un piatto di Sèvres contenente pesche inzuppate nel brandy e spruzzate di mandorle arrostite, e commentò: «Mi dispiace, Theron, non poter fare giustizia a tutte queste specialità culinarie. Sa il cielo che, se mangiassi nella tua casa ogni giorno, diventerei tarchiato come il nostro beneamato monarca».

    «Penso che il cuoco abbia dato il suo meglio, stasera» convenne il duca. «Ho mandato un messaggio alla cucina, due sere fa, per dire che non avevo trovato la cena di mia soddisfazione.»

    «Buon Dio!» esclamò l'amico. «Se trovi difetti in piatti come questi, dev'esserci poco che ti soddisfi.»

    I domestici avevano lasciato la sala, e il duca rispose con un sorrisetto. «Sto tenendo l'uomo sulla corda. Se ci si accontenta troppo facilmente, la gente si impigrisce.»

    «Certo, dimenticavo... Sua nobile perfezione...» Sheraton rise.

    «Dannazione, non menzionare quella stupidaggine» sbottò il duca, «o giuro che non ti inviterò mai più.»

    «Sciocchezze!» replicò Sheraton. «Sai bene quanto me che sono il pizzico di spezie che rende saporita la tua vita epicurea. Ti conosco da troppo tempo, Theron, per essere servile! Non dico che tu non sia un tipo impressionante, ma ti ho visto in troppe situazioni poco dignitose per ridurmi a uno stato di stuporosa ammirazione, come la maggior parte dei tuoi amici, dei domestici e dei conoscenti invidiosi.»

    «I tuoi complimenti mi confondono» commentò pigramente il duca. «E comunque, hai ragione. Odierei l'idea di perderti.»

    «Voglio un'altra guerra.» Sheraton sospirò. «Theron, hai scordato l'eccitazione di dare la caccia ai Francesi, dopo la battaglia di Vittoria, e di quando abbiamo catturato la carrozza dei bagagli di Re Giuseppe Bonaparte?»

    «No davvero.» Il duca rise. «È stato là che i dragoni di Wyndham si procurarono il signorile pitale del re.»

    «Non potrei mai dimenticarlo! L'hanno usato per berci lo champagne!»

    «Quando sono riuscito a superare la calca di cavalli, muli, manzi e somari, scimmiette e pappagalli» proseguì il duca, «ho trovato che il Decimo Ussari aveva aperto la cassaforte del tesoro e il terreno era cosparso di dobloni, dollari, orologi, gioielli e ninnoli.»

    «C'erano così tante femmine, tra coloro che seguivano il campo dei Francesi, che le nostre truppe li chiamavano i bordelli mobili» ricordò l'altro. «Tuttavia era il bottino di Wellington quello che contava: centocinquantuno cannoni, due milioni di cartucce. Quelli erano giorni, amico mio!» Sollevò il bicchiere al ricordo, prima di esclamare: «Dio, ma stiamo invecchiando! Il prossimo anno sarà il 1825, e festeggeremo i dieci anni da Waterloo».

    «Sì, infatti. E ciò significa che tra un mese compirò trentatré anni, come mi ha fatto notare mio zio Adolphus solo pochi giorni fa.»

    «Sarei pronto a scommettere che Sua Signoria è arrivato con l'albero genealogico in tasca.»

    «Proprio così. Ha passato in rassegna l'intera genealogia dei Royd, da quello che servì sotto Etelredo il Malconsigliato al Royd che ha fatto cornuto Enrico Ottavo con una delle sue mogli... ho dimenticato quale... e il Royd che ha battuto Casanova arrivando per primo nel letto di una certa principessa!»

    «Il che lo ha condotto a una richiesta» scherzò Sheraton.

    «Proprio così. A sentir lui devo sposarmi al più presto, altrimenti il cugino Jasper erediterà.»

    «Non ho mai capito cosa c'entri lui» ammise Harry. «È il reprobo più fegatoso che abbia mai incontrato. Scusa, Theron, se parlo apertamente.»

    «Figurati. Ho detto molto di peggio allo stesso Jasper, tre mesi fa, quando per la centesima volta è venuto a chiedermi un piccolo prestito.»

    «La piccolezza sarà stata di sicuro relativa.»

    «Hai ragione. Stavolta erano quindicimila sterline. Pensava fosse un progresso,

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